Dialogo sopra i due
massimi sistemi del mondo di Galileo Galilei [vedi fig. Dialogo.gif]
Serenissimo Gran Duca,
la differenza che è tra gli uomini e gli altri animali,
per grandissima che ella sia, chi dicesse poter darsi poco dissimile tra gli stessi
uomini, forse non parlerebbe fuor di ragione. Qual proporzione ha da uno a mille?
e pure è proverbio vulgato, che un solo uomo vaglia per mille, dove mille non
vagliano per un solo.
Tal differenza depende dalle abilità diverse degl'intelletti,
il che io riduco all'essere o non esser filosofo: poiché la filosofia, come alimento
proprio di quelli, chi può nutrirsene, il separa in effetto dal comune esser del
volgo, in piú e men degno grado, come che sia vario tal nutrimento. Chi mira piú
alto, si differenzia piú altamente; e 'l volgersi al gran libro della natura,
che è 'l proprio oggetto della filosofia, è il modo per alzar gli occhi: nel qual
libro, benché tutto quel che si legge, come fattura d'Artefice onnipotente, sia
per ciò proporzionatissimo, quello nientedimeno è piú spedito e piú degno, ove
maggiore, al nostro vedere, apparisce l'opera e l'artifizio.
La costituzione dell'universo, tra i naturali apprensibili,
per mio credere, può mettersi nel primo luogo: che se quella, come universal contenente,
in grandezza tutt'altri avanza, come regola e mantenimento di tutto debbe anche
avanzarli di nobiltà.
Però, se a niuno toccò mai in eccesso differenziarsi
nell'intelletto sopra gli altri uomini, Tolomeo e 'l Copernico furon quelli che
sí altamente lessero s'affisarono e filosofarono nella mondana costituzione.
Intorno all'opere de i quali rigirandosi principalmente
questi miei Dialoghi, non pareva doversi quei dedicare ad altri che a Vostra Altezza;
perché posandosi la lor dottrina su questi due, ch'io stimo i maggiori ingegni
che in simili speculazioni ci abbian lasciate loro opere, per non far discapito
di maggioranza, conveniva appoggiarli al favore di Quello appo di me il maggiore,
onde possan ricevere e gloria e patrocinio. E se quei due hanno dato tanto lume
al mio intendere, che questa mia opera può dirsi loro in gran parte, ben potrà
anche dirsi di Vostr'Altezza, per la cui liberal magnificenza non solo mi s'è
dato ozio e quiete da potere scrivere, ma per mezo di suo efficace aiuto, non
mai stancatosi in onorarmi, s'è in ultimo data in luce.
Accettila dunque l'Altezza Vostra con la sua solita
benignità; e se ci troverrà cosa alcuna onde gli amatori del vero possan trar
frutto di maggior cognizione e di giovamento, riconoscala come propria di sé medesima,
avvezza tanto a giovare, che però nel suo felice dominio non ha niuno che dell'universali
angustie, che son nel mondo, ne senta alcuna che lo disturbi. Con che pregandole
prosperità, per crescer sempre in questa sua pia e magnanima usanza, le fo umilissima
reverenza.
Dell'Altezza Vostra Serenissima
Umilissimo e devotissimo servo e vassallo GALILEO GALILEI
AL DISCRETO LETTORE
Si promulgò a gli anni passati in Roma un salutifero
editto, che, per ovviare a' pericolosi scandoli dell'età presente, imponeva opportuno
silenzio all'opinione Pittagorica della mobilità della Terra. Non mancò chi temerariamente
asserí, quel decreto essere stato parto non di giudizioso esame, ma di passione
troppo poco informata, e si udirono querele che consultori totalmente inesperti
delle osservazioni astronomiche non dovevano con proibizione repentina tarpar
l'ale a gl'intelletti speculativi.
Non poté tacer il mio zelo in udir la temerità
di sí fatti lamenti. Giudicai, come pienamente instrutto di quella prudentissima
determinazione, comparir publicamente nel teatro del mondo, come testimonio di
sincera verità. Mi trovai allora presente in Roma; ebbi non solo udienze, ma ancora
applausi de i piú eminenti prelati di quella Corte; né senza qualche mia antecedente
informazione seguì poi la publicazione di quel decreto. Per tanto è mio consiglio
nella presente fatica mostrare alle nazioni forestiere, che di questa materia
se ne sa tanto in Italia, e particolarmente in Roma, quanto possa mai averne imaginato
la diligenza oltramontana; e raccogliendo insieme tutte le speculazioni proprie
intorno al sistema Copernicano, far sapere che precedette la notizia di tutte
alla censura romana, e che escono da questo clima non solo i dogmi per la salute
dell'anima, ma ancora gl'ingegnosi trovati per delizie degl'ingegni.
A questo fine ho presa nel discorso la parte Copernicana,
procedendo in pura ipotesi matematica, cercando per ogni strada artifiziosa di
rappresentarla superiore, non a quella della fermezza della Terra assolutamente,
ma secondo che si difende da alcuni che, di professione Peripatetici, ne ritengono
solo il nome, contenti, senza passeggio, di adorar l'ombre, non filosofando con
l'avvertenza propria, ma con solo la memoria di quattro principii mal intesi.
Tre capi principali si tratteranno. Prima cercherò di mostrare, tutte l'esperienze
fattibili nella Terra essere mezi insufficienti a concluder la sua mobilità, ma
indifferentemente potersi adattare cosí alla Terra mobile, come anco quiescente;
e spero che in questo caso si paleseranno molte osservazioni ignote all'antichità.
Secondariamente si esamineranno li fenomeni celesti,
rinforzando l'ipotesi copernicana come se assolutamente dovesse rimaner vittoriosa,
aggiungendo nuove speculazioni, le quali però servano per facilità d'astronomia,
non per necessità di natura. Nel terzo luogo proporrò una fantasia ingegnosa.
Mi trovavo aver detto, molti anni sono, che l'ignoto problema del flusso del mare
potrebbe ricever qualche luce, ammesso il moto terrestre. Questo mio detto, volando
per le bocche degli uomini, aveva trovato padri caritativi che se l'adottavano
per prole di proprio ingegno. Ora, perché non possa mai comparire alcuno straniero
che, fortificandosi con l'armi nostre, ci rinfacci la poca avvertenza in uno accidente
cosí principale, ho giudicato palesare quelle probabilità che lo renderebbero
persuasibile, dato che la Terra si movesse.
Spero che da queste considerazioni il mondo conoscerà,
che se altre nazioni hanno navigato piú, noi non abbiamo speculato meno, e che
il rimettersi ad asserir la fermezza della Terra, e prender il contrario solamente
per capriccio matematico, non nasce da non aver contezza di quant'altri ci abbia
pensato, ma, quando altro non fusse, da quelle ragioni che la pietà, la religione,
il conoscimento della divina onnipotenza, e la coscienza della debolezza dell'ingegno
umano, ci somministrano. Ho poi pensato tornare molto a proposito lo spiegare
questi concetti in forma di dialogo, che, per non esser ristretto alla rigorosa
osservanza delle leggi matematiche, porge campo ancora a digressioni, tal ora
non meno curiose del principale argomento.
Mi trovai, molt'anni sono, piú volte nella maravigliosa
città di Venezia in conversazione col signor Giovan Francesco Sagredo, illustrissimo
di nascita, acutissimo d'ingegno.Venne là di Firenze il signor Filippo Salviati,
nel quale il minore splendore era la chiarezza del sangue e la magnificenza delle
ricchezze; sublime intelletto, che di niuna delizia piú avidamente si nutriva,
che di specolazioni esquisite. Con questi due mi trovai spesso a discorrer di
queste materie, con l'intervento di un filosofo peripatetico, al quale pareva
che niuna cosa ostasse maggiormente per l'intelligenza del vero, che la fama acquistata
nell'interpretazioni Aristoteliche.
Ora, poiché morte acerbissima ha, nel piú bel sereno
de gli anni loro, privato di quei due gran lumi Venezia e Firenze, ho risoluto
prolungar, per quanto vagliono le mie debili forze, la vita alla fama loro sopra
queste mie carte, introducendoli per interlocutori della presente controversia.
Né mancherà il suo luogo al buon Peripatetico, al quale, pel soverchio affetto
verso i comenti di Simplicio, è parso decente, senza esprimerne il nome, lasciarli
quello del reverito scrittore. Gradiscano quelle due grand'anime, al cuor mio
sempre venerabili, questo publico monumento del mio non mai morto amore, e con
la memoria della loro eloquenza mi aiutino a spiegare alla posterità le promesse
speculazioni.
Erano casualmente occorsi (come interviene) varii
discorsi alla spezzata tra questi signori, i quali avevano piú tosto ne i loro
ingegni accesa, che consolata, la sete dell'imparare: però fecero saggia risoluzione
di trovarsi alcune giornate insieme, nelle quali, bandito ogni altro negozio,
si attendesse a vagheggiare con piú ordinate speculazioni le maraviglie di Dio
nel cielo e nella terra. Fatta la radunanza nel palazzo dell'illustrissimo Sagredo,
dopo i debiti, ma però brevi, complimenti, il signor Salviati in questa maniera
incominciò.
GIORNATA PRIMA
INTERLOCUTORI: Salviati, Sagredo e Simplicio
Salviati
Fu la conclusione e l'appuntamento di ieri,
che noi dovessimo in questo giorno discorrere, quanto piú distintamente e particolarmente
per noi si potesse, intorno alle ragioni naturali e loro efficacia, che per l'una
parte e per l'altra sin qui sono state prodotte da i fautori della posizione Aristotelica
e Tolemaica e da i seguaci del sistema Copernicano. E perché, collocando il Copernico
la Terra tra i corpi mobili del cielo, viene a farla essa ancora un globo simile
a un pianeta, sarà bene che il principio delle nostre considerazioni sia l'andare
esaminando quale e quanta sia la forza e l'energia de i progressi peripatetici
nel dimostrare come tale assunto sia del tutto impossibile; attesoché sia necessario
introdurre in natura sustanze diverse tra di loro, cioè la celeste e la elementare,
quella impassibile ed immortale, questa alterabile e caduca. Il quale argomento
tratta egli ne i libri del Cielo, insinuandolo prima con discorsi dependenti da
alcuni assunti generali, e confermandolo poi con esperienze e con dimostrazioni
particolari. Io, seguendo l'istesso ordine, proporrò, e poi liberamente dirò il
mio parere; esponendomi alla censura di voi, ed in particolare del signor Simplicio,
tanto strenuo campione e mantenitore della dottrina Aristotelica. È il primo passo
del progresso peripatetico quello dove Aristotile prova la integrità e perfezione
del mondo coll'additarci com'ei non è una semplice linea né una superficie pura,
ma un corpo adornato di lunghezza, di larghezza e di profondità; e perché le dimensioni
non son piú che queste tre, avendole egli, le ha tutte, ed avendo il tutto, è
perfetto. Che poi, venendo dalla semplice lunghezza costituita quella magnitudine
che si chiama linea, aggiunta la larghezza si costituisca la superficie, e sopragiunta
l'altezza o profondità ne risulti il corpo, e che doppo queste tre dimensioni
non si dia passaggio ad altra, sí che in queste tre sole si termini l'integrità
e per cosí dire la totalità, averei ben desiderato che da Aristotile mi fusse
stato dimostrato con necessità, e massime potendosi ciò esequire assai chiaro
e speditamente.
Simplicio
Mancano le dimostrazioni bellissime nel 2°,
3° e 4° testo, doppo la definizione del continuo? Non avete, primieramente, che
oltre alle tre dimensioni non ve n'è altra, perché il tre è ogni cosa, e 'l tre
è per tutte le bande? e ciò non vien egli confermato con l'autorità e dottrina
de i Pittagorici, che dicono che tutte le cose son determinate da tre, principio,
mezo e fine, che è il numero del tutto? E dove lasciate voi l'altra ragione, cioè
che, quasi per legge naturale, cotal numero si usa ne' sacrifizii degli Dei? e
che, dettante pur cosí la natura, alle cose che son tre, e non a meno, attribuiscono
il titolo di tutte? perché di due si dice amendue, e non si dice tutte; ma di
tre, sí bene. E tutta questa dottrina l'avete nel testo 2°. Nel 3° poi, ad pleniorem
scientiam, si legge che l'ogni cosa, il tutto, e 'l perfetto, formalmente son
l'istesso; e che però solo il corpo tra le grandezze è perfetto, perché esso solo
è determinato da 3, che è il tutto, ed essendo divisibile in tre modi, è divisibile
per tutti i versi: ma dell'altre, chi è divisibile in un modo, e chi in dua, perché
secondo il numero che gli è toccato, cosí hanno la divisione e la continuità;
e cosí quella è continua per un verso, questa per due, ma quello, cioè il corpo,
per tutti. Di piú nel testo 4°, doppo alcune altre dottrine, non prov'egli l'istesso
con un'altra dimostrazione, cioè che non si facendo trapasso se non secondo qualche
mancamento (e cosí dalla linea si passa alla superficie, perché la linea è manchevole
di larghezza), ed essendo impossibile che il perfetto manchi, essendo egli per
tutte le bande, però non si può passare dal corpo ad altra magnitudine? Or da
tutti questi luoghi non vi par egli a sufficienza provato, com'oltre alle tre
dimensioni, lunghezza, larghezza e profondità, non si dà transito ad altra, e
che però il corpo, che le ha tutte, è perfetto?
Salviati
Io, per dire il vero, in tutti questi discorsi
non mi son sentito strignere a concedere altro se non che quello che ha principio,
mezo e fine, possa e deva dirsi perfetto: ma che poi, perché principio, mezo e
fine son 3, il numero 3 sia numero perfetto, ed abbia ad aver facultà di conferir
perfezione a chi l'averà, non sento io cosa che mi muova a concederlo; e non intendo
e non credo che, verbigrazia, per le gambe il numero 3 sia piú perfetto che 'l
4 o il 2; né so che 'l numero 4 sia d'imperfezione a gli elementi, e che piú perfetto
fusse ch'e' fusser 3. Meglio dunque era lasciar queste vaghezze a i retori e provar
il suo intento con dimostrazione necessaria, ché cosí convien fare nelle scienze
dimostrative.
Simplicio
Par che voi pigliate per ischerzo queste
ragioni: e pure è tutta dottrina de i Pittagorici, i quali tanto attribuivano
a i numeri; e voi, che sete matematico, e, credo anco, in molte opinioni filosofo
Pittagorico, pare che ora disprezziate i lor misteri.
Salviati
Che i Pittagorici avessero in somma stima
la scienza de i numeri, e che Platone stesso ammirasse l'intelletto umano e lo
stimasse partecipe di divinità solo per l'intender egli la natura de' numeri,
io benissimo lo so, né sarei lontano dal farne l'istesso giudizio; ma che i misteri
per i quali Pittagora e la sua setta avevano in tanta venerazione la scienza de'
numeri sieno le sciocchezze che vanno per le bocche e per le carte del volgo,
non credo io in veruna maniera; anzi perché so che essi, acciò le cose mirabili
non fussero esposte alle contumelie e al dispregio della plebe, dannavano come
sacrilegio il publicar le piú recondite proprietà de' numeri e delle quantità
incommensurabili ed irrazionali da loro investigate, e predicavano che quello
che le avesse manifestate era tormentato nell'altro mondo, penso che tal uno di
loro per dar pasto alla plebe e liberarsi dalle sue domande, gli dicesse, i misterii
loro numerali esser quelle leggerezze che poi si sparsero tra il vulgo; e questo
con astuzia ed accorgimento simile a quello del sagace giovane che, per torsi
dattorno l'importunità non so se della madre o della curiosa moglie, che l'assediava
acciò le conferisse i segreti del senato, compose quella favola onde essa con
molte altre donne rimasero dipoi, con gran risa del medesimo senato, schernite.
Simplicio
Io non voglio esser nel numero de' troppo
curiosi de' misterii de' Pittagorici; ma stando nel proposito nostro, replico
che le ragioni prodotte da Aristotile per provare, le dimensioni non esser, né
poter esser, piú di tre, mi paiono concludenti; e credo che quando ci fusse stata
dimostrazione piú necessaria, Aristotile non l'avrebbe lasciata in dietro.
Sagredo
Aggiugnetevi almanco, se l'avesse saputa,
o se la gli fusse sovvenuta. Ma voi, signor Salviati, mi farete ben gran piacere
di arrecarmene qualche evidente ragione, se alcuna ne avete cosí chiara, che possa
esser compresa da me.
Salviati
Anzi, e da voi e dal signor Simplicio ancora;
e non pur compresa, ma di già anche saputa, se ben forse non avvertita. E per
piú facile intelligenza piglieremo carta e penna, che già veggio qui per simili
occorrenze apparecchiate, e ne faremo un poco di figura. E prima noteremo questi
due punti A, B, e tirate dall'uno all'altro le linee curve A C B, A D B e la retta
A B, vi domando qual di esse nella mente vostra è quella che determina la distanza
tra i termini A, B, e perché. [vedi figura01.gif]
Sagredo
Io direi la retta, e non le curve; sí perché
la retta è la piú breve; sí perché l'è una, sola e determinata, dove le altre
sono infinite, ineguali e piú lunghe, e la determinazione mi pare che si deva
prendere da quel che è uno e certo.
