Seneca filosofo

 

        Traduzioni

 

    Figlio di Seneca il Vecchio ( detto il Retore ) e di Elvia, Lucio Anneo Seneca nacque a Cordova, in Spagna, verso la fine del I secolo a.C. Suo fratello maggiore, M. Anneo Novato, intraprese come lui la carriera politica; il minore, M. Anneo Mela ( padre del poeta Lucano ), ricevette invece l’incarico amministrativo di procuratore imperiale. Venne portato a Roma ancora bambino, perchè fosse avviato agli studi di retorica e di grammatica, ma pare che ben presto la passione per la filosofia prese il sopravvento. Alcuni grandi maestri di filosofia, in particolare il neopitagorico Sozione ( dalla cui scuola - soleva dire Seneca - ero l'ultimo ad uscire ed il primo ad entrare ) ed i neostoici Attalo e Papirio Fabiano, esercitarono sul nostro un'incredibile influenza, come possiamo desumere da innumerevoli passi del suo epistolario. Quando, nell'anno 19 d.C., l'imperatore Tiberio ordinò che si sciogliesse la setta dei Sestii, di ispirazione nettamente neopitagorica e misticheggiante, emerse la notizia che il giovane Seneca aveva avuto modo di frequentarla dietro suggerimento del suo maestro Sezione di Alessandria, e ne aveva tratto una vera e propria lezione di vita, tanto da divenire vegetariano. 

    Fu il padre a distoglierlo da quest’ultima pratica - come sappiamo - sotto pretesto della sua già cagionevole salute e poi, sia che intendesse sinceramente migliorare le provate condizioni fisiche del figlio, sia che - come ci pare probabile - volesse sottrarlo alle possibili ritorsioni dell'imperatore, lo mandò in Egitto ospite di una sua zia, dove rimase per undici anni e compose un’opera che non ci è pervenuta, De situ et sacris Aegyptiorum ( “Luoghi e riti dell’Egitto” ). Tornato infine a Roma ( 31 ), si dedicò all’arte dell'eloquenza ed intraprese i primi passi del tradizionale cursus honorum. Nei dieci anni in cui svolse attività politica – prima di essere costretto all’esilio - fu al centro di attenzioni spesso davvero ostili: Dione Cassio ( 59, 19 ) ci riferisce che l'imperatore Caligola avrebbe voluto farlo assassinare a causa di un'orazione pronunciata dal nostro filosofo in Senato. Seneca tuttavia riuscì ad avere salva la vita grazie all'intervento di una favorita del princeps, che fece argutamente presente a quest'ultimo che l'oratore già talmente cagionevole di salute che, con un piede già nella fossa, sarebbe morto da solo se solo avesse pazientato ancora qualche tempo. 

    Sappiamo a questo proposito che lo stile di Seneca era decisamente inviso all'imperatore Caligola, come desumiamo da una testimonianza del biografo Svetonio ( Caligola 53 ), in cui si legge una caustica definizione data dal princeps al retore: “sabbia senza calce” ( harena sine calce ). Altre e più profonde, tuttavia, dovevano essere le ragioni di questo odio reciproco, come non è difficile immaginare. Nel 41 Caligola venne assassinato ed al suo posto subentrò Claudio; i cattivi rapporti con i Giulio-Claudii, tuttavia, erano destinati purtoppo a continuare per il nostro sfortunato filosofo: Seneca venne infatti coinvolto nello scandalo sollevato da Giulia Livilla, la sorella di Caligola, che venne fatta esiliare e poi assassinare su istigazione della perfida Messalina, moglie di Claudio. Seneca, suo malgrado, venne accusato di aver favorito l'adulterio di Livilla: fu sommariamente sottoposto a processo e consecutivamente condannato al confino in Corsica. Trascorse ben otto anni isolato su quell'isola pressochè disabitata e sicuramente molto lontana dalla civiltà e dall'urbanità di Roma: a questo periodo pensiamo che quasi sicuramente risalga la celeberrima Consolatio ad Helviam matrem, e forse anche quella ad Polybium, un liberto di Claudio. Sappiamo infatti di quali libertà e poteri godessero i liberti imperiali sotto il principato di Claudio ed è plausibile che Seneca avesse cercato di ingraziarsene i favori in modo da riuscire magari ad ottenere uno sconto di pena. 

