Io scettico? Ne dubito

pendolino di Gian Luca Favetto, illustrazione di Paolo Guidotti.
Tratto da Il Diario della Settimana, 20/26 giugno 2003.

Torino - L'ho visto con i miei occhi. Ero in prima fila, a non più di sei, sette metri. E poi c'era un grande schermo, dove l'immagine veniva proiettata in primo piano. Un signore di mezza età, media statura, onestamente elegante, un paio di occhiali con lenti spesse, ha estratto da una valigetta un chiodo d'acciaio lungo quindici centimetri, ha impugnato un martello, si è messo di profilo e ha cominciato a colpire il chiodo infilato nella narice destra. Ha sconsigliato i presenti dal provarci, una volta tornati a casa, ma lui lo ha fatto. Con semplicità, senza sforzi, né rituali. Senza magie. Soltanto cinque colpi, lenti e inesorabili. E il chiodo è penetrato nel cranio attraverso la narice. Gli è arrivato in gola. E lui, neanche una piega. Poi se lo è sfilato. Tutti noi abbiamo applaudito. E lui, in tono pacato, sorridente: «Se lo riesce a fare uno come me, lo possono fare tutti. Non c'è bisogno d'essere fachiri». Non era uno spettacolo, anche se la cosa è avvenuta in un teatro. Era una dimostrazione scientifica, il prologo all'ottavo convegno nazionale del Cicap, il Comitato italiano per il controllo delle affermazioni sul paranormale. E quello che ha fatto cose da fachiro senza essere un fachiro è un professore universitario. Ricercatore a Pavia, volendo essere precisi. Si chiama Luigi Garlaschelli, aria soave e svagata, sorriso alla Huckleberry Finn, determinazione da mastino. È un chimico organico, un tipo geniale e pragmatico, lo Sherlock Holmes del Cicap, il più accanito investigatore dell'occulto. Uno di quelli che all'inizio di giugno si sono ritrovati a Torino, nell'aula magna del Politecnico, per discutere sul tema: «Ritorna la magia?».

Incontro curioso. Tutto puntato sulla ragione, il buon senso, la logica, con impeccabili dimostrazioni dell'assunto base: il trucco c'è sempre, una spiegazione si trova per tutto, il paranormale non esiste. Tuttavia a tratti sembrava d'essere capitati in una pagina di Kurt Vonnegut, l'inventore di Eliot Rosewater, Kilgore Trout e del pianeta Tralfamadore, colui che ha scritto capolavori come Perle ai porci, La colazione dei campioni, Mattatoio 5. Roba da fantascienza.

Il Cicap, invece, è roba di scienza. Il Comitato italiano per il controllo delle affermazioni sul paranormale, che ha sede a Padova, è stato fondato a Torino una sera di ottobre del 1988 da dodici persone riunite al ristorante Il Mattarello, non lontano dalla Stazione di Porta Nuova. Erano tutte abbonate allo Skeptical lnquirer, «L'investigatore scettico», la rivista ufficiale del Csicop, il Comitato americano per l'indagine scientifica del presunto paranormale, guidato dal leggendario James Randi, un ex illusionista votato a smascherare i trucchi altrui. Da quasi trent'anni passa al vaglio spiritisti, rabdomanti, veggenti, guaritori, astrologi, visionari, telepati e li bastona con la ragione, li smonta come ha smontato Uri Geller, quel fattucchiere ciarlatano che anni fa sosteneva di piegare chiavi e cucchiaini, di far ripartire orologi guasti e di far muovere l'ago della bussola a distanza, solo con la forza della mente, chiuso in uno studio televisivo. Da quattordici anni la stessa cosa fa il Cicap in Italia. E mai nessuno che, finora, abbia superato l'esame, ricevendo l'attestato di fenomeno paranormale.

Avrebbero dovuto ingannare o convincere Piero Angela, che quella sera di ottobre del 1988 era seduto al tavolo del Mattarello con Steno Ferluga, astrofisico, attuale presidente Cicap; con Sergio Della Sala, neurologo; con Lorenzo Montali, che classifica e spiega le leggende metropolitane; con Massimo Polidoro, un ventenne di belle speranze allora, tutto riccioli e volontà, appassionato di prestidigitazione e illusionismo, poi assistente personale di James Randi, laureato in Psicologia, che del Cicap ora è il vulcanico segretario nazionale. Il Comitato è composto da tredici persone, attorno alle quali ruotano una decina di consulenti e duemila soci sostenitori abbonati alla rivista Scienza e Paranormale. Tra i membri onorari e i garanti scientifici figurano Rita Levi Montalcini, Carlo Rubbia, Tullio Regge, Margherita Hack e Silvio Garattini. In media smascherano o, come dicono loro, indagano e portano a positiva conclusione una ventina di casi all'anno, dalle pellicole che non si impressionano al sogno del giocatore di poker, dalla ragazza con la vista a raggi x alla veggente di Como, dalla levitazione immaginaria ai guaritori filippini, da Giucas Casella ai mille fenomeni di Poltergeist sbandierati in mezza Italia.

