Quando erano aperte... le case chiuse

"Vu minta? E viene viene! chi cazz'aspietti?" (Vuoi fottere? E vieni vieni! che cazzo aspetti?)

Con queste dolci e seducenti parole, cariche di recondite promesse di inenarrabili piaceri, mi si rivolse incoraggiante la vecchia e grassa puttana, in quel primo pomeriggio estivo di un inoltrato luglio del 1950, vedendomi esitante e dubbioso.

Avevo 17 anni ed ero ancora vergine; una vera vergogna molto frustrante, se pensavo ad altri miei coetanei che avevano, a sentir loro, già una intensa vita sessuale e che mi facevano sentire uno zero quando raccontavano, con aria di vissuta superiorità, le loro invidiabili e fantastiche conquiste; dovevano passare ancora 4 mesi prima che mi fosse legalmente consentito l'accesso al casino - così veniva definita la casa chiusa - e morivo dalla voglia di fare finalmente sesso che non fosse con me stesso; la timidezza non mi aiutava ma lo stesso avevo la curiosità di vedere com'era fatta una donna e gli anni 50, in Calabria, non erano proprio favorevoli agli incontri e agli scambi sessuali tra giovani.

Mi aggiravo incerto nella canicola di quel primo pomeriggio di luglio per i vicoli del quartiere Santa Lucia, nella città vecchia, alla ricerca di una puttana; la difficoltà per me consisteva nel fatto che, non avendone mai vista una, non sapevo chi cercare ne esattamente dove allorché mi sentii così seducentemente apostrofare da quella vecchia megera, che mi chiese 100 lire per il paradiso; non vedendo nei dintorni paradisi migliori, e disperando di trovarne, gliele diedi e lei mi fece entrare nel suo fatiscente antro monolocale a pianterreno, che puzzava di cavolo bollito, di muffa e di sudore rancido; si sdraiò su un letto rifatto alla meglio, aprì le gambe - era già senza mutande - e quel che vidi mi fece uscire precipitosamente a vomitare contro un muro, seguito dalle invettive - frocio, impotente ed altre ancora - della "gentile" baldracca.

Se erano quelle le delizie del sesso femminile ne avrei certamente fatto a meno per il resto dei miei giorni; meglio farsi frate e vivere in castità.

Ma non era destino che la Chiesa acquisisse un nuovo missionario perché, mentre rimuginavo questi "allegri" pensieri, mi sento prendere sottobraccio; era Franchinu u ricchiune - Franchino il ricchione - conosciutissimo in città, un tipo simpatico, amico di tutti i ragazzi con i quali non si permetteva nessuna "avance" ma non avrebbe rifiutato l'approccio all'occorrenza, che faceva l'inserviente presso il casino di Gilda; vedendomi triste e smarrito, mi chiese cosa avessi e gli raccontai il fatto concludendo che le donne non erano pane per i miei denti;

"Hiii! cumu si esaggeratu! nun cuntà fissarie; tu ti ci minti ccu ssi lorde! vieni dumani ari dua aru casin'i Gilda" (Hiii! Come sei esagerato! Non dire fesserie; tu ti ci metti con queste zozze! Vieni domani alla due al casino di Gilda);

"Ma non mi faranno entrare, non ho ancora diciott'anni";

"Nun ti preoccupà, ti fazzu trasa iu, perciò t'haiu dittu i vinì ari dua; a chir'ura dormanu tutti e ti fazzu ji ccu Gina"; (non preoccuparti, ti faccio entrare io, perciò ti ho detto di venire alle due; a quell'ora dormono tutti e ti faccio andare con Gina)

"Va bene, a domani alle due allora, ciao... e grazie";

"Statti bbuonu."

Durante la notte, gatton gattoni, penetrai nella stanza dei miei per un leggero prelievo con destrezza di qualche lira dalla tasca di mio padre, che dormiva profondamente; al buio cercai di limitarmi prelevando una sottile presa di biglietti di banca dal mazzo; risultarono essere 4.500 lire che mi garantivano anche 10 giorni di sigarette, oltre a pagare l'incontro con Gina, e l'indomani alle due ero al casino di Gilda.

Franchino mi fece entrare, mi disse di non far rumore e mi accompagnò in una stanza dove c'era Gina, che già era stata avvertita del mio arrivo; era in vestaglia dalla quale si intravedeva una lunga e bella coscia e già questa mi riconciliò con genere femminile; Franchino le aveva detto che ero vergine e di fare le cose per bene. Lei le fece tanto bene che ancora oggi sono riconoscente a questa donna bella e generosa che non solo mi fece amare l'amore ma mi dette consigli utili per le mie future incursioni in casino.

Non volle nemmeno essere pagata.

