Sallustio

 

De con. Catilinae, XLIV

Il tradimento degli Allobrogi ( 2 )

Ma gli Allobrogi, secondo l’ordine ricevuto da  Cicerone attraverso Gabinio, si incontrano con gli altri. Richiedono con insistenza a Lentulo, Cetego e Statilio ed anche a Cassio un giuramento da portare firmato ai cittadini: altrimenti non sarebbero riusciti facilmente a convincerli ad un’impresa di tale portata. Tutti gli altri, senza alcun sospetto, compongono il giuramento firmato; Cassio promette che sarebbe giunto là di lì a poco e parte dalla città poco prima degli ambasciatori. Lentulo manda con loro un crotonese di nome Tito Volturcio, perché gli Allobrogi, prima di tornare in patria, confermassero il patto, dopo essersi scambiate promesse di fiducia. Egli dà una lettera a Volturcio per Catilina di cui qui sotto è stato trascritto il testo: “Saprai chi sono da colui che ho mandato da te. Pensa in che pericolo ti trovi e ricordati di essere un uomo. Considera cosa richiedono le tue situazioni, chiedi aiuto a tutti, anche agli uomini di più bassa condizione sociale”. Inoltre a parole gli dà alcuni ordini: essendo stato giudicato nemico pubblico dal Senato, che senso aveva rifiutare gli schiavi? In città erano pronte le cose che aveva ordinato: non aspettasse ad avvicinarsi ( in armi ).

 

Testo originale

XLIV. Sed Allobroges ex praecepto Ciceronis per Gabinium ceteros conueniunt. Ab Lentulo, Cethego, Statilio, item Cassio postulant ius iurandum, quod signatum ad ciuis perferant: aliter haud facile eos ad tantum negotium inpelli posse. Ceteri nihil suspicantes dant, Cassius semet eo breui uenturum pollicetur ac paulo ante legatos ex urbe proficiscitur. Lentulus cum iis T. Volturcium quendam Crotoniensem mittit, ut Allobroges, prius quam domum pergerent, cum Catilina data atque accepta fide societatem confirmarent. Ipse Volturcio litteras ad Catilinam dat, quarum exemplum infra scriptum est. "Qui sim, ex eo, quem ad te misi, cognosces. Fac cogites, in quanta calamitate sis, et memineris te uirum esse. Consideres, quid tuae rationes postulent. Auxilium petas ab omnibus, etiam ab infumis". Ad hoc mandata uerbis dat: cum ab senatu hostis iudicatus sit, quo consilio seruitia repudiet? In urbe parata esse quae iusserit. Ne cunctetur ipse propius adcedere.

 

 

De con. Catilinae, XLV

Il tradimento degli Allobrogi ( 3 )

Condotte in questo modo queste operazioni, stabilita la notte in cui sarebbero partiti, Cicerone – informato di tutto grazie agli ambasciatori - comanda ai pretori Lucio Valerio Flacco e Gaio Pomptino di catturare sul ponte Milvio con un’imboscata il gruppo degli Allobrogi. Svela l’intero motivo per cui erano inviati; permette che svolgano il resto come stabilito. Essi, uomini d’armi, dopo aver sistemato senza far rumore i presidi, come era stato ordinato occupano il ponte. Dopo che gli ambasciatori giunsero in quel luogo assieme a Volturcio e scoppiò da entrambe le parti un gran clamore, i Galli, accortisi subito del piano, senza aspettare si consegnano ai pretori. Volturcio prima esortati gli altri con la spada si difende dalla folla; poi, quando fu abbandonato dagli ambasciatori, dopo aver molto supplicato Pomptino che lo risparmiasse, dato che l’altro lo conosceva, infine pieno di paura e temendo per la propria vita, si consegna ai pretori come se si consegnasse ai nemici.

 

Testo originale

XLV. His rebus ita actis, constituta nocte qua proficiscerentur Cicero per legatos cuncta edoctus L. Valerio Flacco et C. Pomptino praetoribus imperat, ut in ponte Muluio per Allobrogum comitatus deprehendant. Rem omnem aperit, cuius gratia mittebantur; cetera, uti facto opus sit, ita agant permittit. Illi, homines militares, sine tumultu praesidiis conlocatis, sicuti praeceptum erat, occulte pontem obsidunt. Postquam ad id loci legati cum Volturcio uenerunt et simul utrimque clamor exortus est, Galli cito cognito consilio sine mora praetoribus se tradunt, Volturcius primo cohortatus ceteros gladio se a multitudine defendit, deinde, ubi a legatis desertus est, multa prius de salute sua Pomptinum obtestatus, quod ei notus erat, postremo timidus ac uitae diffidens uelut hostibus sese
praetoribus dedit.