I creduloni. Racconta Massimo Polidoro: «Molte persone che si fanno esaminare da noi non sono imbroglioni. Sono sinceramente sbalordite da cose che accadono loro e non riescono a spiegare. Per questo concludono che siano fenomeni paranormali. E invece le spiegazioni esistono, magari insolite, ma naturalissime». Come ha chiosato Piero Angela in un'intervista di presentazione del convegno: «L'occulto è consolante. Ti garantiscono di parlare con i morti, predire il futuro, guarire da tutti i mali... In realtà il Cicap non è nato per attaccare la parapsicologia, ma per difendere la scienza dagli attacchi della parapsicologia. La differenza sta fra ciò che si crede e ciò che si sa». Ha rincarato Umberto Eco in un messaggio video indirizzato agli apostoli della Ragione: «La credulità è una valvola di sfogo che dà sicurezza. I creduloni interpreteranno qualunque cosa voi diciate a favore dei loro pregiudizi».

Stava per essere fregato dai pregiudizi anche Massimo Polidoro, che dal 1995 a oggi ha pubblicato 17 libri e 200 articoli su pseudoscienza e paranormale, ha girato l'Italia tenendo conferenze, ha collaborato a programmi come SuperQuark ed è comparso di frequente in televisione. Spiega: «All'inizio speravo che le cose di Uri Geller fossero autentiche. Poi ho letto il libro di Piero Angela, Viaggio nel mondo del paranormale, che è del 1978, e ho scoperto l'approccio giusto per questi fenomeni, senza spiegazioni preconfezionate: si vuole soltanto capire come funzionano le cose. Rimango sempre affascinato dal talento di certi artisti, straordinari maghi che manipolano l'attenzione della gente. Sono ammirevoli». E sorride.

Tra i maghi ammirevoli classificano pure il prodigioso Rol, Gustavo Adolfo Rol, 1923-1994, un enigma dalla voce chioccia e dal forte accento torinese. Viveva davanti al Parco del Valentino, in faccia al Po, in una casa museo, con il mito di Napoleone. Era ricco, profondamente cattolico, artefice di mille meraviglie, capace di materializzare e smaterializzare oggetti, essere ubiquo, leggere il pensiero e i libri chiusi. Si diceva al servizio di Dio. Non si faceva pagare per i suoi esperimenti. Gli bastava la stima e il rispetto. Era contento di stupire. Di fare del bene, notano i suoi sostenitori. Ha incantato, sedotto Einstein e Mussolini, de Gaulle e Reagan, Fellini, Messori e Ceronetti, anche il gran signore di Torino, Gianni Agnelli, e lo squadrato Cesare Romiti. Ma non ha mai accettato controlli, non si è lasciato testare dalla scienza. «Perché la scienza non può fotografare l'anima», diceva.

Il Cicap l'ha processato e demolito in un paio d'ore. A far da pubblico ministero, Mariano Tomatis [1], prestigiatore non ancora trentenne, discepolo di Silvan, laureato in Informatica, allievo di Piergiorgio Odifreddi, brillante logico matematico autore di C'era una volta un paradosso. Storie di illusioni e verità rovesciate. Sul caso Rol, Tomatis ha scritto un libro ben documentato in cui mette a confronto numerose testimonianze e svela i trucchi, tutti numeri che Silvan, Copperfield e lui stesso sanno fare: la scrittura aerea, i quadri che si dipingono da soli, il martello che levita, il mazzo di carte che si gonfia, gli oggetti che passano attraverso le pareti.