"Dovrei pagare io te, sono stata la tua prima donna e ti ho avuto io per prima, e poi oggi per te è speciale, è il tuo gran giorno e questo va festeggiato, ma non ti ci abituare perché la prossima volta pagherai", e mi strizzò l'occhio sorridendo.

Se penso che la mia virilità fu salvata dall'intervento di un omosessuale non si meraviglierà nessuno che io conservi una grande riconoscenza per Franchino e che provi simpatia per tutta la categoria.

Questa fu la mia prima volta in casino, ma era stata una visita di straforo e non sapevo come si svolgevano in realtà i fatti; per saperlo dovetti aspettare ancora per 4 mesi il giorno del mio diciottesimo compleanno, che andai a festeggiare proprio in casino e dove entrai con pieno diritto esibendo la mia carta d'identità nuova nuova.

Andai da Gilda alla ricerca di Gina, ma non la trovai. Seppi in seguito che le puttane restavano nello stesso casino o nella stessa città solo una "quindicina", cioè quindici giorni, poi arrivavano ragazze nuove a dare il cambio.

Non ci avevo mai fatto caso prima ma, dopo che cominciai a frequentare le case (ovvio che non ci andavo tutti i giorni, solo un paio di volte al mese), ci facevo più attenzione e non era raro vedere periodicamente la madama o Franchino che andavano alla stazione ferroviaria ad accogliere le nuove arrivate con la carrozzella; si sapeva così che erano arrivate ragazze nuove e la sera si verificava una affluenza da fiume in piena al casino; spesso l'affluenza era tale che il salone era strapieno e regolavano le entrate, facendo entrare tanti clienti per quanti ne uscivano.

Il mio rapporto con le donne di vita in genere è stato sempre improntato, un po' per timidezza e molto per educazione, al massimo rispetto; le trattavo come se fossero vere signore, mai parole volgari e sempre col sorriso, non davo mai del tu se non mi veniva richiesto, non ordinavo ma chiedevo, non esigevo prestazioni particolari ma domandavo, per favore, se erano possibili; raramente ho avuto problemi con qualcuna di loro, e quando per disavventura incocciavo in una con cattivo carattere preferivo pagare ed andarmene senza... consumare; cercavo però, prima di scegliere, di capire di quanta simpatia fosse dotata la.. prescelta.

"Non vi era un unico modello di casa di tolleranza. C'erano le case di lusso, con saloni sontuosi e camere confortevoli. Accanto a queste, le case di seconda categoria ed infine i lupanari maleodoranti, destinati alla fascia di popolazione più povera."

La frase in corsivo sopra l' ho tratta da un sito Internet, su cui si parla diffusamente della "famigerata" legge Merlin, e quanto afferma corrisponde più o meno a verità.

A Cosenza non c'erano case di lusso e nemmeno di seconda categoria, ma definire addirittura "lupanari maleodoranti" i tre casini esistenti mi sembra, almeno per quel che ricordo, un po' eccessivo. Erano modesti ma puliti e non bisogna esagerare; non avevano divani e poltrone imbottite ma panche di legno ed aleggiava un odore di profumo a buon mercato, frammisto a sudore e sentore di femmina, che nell'immaginario era diventato distintivo di "odor di puttana".

D'altra parte impiegati, artigiani, studenti e operai non avrebbero potuto permettersi di più o di meglio, se pure ci fosse stato; mentre per i professionisti, avvocati, medici, ingegneri, ricchi commercianti in vena di una rapida "botta di vita" c'era il salottino riservato; che poi non era più lussuoso del grande salotto comune, serviva solo a non farsi vedere dal "volgo" in quanto la madama, avvertita della loro presenza, chiudeva la porta del salotto comune così da non essere visti quando entravano.

Tutto questo ovviamente costava di più ma, anche i professionisti non erano esenti dal pericolo di beccarsi una blenorragia, come non lo erano i meno abbienti; le ragazze subivano visite mediche trisettimanali ma l'unico cliente veramente garantito da malattie era il primo che andava con la ragazza subito dopo la visita medica; tutti gli altri che seguivano rischiavano che prima di loro qualcuno infetto avesse infettato la ragazza e restare a loro volta "impestati", come si diceva allora.

