La prima fabbrica a Milano.

La storia dell'Alfa Romeo nasce nel 1910, strettamente legata alla storia della Darracq Italiana. Un gruppo di industriali milanesi comprò infatti, in quell'anno, lo stabilimento, peraltro seminuovo, che era stato realizzato in una zona poco fuori la zona abitata, dalla sfortunata azienda francese, che ne aveva fatto la sua filiazione italiana. Questa zona era chiamata "Portello" prendendo il nome dalla porticina di entrata all'interno della cinta della città.

Venne quindi fondata la "Anonima Lombarda Fabbrica Automobili" con il simbolo che noi tutti conosciamo.

Come ho detto, non è il luogo, questo, per riscrivere una nuova versione della storia dell'Alfa: è sufficiente dire quà che la fabbrica fu poi comperata da un industriale di origini napoletane, Nicola Romeo, che era ben introdotto nel panorama industriale milanese, avendo avuto successo come imprenditore in campi diversi da quelli che erano le automobili, costruendosi peraltro una cospicua fortuna. Dopo il "crack" finanziario di Romeo (che pur di salvare l'azienda non esistò ad estinguere le sue, all'epoca, notevoli fortune, l'Alfa (divenuta frattanto Alfa Romeo, dopo che l'ing. Nicola aveva voluto che portasse anche il suo cognome) inizia l'era della "Banca di Sconto" e quindi, dopo la seconda guerra mondiale, nel 1945, la gestione dell'IRI.  L'IRI, Istituto Ricostruzione Industriale, era un istituto pubblico costituito per gestire e salvare aziende, prima in mano di privati, nel dopoguerra. L'IRI aveva una sezione che curava esclusivamente le aziende meccaniche: era la Finmeccanica.

Una veduta aere, circa nel 1960: l'area nord della fabbrica è visibile in primo piano. L'edificio con il tetto a volta è la mensa aziendale. E' anche visibile "Piazzale Accursio", con la pizza circolare ancora non realizzata. Di fronte a quest'area si vede un lungo palazzo con una cupola: questo era il salone di vendita (con uffici al secondo piano) che sarà per anni la "filiale di Milano".

La produzione al Portello fu totalmente, fino al 1950, una produzione in piccola serie usando le vecchie parti ed il progetto basato sulla 6C 2500. Ma la storia dell'Alfa stava cambiando. Ai vertici della Finmeccanica arrivava, dopo una buona esperienza nella gestione di altre industrie private (compresa la Pirelli)  il milanese Giuseppe Luraghi. Nato e cresciuto nella città meneghina, aveva concluso gli studi e si era laureato in economia e commercio pur partendo da una situazione familiare tutt'altro che borghese. Si era messo in luce per spiaccate doti manageriali "naturali", unite al gusto dello scrivere.

La linea di montaggio della 6C Freccia d'Oro: siamo al Portello nel 1947

Luraghi si interessò subito all'Alfa Romeo, che ai vertici IRI causava più pensieri che non sorrisi. L'azienda aveva una produzione esigua, i cui elevati guadagni su ogni singolo esemplare non riuscivano ad ammortizzare i costi di gestione. C'era da prendere, velocemente, una decisione: o "restaurare" l'Alfa in modo da renderla un'azienda capace di non creare perdite ed anzi di creare ricchezza, o venderla. Si è spesso detto della storia dell'Alfa Romeo che ha avuto la fortuna (quasi) sempre di avere la persona giusta. A Luraghi è stata sempre riconosciuta (ed anche quando questo non è avvenuto è stata la realtà a manifestarla) una netta tendenza alla coerenza. Luraghi non ebbe problemi a decidere che l'Alfa era una fabbrica con un elevato potenziale, con un nome famoso e legato ai successi ed alle competizioni sportive, che poteva e doveva essere sfruttato. Era una scommess vincente. Occorreva però trasformare la fabbrica artigianale in una moderna fabbrica di automobili dalla personalità ben definita, di carattere sportiveggiante ma da produrre in massiccia serie.