 

 

De con Catilinae, LV

L'esecuzione dei congiurati

Dopo che, come ho detto, il Senato approvò la proposta  di Catone, il console, che riteneva che la cosa migliore da fare fosse anticipare la notte che incombeva, perché nulla di nuovo accadesse nel frattempo, ordina ai tresviri capitales di preparare tutto ciò che l’esecuzione capitale richiedeva; egli stesso, disposti presidi armati, conduce in carcere Lentulo. La stessa cosa accade agli altri tramite i pretori. C’è nel carcere un luogo che viene detto Tulliano, quando si sale un po’ a sinistra, scavato per circa dodici piedi dal livello del terreno. Dei muri lo circondano da ogni parte e sopra una volta contigua retta da archi di pietra; ma il suo aspetto è terribile e spaventoso per lo squallore, l’oscurità e la puzza. Dopo che Lentulo venne calato in quel luogo, i boia, come era stato loro ordinato, lo strozzarono con un cappio. Così quel patrizio che discendeva dalla gens famosissima dei Cornelii, che a Roma aveva rivestito la carica di console, trovò una fine degna dei suoi costumi e dei suoi misfatti. Cetego, Statilio, Gabinio e Cepario vennero giustiziati allo stesso modo.

 

Testo originale

LV. Postquam, ut dixi, senatus in Catonis sententiam discessit, consul optumum factu ratus noctem quae instabat antecapere, ne quid eo spatio nouaretur, tresuiros quae ad supplicium postulabantur parare iubet. Ipse praesidiis dispositis Lentulum in carcerem deducit; idem fit ceteris per praetores. Est in carcere locus, quod Tullianum appellatur, ubi paululum ascenderis ad laeuam, circiter duodecim pedes humi depressus; eum muniunt undique parietes atque insuper camera lapideis fornicibus iuncta; sed incultu tenebris odore foeda atque terribilis eius facies est. In eum locum
postquam demissus est Lentulus, uindices rerum capitalium, quibus praecepta erat, laqueo gulam fregere. Ita ille patricius ex gente clarissuma Corneliorum, qui consulare imperium Romae habuerat, dignum moribus factisque suis exitium uitae inuenit. De Cethego Statilio Gabinio Caepario eodem modi supplicium sumptum est.

 

 

De con. Catilinae, LVIII

Il discorso di Catilina prima della battaglia

Vi esorto ad essere forti e pronti e, quando entrerete in combattimento, a ricordare che voi portate nelle vostre mani destre ricchezze, onore, gloria, senza contare la libertà e la patria. Se vinceremo, non correremo più alcun pericolo; ci saranno vettovaglie in abbondanza, municipi e colonie spalancheranno le porte. Se, causa la paura, ci saremo ritirati, quei medesimi diventeranno ostili, nessun amico, nessun luogo potrà proteggere chi le armi non siano riuscite a proteggere. Inoltre, soldati, non è il medesimo bisogno ad incombere su di noi e su di loro: noi combattiamo per la patria, per la libertà, per la vita; per loro è superfluo combattere per il potere di pochi. Perciò, attaccate con maggior audacia, memori dell’antico valore! Vi sarebbe stato concesso passare la vita in esilio con il massimo disonore: alcuni di voi avrebbero potuto bramare a Roma, dopo aver perso le proprie, le ricchezze di altri. Poiché quelle azioni sembravano turpi ed intollerabili agli uomini, avete deciso di seguire queste. Se volete abbandonare questa situazione, c’è bisogno di coraggio; nessuno, se non da vincitore, ha mai cambiato in pace una guerra. … In guerra il massimo pericolo è quello di coloro che di più hanno paura.

 

Testo originale


Quapropter uos moneo, uti forte atqueparato animo sitis et, quom proelium inibitis, memineritis uos diuitias decus gloriam, praeterea libertatem atque patriam in dextris uostris portare. Si uincimus, omnia nobis tuta erunt: commeatus abunde, municipia atque coloniae patebunt: si metu cesserimus, eadem illa aduorsa fient, neque locus neque amicus quisquam teget quem arma non texerint. Praeterea, milites, non eadem nobis et illis necessitudo inpendet: nos pro patria, pro libertate, pro uita certamus; illis superuacaneum est pugnare pro potentia paucorum. Quo audacius adgredimini, memores pristinae uirtutis. Licuit uobis cum summa turpitudine in exilio aetatem agere, potuistis nonnulli Romae amissis bonis alienas opes expectare: quia illa foeda atque intoleranda uiris uidebantur, haec sequi decreuistis. Si haec relinquere uoltis, audacia opus est: nemo nisi uictor pace bellum mutauit. [...] Semper in proelio iis maxumum est periculum, qui maxume timent: audacia pro muro habetur.