Il casino funzionava dalle 16 alle 24, ma era la sera, dalle 18 alle 20 e dopo le 21 che c'era la maggiore affluenza. Si bussava e l'inserviente apriva la porta, faceva accomodare il cliente in un salone abbastanza spazioso da contenere, appoggiate alle pareti, tre o quattro panche ed una dozzina di persone; in un angolo la cassa, dietro la quale sedeva la madama che vendeva le marchette, da una porta si accedeva ad un lungo corridoio su cui si aprivano le camere; le puttane, cinque o sei, più o meno svestite si esibivano passeggiando su e giù o sedendo insieme ai clienti, facendosi ammirare e invitando i clienti a scegliere e ad andare in camera; il cliente che si decideva comprava alla cassa la marchetta, che consegnava alla ragazza con la quale si appartava; questa, mentre lo lavava (e lo spremeva per controllare l'eventuale presenza di pus giallastro), chiedeva il regalino in più, in cambio di una migliore prestazione e se non lo otteneva diventava se non scortese alquanto sbrigativa. Anche la madama per suo conto incitava, dicendo che loro non avevano tempo da perdere con froci impotenti, che lì si lavorava e quindi: "andiamo, belli, andiamo! Qui si chiava e non si guarda gratis; muoversi, cazzo, muoversi!", e non era raro il caso che, quando battevano troppo la fiacca, la madama incazzata sbattesse tutti fuori chiudendo la porta in faccia ai recalcitranti clienti, per poi riaprirla un quarto d'ora dopo; effettivamente molti andavano al casino per rifarsi gli occhi per una mezz'oretta e non per spendere le 180 lire, tanto costava la marchetta semplice, 300 lire la doppia, 500 il quarto d'ora.

Ripensandoci forse non è sbagliata la definizione di "lupanare"; almeno per quanto riguardava "l'eleganza" dei modi.

Il casino ricostruito nel film Paprika, di Tinto Bras, è un esempio di casino di seconda categoria; divani imbottiti, quadri alle pareti, ragazze più belle, un po' di classe in più, tariffe leggermente ma sensibilmente più alte, 250 lire la marchetta semplice e 500 lire la doppia, detta così per il doppio del tempo di permanenza in camera o almeno per fare le cose senza fretta, perché si riceveva un miglior trattamento nelle prestazioni e non perché si riuscisse a farne due; ma ne valeva la pena.

Io ne ho frequentato uno così, durante il mio servizio militare come semplice soldato di fanteria, a Bologna; era in Borgo Panigale, leggermente fuori presidio e noi soldati semplici non avremmo potuto andarci senza incorrere tecnicamente nel reato di diserzione, ma le autorità militari chiudevano un occhio. Era gestito dalla signora Ada, una donna molto bella, con capelli bianco-azzurri ed una pelle molto fresca e liscia per i suoi 60 anni; mi aveva preso a benvolere e tollerava il mio innamoramento per una delle ragazze, una veneta di Padova che mi ricambiava; mi tollerava perché la veneta, una volta finite le 7000 lire ricavate dalla vendita della mia chitarra, non volle più essere pagata, senza di che addio amore; forse aveva qualche nipote a fare militare da qualche parte, la signora Ada.

Casini di lusso, non essendo nobile, ricco, o comunque danaroso, non ne ho mai frequentati e quando avrei potuto permettermeli li avevano chiusi; per cui posso immaginarli ma non sono in misura di dirvene. Chiedete a chi c'è stato.

Da quanto detto finora può sembrare che io avessi una bella tempra di puttaniere e forse lo ero, ma "temporibus illis", o questo o ti sposavi; io ho preferito questo, costava di meno.

Ma anche gli uomini sposati frequentavano i casini e, a mio modesto avviso, i veri puttanieri erano loro.

Poi in luglio 1958 i casini furono chiusi (in quell'anno erano registrate 560 case, 3353 posti letto, 2705 ragazze), grazie al pervicace e costante interessamento della senatrice Merlin; non sta a me dire in questa sede se fu un bene o un male, di fatto la prostituzione, che prima era regolamentata ed esercitata in case chiuse, si riversò da allora per le strade e diventò monopolio di magnaccia e della criminalità organizzata.

Si parla in questi ultimi tempi di riaprirle e non sarebbe del tutto sbagliato di equiparare le prostitute alla categoria dei normali lavoratori, con tanto di contributi, assicurazione, cassa mutua e pensione di vecchiaia... ahimè, nel loro caso alquanto precoce.

Di sicuro la senatrice Merlin aveva le migliori intenzioni e con la sua legge voleva restituire dignità umana a quel genere di donne; ma non aveva considerato che la prostituzione, per essere il mestiere più vecchio del mondo, è un problema irrisolto ed irrisolvibile, almeno finché non si da seriamente la caccia al magnaccia invece di infastidire il fruitore di prestazioni sessuali a pagamento; o finché non si sconfigge la fame nel mondo... ed anche allora ci sarà sempre una certa categoria di donne che, se non lo farà per fame, lo farà per ottenere il superfluo con poca fatica.

Ma questa è solo una mia opinione.

Cosenza, 30 Novembre 2000

Nota - Notizie sulla legge Merlin le potete trovare col motore di ricerca "Virgilio"; scrivendo nel campo apposito "Senatrice Merlin" vi dà otto pagine di links e sulla prima pagina in terza posizione troverete il link "La legge Merlin" che dà una interessantissima descrizione storica della stessa e sulla normativa che regolamentava la prostituzione prima della suddetta legge.

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