Salviati
Noi dunque aviamo la linea retta per determinatrice
della lunghezza tra due termini: aggiunghiamo adesso un'altra linea retta e parallela
alla A B, la quale sia C D, sí che tra esse resti frapposta una superficie, della
quale io vorrei che voi mi assegnaste la larghezza. Però partendovi dal termine
A, ditemi dove e come voi volete andare a terminare nella linea C D per assegnarmi
la larghezza tra esse linee compresa; dico se voi la determinerete secondo la
quantità della curva A E, o pur della retta A F, o pure... [vedi figura02.gif]
Simplicio
Secondo la retta A F, e non secondo la curva,
essendosi già escluse le curve da simil uso.
Sagredo
Ma io non mi servirei né dell'una né dell'altra,
vedendo la retta A F andare obliquamente; ma vorrei tirare una linea che fusse
a squadra sopra la C D, perché questa mi par che sarebbe la brevissima, ed unica
delle infinite maggiori, e tra di loro ineguali, che dal termine A si possono
produrre ad altri ed altri punti della linea opposta C D.
Salviati
Parmi la vostra elezione, e la ragione che
n'adducete, perfettissima: talché sin qui noi abbiamo, che la prima dimensione
si determina con una linea retta; la seconda, cioè la larghezza, con un'altra
linea pur retta, e non solamente retta, ma, di piú, ad angoli retti sopra l'altra
che determinò la lunghezza; e cosí abbiamo definite le due dimensioni della superficie,
cioè la lunghezza e la larghezza. Ma quando voi aveste a determinare un'altezza,
come, per esempio, quanto sia alto questo palco dal pavimento che noi abbiamo
sotto i piedi; essendo che da qualsivoglia punto del palco si possono tirare infinite
linee, e curve e rette, e tutte di diverse lunghezze, ad infiniti punti del sottoposto
pavimento, di quale di cotali linee vi servireste voi?
Sagredo
Io attaccherei un filo al palco, e con un
piombino, che pendesse da quello, lo lascerei liberamente distendere sino che
arrivasse prossimo al pavimento; e la lunghezza di tal filo, essendo la retta
e brevissima di quante linee si potessero dal medesimo punto tirare al pavimento,
direi che fusse la vera altezza di questa stanza.
Salviati
Benissimo. E quando dal punto notato nel
pavimento da questo filo pendente (posto il pavimento a livello, e non inclinato)
voi faceste partire due altre linee rette, una per la lunghezza e l'altra per
la larghezza della superficie di esso pavimento, che angoli conterrebber elleno
con esso filo?
Sagredo
Conterrebbero sicuramente angoli retti, cadendo
esso filo a piombo ed essendo il pavimento ben piano e ben livellato. [vedi figura03.gif]
Salviati
Adunque se voi stabilirete alcun punto per
capo e termine delle misure, e da esso farete partire una retta linea come determinatrice
della prima misura, cioè della lunghezza, bisognerà per necessità che quella che
dee definir la larghezza si parta ad angolo retto sopra la prima, e che quella
che ha da notar l'altezza, che è la terza dimensione, partendo dal medesimo punto
formi, pur con le altre due, angoli non obliqui, ma retti: e cosí dalle tre perpendicolari
avrete, come da tre linee une e certe e brevissime, determinate le tre dimensioni,
A B lunghezza, A C larghezza, A D altezza. E perché chiara cosa è, che al medesimo
punto non può concorrere altra linea che con quelle faccia angoli retti, e le
dimensioni dalle sole linee rette che tra di loro fanno angoli retti deono esser
determinate, adunque le dimensioni non sono piú che 3; e chi ha le 3 le ha tutte,
e chi le ha tutte è divisibile per tutti i versi, e chi è tale è perfetto, etc.
Simplicio
E chi lo dice che non si possan tirare altre
linee? e perché non poss'io far venir di sotto un'altra linea sino al punto A,
che sia a squadra con l'altre?
Salviati
Voi non potete sicuramente ad un istesso
punto far concorrere altro che tre linee rette sole, che fra di loro costituiscano
angoli retti.
Sagredo
Sí, perché quella che vuol dire il signor
Simplicio par a me che sarebbe l'istessa D A prolungata in giú: ed in questo modo
si potrebbe tirarne altre due, ma sarebbero le medesime prime tre, non differenti
in altro, che dove ora si toccano solamente, all'ora si segherebbero, ma non apporterebbero
nuove dimensioni.
Simplicio
Io non dirò che questa vostra ragione non
possa esser concludente, ma dirò bene con Aristotile che nelle cose naturali non
si deve sempre ricercare una necessità di dimostrazion matematica.
Sagredo
Sí, forse, dove la non si può avere; ma se
qui ella ci è, perché non la volete voi usare? Ma sarà bene non ispender piú parole
in questo particolare, perché io credo che il signor Salviati ad Aristotile ed
a voi senza altre dimostrazioni avrebbe conceduto, il mondo esser corpo, ed esser
perfetto e perfettissimo, come opera massima di Dio.
Salviati
Cosí è veramente. Però lasciata la general
contemplazione del tutto, venghiamo alla considerazione delle parti, le quali
Aristotile nella prima divisione fa due, e tra di loro diversissime ed in certo
modo contrarie; dico, la celeste e la elementare: quella, ingenerabile, incorruttibile,
inalterabile, impassibile, etc.; e questa, esposta ad una continua alterazione,
mutazione, etc. La qual differenza cava egli, come da suo principio originario,
dalla diversità de i moti locali: e camina con tal progresso. Uscendo, per cosí
dire, del mondo sensibile e ritirandosi al mondo ideale, comincia architettonicamente
a considerare, che essendo la natura principio di moto, conviene che i corpi naturali
siano mobili di moto locale. Dichiara poi, i movimenti locali esser di tre generi,
cioè circolare, retto, e misto del retto e del circolare; e li duoi primi chiama
semplici, perché di tutte le linee la circolare e la retta sole son semplici.
E di qui, ristringendosi alquanto, di nuovo definisce, de i movimenti semplici
uno esser il circolare, cioè quello che si fa intorno al mezo, ed il retto all'insú
ed all'ingiú, cioè all'insú quello che si parte dal mezo, all'ingiú quello che
va verso il mezo: e di qui inferisce come necessariamente conviene che tutti i
movimenti semplici si ristringano a queste tre spezie, cioè al mezo, dal mezo,
ed intorno al mezo; il che risponde, dice egli, con certa bella proporzione a
quel che si è detto di sopra del corpo, che esso ancora è perfezionato in tre
cose, e cosí il suo moto. Stabiliti questi movimenti, segue dicendo che, essendo,
de i corpi naturali, altri semplici ed altri composti di quelli (e chiama corpi
semplici quelli che hanno da natura principio di moto, come il fuoco e la terra),
conviene che i movimenti semplici sieno de i corpi semplici, ed i misti de' composti,
in modo però che i composti seguano il moto della parte predominante nella composizione.
Sagredo
Di grazia, signor Salviati, fermatevi alquanto,
perché io mi sento in questo progresso pullular da tante bande tanti dubbi, che
mi sarà forza o dirgli, s'io vorrò sentir con attenzione le cose che voi soggiugnerete,
o rimuover l'attenzione dalle cose da dirsi, se vorrò conservare la memoria de'
dubbi.
Salviati
Io molto volentieri mi fermerò, perché corro
ancor io simil fortuna, e sto di punto in punto per perdermi, mentre mi conviene
veleggiar tra scogli ed onde cosí rotte, che mi fanno, come si dice, perder la
bussola: però, prima che far maggior cumulo, proponete le vostre difficultà.
Sagredo
Voi, insieme con Aristotile, da principio
mi separaste alquanto dal mondo sensibile per additarmi l'architettura con la
quale egli doveva esser fabbricato, e con mio gusto mi cominciaste a dire che
il corpo naturale è per natura mobile, essendo che si è diffinito altrove, la
natura esser principio di moto. Qui mi nacque un poco di dubbio; e fu, per qual
cagione Aristotile non disse che de' corpi naturali alcuni sono mobili per natura
ed altri immobili, avvengaché nella definizione vien detto, la natura esser principio
di moto e di quiete; che se i corpi naturali hanno tutti principio di movimento,
o non occorreva metter la quiete nella definizione della natura, o non occorreva
indur tal definizione in questo luogo. Quanto poi al dichiararmi, quali egli intenda
esser i movimenti semplici e come ei gli determina da gli spazi, chiamando semplici
quelli che si fanno per linee semplici, che tali sono la circolare e la retta
solamente, lo ricevo quietamente, né mi curo di sottilizargli l'instanza della
elica intorno al cilindro, che, per esser in ogni sua parte simile a se stessa,
par che si potesse annoverar tra le linee semplici. Ma mi risento bene alquanto
nel sentirlo ristrignere (mentre par che con altre parole voglia replicar le medesime
definizioni) a chiamare quello, movimento intorno al mezo, e questo, sursum et
deorsum, cioè in su e in giú; li quali termini non si usano fuori del mondo fabbricato,
ma lo suppongono non pur fabbricato, ma di già abitato da noi. Che se il moto
retto è semplice per la semplicità della linea retta, e se il moto semplice è
naturale, sia pur egli fatto per qualsivoglia verso, dico in su, in giú, innanzi,
in dietro, a destra ed a sinistra, e se altra differenza si può immaginare, purché
sia retto, dovrà convenire a qualche corpo naturale semplice; o se no, la supposizione
d'Aristotile è manchevole. Vedesi in oltre che Aristotile accenna, un solo esser
al mondo il moto circolare, ed in conseguenza un solo centro, al quale solo si
riferiscano i movimenti retti in su e in giú; tutti indizi che egli ha mira di
cambiarci le carte in mano, e di volere accomodar l'architettura alla fabbrica,
e non costruire la fabbrica conforme a i precetti dell'architettura: ché se io
dirò che nell'università della natura ci posson essere mille movimenti circolari,
ed in conseguenza mille centri, vi saranno ancora mille moti in su e in giú. In
oltre ei pone, come è detto, moti semplici e moto misto, chiamando semplici il
circolare ed il retto, e misto il composto di questi; de i corpi naturali chiama
altri semplici (cioè quelli che hanno principio naturale al moto semplice), ed
altri composti; ed i moti semplici gli attribuisce a' corpi semplici, ed a' composti
il composto: ma per moto composto e' non intende piú il misto di retto e circolare,
che può essere al mondo, ma introduce un moto misto tanto impossibile, quanto
è impossibile a mescolare movimenti opposti fatti nella medesima linea retta,
sí che da essi ne nasca un moto che sia parte in su e parte in giú; e per moderare
una tanta sconvenevolezza e impossibilità, si riduce a dire che tali corpi misti
si muovono secondo la parte semplice predominante; che finalmente necessita altrui
a dire che anco il moto fatto per la medesima linea retta è alle volte semplice
e tal ora anche composto, sí che la semplicità del moto non si attende piú dalla
semplicità della linea solamente.
Simplicio
Oh non vi par ella differenza bastevole se
il movimento semplice ed assoluto sarà piú veloce assai di quello che vien dal
predominio? e quanto vien piú velocemente all'ingiú un pezzo di terra pura, che
un pezzuol di legno?
Sagredo
Bene, signor Simplicio; ma se la semplicità
si ha da mutar per questo, oltre che ci saranno centomila moti misti, voi non
mi saprete determinare il semplice; anzi, di piú, se la maggiore e minor velocità
possono alterar la semplicità del moto, nessun corpo semplice si moverà mai di
moto semplice, avvengaché in tutti i moti retti naturali la velocità si va sempre
agumentando, ed in conseguenza sempre mutando la semplicità, la quale, per esser
semplicità, conviene che sia immutabile; e, quel che piú importa, voi graverete
Aristotile d'una nuova nota, come quello che nella definizione del moto composto
non ha fatto menzione di tardità né di velocità, la quale ora voi ponete per articolo
necessario ed essenziale. Aggiugnesi che né anco potrete da cotal regola trar
frutto veruno; imperocché ci saranno de' misti, e non pochi, de' quali altri si
moveranno piú lentamente, ed altri piú velocemente, del semplice, come, per esempio,
il piombo e 'l legno in comparazione della terra: e però tra questi movimenti
quale chiamerete voi il semplice, e quale il composto?
Simplicio
Chiamerassi semplice quello che vien fatto
dal corpo semplice, e misto quel del corpo composto.
Sagredo
Benissimo veramente. E che dite voi, signor
Simplicio? poco fa volevi che il moto semplice e il composto m'insegnassero quali
siano i corpi semplici e quali i misti; ed ora volete che da i corpi semplici
e da i misti io venga in cognizione di qual sia il moto semplice e quale il composto:
regola eccellente per non saper mai conoscer né i moti né i corpi. Oltre che già
venite a dichiararvi come non vi basta piú la maggior velocità, ma ricercate una
terza condizione per definire il movimento semplice, per il quale Aristotile si
contentò d'una sola, cioè della semplicità dello spazio; ma ora, secondo voi,
il moto semplice sarà quello che vien fatto sopra una linea semplice, con certa
determinata velocità, da un corpo mobile semplice. Or sia come a voi piace, e
torniamo ad Aristotile, il qual mi definí, il moto misto esser quello che si compone
del retto e del circolare; ma non mi trovò poi corpo alcuno che fusse naturalmente
mobile di tal moto.
Salviati
Torno dunque ad Aristotile, il quale, avendo
molto bene e metodicamente cominciato il suo discorso, ma avendo piú la mira di
andare a terminare e colpire in uno scopo, prima nella mente sua stabilitosi,
che dove dirittamente il progresso lo conduceva, interrompendo il filo ci esce
traversalmente a portar come cosa nota e manifesta, che quanto a i moti retti
in su e in giú, questi naturalmente convengono al fuoco ed alla terra, e che però
è necessario che oltre a questi corpi, che sono appresso di noi, ne sia un altro
in natura al quale convenga il movimento circolare, il quale sia ancora tanto
piú eccellente, quanto il moto circolare è piú perfetto del moto retto: quanto
poi quello sia piú perfetto di questo, lo determina dalla perfezion della linea
circolare sopra la retta, chiamando quella perfetta, ed imperfetta questa; imperfetta,
perché se è infinita, manca di fine e di termine; se è finita, fuori di lei ci
è alcuna cosa dove ella si può prolungare. Questa è la prima pietra, base e fondamento
di tutta la fabbrica del mondo Aristotelico, sopra la quale si appoggiano tutte
l'altre proprietà di non grave né leggiero, d'ingenerabile, incorruttibile ed
esente da ogni mutazione, fuori della locale, etc.: e tutte queste passioni afferma
egli esser proprie del corpo semplice e mobile di moto circolare; e le condizioni
contrarie, di gravità, leggerezza, corruttibilità, etc., le assegna a' corpi mobili
naturalmente di movimenti retti. Là onde qualunque volta nello stabilito sin qui
si scuopra mancamento, si potrà ragionevolmente dubitar di tutto il resto, che
sopra gli vien costrutto. Io non nego che questo, che sin qui Aristotile ha introdotto
con discorso generale, dependente da principii universali e primi, non venga poi
nel progresso riconfermato con ragioni particolari e con esperienze, le quali
tutte è necessario che vengano distintamente considerate e ponderate; ma già che
nel detto sin qui si rappresentano molte, e non picciole, difficultà (e pur converrebbe
che i primi principii e fondamenti fussero sicuri fermi e stabili, acciocché piú
risolutamente si potesse sopra di quelli fabbricare), non sarà forse se non ben
fatto, prima che si accresca il cumulo de i dubbi, vedere se per avventura (sí
come io stimo) incamminandoci per altra strada ci indrizzassimo a piú diritto
e sicuro cammino, e con precetti d'architettura meglio considerati potessimo stabilire
i primi fondamenti. Però, sospendendo per ora il progresso d'Aristotile, il quale
a suo tempo ripiglieremo e partitamente esamineremo, dico che, delle cose da esso
dette sin qui, convengo seco ed ammetto che il mondo sia corpo dotato di tutte
le dimensioni, e però perfettissimo; ed aggiungo, che come tale ei sia necessariamente
ordinatissimo, cioè di parti con sommo e perfettissimo ordine tra di loro disposte:
il quale assunto non credo che sia per esser negato né da voi né da altri.
Simplicio
E chi volete voi che lo neghi? La prima cosa,
egli è d'Aristotile stesso; e poi, la sua denominazione non par che sia presa
d'altronde, che dall'ordine che egli perfettamente contiene.