Mentre il giovane pubblico ministero, che è di Torre Canavese, provincia di Torino, faceva il suo show, i convegnisti erano in bambola, completamente ammirati dai suoi esercizi di ragione e dal suo tono sarcastico. Qualcuno appariva sbigottito, forse incredulo. C'era chi, in una dimostrazione di scetticismo al quadrato, dava l'impressione di non credere a Rol, ma di non credere nemmeno a lui. D'altronde era un pubblico ben preparato, che all'ingresso del Politecnico si aggirava fra magliette e borse in vendita con scritte come: «Va bene avere la mente aperta. Ma non così aperta che il cervello caschi per terra». Oppure: «Scettico io? Ne dubito». Un pubblico eterogeneo. Molti giovani, qualche anziano. Facce pallide e grugni animosi. Abiti scasciati e mise alla moda. Understatement e affanno. Giacca e cravatta e magliette. Sandali e scarpe di vernice. La maggior parte con la targhetta in bella evidenza sul petto che riportava nome e cognome. Tutti appesi alle conclusioni di Tomatis, che ha saputo essere convincente tanto quanto spoetizzante.

Ha talento, il ragazzo. Qualche anno fa, architettando uno scherzo micidiale per dimostrare come si possa fabbricare dal nulla una leggenda, è riuscito a convincere i suoi compaesani, parroco e sindaco in testa, di una cosa incredibile: il Santo Graal, il calice di Gesù Cristo, quello che dicono si trovi in Etiopia, ma forse è in Canada, o forse negli Stati Uniti, però magari è a Bari o a Genova, in realtà è nascosto a Torre Canavese, fra Castellamonte e Ivrea. Non c'è niente da ridere. Nulla da prendere sul serio. Uno potrebbe anche lasciar perdere il Santo Graal, se non fosse proprio qualcosa che c'entra con il Santo Graal a riconvocare d'urgenza qui Luigi Garlaschelli, che oltre a piantarsi chiodi nel naso, mangia il fuoco, dorme sui letti dei fachiri e, secondo solo a re Artù, ha estratto la Spada dalla roccia.

Sentite che cosa racconta: «Mi sento un curioso che si diverte a fare lo scienziato, anche se il termine italiano scienziato ha della prosopopea: meglio dire ricercatore. Uno che fa scienza, in effetti, ricerca. Ricerca la verità, le ragioni che si nascondono dietro un fenomeno misterioso. Vuole capire, non credere». Di questi tempi Garlaschelli ha voluto o vuole capire: la leggenda degli zombie con la sua falsa spiegazione farmacologica; l'esistenza e la natura dei fuochi fatui, di cui è andato a caccia nel cimitero di Pavia per un paio di notti accompagnato da Polidoro e armato di un'ingegnosa attrezzatura da Ghostbuster; il miracolo, destituito di ogni fondamento, della Sindone; la balla dell'omeopatia (c'è un premio da un milione di dollari per chiunque con qualunque mezzo riesca a distinguere 50 botticini di acqua fresca da 50 botticini di prodotto omeopatico). Infine, ultimo argomento di indagine: la Spada nella roccia.

Il mistero della spada nella roccia. «Non è solo una leggenda inglese», nota. «Esiste veramente una spada piantata nella roccia, ed è in Italia, in Toscana, a Chiusdino, trenta chilometri a sud di Siena. È la spada di San Galgano, un giovane scapestrato che, dopo aver avuto la visione di San Michele Arcangelo, si fa cavaliere, poi conficca la spada nel terreno, così che diventi una croce, e accanto a quella croce si fa eremita. Ci sono una serie di coincidenze stranissime. Questo Galgano ricorda Galvano, che è un cavaliere di re Artù. La spada è del 1180 e si trova nella roccia in cima a un colle, dentro una cappella rotonda. Nel terreno sottostante, esaminato con il georadar, abbiamo trovato un sarcofago. Aspettiamo che la Sovrintendenza autorizzi gli scavi. Tutto risulta contemporaneo ai libri della Tavola Rotonda». Naturalmente, lui ha estratto la spada. Gli è rimasta l'elsa con un troncone di lama in mano. La punta non è venuta fuori. Per ora, l'hanno reincollata. E hanno pure scoperto che i muri della cappella sono anteriori di quasi due secoli alla spada. Mentre lo racconta, Garlaschelli sorride: «Capisci che questo è un vero mistero?», dice. È sicuro: dietro ogni mistero, ben nascosta, trovi sempre una ragione. È' una partita a scacchi, quella fra mistero e ragione. E quando la partita diventa impossibile, chiamano lui a muovere i pezzi per conto della ragione. Il mistero dovrebbe allearsi con Karpov, Kasparov e Fisher per riuscire a batterlo.


Nota di Alessia:

A questo proposito si veda l'eccellente sito che Mariano Tomatis ha dedicato alla sua ricerca su Gustavo Rol.

 
 
 
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