Centro Librario
"Knut Hamsun"
da "Avanguardia" n°193 - Febbraio 2002
Enrico
Galoppini
Il Fascismo e l'Islam
Edizioni all'insegna del Veltro, Parma 2001, pp. 270, euro 12,91
«Fino
ad alcuni decenni fa il turista italiano che sostasse sul Haram ash-Sharif di
Gerusalemme, la splendida spianata fra la Cupola della Roccia e la Moschea di
AIAqsa, poteva venir salutato -gli facesse piacere o no- da
sonori "Viva il Duce!" proferiti dai vecchi Palestinesi in kefiyyeh
che sedevano lì presso; e visitando la Moschea di AI-Aqsa veniva puntualmente
informato dalla guida araba che le grandi colonne di marmo candido che
sostengono il soffitto sono "un regalo del Duce"». Riportando
questi semplici ma assai significativi aneddoti, Franco Cardini introduce il
testo oggetto di questa recensione, anticipando l'interesse e la reciproca
attrazione fra Mussolini e il Fascismo da una parte, e il mondo arabo e
islamico dall'altra.
Vi
furono indubbiamente punti d'incontro dettati da convergenze tattiche ma, coi
doverosi distingui e le necessarie precisazioni, emersero, sospinte nella loro
proiezione storico politica, le affinità derivanti dalla discendenza comune
dalla Tradizione Unica.
L'interesse
e l'attenzione del Fascismo nei confronti dell'Islám e del mondo arabo
pervasero Mussolini ancora prima della sua salita a potere; in effetti, il
capo del Fascismo riuscì acutamente a percepire il diffuso scontento ed il
generale malessere delle popolazioni arabe derivanti dalla sistemazione
a tavolino degli equilibri internazionali scaturiti dagli accordi di
Versailles. Così come l'Italia denunciava la «vittoria mutilata», le
aspirazioni delle masse arabe dall'affrancamento coloniale rimasero deluse.
Inizia così, per concretizzarsi col tempo sul piano operativo, a svilupparsi
una convergenza, frutto di una comune condizione e prodotto di un
atteggiamento che rifiuta l'ordine imposto dal diktat
degli alleati.
Nonostante
questa simile e reciproca situazione iniziale, i rapporti tra Fascismo e mondo
arabo non rimasero sempre idilliaci, ma attraversarono alti e bassi grazie ad
un'errata e non sempre limpida politica coloniale condotta dall'Italia; in
alcuni casi dettata da un eccessivo sciovinismo e da meri interessi materiali;
non per espressa responsabilità del Duce, ma per palese bassezza di alcuni
gerarchi infervorati dal mito della conquista e dalla civilizzazione dei «popoli
selvaggi». I momenti migliori possono essere individuati nel corso del
governatorato di Italo Balbo in Libia (1934), grazie al quale il Fascismo
mostra la capacità di trasformare la colonia libica, da potenziale elemento
di contraddizione, a ruolo di vetrina delle «buone intenzioni» dell'Italia
fascista nei confronti dell'Islam.
II
quadrumviro riesce a percepire e ad assecondare le aspirazioni delle
popolazioni locali, preparando il terreno per una sfavillante propaganda messa
in atto in occasione della campagna di Abissinia (1936), che fungerà da
preludio alla simbolica consegna nella mani del Duce della «Spada dell'Islam»
(1937).
Nonostante
alcuni errori sempre dettati dai residui di un retaggio sciovinista
ottocentesco, la politica coloniale del Fascismo necessita doverosamente una
distinzione dalla classica politica colonialistica di sfruttamento dettata dal
becero e subdolo spirito prettamente mercantilistico delle potenze
anglo‑francesi.
«Si
può dare qualsiasi giudizio sul periodo di espansione coloniale e si possono
fare anche tutti i distinguo tra forma e forma di colonizzalzione: in molti
casi non si è trattato di occupare spazi vuoti o posizioni geopoliticamente
vanltaggiose, ma il puro e semplice imperialismo sostenuto dall'armamento
ideologico giudeo-cristiano o da quello laico-illuministico, entrambi fusi nel
nazionalismo sciovinista e borghese di stampo ottocentesco, a seconda dei
bisogni e dei casi. Pur tuttavia, una cosa è certa: se lo sfruttamento delle
risorse minerarie e territoriali rispondeva alle mire affaristiche delle
grandi compagnie in combutta con le classi politiche borghesi, il sistema
coloniale tendeva anche a valorizzare le potenzialità e le risorse agricole e
agro-forestali proprio in vista di un irradicamento permanente sul territorio».