L'idea di Luraghi fu accolta: e porterà al successo sperato. Nel 1950 fu lanciata la 1900 berlina, seguita di lì a poco dalle versioni sportive. In un'Italia del dopoguerra che voleva rialzarsi, le vetture acquisirono un'immagine di prestigio, eleganza e sportività inimmaginabile oggi. Era pur vero che non si trattava certo di un prodotto di massa: e comunque fu un successo. Le richieste c'erano, dall'Italia e dall'estero. Per la prima volta nella storia dell'Alfa, il Portello diventava un sito industriale in senso moderno. Le linee di montaggio, grazie agli stanziamenti del piano Marshall, vennero comperate in America. I ritardi nella consegna e nella messa in opera causarono un leggero slittamento sulla presentazione della 1900. Ad ogni modo c'erano lo spazio e la necessità per ottenere di più. Così a Luraghi venne in mente di estendere verso il basso la gamma. Una nuova vettura, attorno ai 1100 di cilindrata. Si diede vita al progetto 750, che si concretizzerà nella Giulietta. Per una di quelle casualità di cui la storia Alfa è zeppa, la notizia trapelò all'esterno, ma trapelò sotto forma di progetto 750. La concorrenza, Fiat in testa, credette quindi che al Portello si fossero bevuti il cervello e volessero entrare nelle piccole cilindrate per diventare produttori di auto di massa. Intanto l'equipe di Orazio Satta alle esperienza lavorava sulla vettura 1100, che presto si decise di rendere una 1300. Il quattro cilindri di poco più di un litro in effetti girò al banco, ma sarà la versione di 1290cc. a venire prescelta per realizzare la Giulietta. Una cilindrata nuova, inventata proprio dalla fabbrica milanese, su di una macchina di indole sportiveggiante. La Giulietta, annunciata con troppo ottimismo per il 1954, vide la luce in quell'anno come versione Sprint carrozzata (costruiva anche la carrozzeria) da Bertone. L'Alfa assumeva, con questo prodotto di successo, dimensioni da grande industria, così come fece Bertone che inizialmente affidò commesse a quasi tutti i carrozzieri di Torino per onorare gli impegni presi con l'Alfa di fornire le carrozzerie. La berlina, invece, arrivata nel 1955 era totalmente "made in Portello". La Spider, nel 1956, creata dal maestro Pinin Farina, nasceva nel suo atelier.

Alcune Giulietta berlina nella linea di verniciatura al Portello. Siamo all'incirca nel 1957, dato che le vetture fotografate sono delle Ti (riconoscibili per la differente fattura delle pinne posteriori nella zona delle luci)

 

Ancora Giulietta, quà in prova prima di essere stoccate per la consegna finale. Come sarà anche ad Arese, ogni vettura veniva testata alla fine della linea di produzione.

 

Il Portello aveva bisogno di incrementare il suo spazio per seguire le esigenze di produzione: durante gli anni era stato costruito un nuovo stabilimento a Pomigliano d'Arco, vincino Napoli, dove aveva trovato posto l'Alfa Avio, prima ospitata nel vecchio stabilimento. Pur con le zone ex avio recuperate e convertite alla produzione di auto e delle relativa componentistica (anche se non faceva tutto, l'Alfa delle sue auto faceva molto, comperando fuori solo una esigua parte delle forniture necessarie a costruire le auto) lo spazio iniziava ad essere poco. Vennero costruiti nuovi stabilimenti, con differente tecnica e con fattezze diverse dai preesistenti, tanto che al Portello si poteva vedere una vasta gamma di "scuole" architettoniche. Anche la città di Milano stava crescendo: molti emigranti lasciavano il Mezzogiorno per trasferirsi nelle zone industriali lombarde e nella cinta di Torino, città della Fiat. La città divenne sempre più grande, ampliandosi concentricamente rispetto al nucleo originario ed arrivando ad inglobare la zona del Portello.

Da sinistra a destra, Nicolis, Satta and Busso: possiamo notare come fosse diverso un ufficio progetti degli anni 50 dagli attuali. La genialità di queste persone ha permesso, comunque, di ottenere auto ancora oggi "attuali" e sicuramente molto avanti rispetto alla concorrenza.

Dal primo capannone dell' A.L.F.A. e poco più del periodo di Romeo, la fabbrica era cresciuta fino a diventare due grandi blocchi: un'area sud e un'area nord, tagliate dalla circonvallazione di Milano. Nella zona sud vi era l'insediamento storico: ancora oggi c'è il famoso  "Via Gattamelata 45", per lunghi anni sede sociale dell'Alfa Romeo S.p.A.