    

    Statua raffigurante Nerone ed Agrippina

    

    Nell'anno 49, la seconda moglie di Claudio, Agrippina, che tramava non senza spudoratezza per imporre sul trono Domizio Nerone, suo figlio di primo letto, ottenne la concessione di far rientrare a Roma Seneca, con lo scopo di affidargli l'educazione proprio del futuro princeps. Quando il progetto di Agrippina ebbe a compiersi con la morte di Claudio - si dice dovuta ad avvelenamento mediante funghi oppure una punta cosparsa di una sostanza tossica -, con l'eliminazione di Britannico, figlio di Claudio, ed infine con la sospirata ascesa al trono imperiale di Nerone, Seneca venne "promosso" a consigliere del nuovo principe, venendo ad assumere funzione di tutore nel campo dell'oratoria e della morale politica. Il prefetto delle coorti pretorie, Afranio Burro, venne invece nominato tutore del nuovo princeps per quanto riguardava le discpline militari. Tacito racconta nei suoi Annales ( XIII, 3 ) gli eventi quasi tragicomici che seguirono la morte di Claudio: Nerone stesso si curò di recitare l'elogio funebre davanti al popolo; tutti ascoltarono seriamente - riferisce il nostro storico, che tuttavia sappiamo essere apertamente ostile a Nerone per la posizione che quest'ultimo aveva assunto nei confronti dei Senatori - “fino a che non si mise a parlare dell'antichità della stirpe del defunto, dei consolati e dei trionfi dei suoi antenati. Anche l'accenno alla sua cultura e ai suoi studi liberali e il ricordo del fatto che durante il suo governo nessun fastidio era venuto a Roma da parte delle genti straniere, tennero attento tutto l'uditorio. Ma quando Nerone prese a parlare della prudenza e della saggezza del morto, nessuno poté trattenersi dal riso, sebbene l’orazione funebre scritta da Seneca mostrasse notevoli pregi, ben degna di quell'uomo di ingegno, attraente e ben adatto ai gusti del tempo”. 

    Notevole è il fatto che Tacito sottolinei il fatto che l'orazione funebre per l'odiato Claudio - che l'aveva mandato in esilio ! - fosse stata scritta da Seneca stesso: se da un lato questo fatto ci fa sorgere qualche perplessità sulla correttezza morale del filosofo, dall'altro dobbiamo pensare al contesto in cui si svolsero i fatti e tenere in conto che - forse - il riso suscitato tra il pubblico dalla lettura del discorso fu una sorta di "ultimo pensiero di addio" molto ironico voluto da Seneca stesso. Tacito ci lascia sicuramente pensare che quei sorrisini ironici della gente che assisteva alla cerimonia funebre fossero dovuti alla risaputa dabbenaggine di Claudio ed al fatto che i maltrattamenti subiti dal nostro filosofo per mano dell'imperatore appena deceduto fossero ormai di dominio pubblico e che forse a molti era nota anche l'altrettanto celebre satira dichiaratamente anticlaudiana che Seneca aveva scritto con il titolo di Apokolokyntòsis, cioè la “deificazione della zucca”. 

    Come sappiamo, l'influenza positiva dell'equilibrato Seneca si fece sentire per pochi anni ( circa cinque, dall'inizio del principato ) sul volubile Nerone: la personalità del princeps, insofferente pedagoghi e di consiglieri politici, non tardò a rivelarsi in forme che nè Tacito nè Svetonio hanno timore di definire "aberranti".  Nel 59 d. C. Nerone fece uccidere sua madre Agrippina, negli intrighi della quale vedeva l'ostacolo principale allo sfogo del suo sfrenato desiderio di potere - non sappiamo, perchè le nostre fonti sono discordi, che ruolo ebbe il filosofo nella vicenda: c'è anche chi, come Dione Cassio, che lo accusa espressamente di essere l'ideatore dell'assassino. Certo è che non poté sicuramente esserne all'oscuro. 

    Forse proprio in seguito a questi episodi - ed avendo ragione di temere per la propria incolumità, data la vena di crudeltà e forse pazzia dell'imperatore - Seneca ottenne il permesso di ritirarsi a vita privata, ed approfittò di questi anni di tranquillità per la stesura delle Epistulae ad Lucilium e delle Naturales quaestiones . Ma non passarono nemmeno tre anni che l'imperatore accusò Seneca di aver partecipato alla congiura dei Pisoni e lo condannò al suicidio. Seneca - in questo dobbiamo dargli atto di altissima onestà intellettuale e morale, oltre che di grande coraggio - decise di tenere fede egli stesso a quei principi che si era sforzato di trasmettere all'imperatore stesso come suo educatore ed alla sua cerchia di amici ed intellettuali attraverso le sue opere: in spregio all'idea stessa di morte, si fece tagliare le vene e trascorse le ultime ore - nel racconto di Tacito - dialogando di questioni filosofiche con gli amici più stretti: era l'anno 65. La giovane moglie cercò di seguire anch'essa il suo esempio, ma per ordine di Nerone le furono ricucite le vene e visse dunque ancora per qualche tempo. Come è noto, nella stessa occasione della congiura pisoniana e per le medesime accuse furono costretti a morire il fratello di Seneca, Anneo Mela, il nipote Lucano, autore della Pharsalia, e Petronio, autore del Satyricon.