Salviati
Stabilito dunque cotal principio, si può
immediatamente concludere che, se i corpi integrali del mondo devono esser di
lor natura mobili, è impossibile che i movimenti loro siano retti, o altri che
circolari: e la ragione è assai facile e manifesta. Imperocché quello che si muove
di moto retto, muta luogo; e continuando di muoversi, si va piú e piú sempre allontanando
dal termine ond'ei si partí e da tutti i luoghi per i quali successivamente ei
va passando; e se tal moto naturalmente se gli conviene, adunque egli da principio
non era nel luogo suo naturale, e però non erano le parti del mondo con ordine
perfetto disposte: ma noi supponghiamo, quelle esser perfettamente ordinate: adunque,
come tali, è impossibile che abbiano da natura di mutar luogo, ed in conseguenza
di muoversi di moto retto. In oltre, essendo il moto retto di sua natura infinito,
perché infinita e indeterminata è la linea retta, è impossibile che mobile alcuno
abbia da natura principio di muoversi per linea retta, cioè verso dove è impossibile
di arrivare, non vi essendo termine prefinito; e la natura, come ben dice Aristotile
medesmo, non intraprende a fare quello che non può esser fatto, né intraprende
a muovere dove è impossibile a pervenire. E se pur alcuno dicesse, che se bene
la linea retta, ed in conseguenza il moto per essa, è produttibile in infinito,
cioè interminato, tuttavia però la natura, per cosí dire, arbitrariamente gli
ha assegnati alcuni termini, e dato naturali instinti a' suoi corpi naturali di
muoversi a quelli, io risponderò che ciò per avventura si potrebbe favoleggiare
che fusse avvenuto del primo caos, dove confusamente ed inordinatamente andavano
indistinte materie vagando, per le quali ordinare la natura molto acconciamente
si fusse servita de i movimenti retti, i quali, sí come movendo i corpi ben costituiti
gli disordinano, cosí sono acconci a ben ordinare i pravamente disposti; ma dopo
l'ottima distribuzione e collocazione è impossibile che in loro resti naturale
inclinazione di piú muoversi di moto retto, dal quale ora solo ne seguirebbe il
rimuoversi dal proprio e natural luogo, cioè il disordinarsi. Possiamo dunque
dire, il moto retto servire a condur le materie per fabbricar l'opera, ma fabbricata
ch'ell'è, o restare immobile, o, se mobile, muoversi solo circolarmente; se però
noi non volessimo dir con Platone, che anco i corpi mondani, dopo l'essere stati
fabbricati e del tutto stabiliti, furon per alcun tempo dal suo Fattore mossi
di moto retto, ma che dopo l'esser pervenuti in certi e determinati luoghi, furon
rivolti a uno a uno in giro, passando dal moto retto al circolare, dove poi si
son mantenuti e tuttavia si conservano: pensiero altissimo e degno ben di Platone,
intorno al quale mi sovviene aver sentito discorrere il nostro comune amico Accademico
Linceo; e se ben mi ricorda, il discorso fu tale. Ogni corpo costituito per qualsivoglia
causa in istato di quiete, ma che per sua natura sia mobile, posto in libertà
si moverà, tutta volta però ch'egli abbia da natura inclinazione a qualche luogo
particolare; ché quando e' fusse indifferente a tutti, resterebbe nella sua quiete,
non avendo maggior ragione di muoversi a questo che a quello. Dall'aver questa
inclinazione ne nasce necessariamente che egli nel suo moto si anderà continuamente
accelerando; e cominciando con moto tardissimo, non acquisterà grado alcuno di
velocità, che prima e' non sia passato per tutti i gradi di velocità minori, o
vogliamo dire di tardità maggiori: perché, partendosi dallo stato della quiete
(che è il grado di infinita tardità di moto), non ci è ragione nissuna per la
quale e' debba entrare in un tal determinato grado di velocità, prima che entrare
in un minore, ed in un altro ancor minore prima che in quello; anzi par molto
ben ragionevole passar prima per i gradi piú vicini a quello donde ei si parte,
e da quelli a i piú remoti; ma il grado di dove il mobile piglia a muoversi è
quello della somma tardità, cioè della quiete. Ora, questa accelerazion di moto
non si farà se non quando il mobile nel muoversi acquista; né altro è l'acquisto
suo se non l'avvicinarsi al luogo desiderato, cioè dove l'inclinazion naturale
lo tira; e là si condurrà egli per la piú breve, cioè per linea retta. Possiamo
dunque ragionevolmente dire che la natura, per conferire in un mobile, prima costituito
in quiete, una determinata velocità, si serva del farlo muover, per alcun tempo
e per qualche spazio, di moto retto. Stante questo discorso, figuriamoci aver
Iddio creato il corpo, verbigrazia, di Giove, al quale abbia determinato di voler
conferire una tal velocità, la quale egli poi debba conservar perpetuamente uniforme:
potremo con Platone dire che gli desse di muoversi da principio di moto retto
ed accelerato, e che poi, giunto a quel tal grado di velocità, convertisse il
suo moto retto in circolare, del quale poi la velocità naturalmente convien esser
uniforme.
Sagredo
Io sento con gran gusto questo discorso,
e maggiore credo che sarà doppo che mi abbiate rimossa una difficultà: la quale
è, che io non resto ben capace come di necessità convenga che un mobile, partendosi
dalla quiete ed entrando in un moto al quale egli abbia inclinazion naturale,
passi per tutti i gradi di tardità precedenti, che sono tra qualsivoglia segnato
grado di velocità e lo stato di quiete, li quali gradi sono infiniti; sí che non
abbia potuto la natura contribuire al corpo di Giove, subito creato, il suo moto
circolare, con tale e tanta velocità.
Salviati
Io non ho detto, né ardirei di dire, che
alla natura e a Dio fusse impossibile il conferir quella velocità, che voi dite,
immediatamente; ma dirò bene che de facto la natura non lo fa; talché il farlo
verrebbe ad esser operazione fuora del corso naturale e però miracolosa [Muovasi
con qual si voglia velocità qual si sia poderosissimo mobile, ed incontri qual
si voglia corpo costituito in quiete, ben che debolissimo e di minima resistenza;
quel mobile, incontrandolo, già mai non gli conferirà immediatamente la sua velocità:
segno evidente di che ne è il sentirsi il suono della percossa, il quale non si
sentirebbe, o per dir meglio non sarebbe, se il corpo che stava in quiete ricevesse,
nell'arrivo del mobile, la medesima velocità di quello.]
Sagredo
Adunque voi credete che un sasso, partendosi
dalla quiete, ed entrando nel suo moto naturale verso il centro della Terra, passi
per tutti i gradi di tardità inferiori a qualsivoglia grado di velocità?
Salviati
Credolo, anzi ne son sicuro, e sicuro con
tanta certezza, che posso renderne sicuro voi ancora.
Sagredo
Quando in tutto il ragionamento d'oggi io
non guadagnassi altro che una tal cognizione, me lo reputerei per un gran capitale.
Salviati
Per quanto mi par di comprendere dal vostro
ragionare, gran parte della vostra difficultà consiste in quel dover passare in
un tempo, ed anco brevissimo, per quelli infiniti gradi di tardità precedenti
a qual si sia velocità acquistata dal mobile in quel tal tempo: e però, prima
che venire ad altro, cercherò di rimovervi questo scrupolo; che doverà esser agevol
cosa, mentre io vi replico che il mobile passa per i detti gradi, ma il passaggio
è fatto senza dimorare in veruno, talché, non ricercando il passaggio piú di un
solo instante di tempo, e contenendo qualsivoglia piccol tempo infiniti instanti,
non ce ne mancheranno per assegnare il suo a ciascheduno de gl'infiniti gradi
di tardità, e sia il tempo quanto si voglia breve.
Sagredo
Sin qui resto capace: tuttavia mi par gran
cosa che quella palla d'artiglieria (che tal mi figuro esser il mobile cadente),
che pur si vede scendere con tanto precipizio che in manco di dieci battute di
polso passerà piú di dugento braccia di altezza, si sia nel suo moto trovata congiunta
con sí picciol grado di velocità, che, se avesse continuato di muoversi con quello
senza piú accelerarsi, non l'averebbe passata in tutto un giorno.
Salviati
Dite pure in tutto un anno, né in dieci,
né in mille, sí come io m'ingegnerò di persuadervi, ed anco forse senza vostra
contradizione ad alcune assai semplici interrogazioni ch'io vi farò. Però ditemi
se voi avete difficultà nessuna in concedere che quella palla, nello scendere,
vadia sempre aquistando maggior impeto e velocità.
Sagredo
Sono di questo sicurissimo.
Salviati
E se io dirò che l'impeto aquistato in qualsivoglia
luogo del suo moto sia tanto che basterebbe a ricondurla a quell'altezza donde
si partí, me lo concedereste?
Sagredo
Concedere'lo senza contradizione, tuttavolta
che la potesse applicar, senz'esser impedita, tutto il suo impeto in quella sola
operazione, di ricondur se medesima, o altro eguale a sé, a quella medesima altezza:
come sarebbe se la Terra fusse perforata per il centro, e che, lontano da esso
cento o mille braccia, si lasciasse cader la palla; credo sicuramente che ella
passerebbe oltre al centro, salendo altrettanto quanto scese: e cosí mi mostra
l'esperienza accadere d'un peso pendente da una corda, che rimosso dal perpendicolo,
che è il suo stato di quiete, e lasciato poi in libertà, cala verso detto perpendicolo
e lo trapassa per altrettanto spazio, o solamente tanto meno quanto il contrasto
dell'aria e della corda o di altri accidenti l'impediscono. Mostrami l'istesso
l'acqua, che scendendo per un sifone, rimonta altrettanto quanto fu la sua scesa.
Salviati
Voi perfettamente discorrete. E perch'io
so che non avete dubbio in conceder che l'acquisto dell'impeto sia mediante l'allontanamento
dal termine donde il mobile si parte, e l'avvicinamento al centro dove tende il
suo moto, arete voi difficultà nel concedere che due mobili eguali, ancorché scendenti
per diverse linee, senza veruno impedimento, facciano acquisto d'impeti eguali,
tuttavolta che l'avvicinamento al centro sia eguale?
Sagredo
Non intendo bene il quesito.
Salviati
Mi dichiarerò meglio col segnarne un poco
di figura. Però noterò questa linea A B parallela all'orizonte, e sopra il punto
B drizzerò la perpendicolare B C, e poi congiugnerò questa inclinata C A. Intendendo
ora la linea C A esser un piano inclinato, esquisitamente pulito e duro, sopra
il quale scenda una palla perfettamente rotonda e di materia durissima, ed una
simile scenderne liberamente per la perpendicolare C B, domando se voi concedereste
che l'impeto della scendente per il piano C A, giunta che la fusse al termine
A, potesse essere eguale all'impeto acquistato dall'altra nel punto B, doppo la
scesa per la perpendicolare C B. [vedi figura04.gif]
Sagredo
Io credo risolutamente di sí, perché in effetto
amendue si sono avvicinate al centro egualmente, e, per quello che pur ora ho
conceduto, gl'impeti loro sarebbero egualmente bastanti a ricondur loro stesse
alla medesima altezza.
Salviati
Ditemi ora quello che voi credete che facesse
quella medesima palla posata sul piano orizontale A B.
Sagredo
Starebbe ferma, non avendo esso piano veruna
inclinazione.
Salviati
Ma sul piano inclinato C A scenderebbe, ma
con moto piú lento che per la perpendicolare C B.
Sagredo
Sono stato per risponder risolutamente di
sí, parendomi pur necessario che il moto per la perpendicolare C B debba esser
piú veloce che per l'inclinata C A: tuttavia, se questo è, come potrà il cadente
per l'inclinata, giunto al punto A, aver tanto impeto, cioè tal grado di velocità,
quale e quanto il cadente per la perpendicolare avrà nel punto B? Queste due proposizioni
par che si contradicano.
Salviati
Adunque molto piú vi parrà falso se io dirò
che assolutamente le velocità de' cadenti per la perpendicolare e per l'inclinata
siano eguali. E pur questa è proposizione verissima; sí come vera è questa ancora
che dice che il cadente si muove piú velocemente per la perpendicolare che per
la inclinata.
Sagredo
Queste al mio orecchio suonano proposizioni
contradittorie; ed al vostro, signor Simplicio?
Simplicio
Ed a me par l'istesso.
Salviati
Credo che voi mi burliate, fingendo di non
capire quel che voi intendete meglio di me. Però ditemi, signor Simplicio: quando
voi v'immaginate un mobile esser piú veloce d'un altro, che concetto vi figurate
voi nella mente?
Simplicio
Figuromi, l'uno passar nell'istesso tempo
maggiore spazio dell'altro, o vero passare spazio eguale, ma in minor tempo.
Salviati
Benissimo: e per mobili egualmente veloci,
che concetto vi figurate?
Simplicio
Figuromi che passino spazi eguali in tempi
eguali.
Salviati
E non altro concetto che questo?
Simplicio
Questo mi par che sia la propria definizione
de' moti eguali.
Sagredo
Aggiunghiamoci pure quest'altra di piú: cioè
chiamarsi ancora le velocità esser eguali, quando gli spazi passati hanno la medesima
proporzione che i tempi ne' quali son passati, e sarà definizione piú universale.
Salviati
Cosí è, perché comprende gli spazi eguali
passati in tempi eguali, e gl'ineguali ancora, passati in tempi ineguali, ma proporzionali
a essi spazi. Ripigliate ora la medesima figura, ed applicandovi il concetto che
vi figurate del moto piú veloce, ditemi perché vi pare che la velocità del cadente
per C B sia maggiore della velocità dello scendente per la C A.
Simplicio
Parmi, perché nel tempo che 'l cadente passerà
tutta la C B, lo scendente passerà nella C A una parte minor della C B.
Salviati
Cosí sta; e cosí si verifica, il mobile muoversi
piú velocemente per la perpendicolare che per l'inclinata. Considerate ora se
in questa medesima figura si potesse in qualche modo verificare l'altro concetto,
e trovare che i mobili fussero egualmente veloci in amendue le linee C A, C B.
Simplicio
Io non ci so veder cosa tale, anzi pur mi
par contradizione al già detto.
Salviati
E voi che dite, signor Sagredo? Io non vorrei
già insegnarvi quel che voi medesimi sapete, e quello di che pur ora mi avete
arrecato la definizione.
Sagredo
La definizione che io ho addotta è stata,
che i mobili si possan chiamare egualmente veloci quando gli spazi passati da
loro hanno la medesima proporzione che i tempi ne' quali gli passano: però a voler
che la definizione avesse luogo nel presente caso, bisognerebbe che il tempo della
scesa per C A al tempo della caduta per C B avesse la medesima proporzione che
la stessa linea C A alla C B; ma ciò non so io intender che possa essere, tuttavolta
che il moto per la C B sia piú veloce che per la C A.
Salviati
E pur è forza che voi l'intendiate. Ditemi
un poco: questi moti non si vann'eglino continuamente accelerando?
Sagredo
Vannosi accelerando, ma piú nella perpendicolare
che nell'inclinata.
Salviati
Ma questa accelerazione nella perpendicolare
è ella però tale, in comparazione di quella dell'inclinata, che prese due parti
eguali in qualsivoglia luogo di esse linee, perpendicolare e inclinata, il moto
nella parte della perpendicolare sia sempre piú veloce che nella parte dell'inclinata?
Sagredo
Signor no, anzi potrò io pigliare uno spazio
nell'inclinata, nel quale la velocità sia maggiore assai che in altrettanto spazio
preso nella perpendicolare; e questo sarà, se lo spazio nella perpendicolare sarà
preso vicino al termine C, e nell'inclinata molto lontano.
Salviati
Vedete dunque che la proposizione che dice
"Il moto per la perpendicolare è piú veloce che per l'inclinata" non si verifica
universalmente se non de i moti che cominciano dal primo termine, cioè dalla quiete;
senza la qual condizione la proposizione sarebbe tanto difettosa, che anco la
sua contradittoria potrebbe esser vera, cioè che il moto nell'inclinata è piú
veloce che nella perpendicolare, perché è vero che nell'inclinata possiamo pigliare
uno spazio passato dal mobile in manco tempo che altrettanto spazio passato nella
perpendicolare. Ora, perché il moto nell'inclinata è in alcuni luoghi piú veloce
ed in altri meno che nella perpendicolare, adunque in alcuni luoghi dell'inclinata
il tempo del moto del mobile al tempo del moto del mobile per alcuni luoghi della
perpendicolare avrà maggior proporzione che lo spazio passato allo spazio passato,
ed in altri luoghi la proporzione del tempo al tempo sarà minore di quella dello
spazio allo spazio. Come, per esempio, partendosi due mobili dalla quiete, cioè
dal punto C, uno per la perpendicolare C B e l'altro per l'inclinata C A, nel
tempo che nella perpendicolare il mobile avrà passata tutta la C B, l'altro avrà
passata la C T, minore; e però il tempo per C T al tempo per C B (che gli è eguale)
arà maggior proporzione che la linea T C alla C B, essendo che la medesima alla
minore ha maggior proporzione che alla maggiore: e per l'opposito, quando nella
C A, prolungata quanto bisognasse, si prendesse una parte eguale alla C B, ma
passata in tempo piú breve, il tempo nell'inclinata al tempo nella perpendicolare
arebbe proporzione minore che lo spazio allo spazio. Se dunque nell'inclinata
e nella perpendicolare possiamo intendere spazi e velocità tali che le proporzioni
tra essi spazi siano e minori e maggiori delle proporzioni de' tempi, possiamo
ben ragionevolmente concedere che vi sieno anco spazi per i quali i tempi de i
movimenti ritengano la medesima proporzione che gli spazi. [vedi figura05.gif]
Sagredo
Già mi sent'io levato lo scrupolo maggiore,
e comprendo esser non solo possibile, ma dirò necessario, quello che mi pareva
un contradittorio: ma non però intendo per ancora che uno di questi casi possibili
o necessari sia questo del quale abbiamo bisogno di presente, sí che vero sia
che il tempo della scesa per C A al tempo della caduta per C B abbia la medesima
proporzione che la linea C A alla C B, onde e' si possa senza contradizione dire
che le velocità per la inclinata C A e per la perpendicolare C B sieno eguali.