[1]
Nel
caso specifico del Fascismo, le iniziali e predominanti tendenze borghesi
improntate ad una forma di colonialismo similare a quello di matrice
anglosassone, cedettero il passo, in ottemperanza all'autentica identità
dello spirito rivoluzionario fascista, alla tendenza antiborghese proiettata
in una politica filo-araba ligia alla naturale proiezione geopolitica
dell'Italia e funzionale alla battaglia totale contro le plutocrazie
occidentali. In alcuni casi questo fu reso possibile e facilitato grazie
all'atteggiamento di simpatia dei popoli arabi che, soprattutto verso la fine
degli anni Trenta e a maggior ragione con lo scoppio del secondo conflitto
mondiale, favorirono il rapporto con l'Italia Fascista, nella veste di potenza
appartenente all'Asse, soprattutto in seguito allo sbarco degli anglo-americani
nel Nord Africa. Nel corso della guerra uscì in evidenza «la disparità di
vedute tra italiani e tedeschi -sempre esistita, acuitasi dopo i rovesci
militari italiani che richiesero il soccorso tedesco addirittura nel
Mediterraneo e sfruttata dalla parte araba- non favorì lo sviluppo chiaro ed
univoco della politica islamica». [2]
Questo
perchè Adolf Hitler avrebbe voluto riprendere la politica dell'Imperatore
Federico II nei confronti del mondo mussulmano e, fra gli ostacoli che
impedirono la realizzazione di tale disegno, vi fu l'alleanza con l'Italia, la
quale era -nonostante tutto- una potenza coloniale classica a tutti gli
effetti. «Hitler era sempre stato convinto che il colonialismo e i fenomeni
ad esso complementari, quali ad esempio il missionarismo cristiano avessero un
solo obiettivo: quello di schiavizzare i popoli colonizzati e distruggerne la
cultura, considerata, in una visione esclusivamente eurocentrica, barbara,
animalesca e incivile». [3]
Lo
stesso Fuhrer nel suo Testamento Politico ebbe a dichiarare che «...
l'alleato italiano ci ha impedito di condurre una politica rivoluzionaria
nell'Africa del Nord, perchè i nostri amici islamici d'un tratto hanno visto
in noi i complici, volontari o involontari, dei loro oppressori». L'acume
politico del Fuhrer aveva percepito che «... l'Islám e l'Europa sono due
mondi destinati ad incontrarsi; entrambi infatti hanno in comune alcuni valori
fondamentali da difendere e hanno a che fare con gli stessi nemici: il
razionalismo e il materialismo, l'oscurantismo democratico, l'ateismo marxista
e capitalista, l'azione del giudeo sfruttatore». [4]
I
nemici comuni ai popoli arabi ed alle potenze dell'Asse non potevano che
essere gli inglesi e gli ebrei; in alcune occasioni furono gli Arabi stessi a
«premere sull'acceleratore di un impegno più consistente dell'Italia in
funzione anti-inglese (...) Non erano però solo questi gli avversari in
comune. In cima alla lista vennero a trovarsi progressivamente anche gli
ebrei: gli arabi si vedevano progressivamente estromettere dalla loro stessa
terra». [5]
Tra
i nemici delle popolazioni arabe non potevano mancare gli Stati Uniti, in
quanto, «... l'America, da quando dopo l'ultima guerra si è rafforzata
l'influenza degli ebrei, è diventata un ostacolo sulla via dell'indipendenza
e della libertà degli Arabi. Essa ha sempre aiutato politicamente e
finanziariamente il movimento sionista ed ha favorito I'ebraicizzazione della
Palestina». [6]
Il
progetto sionista di edificazione di uno stato ebraico in Palestina è sempre
stato appoggiato dalle potenze anglo-francesi quale frutto delle spartizioni
di Versailles; ma ancor prima della fine del primo conflitto mondiale, e
precisamente nel 1917, il ministro degli Esteri britannico Balfour, a capo di
una missione diplomatica, giunge a Washington dove si incontra con influenti
