Sofocle

Edipo Re

 

La vita: la sciagura di Edipo ( vv. 1186 - 1222 )

 

Testo originale

   Ahi, generazioni dei mortali, come vi considero simili al nulla mentre vivete. Chi, infatti, quale uomo ottiene più felicità di quanto (è necessario per) sembrare (felici) e, una volta data l’apparenza, declinare? Avendo appunto come esempio la tua sorte, la tua, la tua sorte, o infelice Edipo, non stimo felice nessuna cosa mortale. Egli che, scagliato con eccezionale capacità il dardo, ottenne una felicità completamente fortunata, o Zeus, dopo aver annientato la vergine cantatrice di responsi dalle unghie ricurve, si levò a baluardo dalla morte per la mia terra. Da allora sei chiamato mio re ed hai ottenuto i più alti onori , regnando su Tebe potente. Invece ad ascoltare i fatti presenti chi è più sventurato di te? Chi vive (più di te) in sciagure selvagge, in sofferenze nel volgersi della vita? Ohimè famoso Edipo, per il quale un medesimo grande porto ? fu sufficiente perché vi cadesse come figlio e padre frequentatore del talamo, come, come, sventurato, i solchi paterni riuscirono a sopportarti in silenzio fino a tal punto? Il tempo che vede tutto ti ha scoperto benchè tu non volessi e punisce te, a lungo padre e prole, per le nozze che non sono nozze. Ahi, figlio di Laio, oh, se non ti avessi mai visto! Mi affliggo infatti  moltissimo, mandando grida dalla bocca. A dire il vero, ho respirato per opera tua ed ho fatto riposare il mio occhio.