[vedi figura06.gif]
Salviati
Contentatevi per ora ch'io v'abbia rimossa
l'incredulità; ma la scienza aspettatela un'altra volta, cioè quando vedrete le
cose dimostrate dal nostro Accademico intorno a i moti locali: dove troverete
dimostrato, che nel tempo che 'l mobile cade per tutta la C B, l'altro scende
per la C A sino al punto T, nel quale cade la perpendicolare tiratavi dal punto
B; e per trovare dove il medesimo cadente per la perpendicolare si troverebbe
quando l'altro arriva al punto A, tirate da esso A la perpendicolare sopra la
C A, prolungando essa e la C B sino al concorso, e quello sarà il punto cercato.
Intanto vedete come è vero che il moto per la C B è piú veloce che per l'inclinata
C A (ponendo il termine C per principio de' moti de' quali facciamo comparazione);
perché la linea C B è maggiore della C T, e l'altra da C sino al concorso della
perpendicolare tirata da A sopra la C A è maggiore della C A, e però il moto per
essa è piú veloce che per la C A. Ma quando noi paragoniamo il moto fatto per
tutta la C A, non con tutto 'l moto fatto nel medesimo tempo per la perpendicolare
prolungata, ma col fatto in parte del tempo per la sola parte C B, non repugna
che il mobile per C A, continuando di scendere oltre al T, possa in tal tempo
arrivare in A, che qual proporzione si trova tra le linee C A, C B, tale sia tra
essi tempi. Ora, ripigliando il nostro primo proposito, che era di mostrare come
il mobile grave, partendosi dalla quiete, passa, scendendo, per tutti i gradi
di tardità precedenti a qualsivoglia grado di velocità che egli acquisti, ripigliando
la medesima figura, ricordiamoci che eramo convenuti che il cadente per la perpendicolare
C B ed il descendente per l'inclinata C A, ne i termini B, A si trovassero avere
acquistati eguali gradi di velocità. Ora, seguitando piú avanti, non credo che
voi abbiate difficultà veruna in concedere che sopra un altro piano meno elevato
di A C, qual sarebbe, verbigrazia, D A, il moto del descendente sarebbe ancora
piú tardo che nel piano CA: talché non è da dubitar punto che si possano notar
piani tanto poco elevati sopra l'orizonte A B, che 'l mobile, cioè la medesima
palla, in qualsivoglia lunghissimo tempo si condurrebbe al termine A, già che
per condurvisi per il piano B A non basta tempo infinito, ed il moto si fa sempre
piú lento quanto la declività è minore. Bisogna dunque necessariamente confessare,
potersi sopra il termine B pigliare un punto tanto ad esso B vicino, che tirando
da esso al punto A un piano, la palla non lo passasse né anco in un anno. Bisogna
ora che voi sappiate, che l'impeto, cioè il grado di velocità, che la palla si
trova avere acquistato quando arriva al punto A è tale, che quando ella continuasse
di muoversi con questo medesimo grado uniformemente, cioè senza accelerarsi o
ritardarsi, in altrettanto tempo in quanto è venuta per il piano inclinato passerebbe
uno spazio lungo il doppio del piano inclinato; cioè (per esempio) se la palla
avesse passato il piano D A in un'ora, continuando di muoversi uniformemente con
quel grado di velocità che ella si trova avere nel giugnere al termine A, passerebbe
in un'ora uno spazio doppio della lunghezza D A: e perché (come dicevamo) i gradi
di velocità acquistati ne i punti B, A da i mobili che si partono da qualsivoglia
punto preso nella perpendicolare C B, e che scendono l'uno per il piano inclinato
e l'altro per essa perpendicolare, son sempre eguali, adunque il cadente per la
perpendicolare può partirsi da un termine tanto vicino al B, che 'l grado di velocità
acquistato in B non fusse bastante (conservandosi sempre l'istesso) a condurre
il mobile per uno spazio doppio della lunghezza del piano inclinato in un anno
né in dieci né in cento. Possiamo dunque concludere che se è vero che, secondo
il corso ordinario di natura, un mobile, rimossi tutti gl'impedimenti esterni
ed accidentarii, si muova sopra piani inclinati con maggiore e maggior tardità
secondo che l'inclinazione sarà minore, sí che finalmente la tardità si conduca
a essere infinita, che è quando si finisce l'inclinazione e s'arriva al piano
orizontale; e se è vero parimente che al grado di velocità acquistato in qualche
punto del piano inclinato sia eguale quel grado di velocità che si trova avere
il cadente per la perpendicolare nel punto segato da una parallela all'orizonte
che passa per quel punto del piano inclinato; bisogna di necessità confessare
che il cadente, partendosi dalla quiete, passa per tutti gl'infiniti gradi di
tardità, e che, in conseguenza, per acquistar un determinato grado di velocità
bisogna ch'e' si muova prima per linea retta, descendendo per breve o lungo spazio,
secondo che la velocità da acquistarsi dovrà essere minore o maggiore, e secondo
che 'l piano sul quale si scende sarà poco o molto inclinato: talché può darsi
un piano con sí poca inclinazione, che, per acquistarvi quel tal grado di velocità,
bisognasse prima muoversi per lunghissimo spazio ed in lunghissimo tempo; sí che
nel piano orizontale qual si sia velocità non s'acquisterà naturalmente mai, avvenga
che il mobile già mai non vi si muoverà. Ma il moto per la linea orizontale, che
non è declive né elevata, è moto circolare intorno al centro: adunque il moto
circolare non s'acquisterà mai naturalmente senza il moto retto precedente, ma
bene, acquistato che e' si sia, si continuerà egli perpetuamente con velocità
uniforme. Io potrei dichiararvi, ed anco dimostrarvi, con altri discorsi queste
medesime verità; ma non voglio interromper con sí gran digressioni il principal
nostro ragionamento, e piú tosto ci ritornerò con altra occasione, e massime che
ora si è venuto in questo proposito non per servirsene per una dimostrazion necessaria,
ma per adornare un concetto platonico: al quale voglio aggiugnere un'altra particolare
osservazione, pur del nostro Accademico, che ha del mirabile. Figuriamoci, tra
i decreti del divino Architetto essere stato pensiero di crear nel mondo questi
globi, che noi veggiamo continuamente muoversi in giro, ed avere stabilito il
centro delle lor conversioni ed in esso collocato il Sole immobile, ed aver poi
fabbricati tutti i detti globi nel medesimo luogo, e di lí datali inclinazione
di muoversi, discendendo verso il centro, sin che acquistassero quei gradi di
velocità che pareva alla medesima Mente divina, li quali acquistati, fussero volti
in giro, ciascheduno nel suo cerchio, mantenendo la già concepita velocità: si
cerca in quale altezza e lontananza dal Sole era il luogo dove primamente furono
essi globi creati, e se può esser che la creazion di tutti fusse stata nell'istesso
luogo. Per far questa investigazione bisogna pigliare da i piú periti astronomi
le grandezze de i cerchi ne i quali i pianeti si rivolgono, e parimente i tempi
delle loro revoluzioni: dalle quali due cognizioni si raccoglie quanto, verbigrazia,
il moto di Giove è piú veloce del moto di Saturno; e trovato (come in effetto
è) che Giove si muove piú velocemente, conviene che, sendosi partiti dalla medesima
altezza, Giove sia sceso piú che Saturno, sí come pure sappiamo essere veramente,
essendo l'orbe suo inferiore a quel di Saturno. Ma venendo piú avanti, dalla proporzione
che hanno le due velocità di Giove e di Saturno, e dalla distanza che è tra gli
orbi loro e dalla proporzione dell'accelerazion del moto naturale, si può ritrovare
in quanta altezza e lontananza dal centro delle lor revoluzioni fusse il luogo
donde e' si partirono. Ritrovato e stabilito questo, si cerca se Marte scendendo
di là sino al suo orbe [...] si trova che la grandezza dell'orbe e la velocità
del moto convengono con quello che dal calcolo ci vien dato; ed il simile si fa
della Terra, di Venere e di Mercurio, de i quali le grandezze de i cerchi e le
velocità de i moti s'accostano tanto prossimamente a quel che ne danno i computi,
che è cosa maravigliosa.
Sagredo
Ho con estremo gusto sentito questo pensiero,
e se non ch'io credo che il far quei calcoli precisamente sarebbe impresa lunga
e laboriosa, e forse troppo difficile da esser compresa da me, io ve ne vorrei
fare instanza.
Salviati
L'operazione è veramente lunga e difficile,
ed anco non m'assicurerei di ritrovarla cosí prontamente; però la riserberemo
ad un'altra volta [
Simplicio
Di grazia, sia conceduto alla mia poca pratica
nelle scienze matematiche dir liberamente come i vostri discorsi, fondati sopra
proporzioni maggiori o minori e sopra altri termini da me non intesi quanto bisognerebbe,
non mi hanno rimosso il dubbio, o, per meglio dire, l'incredulità, dell'esser
necessario che quella gravissima palla di piombo di 100 libre di peso, lasciata
cadere da alto, partendosi dalla quiete passi per ogni altissimo grado di tardità,
mentre si vede in quattro battute di polso aver passato piú di 100 braccia di
spazio: effetto che mi rende totalmente incredibile, quella in alcuno momento
essersi trovata in stato tale di tardità, che continuandosi di muover con quella,
non avesse né anco in mille anni passato lo spazio di mezo dito. E pure se questo
è, vorrei esserne fatto capace.
Sagredo
Il signor Salviati, come di profonda dottrina,
stima bene spesso che quei termini che a se medesimo sono notissimi e familiari,
debbano parimente esser tali per gli altri ancora, e però tal volta gli esce di
mente che parlando con noi altri convien aiutar la nostra incapacità con discorsi
manco reconditi: e però io, che non mi elevo tanto, con sua licenza tenterò di
rimuover almeno in parte il signor Simplicio dalla sua incredulità con mezo sensato.
E stando pure sul caso della palla d'artiglieria, ditemi in grazia, signor Simplicio:
non concederete voi che nel far passaggio da uno stato a un altro sia naturalmente
piú facile e pronto il passare ad uno piú propinquo che ad altro piú remoto?
Simplicio
Questo lo intendo e lo concedo: e non ho
dubbio che, verbigrazia, un ferro infocato, nel raffreddarsi, prima passerà da
i 10 gradi di caldo a i 9, che da i 10 a i 6.
Sagredo
Benissimo. Ditemi appresso: quella palla
d'artiglieria, cacciata in su a perpendicolo dalla violenza del fuoco, non si
va ella continuamente ritardando nel suo moto sin che finalmente si conduce al
termine altissimo, che è quello della quiete? e nel diminuirsi la velocità, o
volete dire nel crescersi la tardità, non è egli ragionevole che si faccia piú
presto trapasso da i 10 gradi a gli 11, che da i 10 a i 12? e da i 1000 a i 1001
che a' 1002? ed in somma da qualsivoglia grado ad un suo piú vicino, che ad un
piú lontano?
Simplicio
Cosí è ragionevole.
Sagredo
Ma qual grado di tardità è cosí lontano da
qualsisia moto, che piú lontano non ne sia lo stato della quiete, ch'è di tardità
infinita? per lo che non è da metter dubio che la detta palla, prima che si conduca
al termine della quiete, trapassi per tutti i gradi di tardità maggiori e maggiori,
e per conseguenza per quello ancora che in 1000 anni non trapasserebbe lo spazio
di un dito. Ed essendo questo, sí come è, verissimo, non dovrà, signor Simplicio,
parervi improbabile che, nel ritornare in giú, la medesima palla partendosi dalla
quiete recuperi la velocità del moto col ripassare per quei medesimi gradi di
tardità per i quali ella passò nell'andare in su, ma debba, lasciando gli altri
gradi di tardità maggiori e piú vicini allo stato di quiete, passar di salto ad
uno piú remoto.
Simplicio
Io resto per questo discorso piú capace assai
che per quelle sottigliezze matematiche; e però potrà il signor Salviati ripigliare
e continuare il suo ragionamento.]
Salviati
Ritorneremo dunque al nostro primo proposito,
ripigliando là di dove digredimmo, che, se ben mi ricorda, eramo sul determinare
come il moto per linea retta non può esser di uso alcuno nelle parti del mondo
bene ordinate; e seguitavamo di dire che non cosí avviene de i movimenti circolari,
de i quali quello che è fatto dal mobile in se stesso, già lo ritien sempre nel
medesimo luogo, e quello che conduce il mobile per la circonferenza d'un cerchio
intorno al suo centro stabile e fisso, non mette in disordine né sé né i circonvicini.
Imperocché tal moto, primieramente, è finito e terminato, anzi non pur finito
e terminato, ma non è punto alcuno nella circonferenza, che non sia primo ed ultimo
termine della circolazione; e continuandosi nella circonferenza assegnatagli,
lascia tutto il resto, dentro e fuori di quella, libero per i bisogni d'altri,
senz'impedirgli o disordinargli già mai. Questo, essendo un movimento che fa che
il mobile sempre si parte e sempre arriva al termine, può, primieramente, esso
solo essere uniforme: imperocché l'accelerazione del moto si fa nel mobile quando
e' va verso il termine dove egli ha inclinazione, ed il ritardamento accade per
la repugnanza ch'egli ha di partirsi ed allontanarsi dal medesimo termine; e perché
nel moto circolare il mobile sempre si parte da termine naturale, e sempre si
muove verso il medesimo, adunque in lui la repugnanza e l'inclinazione son sempre
di eguali forze; dalla quale egualità ne risulta una non ritardata né accelerata
velocità, cioè l'uniformità del moto. Da questa uniformità e dall'esser terminato
ne può seguire la continuazion perpetua, col reiterar sempre le circolazioni,
la quale in una linea interminata ed in un moto continuamente ritardato o accelerato
non si può naturalmente ritrovare: e dico naturalmente, perché il moto retto che
si ritarda, è il violento, che non può esser perpetuo, e l'accelerato arriva necessariamente
al termine, se vi è; e se non vi è, non vi può né anco esser moto, perché la natura
non muove dove è impossibile ad arrivare. Concludo per tanto, il solo movimento
circolare poter naturalmente convenire a i corpi naturali integranti l'universo
e costituiti nell'ottima disposizione; ed il retto, al piú che si possa dire,
essere assegnato dalla natura a i suoi corpi e parti di essi, qualunque volta
si ritrovassero fuori de' luoghi loro, costituite in prava disposizione, e però
bisognose di ridursi per la piú breve allo stato naturale. Di qui mi par che assai
ragionevolmente si possa concludere, che per mantenimento dell'ordine perfetto
tra le parti del mondo bisogni dire che le mobili sieno mobili solo circolarmente,
e se alcune ve ne sono che circolarmente non si muovano, queste di necessità sieno
immobili, non essendo altro, salvo che la quiete e 'l moto circolare, atto alla
conservazione dell'ordine. Ed io non poco mi maraviglio che Aristotile, il quale
pure stimò che 'l globo terrestre fusse collocato nel centro del mondo e che quivi
immobilmente si rimanesse, non dicesse che de' corpi naturali altri erano mobili
per natura ed altri immobili, e massime avendo già definito, la natura esser principio
di moto e di quiete.
Simplicio
Aristotile, come quello che non si prometteva
del suo ingegno, ancorché perspicacissimo, piú di quello che si conviene, stimò,
nel suo filosofare, che le sensate esperienze si dovessero anteporre a qualsivoglia
discorso fabbricato da ingegno umano, e disse che quelli che avessero negato il
senso, meritavano di esser gastigati col levargli quel tal senso: ora, chi è quello
cosí cieco che non vegga, le parti della terra e dell'acqua muoversi, come gravi,
naturalmente all'ingiú, cioè verso il centro dell'universo, assegnato dall'istessa
natura per fine e termine del moto retto deorsum; e non vegga parimente, muoversi
il fuoco e l'aria all'insú rettamente verso il concavo dell'orbe lunare, come
a termine naturale del moto sursum? e vedendosi tanto manifestamente questo, ed
essendo noi sicuri che eadem est ratio totius et partium, come non si deve egli
dire, esser proposizion vera e manifesta che il movimento naturale della terra
è il retto ad medium, e del fuoco il retto a medio?
