Fratelli
d'Italia…
Dobbiamo alla città di
Genova Il Canto degli Italiani, meglio conosciuto come Inno di
Mameli. Scritto nell'autunno del 1847 dall'allora ventenne
studente e patriota Goffredo Mameli, musicato poco dopo a Torino
da un altro genovese, Michele Novaro, il Canto degli Italiani
nacque in quel clima di fervore patriottico che già preludeva
alla guerra contro l'Austria. L'immediatezza dei versi e l'impeto
della melodia ne fecero il più amato canto dell'unificazione, non
solo durante la stagione risorgimentale, ma anche nei decenni
successivi. Non a caso Giuseppe Verdi, nel suo Inno delle Nazioni
del 1862, affidò proprio al Canto degli Italiani - e non alla
Marcia Reale - il compito di simboleggiare la nostra Patria,
ponendolo accanto a God Save the Queen e alla Marsigliese. Fu
quasi naturale, dunque, che il 12 ottobre 1946 l'Inno di Mameli
divenisse l'inno nazionale della Repubblica Italiana.
Il
poeta
Goffredo Mameli dei Mannelli
nasce a Genova il 5 settembre 1827. Studente e poeta precocissimo,
di sentimenti liberali e repubblicani, aderisce al mazzinianesimo
nel 1847, l'anno in cui partecipa attivamente alle grandi
manifestazioni genovesi per le riforme e compone Il Canto degli
Italiani. D'ora in poi, la vita del poeta-soldato sarà dedicata
interamente alla causa italiana: nel marzo del 1848, a capo di 300
volontari, raggiunge Milano insorta, per poi combattere gli
Austriaci sul Mincio col grado di capitano dei bersaglieri. Dopo
l'armistizio Salasco, torna a Genova, collabora con Garibaldi e,
in novembre, raggiunge Roma dove, il 9 febbraio 1849, viene
proclamata la Repubblica. Nonostante la febbre, è sempre in prima
linea nella difesa della città assediata dai Francesi: il 3
giugno è ferito alla gamba sinistra, che dovrà essere amputata
per la sopraggiunta cancrena. Muore d'infezione il 6 luglio, alle
sette e mezza del mattino, a soli ventidue anni.
Le sue spoglie riposano nel Mausoleo Ossario del Gianicolo.
Il
musicista
Michele Novaro nacque il 23
ottobre 1818 a Genova, dove studiò composizione e canto. Nel 1847
è a Torino, con un contratto di secondo tenore e maestro dei cori
dei Teatri Regio e Carignano. Convinto liberale, offrì alla causa
dell'indipendenza il suo talento compositivo, musicando decine di
canti patriottici e organizzando spettacoli per la raccolta di
fondi destinati alle imprese garibaldine. Di indole modesta, non
trasse alcun vantaggio dal suo inno più famoso, neanche dopo
l'Unità. Tornato a Genova, fra il 1864 e il 1865 fondò una
Scuola Corale Popolare, alla quale avrebbe dedicato tutto il suo
impegno. Morì povero, il 21 ottobre 1885, e lo scorcio della sua
vita fu segnato da difficoltà finanziarie e da problemi di
salute. Per iniziativa dei suoi ex allievi, gli venne eretto un
monumento funebre nel cimitero di Staglieno, dove oggi riposa
vicino alla tomba di Mazzini.
Come
nacque l'inno
La testimonianza più nota
è quella resa, seppure molti anni più tardi, da Carlo Alberto
Barrili, patriota e poeta, amico e biografo di Mameli. Siamo a
Torino: "Colà, in una sera di mezzo settembre, in casa di
Lorenzo Valerio, fior di patriota e scrittore di buon nome, si
faceva musica e politica insieme. Infatti, per mandarle d'accordo,
si leggevano al pianoforte parecchi inni sbocciati appunto in
quell'anno per ogni terra d'Italia, da quello del Meucci, di Roma,
musicato dal Magazzari - Del nuovo anno già l'alba primiera - al
recentissimo del piemontese Bertoldi - Coll'azzurra coccarda sul
petto - musicata dal Rossi. In quel mezzo entra nel salotto un
nuovo ospite, Ulisse Borzino, l'egregio pittore che tutti i miei
genovesi rammentano. Giungeva egli appunto da Genova; e voltosi al
Novaro, con un foglietto che aveva cavato di tasca in quel punto:
- To' gli disse; te lo manda Goffredo. - Il Novaro apre il
foglietto, legge, si commuove. Gli chiedono tutti cos'è; gli fan
ressa d'attorno. - Una cosa stupenda! - esclama il maestro; e
legge ad alta voce, e solleva ad entusiasmo tutto il suo uditorio.
- Io sentii - mi diceva il Maestro nell'aprile del '75, avendogli
io chiesto notizie dell'Inno, per una commemorazione che dovevo
tenere del Mameli - io sentii dentro di me qualche cosa di
straordinario, che non saprei definire adesso, con tutti i
ventisette anni trascorsi. So che piansi, che ero agitato, e non
potevo star fermo. Mi posi al cembalo, coi versi di Goffredo sul
leggio, e strimpellavo, assassinavo colle dita convulse quel
povero strumento, sempre cogli occhi all'inno, mettendo giù frasi
melodiche, l'un sull'altra, ma lungi le mille miglia dall'idea che
potessero adattarsi a quelle parole. Mi alzai scontento di me; mi
trattenni ancora un po' in casa Valerio, ma sempre con quei versi
davanti agli occhi della mente. Vidi che non c'era rimedio, presi
congedo e corsi a casa. Là, senza neppure levarmi il cappello, mi
buttai al pianoforte. Mi tornò alla memoria il motivo
strimpellato in casa Valerio: lo scrissi su d'un foglio di carta,
il primo che mi venne alle mani: nella mia agitazione rovesciai la
lucerna sul cembalo e, per conseguenza, anche sul povero foglio;
fu questo l'originale dell'inno Fratelli d'Italia."