Il famoso ingresso di Via Gattamelata 45: il palazzo sulla destra è ancora oggi quasi lo stesso ed era quello dove erano ubicati gli uffici amministrativi.

Nell'area Sud c'era la linea di produzione ed assemblaggio vera e propria. In quella Nord erano invece tutti i dipartimenti di supporto come il reparto esperienza, la fonderia, il salone commerciale, il centro stile, la menza aziendale. Le due zone erano collegate da vari sottopassi, alcuni solo pedonali altri carrozzabili ed ampi tanto da far passare camion. Nonostante questi escamotage, fatti per rendere la vita dei dipendenti più semplice e per minimizzare i problemi legati a uno stabilimento diviso in due macrozone, l'area il Portello era troppo stretto. La Giulietta era un successo crescente ed anche la joint venture con la Renault per assemblare Dauphine, Ondine ed R4, se da un lato consentiva l'impiego di tutte le maestranze, dall'altro richiedeva spazi.

Nel 1960 Luraghi arriva direttamente come Presidente dell'Alfa Romeo. Se prima aveva dato delle direttive quale manager della Finmeccanica, ora sedeva sulla poltrona che poteva permettergli di imbastire tutto il futuro e gestire il presente dell'Alfa Romeo. A differenza di altri presidenti, Luraghi non era "di facciata" ma era propriamente uno che "presiedeva" la fabbrica: senza dubbio, era l'inizio della "golder era" del biscione. Con la risolutezza che lo contraddistingue, non sta con le mani in mano: sa che bisogna costruire altre famiglie di vetture, da realizzare "in casa" e non come le Giulietta Sprint e Spider costruite fuori. Una nuova vettura, che come da tradizione dovrà dare origine ad una famiglia, la Giulia, era dietro l'angolo, quasi pronta. E dal Portello non si poteva spremere di più. Impossibile ampliarlo, la città gli si era stretta intorno con la costruzione di una lunga teoria di palazzi.

Giuseppe Luraghi in una foto presa ad Arese di fronte ad una delle due ali della menza aziendale. Può essere, a ragione, considerato il creatore della leggenda Alfa come noi la conosciamo e sicuramente è uno degli ultimi grandi uomini che l'Alfa ha avuto la fortuna di incontrare. Lasciò l'Alfa nel 1974, non per sua scelta ma venendo di fatto esautorato e sollevato dall'incarico con una mossa politica tanto odiosa quanto pericolosa. Iniziava, quindi, un periodo buio per la marca. Morì a Milano, dove era nato, nel 1991 non digerendo mai quanto accaduto dopo aver lasciato l'Alfa.

Venne quindi comperata un'area di 1.300.000 metri quadri appena fuori la zona cittadina di Milano, 15 km lontana dal Portello, a metà fra i comuni di Arese e Garbagnate. Ma questa è un'altra storia.

Si era preventivato che Arese fosse pronto del 1962. Lo sarà, invece, solamente un anno più tardi, con due reparti operativi, e nel 1964 con la conclusione della seconda fase delle quattro previste. Daltronde l'Alfa, in quel periodo non impensierita da problemi economici, aveva varato un programma di infrastrutture veramente vasto (come la pista privata di prova di Balocco). La nuova Giulia premeva, e nei progetti si pensava che la Giulia sarebbe partita da Arese. Questo fu presto capito che era impossibile. La Giulia doveva quindi partire dal Portello. Vi furono dubbi, anche pesanti, sulla possibilità del vecchio stabilimento di onorare anche questo impegno. E comunque la Giulia partì dal Portello, sebbene l'anno successivo fosse rapidamente spostata, per la realizzazione delle scocche, nel nuovo stabilimento di Arese al termine appunto della prima fase. Il Portello venne quindi alleggerito di lavoro e si potè dar seguito alla nascita delle varie GT e berline senza indugio. Ma mentre le carrozzerie prendevano forma ad Arese, le parti meccaniche rimanevano al Portello e via via trasferite ad Arese per essere montate in vettura.

Durante gli anni, il Portello perse anche la fonderia ed il magazzino ricambi. Negli anni '60 e '70 nel vecchio stabilimento rimanevano la direzione, il salone commerciale, le esperienze e il centro stile.

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