Salviati
In virtú di questo vostro discorso, al piú
al piú che voi poteste pretendere che vi fusse conceduto è che, sí come le parti
della terra rimosse dal suo tutto, cioè dal luogo dove esse naturalmente dimorano,
cioè, finalmente, ridotte in prava e disordinata disposizione, tornano al luogo
loro spontaneamente, e però naturalmente, con movimento retto, cosí (conceduto
che eadem sit ratio totius et partium) si potrebbe inferire che rimosso per violenza
il globo terrestre dal luogo assegnatogli dalla natura, egli vi ritornerebbe per
linea retta. Questo, come ho detto, è quanto al piú vi si potesse concedere, fattavi
ancora ogni sorte d'agevolezza: ma chi volesse riveder con rigore queste partite,
prima vi negherebbe che le parti della terra nel ritornare al suo tutto si movessero
per linea retta, e non per circolare o altra mista; e voi sicuramente avereste
che fare assai a dimostrare il contrario, come apertamente intenderete nelle risposte
alle ragioni ed esperienze particolari addotte da Tolomeo e da Aristotile. Secondariamente,
se altri vi dicesse che le parti della terra si muovono non per andar al centro
del mondo, ma per andare a riunirsi col suo tutto, e che per ciò hanno naturale
inclinazione verso il centro del globo terrestre, per la quale inclinazione conspirano
a formarlo e conservarlo, qual altro tutto e qual altro centro trovereste voi
al mondo, al quale l'intero globo terreno, essendone rimosso, cercasse di ritornare,
onde la ragion del tutto fusse simile a quella delle parti? Aggiugnete che né
Aristotile né voi proverete già mai che la Terra de facto sia nel centro dell'universo;
ma, se si può assegnare centro alcuno all'universo, troveremo in quello esser
piú presto collocato il Sole, come nel progresso intenderete. Ora, sí come dal
cospirare concordemente tutte le parti della terra a formare il suo tutto ne segue
che esse da tutte le parti con eguale inclinazione vi concorrano, e, per unirsi
al piú che sia possibile insieme, sfericamente vi si adattano; perché non doviamo
noi credere che la Luna, il Sole e gli altri corpi mondani siano essi ancora di
figura rotonda non per altro che per un concorde instinto e concorso naturale
di tutte le loro parti componenti? delle quali se tal ora alcuna per qualche violenza
fusse dal suo tutto separata, non è egli ragionevole il credere che spontaneamente
e per naturale instinto ella vi ritornerebbe? ed in questo modo concludere che
'l moto retto competa egualmente a tutti i corpi mondani?
Simplicio
E' non è dubbio alcuno che come voi volete
negare non solamente i principii nelle scienze, ma esperienze manifeste ed i sensi
stessi, voi non potrete già mai esser convinto o rimosso da veruna oppinione concetta;
e io piú tosto mi quieterò perché contra negantes principia non est disputandum,
che persuaso in virtú delle vostre ragioni. E stando su le cose da voi pur ora
pronunziate (già che mettete in dubbio insino nel moto de i gravi se sia retto
o no), come potete voi mai ragionevolmente negare che le parti della terra, cioè
che le materie gravissime, descendano verso il centro con moto retto, se, lasciate
da una altissima torre, le cui parete sono dirittissime e fabbricate a piombo,
esse gli vengono, per cosí dire, lambendo, e percotendo in terra in quel medesimo
punto a capello dove verrebbe a terminare il piombo che pendesse da uno spago
legato in alto ivi per l'appunto onde si lasciò cadere il sasso? non è questo
argomento piú che evidente, cotal moto esser retto e verso il centro? Nel secondo
luogo, voi revocate in dubbio se le parti della terra si muovano per andar, come
afferma Aristotile, al centro del mondo, quasi che egli non l'abbia concludentemente
dimostrato per i movimenti contrari, mentre in cotal guisa argomenta: il movimento
de i gravi è contrario a quello de i leggieri; ma il moto de i leggieri si vede
esser dirittamente all'insú, cioè verso la circonferenza del mondo; adunque il
moto de i gravi è rettamente verso il centro del mondo, ed accade per accidens
che e' sia verso il centro della Terra, poiché questo si abbatte ad essere unito
con quello. Il cercar poi quello che facesse una parte del globo lunare o del
Sole, quando fusse separata dal suo tutto, è vanità, perché si cerca quello che
seguirebbe in conseguenza d'un impossibile, atteso che, come pur dimostra Aristotile,
i corpi celesti sono impassibili, impenetrabili, infrangibili, sí che non si può
dare il caso; e quando pure e' si desse, e che la parte separata ritornasse al
suo tutto, ella non vi tornerebbe come grave o leggiera, ché pur il medesimo Aristotile
prova che i corpi celesti non sono né gravi né leggieri.
Salviati
Quanto ragionevolmente io dubiti, se i gravi
si muovano per linea retta e perpendicolare, lo sentirete, come pur ora ho detto,
quando esaminerò questo argomento particolare. Circa il secondo punto, io mi meraviglio
che voi abbiate bisogno che 'l paralogismo d'Aristotile vi sia scoperto, essendo
per se stesso tanto manifesto, e che voi non vi accorgiate che Aristotile suppone
quello che è in quistione. Però notate...
Simplicio
Di grazia, signor Salviati parlate con piú
rispetto d'Aristotile. Ed a chi potrete voi persuader già mai che quello che è
stato il primo, unico ed ammirabile esplicator della forma silogistica, della
dimostrazione, de gli elenchi, de i modi di conoscere i sofismi, i paralogismi,
ed in somma di tutta la logica, equivocasse poi sí gravemente in suppor per noto
quello che è in quistione? Signori, bisogna prima intenderlo perfettamente, e
poi provarsi a volerlo impugnare.
Salviati
Signor Simplicio, noi siamo qui tra noi discorrendo
familiarmente per investigar qualche verità; io non arò mai per male che voi mi
palesiate i miei errori, e quando io non avrò conseguita la mente d'Aristotile,
riprendetemi pur liberamente, che io ve ne arò buon grado. Concedetemi in tanto
che io esponga le mie difficultà, e ch'io risponda ancora alcuna cosa a le vostre
ultime parole, dicendovi che la logica, come benissimo sapete, è l'organo col
quale si filosofa; ma, sí come può esser che un artefice sia eccellente in fabbricare
organi, ma indotto nel sapergli sonare, cosí può esser un gran logico, ma poco
esperto nel sapersi servir della logica; sí come ci son molti che sanno per lo
senno a mente tutta la poetica, e son poi infelici nel compor quattro versi solamente;
altri posseggono tutti i precetti del Vinci, e non saprebber poi dipignere uno
sgabello. Il sonar l'organo non s'impara da quelli che sanno far organi, ma da
chi gli sa sonare; la poesia s'impara dalla continua lettura de' poeti; il dipignere
s'apprende col continuo disegnare e dipignere; il dimostrare, dalla lettura dei
libri pieni di dimostrazioni, che sono i matematici soli, e non i logici. Ora,
tornando al proposito, dico che quello che vede Aristotile del moto de i corpi
leggieri, è il partirsi il fuoco da qualunque luogo della superficie del globo
terrestre e dirittamente discostarsene, salendo in alto; e questo è veramente
muoversi verso una circonferenza maggiore di quella della Terra, anzi il medesimo
Aristotile lo fa muovere al concavo della Luna: ma che tal circonferenza sia poi
quella del mondo, o concentrica a quella, sí che il muoversi verso questa sia
un muoversi anco verso quella del mondo, ciò non si può affermare se prima non
si suppone che 'l centro della Terra, dal quale noi vediamo discostarsi i leggieri
ascendenti, sia il medesimo che 'l centro del mondo, che è quanto dire che 'l
globo terrestre sia costituito nel centro del mondo; che è poi quello di che noi
dubitiamo e che Aristotile intende di provare. E questo direte che non sia un
manifesto paralogismo?
Sagredo
Questo argomento d'Aristotile mi era parso,
anco per un altro rispetto, manchevole e non concludente, quando bene se gli concedesse
che quella circonferenza alla quale si muove rettamente il fuoco, fusse quella
che racchiude il mondo. Imperocché, preso dentro a un cerchio non solamente il
centro, ma qualsivoglia altro punto, ogni mobile che partendosi da quello camminerà
per linea retta, e verso qualsivoglia parte, senz'alcun dubbio andrà verso la
circonferenza, e continuando il moto vi arriverà ancora, sí che verissimo sarà
il dire che egli verso la circonferenza si muova; ma non sarà già vero che quello
che per le medesime linee si movesse con movimento contrario, vadia verso il centro,
se non quando il punto preso fusse l'istesso centro, o che 'l moto fusse fatto
per quella sola linea che, prodotta dal punto assegnato, passa per lo centro.
Talché il dire: "Il fuoco, movendosi rettamente, va verso la circonferenza del
mondo; adunque le parti della terra, le quali per le medesime linee si muovono
di moto contrario, vanno verso 'l centro del mondo", non conclude altrimenti,
se non supposto prima che le linee del fuoco, prolungate, passino per il centro
del mondo: e perché di esse noi sappiamo certo che le passano per il centro del
globo terrestre (essendo a perpendicolo sopra la sua superficie, e non inclinate),
adunque, per concludere, bisogna supporre che il centro della Terra sia l'istesso
che il centro del mondo, o almeno che le parti del fuoco e della terra non ascendano
e descendano se non per una linea sola che passi per il centro del mondo; il che
è poi falso e repugna all'esperienza, la qual ci mostra che le parti del fuoco
non per una linea sola, ma per le infinite prodotte dal centro della Terra verso
tutte le parti del mondo, ascendono sempre per linee perpendicolari alla superficie
del globo terrestre.
Salviati
Voi, signor Sagredo, molto ingegnosamente
conducete Aristotile al medesimo inconveniente, mostrando l'equivoco manifesto;
ma aggiugnete un'altra sconvenevolezza. Noi veggiamo la Terra essere sferica,
e però siamo sicuri che ella ha il suo centro; a quello veggiamo che si muovono
tutte le sue parti, ché cosí è necessario dire mentre i movimenti loro son tutti
perpendicolari alla superficie terrestre; intendiamo come, movendosi al centro
della Terra, si muovono al suo tutto ed alla sua madre universale; e siamo poi
tanto buoni, che ci vogliam lasciar persuadere che l'instinto loro naturale non
è di andar verso il centro della Terra, ma verso quel dell'universo, il quale
non sappiamo dove sia, né se sia, e che quando pur sia, non è altro ch'un punto
imaginario ed un niente senza veruna facultà. All'ultimo detto poi del signor
Simplicio, che il contendere se le parti del Sole o della Luna o di altro corpo
celeste, separate dal suo tutto, ritornassero naturalmente a quello, sia una vanità,
per essere il caso impossibile, essendo manifesto, per dimostrazioni di Aristotile,
che i corpi celesti sono impassibili, impenetrabili, impartibili, etc., rispondo,
niuna delle condizioni per le quali Aristotile fa differire i corpi celesti da
gli elementari avere altra sussistenza che quella ch'ei deduce dalla diversità
de i moti naturali di quelli e di questi; in modo che, negato che il moto circolare
sia solo de i corpi celesti, ed affermato ch'ei convenga a tutti i corpi naturali
mobili, bisogna per necessaria conseguenza dire che gli attributi di generabile
o ingenerabile, alterabile o inalterabile, partibile o impartibile, etc., egualmente
e comunemente convengano a tutti i corpi mondani, cioè tanto a i celesti quanto
a gli elementari, o che malamente e con errore abbia Aristotile dedotti dal moto
circolare quelli che ha assegnati a i corpi celesti.
Simplicio
Questo modo di filosofare tende alla sovversion
di tutta la filosofia naturale, ed al disordinare e mettere in conquasso il cielo
e la Terra e tutto l'universo. Ma io credo che i fondamenti de i Peripatetici
sien tali, che non ci sia da temere che con la rovina loro si possano construire
nuove scienze.
Salviati
Non vi pigliate già pensiero del cielo né
della Terra, né temiate la lor sovversione, come né anco della filosofia; perché,
quanto al cielo, in vano è che voi temiate di quello che voi medesimo reputate
inalterabile e impassibile; quanto alla Terra, noi cerchiamo di nobilitarla e
perfezionarla, mentre proccuriamo di farla simile a i corpi celesti e in certo
modo metterla quasi in cielo, di dove i vostri filosofi l'hanno bandita. La filosofia
medesima non può se non ricever benefizio dalle nostre dispute, perché se i nostri
pensieri saranno veri, nuovi acquisti si saranno fatti, se falsi, col ributtargli,
maggiormente verranno confermate le prime dottrine. Pigliatevi piú tosto pensiero
di alcuni filosofi, e vedete di aiutargli e sostenergli, ché quanto alla scienza
stessa, ella non può se non avanzarsi. E ritornando al nostro proposito, producete
liberamente quello che vi sovviene per mantenimento della somma differenza che
Aristotile pone tra i corpi celesti e la parte elementare, nel far quelli ingenerabili,
incorruttibili, inalterabili, etc., e questa corruttibile, alterabile, etc.[Per
quelli che si perturbano per aver a mutar tutta la Filosofia si mostri come non
è cosí, e che resta la medesima dottrina dell'anima, delle generazioni, delle
meteore, degli animali.]
Simplicio
Io non veggo per ancora che Aristotile sia
bisognoso di soccorso, restando egli in piede, saldo e forte, anzi non essendo
per ancora pure stato assalito, non che abbattuto, da voi. E qual sarà il vostro
schermo in questo primo assalto? Scrive Aristotile: Quello che si genera, si fa
da un contrario in qualche subietto, e parimente si corrompe in qualche subietto
da un contrario in un contrario, sí che (notate bene) la corruzzione e generazione
non è se non ne i contrari; ma de i contrari i movimenti son contrari; se dunque
al corpo celeste non si può assegnar contrario, imperocché al moto circolare niun
altro movimento è contrario, adunque benissimo ha fatto la natura a fare esente
da i contrari quello che doveva essere ingenerabile ed incorruttibile. Stabilito
questo primo fondamento, speditamente si cava in conseguenza ch'ei sia inaugumentabile,
inalterabile, impassibile, e finalmente eterno ed abitazione proporzionata a gli
Dei immortali, conforme alla opinione ancora di tutti gli uomini che de gli Dei
hanno concetto. Conferma poi l'istesso ancor per il senso; avvenga che in tutto
il tempo passato, secondo le tradizioni e memorie, nissuna cosa si vede essersi
trasmutata, né secondo tutto l'ultimo cielo né secondo alcuna sua propria parte.
Che poi al moto circolare niuno altro sia contrario, lo prova Aristotile in molte
maniere; ma senza replicarle tutte, assai apertamente resta dimostrato, mentre
che i moti semplici non sono altri che tre, al mezo, dal mezo e intorno al mezo,
de i quali i dua retti sursum et deorsum sono manifestamente contrari, e perché
un solo ha un solo per contrario, adunque non resta altro movimento che possa
esser contrario al circolare. Eccovi il discorso di Aristotile argutissimo e concludentissimo,
per il quale si prova l'incorruttibilità del cielo.