esponenti sionisti come Brandeis (presidente della Corte Suprema americana,
nonchè consigliere del presidente statunitense Wilson), ottiene l'assenso
americano alle intese che gli inglesi hanno concluso con i sionisti ed in
particolare al rilascio di quella dichiarazione che da lì a pochi mesi
avrebbe avviato l'insediamento ebraico in Palestina. AI grande pubblico il
risultato di questi intrighi di palazzo
emerge attraverso la forma dei documento storicamente denominato
"Dichiarazione di Balfour", consegnata direttamente dal ministro
britannico al presidente della Federazione Sionista britannica, lord Lionel
Rothschild. Alla luce di queste condizioni storico-politiche non potevano che
svilupparsi convergenze tattiche tra il mondo arabo e il Fascismo. Infatti, «i
rappresentanti del mondo arabo‑islamico che -in tutta libertà- si
rivolsero al fascismo, avevano un unico scopo: liberarsi dal giogo dal
colonialismo franco-britannico, qualsivoglia travestimento indossasse, nel
nome dell'arabismo e dell'Islam. (...) Le condizioni vollero che il fascismo e
mondo arabo-mussulmano, o meglio la parte di esso insoddisfatta dello stato in
cui versava, si trovassero -con tutti i distinguo del caso- sulla stessa
barricata, ma entrambi avevano le idee chiare su come perseguire i propri
interessi». [7]
In
quest'ottica, soprattutto le correnti più anti-borghesi ed espressione
dell'identità autenticamente antigiudaica ed antiplutocratica del Fascismo,
come quelle legate a "La Vita Italiana" di Giovanni Preziosi,
proponevano numerosi e continui interventi a favore di una stretta solidarietà
tra Fascismo e Islám; d'altra parte molte furono le espressioni di sostegno
ed elogio provenienti dal mondo arabo-mussulmano nei confronti del Fascismo;
specificatamente dopo il Congresso dei Mussulmani in Europa, tenuto a Ginevra,
che ha visto la presenza di una delegazione italiana inviata dallo stesso
Mussolini. Le conclusioni di tale Congresso mettevano in evidenza ampi
apprezzamenti per la politica islamica condotta dall'Italia, e, in particolar
modo, in seguito alla consegna della "Spada dell'Islám" al Duce, si
sviluppavano sempre più le organizzazioni arabe filo-fasciste che,
specificatamente in Palestina, intrattennero costanti e stretti rapporti con
l'Italia al fine di contrastare il mandato britannico e l'infiltrazione
ebraica. Questi movimenti politici o organizzazioni paramilitari ammiravano
l'organizzazione, il culto del capo, il militarismo del Fascismo e, tra le
loro fila, possiamo annoverare, tra gli altri, il Partito del Giovane Egitto,
il Partito Nazionalsociale Siriano, le Camicie Verdi Egiziane, la Guarda
Nazionale siriana, la Gioventù Nazionale siriana, la Falange Libanese ed i
gruppi iracheni legati a Rashid Alì el-Kailani; nonchè il numeroso seguito
di AI-Husseini, Gran Muftì di Gerusalemme, personaggio ammirato e altamente
tenuto in considerazione da Heinrich Himmler, e dal Fuhrer in persona, il
quale concede all'alto dignitario islamico un privilegio mai concesso a
nessuno prima di allora in Germania: lo ospita nel Palazzo Imperiale di
Berlino, e dà disposizioni affinchè su tale edificio la bandiera della
Palestina sventoli più alta di quella del Reich.
Manuel
Negri
Note:
1]
Umberto Malafronte, "Razza e Usura", edizioni di Ar, Padova 1991, p.
15;
2]
"Il Fascismo e l'Islam", op. cit., p. 59;
3]
Stefano Fabei, "La politica Maghrebina del Terzo Reich", Edizioni
all'insegna del Veltro, Parm, p. 84;
4]
Antonio Medrano, "Islam ed Europa", Edizioni all'insegna del Veltro,
Parma 1978, p. 111
5]
Galoppini, op. cit., pp. 27-28;
6]
Fabei, op. cit., p. 63;
7]
Galoppini, op. cit., p. 15