Ricordo di Apollinaire

"Quando pubblicai il Porto Sepolto ne inviai copia ad Apollinaire, che avevo conosciuto prima della guerra, e da quel momento i nostri rapporti divennero fraterni. Ricevuto il Porto sepolto Apollinaire mi scrisse, e in una delle sue cartoline in franchigia di quel tempo di guerra, comunicò di avere tradotto la poesia dedicata alla memoria di Moammed Sceab. Non ho mai visto quella traduzione.
Fra Apollinaire e me era avvenuto un avvicinamento insolito. Sentivamo in noi il medesimo carattere composito e quella difficoltà che l'animo nostro aveva di trovare la via di assomigliare a se stesso, di costituire la propria unità. Quell'unità non l'avremmo mai trovata altrove se non ricorrendo alla poesia. Era la ricerca, era il ritrovamento di un linguaggio liberatore se riusciva a manifestare l'angoscia ricerca di sè. (...) Dopo un certo periodo di tempo fummo trasferiti sul fronte di Champagne, non più la Champagne Pidocchiosa, ma la Felice, quella dei vigneti. Ci furono combattimenti duri, non era per noi un fatto straordinario. Ciò che era straordinario, in quel periodo, era che ogni tanto i soldati potessero usufruire di licenze per recarsi dove volevano. Quei periodi di licenza, li trascorrevo a Parigi. E ogni volta mi recavo a trovare Apollinaire a casa sua. Quei contatti con Apollinaire rimarranno in me, ricordo di stimoli dai quali deriveranno conseguenze nella mia vita e nella mia poesia.
Alcuni giorni prima dell'Armistizio, quando già lo si prevedeva, ero stato mandato a Parigi per collaborare ad un giornale destinato ai soldati del nostro Corpo di Armata. Il giornale si chiamava "Sempre avanti!". Apollinaire mi aveva chiesto di portargli alcune scatole di sigari toscani e, appena a Pariogi, corsi verso la casa del mio amico. Trovai Apollinaire morto, con la faccia coperta da un panno nero, e la moglie piangente e la madre piangenti.
Per le strade andavano gridando 'A mort Guillaume!' Anche Apollinaire, straziante ingiustizia della coincidenza, si chiamava come il vinto Kaiser, Guglielmo."

(Ungaretti, Nota introduttiva, in: Vita di Uomo, Mondadori, 1993, pag. 513)

 

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