Salviati
Questo non è niente di piú che il puro progresso
d'Aristotile, già da me accennato, nel quale, tuttavolta che io vi neghi che il
moto, che voi attribuite a i corpi celesti, non convenga ancora alla Terra, la
sua illazione resta nulla. Dicovi per tanto che quel moto circolare, che voi assegnate
a i corpi celesti, conviene ancora alla Terra: dal che, posto che il resto del
vostro discorso sia concludente, seguirà una di queste tre cose, come poco fa
si è detto ed or vi replico, cioè, o che la Terra sia essa ancora ingenerabile
e incorruttibile, come i corpi celesti, o che i corpi celesti sieno, come gli
elementari, generabili, alterabili, etc., o che questa differenza di moti non
abbia che far con la generazione e corruzione. Il discorso di Aristotile e vostro
contiene molte proposizioni da non esser di leggiero ammesse, e per poterlo meglio
esaminare, sarà bene ridurlo piú al netto ed al distinto, che sia possibile: e
scusimi il signor Sagredo se forse con qualche tedio sente replicar piú volte
le medesime cose, e faccia conto di sentir ripigliar gli argomenti ne i publici
circoli de i disputanti. Voi dite: "La generazione e corruzione non si fa se non
dove sono i contrari; i contrari non sono se non tra i corpi semplici naturali,
mobili di movimenti contrari; movimenti contrari sono solamente quelli che si
fanno per linee rette tra termini contrari, e questi sono solamente dua cioè dal
mezo ed al mezo, e tali movimenti non sono di altri corpi naturali che della terra,
del fuoco e degli altri due elementi; adunque la generazione e corruzione non
è se non tra gli elementi. E perché il terzo movimento semplice, cioè il circolare
intorno al mezo, non ha contrario (perché contrari sono gli altri dua, e un solo
ha un solo per contrario), però quel corpo naturale al quale tal moto compete,
manca di contrario; e non avendo contrario, resta ingenerabile e incorruttibile
etc., perché dove non è contrarietà, non è generazione né corruzione etc.: ma
tal moto compete solamente a i corpi celesti: adunque soli questi sono ingenerabili,
incorruttibili, etc.". E prima, a me si rappresenta assai piú agevol cosa il potersi
assicurare se la Terra, corpo vastissimo e per vicinità a noi trattabilissimo,
si muova di un movimento massimo, qual sarebbe per ora il rivolgersi in se stessa
in ventiquattro ore, che non è l'intendere ed assicurarsi se la generazione e
corruzione si facciano da i contrari, anzi pure se la corruzione e la generazione
ed i contrari sieno in natura: e se voi, signor Simplicio, mi sapeste assegnare
qual sia il modo di operare della natura nel generare in brevissimo tempo centomila
moscioni da un poco di fumo di mosto, mostrandomi quali sieno quivi i contrari,
qual cosa si corrompa e come, io vi reputerei ancora piú di quello ch'io fo, perché
io nessuna di queste cose comprendo. In oltre arei molto caro d'intendere come
e perché questi contrari corruttivi sieno cosí benigni verso le cornacchie e cosí
fieri verso i colombi, cosí tolleranti verso i cervi ed impazienti contro a i
cavalli, che a quelli concedano piú anni di vita cioè d'incorruttibilità, che
settimane a questi. I peschi, gli ulivi, hanno pur radice ne i medesimi terreni,
sono esposti a i medesimi freddi, a i medesimi caldi, alle medesime pioggie e
venti, ed in somma alle medesime contrarietà; e pur quelli vengono destrutti in
breve tempo, e questi vivono molte centinaia d'anni. Di piú, io non son mai restato
ben capace di questa trasmutazione sustanziale (restando sempre dentro a i puri
termini naturali), per la quale una materia venga talmente trasformata, che si
deva per necessità dire, quella essersi del tutto destrutta, sí che nulla del
suo primo essere vi rimanga e ch'un altro corpo, diversissimo da quella, se ne
sia prodotto; ed il rappresentarmisi un corpo sotto un aspetto e di lí a poco
sotto un altro differente assai, non ho per impossibile che possa seguire per
una semplice trasposizione di parti, senza corrompere o generar nulla di nuovo,
perché di simili metamorfosi ne vediamo noi tutto il giorno. Sí che torno a replicarvi
che come voi mi vorrete persuader che la Terra non si possa muover circolarmente
per via di corruttibilità e generabilità, averete che fare assai piú di me, che
con argomenti ben piú difficili, ma non men concludenti, vi proverò il contrario.
Sagredo
Signor Salviati, perdonatemi se io interrompo
il vostro ragionamento, il quale, sí come mi diletta assai, perché io ancora mi
trovo involto nelle medesime difficultà, cosí dubito che sia impossibile il poterne
venire a capo senza deporre in tutto e per tutto la nostra principal materia;
però, quando si potesse tirare avanti il primo discorso, giudicherei che fusse
bene rimettere ad un altro separato ed intero ragionamento questa quistione della
generazione e corruzione, sí come anco, quando ciò piaccia a voi ed al signor
Simplicio, si potrà fare di altre quistioni particolari, che il corso de' ragionamenti
ci porgesse avanti, delle quali io terrò memoria a parte, per proporle un altro
giorno e minutamente esaminarle. Or, quanto alla presente, già che voi dite che,
negato ad Aristotile che il moto circolare non sia della Terra, come degli altri
corpi celesti, ne seguirà che quello che accade della Terra, circa l'esser generabile,
alterabile, etc., sia ancora del cielo, lasciamo star se la generazione e corruzione
sieno o non sieno in natura, e torniamo a veder d'investigare quel che faccia
il globo terrestre.
Simplicio
Io non posso accomodar l'orecchie a sentir
mettere in dubbio se la generazione e corruzione sieno in natura, essendo una
cosa che noi continuamente aviamo innanzi a gli occhi, e della quale Aristotile
ha scritto due libri interi. Ma quando si abbiano a negare i principii nelle scienze
e mettere in dubbio le cose manifestissime, chi non sa che si potrà provare quel
che altri vuole e sostener qualsivoglia paradosso? E se voi non vedete tutto il
giorno generarsi e corrompersi erbe, piante, animali, che altra cosa vedete voi?
come non vedete perpetuamente giostrarsi in contro le contrarietà, e la terra
mutarsi in acqua, l'acqua convertirsi in aria, l'aria in fuoco, e di nuovo l'aria
condensarsi in nuvole, in pioggie, grandini e tempeste?
Sagredo
Anzi veggiamo pur tutte queste cose, e però
vogliamo concedervi il discorso d'Aristotile, quanto a questa parte della generazione
e corruzione fatta da i contrari; ma se io vi concluderò, in virtú delle medesime
proposizioni concedute ad Aristotile, che i corpi celesti sieno essi ancora, non
meno che gli elementari, generabili e corruttibili, che cosa direte voi?
Simplicio
Dirò che voi abbiate fatto quello che è impossibile
a farsi.
Sagredo
Ditemi un poco, signor Simplicio: non sono
queste affezioni contrarie tra di loro?
Sagredo
Come questo sia, e sia vero ancora che i
corpi celesti sieno ingenerabili e incorruttibili, io vi provo che di necessità
bisogna che i corpi celesti sien generabili e corruttibili.
Simplicio
Questo non potrà esser altro che un soffisma.
Sagredo
Sentite l'argomento, e poi nominatelo e solvetelo.
I corpi celesti, perché sono ingenerabili ed incorruttibili, hanno in natura de
i contrari, che sono i corpi generabili e corruttibili; ma dove è contrarietà,
quivi è generazione e corruzione; adunque i corpi celesti son generabili e corruttibili.
Simplicio
Non vi diss'io che non poteva esser altro
ch'un soffisma? Questo è un di quelli argomenti cornuti, che si chiamano soriti:
come quello del Candiotto, che diceva che tutti i Candiotti erano bugiardi, però,
essendo egli Candiotto, veniva a dir la bugia, mentre diceva che i Candiotti erano
bugiardi; bisogna adunque che i Candiotti fussero veridici, ed in conseguenza
esso, come Candiotto, veniva ad esser veridico, e però, nel dir che i Candiotti
erano bugiardi, diceva il vero, e comprendendo sé, come Candiotto, bisognava che
e' fusse bugiardo. E cosí in questa sorte di soffismi si durerebbe in eterno a
rigirarsi, senza concluder mai niente.
Sagredo
Voi sin qui l'avete nominato: resta ora che
lo sciogliate, mostrando la fallacia.
Simplicio
Quanto al solverlo e mostrar la sua fallacia,
non vedete voi, prima, la contradizion manifesta? i corpi celesti sono ingenerabili
e incorruttibili; adunque i corpi celesti son generabili e corruttibili? E poi,
la contrarietà non è tra i corpi celesti, ma è tra gli elementi, li quali hanno
la contrarietà de i moti sursum et deorsum e della leggerezza e gravità; ma i
cieli, che si muovono circolarmente, al qual moto niun altro è contrario, mancano
di contrarietà, e però sono incorruttibili etc.
Sagredo
Piano, signor Simplicio. Questa contrarietà,
per la quale voi dite alcuni corpi semplici esser corruttibili, risied'ella nell'istesso
corpo che si corrompe, o pure ha relazione ad un altro? dico se l'umidità, per
esempio, per la quale si corrompe una parte di terra, risiede nell'istessa terra
o pure in un altro corpo, qual sarebbe l'aria o l'acqua. Io credo pur che voi
direte che, sí come i movimenti in su e in giú, e la gravità e la leggerezza,
che voi fate i primi contrari, non posson essere nel medesimo suggetto, cosí né
anco l'umido e 'l secco, il caldo e 'l freddo: bisogna dunque che voi diciate,
che quando il corpo si corrompe, ciò avvenga per la qualità che si trova in un
altro, contraria alla sua propria. Però, per far che 'l corpo celeste sia corruttibile,
basta che in natura ci sieno corpi che abbiano contrarietà al corpo celeste; e
tali sono gli elementi, se è vero che la corruttibilità sia contraria all'incorruttibilità.
Simplicio
Non basta questo, Signor mio. Gli elementi
si alterano e si corrompono perché si toccano e si mescolano tra di loro, e cosí
possono esercitare le lor contrarietà; ma i corpi celesti sono separati da gli
elementi, da i quali non son né anco tocchi, se ben essi toccano gli elementi.
Bisogna, se voi volete provar la generazione e corruzione ne i corpi celesti,
che voi mostriate che tra loro riseggano le contrarietà.
Sagredo
Ecco ch'io ve le trovo tra di loro. Il primo
fonte dal quale voi cavate le contrarietà de gli elementi, è la contrarietà de'
moti loro in su e in giú; adunque è forza che contrari sieno parimente tra di
loro quei principii da i quali dependono tali movimenti; e perché quello è mobile
in su per la leggerezza, e questo in giú per la gravità, è necessario che leggerezza
e gravità sieno tra di loro contrarie; né meno si deve credere che sien contrari
quegli altri principii che son cagioni che questo sia grave, e leggiero quello.
Ma, per voi medesimi, la leggerezza e la gravità vengono in conseguenza della
rarità e densità; adunque contrarie saranno la densità e la rarità: le quali condizioni
tanto amplamente si ritrovano ne i corpi celesti, che voi stimate le stelle non
esser altro che parti piú dense del lor cielo; e quando ciò sia, bisogna che la
densità delle stelle superi quasi d'infinito intervallo quella del resto del cielo;
il che è manifesto dall'essere il cielo sommamente trasparente, e le stelle sommamente
opache, e dal non si trovare lassú altre qualità che 'l piú e 'l meno denso o
raro, che della maggiore e minor trasparenza possano esser principii. Essendo
dunque tali contrarietà tra i corpi celesti, è necessario che essi ancora sien
generabili e corruttibili, in quel medesimo modo che son tali i corpi elementari,
o vero che non la contrarietà sia causa della corruttibilità, etc.
Simplicio
Non è necessario né l'un né l'altro: perché
la densità e rarità ne i corpi celesti non son contrarie tra loro, come ne i corpi
elementari; imperocché non dependono dalle prime qualità, caldo e freddo, che
sono contrarie, ma dalla molta o poca materia in proporzione alla quantità; ora
il molto e 'l poco dicono solamente una opposizione relativa, che è la minor che
sia, e non ha che fare con la generazione e corruzione.
Sagredo
Talché a voler che il denso e 'l raro, che
tra gli elementi deve esser cagione di gravità e leggerezza, le quali possan esser
cause di moti contrari sursum et deorsum, da i quali dependano poi le contrarietà
per la generazione e corruzione, [...], non basta che sieno di quei densi e rari
che sotto la medesima quantità, o vogliam dir mole, contengono molta o poca materia,
ma è necessario che e' siano densi e rari mercè delle prime qualità, freddo e
caldo; altramente, non si farebbe niente. Ma, se questo è, Aristotile ci ha ingannati,
perché doveva dircelo da principio, e lasciare scritto che son generabili e corruttibili
quei corpi semplici che son mobili di movimenti semplici in su e in giú, dependenti
da leggerezza e gravità, causate da rarità e densità, fatta da molta e poca materia,
mercé del caldo e del freddo, e non si fermare sul semplice moto sursum et deorsum;
perché io vi assicuro che quanto al fare i corpi gravi e leggieri, onde e' sien
poi mobili di movimenti contrari, qualsivoglia densità e rarità basta, venga ella
per caldo e freddo o per quel che piú vi piace, perché il caldo e 'l freddo non
hanno che far niente in questa operazione, e voi vedrete che un ferro infocato,
che pur si può chiamar caldo, pesa il medesimo e si muove nel medesimo modo che
freddo. Ma lasciato ancor questo, che sapete voi che il denso e 'l raro celeste
non dependano dal freddo e dal caldo?
Simplicio
Sollo, perché tali qualità non sono tra i
corpi celesti, li quali non son caldi né freddi.
Salviati
Io veggo che noi torniamo di nuovo a ingolfarci
in un pelago infinito da non ne uscir mai, perché questo è un navigar senza bussola,
senza stelle, senza remi, senza timone, onde convien per necessità o passare di
scoglio in scoglio o dare in secco o navigar sempre per perduti. Però, se conforme
al vostro consiglio noi vogliamo tendere avanti nella nostra principal materia,
bisogna che, lasciata per ora questa general considerazione, se il moto retto
sia necessario in natura e convenga ad alcuni corpi, venghiamo alle dimostrazioni,
osservazioni ed esperienze particolari, proponendo prima tutte quelle che da Aristotile
da Tolomeo e da altri sono state sin qui addotte per prova della stabilità della
Terra, cercando secondariamente di solverle, e portando in ultimo quelle per le
quali altri possa restar persuaso che la Terra sia, non men che la Luna o altro
pianeta, da connumerarsi tra i corpi naturali mobili circolarmente.
Sagredo
Io tanto piú volentieri mi atterrò a questo,
quanto io resto assai piú sodisfatto del vostro discorso architettonico e generale
che di quello d'Aristotile, perché il vostro senza intoppo veruno mi quieta, e
l'altro ad ogni passo mi attraversa qualche inciampo; e non so come il signor
Simplicio non sia restato subito persuaso dalla ragione arrecata da voi per prova
che il moto per linea retta non può aver luogo in natura, tuttavoltaché si supponga
che le parti dell'universo sieno disposte in ottima costituzione e perfettamente
ordinate.
Salviati
Fermate, di grazia, signor Sagredo, ché pur
ora mi sovviene il modo di poter dar sodisfazione anco al signor Simplicio, tuttavolta
però che e' non voglia restar talmente legato ad ogni detto d'Aristotile, che
egli abbia per sacrilegio il discostarsene da alcuno. E' non è dubbio che per
mantener l'ottima disposizione e l'ordine perfetto delle parti dell'universo,
quanto alla local situazione, non ci è altro che il movimento circolare e la quiete;
ma quanto al moto per linea retta, non veggo, che possa servire ad altro che al
ridurre nella sua natural costituzione qualche particella di alcuno de' corpi
integrali che per qualche accidente fusse stata rimossa e separata dal suo tutto,
come di sopra dicemmo. Consideriamo ora tutto il globo terrestre e veggiamo quel
che può esser di lui, tuttavoltaché ed esso e gli altri corpi mondani si devano
conservare nell'ottima e natural disposizione. Egli è necessario dire, o che egli
resti e si conservi perpetuamente immobile nel luogo suo, o che, restando pur
sempre nell'istesso luogo, si rivolga in se stesso, o che vadia intorno ad un
centro, movendosi per la circonferenza di un cerchio: de i quali accidenti, ed
Aristotile e Tolomeo e tutti i lor seguaci dicon pure che egli ha osservato sempre,
ed è per mantenere in eterno, il primo, cioè una perpetua quiete nel medesimo
luogo. Or, perché dunque in buon'ora non si dev'egli dire che sua naturale affezione
è il restare immobile, piú tosto che far suo naturale il moto all'ingiú, del qual
moto egli già mai non si è mosso ned è per muoversi? E quanto al movimento per
linea retta, lascisi che la natura se ne serva per ridur al suo tutto le particelle
della terra, dell'acqua, dell'aria, e del fuoco, e di ogni altro corpo integrale
mondano, quando alcuna di loro, per qualche caso, se ne trovasse separata, e però
in luogo disordinato trasposta; se pure anco per far questa restituzione non si
trovasse che qualche moto circolare fusse piú accomodato. Parmi che questa primaria
posizione risponda molto meglio, dico anco in via d'Aristotile medesimo, a tutte
le altre conseguenze, che l'attribuire come intrinseco e natural principio de
gli elementi i movimenti retti. Il che è manifesto: perché s'io domanderò al Peripatetico,
se, tenendo egli che i corpi celesti sieno incorruttibili ed eterni, ei crede
che 'l globo terrestre non sia tale, ma corruttibile e mortale, sí che egli abbia
a venir tempo che, continuando suo essere e sue operazioni il Sole e la Luna e
le altre stelle, la Terra non si ritrovi piú al mondo, ma sia con tutto il resto
de gli elementi destrutta e andata in niente, son sicuro che egli risponderà di
no; adunque la corruzione e generazione è nelle parti, e non nel tutto, e nelle
parti ben minime e superficiali, le quali son come insensibili in comparazion
di tutta la mole: e perché Aristotile argumenta la generazione e corruzione dalla
contrarietà de' movimenti retti, lascinsi tali movimenti alle parti, che sole
si alterano e corrompono, ed all'intero globo e sfera de gli elementi attribuiscasi
o il moto circolare o una perpetua consistenza nel proprio luogo, affezioni che
sole sono atte alla perpetuazione ed al mantenimento dell'ordine perfetto. Questo
che si dice della terra, può dirsi con simil ragion del fuoco e della maggior
parte dell'aria; a i quali elementi si son ridotti i Peripatetici ad assegnare
per loro intrinseco e natural moto uno del quale mai non si sono mossi né sono
per muoversi, e chiamar fuor della natura loro quel movimento del quale si muovono,
si son mossi, e son per muoversi perpetuamente. Questo dico, perché assegnano
all'aria ed al fuoco il moto all'insú, del quale già mai si è mosso alcuno de
i detti elementi, ma solo qualche lor particella, e questa non per altro che per
ridursi alla perfetta costituzione, mentre si trovava fuori del luogo suo naturale;
ed all'incontro chiamano a lor preternaturale il moto circolare, del quale incessabilmente
si muovono, scordatisi in certo modo di quello che piú volte ha detto Aristotile,
che nessun violento può durar lungo tempo.
Simplicio
A tutte queste cose abbiamo noi le risposte
accomodatissime, le quali per ora lascerò da parte per venire alle ragioni piú
particolari ed esperienze sensate, le quali finalmente devono anteporsi, come
ben dice Aristotile, a quanto possa esserci somministrato dall'umano discorso.
Sagredo
Servanci dunque le cose dette sin qui per
averci messo in considerazione qual de' due generali discorsi abbia piú del probabile:
dico quello di Aristotile, per persuaderci, la natura de i corpi sullunari esser
generabile e corruttibile, etc., e però diversissima dall'essenza de i corpi celesti,
per esser loro impassibili, ingenerabili, incorruttibili, etc., tirato dalla diversità
de i movimenti semplici; o pur questo del signor Salviati, che, supponendo le
parti integrali del mondo essere disposte in ottima costituzione, esclude per
necessaria conseguenza da i corpi semplici naturali i movimenti retti, come di
niuno uso in natura, e stima la Terra esser essa ancora uno de i corpi celesti,
adornato di tutte le prerogative che a quelli convengono: il qual discorso sin
qui a me consuona assai piú che quell'altro. Sia dunque contento il signor Simplicio
produr tutte le particolari ragioni, esperienze ed osservazioni, tanto naturali
quanto astronomiche, per le quali altri possa restar persuaso, la Terra esser
diversa da i corpi celesti, immobile, collocata nel centro del mondo, e se altro
vi è che l'escluda dall'esser essa ancora mobile come un pianeta, come Giove o
la Luna, etc.: ed il signor Salviati per sua cortesia si contenterà di rispondere
a parte a parte.
Simplicio
Eccovi, per la prima, due potentissime dimostrazioni
per prova che la Terra è differentissima da i corpi celesti. Prima, i corpi che
sono generabili, corruttibili, alterabili, etc., son diversissimi da quelli che
sono ingenerabili incorruttibili, inalterabili, etc.: la Terra è generabile, corruttibile,
alterabile, etc., e i corpi celesti ingenerabili, incorruttibili, inalterabili,
etc.: adunque la Terra è diversissima da i corpi celesti. SAGR Per il primo argomento,
voi riconducete in tavola quello che ci è stato tutt'oggi ed a pena si è levato
pur ora.
Simplicio
Piano, Signore; sentite il resto, e vedrete
quanto e' sia differente da quello. Nell'altro si provò la minore a priori, ed
ora ve la voglio provare a posteriori; guardate se questo è essere il medesimo.
Provo dunque la minore, essendo la maggiore manifestissima. La sensata esperienza
ci mostra come in Terra si fanno continue generazioni, corruzioni, alterazioni,
etc., delle quali né per senso nostro, né per tradizioni o memorie de' nostri
antichi, se n'è veduta veruna in cielo; adunque il cielo è inalterabile etc.,
e la Terra alterabile etc., e però diversa dal cielo. Il secondo argomento cavo
io da un principale ed essenziale accidente; ed è questo. Quel corpo che è per
sua natura oscuro e privo di luce, è diverso da i corpi luminosi e risplendenti:
la Terra è tenebrosa e senza luce; ed i corpi celesti splendidi e pieni di luce:
adunque etc. Rispondasi a questi, per non far troppo cumulo, e poi ne addurrò
altri.
Salviati
Quanto al primo, la forza del quale voi cavate
dall'esperienza, desidero che voi piú distintamente mi produciate le alterazioni
che voi vedete farsi nella Terra e non in cielo, per le quali voi chiamate la
Terra alterabile ed il cielo no.
Simplicio
Veggo in Terra continuamente generarsi e
corrompersi erbe, piante, animali, suscitarsi venti, pioggie, tempeste, procelle,
ed in somma esser questo aspetto della Terra in una perpetua metamorfosi; niuna
delle quali mutazioni si scorge ne' corpi celesti, la costituzione e figurazione
de' quali è puntualissimamente conforme a quelle di tutte le memorie, senza esservisi
generato cosa alcuna di nuovo, né corrotto delle antiche.
Salviati
Ma, come voi vi abbiate a quietare su queste
visibili, o, per dir meglio, vedute, esperienze, è forza che voi reputiate la
China e l'America esser corpi celesti, perché sicuramente in essi non avete vedute
mai queste alterazioni che voi vedete qui in Italia, e che però, quanto alla vostra
apprensione, e' sieno inalterabili.
Simplicio
Ancorché io non abbia vedute queste alterazioni
sensatamente in quei luoghi, ce ne son però le relazioni sicure: oltre che, cum
eadem sit ratio totius et partium, essendo quei paesi parti della Terra come i
nostri, è forza che e' sieno alterabili come questi.
Salviati
E perché non l'avete voi, senza ridurvi a
dover credere all'altrui relazioni, osservate e viste da per voi con i vostri
occhi propri?
Simplicio
Perché quei paesi, oltre al non esser esposti
a gli occhi nostri, son tanto remoti che la vista nostra non potrebbe arrivare
a comprenderci simili mutazioni.
Salviati
Or vedete come da per voi medesimo avete
casualmente scoperta la fallacia del vostro argomento. Imperocché se voi dite
che le alterazioni, che si veggono in Terra appresso di noi, non le potreste,
per la troppa distanza, scorger fatte in America, molto meno le potreste vedere
nella Luna, tante centinaia di volte piú lontana: e se voi credete le alterazioni
messicane a gli avvisi venuti di là, quai rapporti vi son venuti dalla Luna a
significarvi che in lei non vi è alterazione? Adunque dal non veder voi le alterazioni
in cielo, dove, quando vi fussero, non potreste vederle per la troppa distanza,
e dal non ne aver relazione, mentre che aver non si possa, non potete arguir che
elle non vi sieno, come dal vederle e intenderle in Terra bene arguite che le
ci sono.
Simplicio
Io vi troverò delle mutazioni seguite in
Terra cosí grandi, che se di tali se ne facessero nella Luna, benissimo potrebbero
esser osservate di qua giú. Noi aviamo, per antichissime memorie, che già, allo
stretto di Gibilterra, Abile e Calpe erano continuati insieme, con altre minori
montagne le quali tenevano l'Oceano rispinto; ma essendosi, qual se ne fusse la
causa, separati i detti monti, ed aperto l'adito all'acque marine, queste scorsero
talmente in dentro, che ne formarono tutto il mare Mediterraneo: del quale se
noi considereremo la grandezza, e la diversità dell'aspetto che devon fare tra
di loro la superficie dell'acqua e quella della terra, vedute di lontano, non
ha dubbio che una tale mutazione poteva benissimo esser compresa da chi fusse
stato nella Luna, sí come da noi abitatori della Terra simili alterazioni dovrebbero
scorgersi nella Luna: ma non ci è memoria che mai si sia veduta cosa tale: adunque
non ci resta attacco da poter dire che alcuno de i corpi celesti sia alterabile
etc.
Salviati
Che mutazioni cosí vaste sieno seguite nella
Luna, io non ardirei di dirlo; ma non sono anco sicuro che non ve ne possano esser
seguite: e perché una simil mutazione non potrebbe rappresentarci altro che qualche
variazione tra le parti piú chiare e le piú oscure di essa Luna, io non so che
ci sieno stati in Terra selinografi curiosi, che per lunghissima serie di anni
ci abbiano tenuti provvisti di selinografie cosí esatte, che ci possano render
sicuri, nissuna tal mutazione esser già mai seguita nella faccia della Luna; della
figurazione della quale non trovo piú minuta descrizione, che il dire alcuno che
la rappresenta un volto umano, altri che l'è simile a un ceffo di leone, ed altri
che l'è Caino con un fascio di pruni in spalla. Adunque il dire "Il cielo è inalterabile,
perché nella Luna o in altro corpo celeste non si veggono le alterazioni che si
scorgono in Terra" non ha forza di concluder cosa alcuna.
Sagredo
Ed a me resta non so che altro scrupolo in
questo primo argomento del signor Simplicio, il quale desidero che mi sia levato.
Però io gli domando se la Terra avanti l'innondazione mediterranea era generabile
e corruttibile, o pur cominciò allora ad esser tale.
Simplicio
Era senza dubbio generabile e corruttibile
ancora avanti; ma quella fu una mutazione tanto vasta, che anche nella Luna si
sarebbe potuta osservare
Sagredo
Oh, se la Terra fu, pure avanti tale alluvione,
generabile e corruttibile, perché non può esser tale la Luna parimente senza una
simile mutazione? perché è necessario nella Luna quello che non importava nulla
nella Terra?
Salviati
Argutissima instanza. Ma io vo dubitando
che il signor Simplicio alteri un poco l'intelligenza de i testi d'Aristotile
e de gli altri Peripatetici, li quali dicano di tenere il cielo inalterabile,
perché in esso non si è veduto generare né corromper mai alcuna stella, che forse
è del cielo parte minore che una città della Terra, e pur innumerabili di queste
si son destrutte in modo che né anco i vestigii ci son rimasti.
Sagredo
Io certo stimava altramente, e credeva che
il signor Simplicio dissimulasse questa esposizione di testo per non gravare il
Maestro ed i suoi condiscepoli di una nota assai piú deforme dell'altra. E qual
vanità è il dire: "La parte celeste è inalterabile, perché in essa non si generano
e corrompono stelle"? ci è forse alcuno che abbia veduto corrompersi un globo
terrestre e rigenerarsene un altro? e non è egli ricevuto da tutti i filosofi,
che pochissime stelle sieno in cielo minori della Terra, ma bene assaissime molto
e molto maggiori? Il corrompersi dunque una stella in cielo non è minor cosa che
destruggersi tutto il globo terrestre: però, quando per poter con verità introdur
nell'universo la generazione e corruzione sia necessario che si corrompano e rigenerino
corpi cosí vasti come una stella, toglietelo pur via del tutto, perché vi assicuro
che mai non si vedrà corrompere il globo terrestre o altro corpo integrale del
mondo, sí che, essendocisi veduto per molti secoli decorsi, ei si dissolva in
maniera, che di sé non lasci vestigio alcuno.
Salviati
Ma per dar soprabbondante soddisfazione al
signor Simplicio e torlo, se è possibile, di errore, dico che noi aviamo nel nostro
secolo accidenti ed osservazioni nuove e tali, ch'io non dubito punto che se Aristotile
fusse all'età nostra, muterebbe oppinione. Il che manifestamente si raccoglie
dal suo stesso modo di filosofare: imperocché mentre egli scrive di stimare i
cieli inalterabili etc., perché nissuna cosa nuova si è veduta generarvisi o dissolversi
delle vecchie, viene implicitamente a lasciarsi intendere che quando egli avesse
veduto uno di tali accidenti, averebbe stimato il contrario ed anteposto, come
conviene, la sensata esperienza al natural discorso, perché quando e' non avesse
voluto fare stima de' sensi, non avrebbe, almeno dal non si vedere sensatamente
mutazione alcuna, argumentata l'immutabilità.
Simplicio
Aristotile fece il principal suo fondamento
sul discorso a priori, mostrando la necessità dell'inalterabilità del cielo per
i suoi principii naturali, manifesti e chiari; e la medesima stabilí doppo a posteriori,
per il senso e per le tradizioni de gli antichi.
Salviati
Cotesto, che voi dite, è il metodo col quale
egli ha scritta la sua dottrina, ma non credo già che e' sia quello col quale
egli la investigò, perché io tengo per fermo ch'e' proccurasse prima, per via
de' sensi, dell'esperienze e delle osservazioni, di assicurarsi quanto fusse possibile
della conclusione, e che doppo andasse ricercando i mezi da poterla dimostrare,
perché cosí si fa per lo piú nelle scienze dimostrative: e questo avviene perché,
quando la conclusione è vera, servendosi del metodo resolutivo, agevolmente si
incontra qualche proposizione già dimostrata, o si arriva a qualche principio
per sé noto; ma se la conclusione sia falsa, si può procedere in infinito senza
incontrar mai verità alcuna conosciuta, se già altri non incontrasse alcun impossibile
o assurdo manifesto. E non abbiate dubbio che Pitagora gran tempo avanti che e'
ritrovasse la dimostrazione per la quale fece l'ecatumbe, si era assicurato che
'l quadrato del lato opposto all'angolo retto nel triangolo rettangolo era eguale
a i quadrati de gli altri due lati; e la certezza della conclusione aiuta non
poco al ritrovamento della dimostrazione, intendendo sempre nelle scienze demostrative.
Ma fusse il progresso di Aristotile in qualsivoglia modo, sí che il discorso a
priori precedesse il senso a posteriori, o per l'opposito, assai è che il medesimo
Aristotile antepone (come piú volte s'è detto) l'esperienze sensate a tutti i
discorsi; oltre che, quanto a i discorsi a priori, già si è esaminato quanta sia
la forza loro. Or, tornando alla materia, dico che le cose scoperte ne i cieli
a i tempi nostri sono e sono state tali, che posson dare intera soddisfazione
a tutti i filosofi: imperocché e ne i corpi particolari e nell'universale espansione
del cielo si son visti e si veggono tuttavia accidenti simili a quelli che tra
di noi chiamiamo generazioni e corruzioni, essendo che da astronomi eccellenti
sono state osservate molte comete generate e disfatte in parti piú alte dell'orbe
lunare, oltre alle due stelle nuove dell'anno 1572 e del 1604, senza veruna contradizione
altissime sopra tutti i pianeti; ed in faccia dell'istesso Sole si veggono, mercé
del telescopio, produrre e dissolvere materie dense ed oscure in sembianza molto
simili alle nugole intorno alla Terra, e molte di queste sono cosí vaste, che
superano di gran lunga non solo il sino Mediterraneo, ma tutta l'Affrica e l'Asia
ancora. Ora, quando Aristotile vedesse queste cose, che credete voi, signor Simplicio,
ch'e' dicesse e facesse?.
Simplicio
Io non so quello che si facesse né dicesse
Aristotile, che era padrone delle scienze, ma so bene in parte quello che fanno
e dicono, e che conviene che facciano e dicano i suoi seguaci, per non rimaner
senza guida senza scorta e senza capo nella filosofia. Quanto alle comete, non
son eglino restati convinti quei moderni astronomi, che le volevano far celesti,
dall'Antiticone, e convinti con le loro medesime armi, dico per via di paralassi
e di calcoli rigirati in cento modi, concludendo finalmente a favor d'Aristotile
che tutte sono elementari? e spiantato questo, che era quanto fondamento avevano
i seguaci delle novità, che altro piú resta loro per sostenersi in piedi?
Salviati
Con flemma, signor Simplicio. Cotesto moderno
autore che cosa dice egli delle stelle nuove del 72 e del 604 e delle macchie
solari? perché quanto alle comete, io, quant'a me, poca difficultà farei nel porle
generate sotto o sopra la Luna, né ho mai fatto gran fondamento sopra la loquacità
di Ticone, né sento repugnanza alcuna nel poter credere che la materia loro sia
elementare, e che le possano sublimarsi quanto piace loro, senza trovare ostacoli
nell'impenetrabilità del cielo peripatetico, il quale io stimo piú tenue piú cedente
e piú sottile assai della nostra aria; e quanto a i calcoli delle paralassi, prima
il dubbio se le comete sian soggette a tale accidente, e poi l'incostanza delle
osservazioni sopra le quali son fatti i computi, mi rendono egualmente sospette
queste opinioni e quelle, e massime che mi pare che l'Antiticone talvolta accomodi
a suo modo, o metta per fallaci, quelle osservazioni che repugnano al suo disegno.
Simplicio
Quanto alle stelle nuove, l'Antiticone se
ne sbriga benissimo in quattro parole, dicendo che tali moderne stelle nuove non
son parti certe de i corpi celesti, e che bisogna che gli avversari, se voglion
provare lassú esser alterazione e generazione, dimostrino mutazioni fatte nelle
stelle descritte già tanto tempo, delle quali nissuno dubita che sieno cose celesti,
il che non possono far mai in veruna maniera. Circa poi alle materie che alcuni
dicono generarsi e dissolversi in faccia del Sole, ei non ne fa menzione alcuna;
ond'io argomento ch'e' l'abbia per una favola, o per illusioni del cannocchiale,
o al piú per affezioncelle fatte per aria, ed in somma per ogni altra cosa che
per materie celesti.
Salviati
Ma voi, signor Simplicio, che cosa vi sete
immaginato di rispondere all'opposizione di queste macchie importune, venute a
intorbidare il cielo, e piú la peripatetica filosofia? egli è forza che, come
intrepido difensor di quella, vi abbiate trovato ripiego e soluzione, della quale
non dovete defraudarci.
Simplicio
Io ho intese diverse opinioni, intorno a
questo particolare. "Chi dice che le sono stelle, che ne' loro proprii orbi, a
guisa di Venere e di Mercurio, si volgono intorno al Sole, e nel passargli sotto
si mostrano a noi oscure, e per esser moltissime, spesso accade che parte di loro
si aggreghino insieme e che poi si separino; altri le credono esser impressioni
per aria; altri, illusioni de' cristalli; ed altri, altre cose. Ma io inclino
assai a credere, anzi tengo per fermo, che le sieno un aggregato di molti e vari
corpi opachi, quasi casualmente concorrenti tra di loro: e però veggiamo spesso
che in una macchia si posson numerare dieci e piú di tali corpicelli minuti, che
sono di figure irregolari e ci si rappresentano come fiocchi di neve o di lana
o di mosche volanti; variano sito tra di loro, ed or si disgregano ed ora si congregano,
e massimamente sotto il Sole, intorno al quale, come intorno a suo centro, si
vanno movendo. Ma non però è di necessità dire che le si generino e si corrompano,
ma che alcune volte si occultano doppo il corpo del Sole, ed altre volte, benché
allontanate da quello, non si veggono per la vicinanza della smisurata luce del
Sole: imperocché nell'orbe eccentrico del Sole vi è costituita una quasi cipolla
composta di molte grossezze, una dentro all'altra, ciascheduna delle quali, essendo
tempestata di alcune piccole macchie, si muove; e benché il movimento loro da
principio sia parso inconstante ed irregolare, nulla dimeno si dice essersi ultimamente
osservato che dentro a tempi determinati ritornano le medesime macchie per l'appunto".
Questo pare a me il piú accomodato ripiego che sin qui si sia ritrovato per render
ragione di cotale apparenza, ed insieme mantenere la incorruttibilità ed ingenerabilità
del cielo; e quando questo non bastasse, non mancheranno ingegni piú elevati che
ne troveranno de gli altri migliori.
Salviati
Se questo di che si disputa fusse qualche
punto di legge o di altri studi umani, ne i quali non è né verità né falsità,
si potrebbe confidare assai nella sottigliezza dell'ingegno e nella prontezza
del dire e nella maggior pratica ne gli scrittori, e sperare che quello che eccedesse
in queste cose, fusse per far apparire e giudicar la ragion sua superiore; ma
nelle scienze naturali, le conclusioni delle quali son vere e necessarie né vi
ha che far nulla l'arbitrio umano, bisogna guardarsi di non si porre alla difesa
del falso, perché mille Demosteni e mille Aristoteli resterebbero a piede contro
ad ogni mediocre ingegno che abbia auto ventura di apprendersi al vero. Però,
signor Simplicio, toglietevi pur giú dal pensiero e dalla speranza che voi avete,
che possano esser uomini tanto piú dotti, eruditi e versati ne i libri, che non
siamo noi altri, che al dispetto della natura sieno per far divenir vero quello
che è falso. E già che tra tutte le opinioni che sono state prodotte sin qui intorno
all'essenza di queste macchie solari, questa esplicata pur ora da voi vi par la
vera, resta (se questo è) che l'altre tutte sien false; ed io, per liberarvi ancora
da questa, che pure è falsissima chimera, lasciando mill'altre improbabilità che
vi sono, due sole esperienze vi arreco in contrario. L'una è, che molte di tali
macchie si veggono nascere nel mezo del disco solare, e molte parimente dissolversi
e svanire pur lontane dalla circonferenza del Sole; argumento necessario che le
si generano e si dissolvono: ché se senza generarsi e corrompersi comparissero
quivi per solo movimento locale, tutte si vedrebbero entrare e uscire per la estrema
circonferenza. L'altra osservazione a quelli che non son costituiti nell'infimo
grado d'ignoranza di prospettiva, dalla mutazione dell'apparenti figure, e dall'apparente
mutazion di velocità di moto, si conclude necessariamente che le macchie son contigue
al corpo solare, e che, toccando la sua superficie, con essa o sopra di essa si
muovono, e che in cerchi da quello remoti in verun modo non si raggirano. Concludelo
il moto, che verso la circonferenza del disco solare apparisce tardissimo, e verso
il mezo piú veloce; concludonlo le figure delle macchie, le quali verso la circonferenza
appariscono strettissime in comparazione di quello che si mostrano nelle parti
di mezo, e questo perché nelle parti di mezo si veggono in maestà e quali elle
veramente sono, e verso la circonferenza, mediante lo sfuggimento della superficie
globosa, si mostrano in iscorcio: e l'una e l'altra diminuzione, di figura e di
moto, a chi diligentemente l'ha sapute osservare e calculare, risponde precisamente
a quello che apparir deve quando le macchie sien contigue al Sole, e discorda
inescusabilmente dal muoversi in cerchi remoti, benché per piccoli intervalli,
dal corpo solare; come diffusamente è stato dimostrato dall'amico nostro nelle
Lettere delle Macchie Solari al signor Marco Velseri. Raccogliesi dalla medesima
mutazion di figura che nissuna di esse è stella o altro corpo di figura sferica;
imperocché tra tutte le figure sola la sfera non si vede mai in iscorcio, né può
rappresentarsi mai se non perfettamente rotonda; e cosí quando alcuna delle macchie
particolari fusse un corpo rotondo, quali si stimano esser tutte le stelle, della
medesima rotondità si mostrerebbe tanto nel mezo del disco solare quanto verso
l'estremità; dove che lo scorciare tanto e mostrarsi cosí sottili verso tale estremità,
ed all'incontro spaziose e larghe verso il mezo, ci rende sicuri quelle esser
falde di poca profondità o grossezza rispetto alla lunghezza e larghezza loro.
Che poi si sia osservato ultimamente che le macchie doppo suoi determinati periodi
ritornino le medesime per l'appunto, non lo crediate, signor Simplicio, e chi
ve l'ha detto vi vuole ingannare; e che ciò sia, guardate che ei vi ha taciuto
quelle che si generano e quelle che si dissolvono nella faccia del Sole, lontano
dalla circonferenza; né vi ha anco detto parola di quello scorciare, che è argomento
necessario dell'esser contigue al Sole. Quello che ci è del ritorno delle medesime
macchie, non è altro che quel che pur si legge nelle sopraddette Lettere, cioè
che alcune di esse può esser talvolta che siano di cosí lunga durata, che non
si disfacciano per una sola conversione intorno al Sole, la quale si spedisce
in meno di un mese.
Simplicio
Io, per dire il vero, non ho fatto né sí
lunghe né sí diligenti osservazioni, che mi possano bastare a esser ben padrone
del quod est di questa materia; ma voglio in ogni modo farle, e poi provarmi io
ancora se mi sucedesse concordare quel che ci porge l'esperienza con quel che
ci dimostra Aristotile, perché chiara cosa è che due veri non si posson contrariare.
Salviati
Tuttavolta che voi vogliate accordar quel
che vi mostrerà il senso con le piú salde dottrine d'Aristotile, non ci averete
una fatica al mondo. E che ciò sia vero, Aristotile non dic'egli che delle cose
del cielo, mediante la gran lontananza, non se ne può molto resolutamente trattare?
Simplicio
Dicelo apertamente.
Salviati
Il medesimo non afferm'egli che quello che
l'esperienza e il senso ci dimostra, si deve anteporre ad ogni discorso, ancorché
ne paresse assai ben fondato? e questo non lo dic'egli resolutamente e senza punto
titubare?
Simplicio
Dicelo.
Salviati
Adunque di queste due proposizioni, che sono
ambedue dottrina d'Aristotile, questa seconda, che dice che bisogna anteporre
il senso al discorso, è dottrina molto piú ferma e risoluta che l'altra, che stima
il cielo inalterabile; e però piú aristotelicamente filosoferete dicendo: "Il
cielo è alterabile, perché cosí mi mostra il senso", che se direte: "Il cielo
è inalterabile, perché cosí persuade il discorso ad Aristotile". Aggiugnete che
noi possiamo molto meglio di Aristotile discorrer delle cose del cielo, perché,
confessando egli cotal cognizione esser a lui difficile per la lontananza da i
sensi, viene a concedere che quello a chi i sensi meglio lo potessero rappresentare,
con sicureza maggiore potrebbe intorno ad esso filosofare: ora noi, mercé del
telescopio, ce lo siam fatto vicino trenta e quaranta volte piú che vicino non
era ad Aristotile, sí che possiamo scorgere in esso cento cose che egli non potette
vedere, e tra le altre queste macchie nel Sole, che assolutamente ad esso furono
invisibili: adunque del cielo e del Sole piú sicuramente possiamo noi trattare
che Aristotile.
Sagredo
Io sono nel cuore al signor Simplicio, e
veggo che e' si sente muovere assai dalla forza di queste pur troppo concludenti
ragioni; ma, dall'altra banda, il vedere la grande autorità che si è acquistata
Aristotile appresso l'universale, il considerare il numero de gli interpreti famosi
che si sono affaticati per esplicare i suoi sensi, il vedere altre scienze, tanto
utili e necessarie al publico, fondar gran parte della stima e reputazion loro
sopra il credito d'Aristotile, lo confonde e spaventa assai; e me lo par sentir
dire: "E a chi si ha da ricorrere per definire le nostre controversie, levato
che fusse di seggio Aristotile? qual altro autore si ha da seguitare nelle scuole,
nelle accademie, nelli studi? qual filosofo ha scritto tutte le parti della natural
filosofia, e tanto ordinatamente, senza lasciar indietro pur una particolar conclusione?
adunque si deve desolar quella fabbrica, sotto la quale si ricuoprono tanti viatori?
si deve destrugger quell'asilo, quel Pritaneo, dove tanto agiatamente si ricoverano
tanti studiosi, dove, senza esporsi all'ingiurie dell'aria, col solo rivoltar
poche carte, si acquistano tutte le cognizioni della natura? si ha da spiantar
quel propugnacolo, dove contro ad ogni nimico assalto in sicurezza si dimora?"
Io gli compatisco, non meno che a quel signore che, con gran tempo, con spesa
immensa, con l'opera di cento e cento artefici, fabbricò nobilissimo palazzo,
e poi lo vegga, per esser stato mal fondato, minacciar rovina, e che, per non
vedere con tanto cordoglio disfatte le mura di tante vaghe pitture adornate, cadute
le colonne sostegni delle superbe logge, caduti i palchi dorati, rovinati gli
stipiti, i frontespizi e le cornici marmoree con tanta spesa condotte, cerchi
con catene, puntelli, contrafforti, barbacani e sorgozzoni di riparare alla rovina.
Salviati
Eh non tema già il signor Simplicio di simil
cadute; io con sua assai minore spesa torrei ad assicurarlo del danno. Non ci
è pericolo che una moltitudine sí grande di filosofi accorti e sagaci si lasci
sopraffare da uno o dua, che faccino un poco di strepito; anzi non pure col voltargli
contro le punte delle lor penne, ma col solo silenzio, gli metteranno in disprezzo
e derisione appresso l'universale. Vanissimo è il pensiero di chi credesse introdur
nuova filosofia col reprovar questo o quello autore: bisogna prima imparare a
rifar i cervelli degli uomini, e rendergli atti a distinguere il vero dal falso,
cosa che solo Dio la può fare. Ma d'un ragionamento in un altro dove siamo noi
trascorsi? io non saprei ritornare in su la traccia, senza la scorta della vostra
memoria.
Simplicio
Me ne ricordo io benissimo. Eramo intorno
alle risposte dell'Antiticone all'obbiezioni contro all'immutabilità del cielo,
tra le quali voi inseriste questa delle macchie solari, non toccata da lui; e
credo che voi voleste considerar la sua risposta all'instanza delle stelle nuove.
Salviati
Or mi sovviene il restante; e seguitando
la materia, parmi che nella risposta dell'Antiticone sieno alcune cose degne di
riprensione. E prima, se le due stelle nuove, le quali e' non può far di manco
di non por nelle parti altissime del cielo, e che furono di lunga durata e finalmente
svanirono, non gli danno fastidio nel mantener l'inalterabilità del cielo, per
non esser loro parti certe di quello né mutazioni fatte nelle stelle antiche,
a che proposito mettersi con tanta ansietà ed affanno contro le comete, per bandirle
in ogni maniera dalle regioni celesti? non bastav'egli il poter dir di loro quel
medesimo che delle stelle nuove? cioè che per non esser parti certe del cielo
né mutazioni fatte in alcuna delle sue stelle, nessun progiudizio portano né al
cielo né alla dottrina d'Aristotile? Secondariamente, io non resto ben capace
dell'interno dell'animo suo, mentre che e' confessa che le alterazioni che si
facessero nelle stelle sarebber destruttrici delle prerogative del cielo, cioè
dell'incorruttibilità etc., e questo, perché le stelle son cose celesti, come
per il concorde consenso di tutti è manifesto; ed all'incontro, niente lo perturba,
quando le medesime alterazioni si facessero fuori delle stelle, nel resto della
celeste espansione. Stim'egli forse che il cielo non sia cosa celeste? io per
me credeva che le stelle si chiamassero cose celesti mediante l'esser nel cielo
o l'esser fatte della materia del cielo, e che però il cielo fusse piú celeste
di loro, in quella guisa che non si può dire alcuna cosa esser piú terrestre o
piú ignea della terra o del fuoco stesso. Il non aver poi fatto menzione delle
macchie solari, delle quali è stato dimostrato concludentemente prodursi e dissolversi
ed esser prossime al corpo solare e con esso o intorno ad esso raggirarsi, mi
dà grand'indizio che possa esser che questo autore scriva piú tosto a compiacenza
di altri che a soddisfazion propria; e questo dico, perché, dimostrandosi egli
intelligente delle matematiche, è impossibile ch'ei non resti persuaso dalle dimostrazioni,
che tali materie sono necessariamente contigue al corpo solare, e sono generazioni
e corruzioni tanto grandi, che nissuna cosí grande se ne fa mai in Terra: e se
tali e tante e sí frequenti se ne fanno nell'istesso globo del Sole, che ragionevolmente
può stimarsi delle piú nobili parti del cielo, qual ragione resterà potente a
dissuaderci che altre ne possano accadere ne gli altri globi?
Sagredo
Io non posso senza grande ammirazione, e
dirò gran repugnanza al mio intelletto, sentir attribuir per gran nobiltà e perfezione
a i corpi naturali ed integranti dell'universo questo esser impassibile, immutabile,
inalterabile etc., ed all'incontro stimar grande imperfezione l'esser alterabile,
generabile, mutabile, etc.: io per me reputo la Terra nobilissima ed ammirabile
per le tante e sí diverse alterazioni, mutazioni, generazioni, etc., che in lei
incessabilmente si fanno; e quando, senza esser suggetta ad alcuna mutazione,
ella fusse tutta una vasta solitudine d'arena o una massa di diaspro, o che al
tempo del diluvio diacciandosi l'acque che la coprivano fusse restata un globo
immenso di cristallo, dove mai non nascesse né si alterasse o si mutasse cosa
veruna, io la stimerei un corpaccio inutile al mondo, pieno di ozio e, per dirla
in breve, superfluo e come se non fusse in natura, e quella stessa differenza
ci farei che è tra l'animal vivo e il morto; ed il medesimo dico della Luna, di
Giove e di tutti gli altri globi mondani. Ma quanto piú m'interno in considerar
la vanità de i discorsi popolari, tanto piú gli trovo leggieri e stolti. E qual
maggior sciocchezza si può immaginar di quella che chiama cose preziose le gemme,
l'argento e l'oro, e vilissime la terra e il fango? e come non sovviene a questi
tali, che quando fusse tanta scarsità della terra quanta è delle gioie o de i
metalli piú pregiati, non sarebbe principe alcuno che volentieri non ispendesse
una soma di diamanti e di rubini e quattro carrate di oro per aver solamente tanta
terra quanta bastasse per piantare in un picciol vaso un gelsomino o seminarvi
un arancino della Cina, per vederlo nascere, crescere e produrre sí belle frondi,
fiori cosí odorosi e sí gentil frutti? È, dunque, la penuria e l'abbondanza quella
che mette in prezzo ed avvilisce le cose appresso il volgo, il quale dirà poi
quello essere un bellissimo diamante, perché assimiglia l'acqua pura, e poi non
lo cambierebbe con dieci botti d'acqua. Questi che esaltano tanto l'incorruttibilità,
l'inalterabilità, etc., credo che si riduchino a dir queste cose per il desiderio
grande di campare assai e per il terrore che hanno della morte; e non considerano
che quando gli uomini fussero immortali, a loro non toccava a venire al mondo.
Questi meriterebbero d'incontrarsi in un capo di Medusa, che gli trasmutasse in
istatue di diaspro o di diamante, per diventar piú perfetti che non sono.
Salviati
E forse anco una tal metamorfosi non sarebbe
se non con qualche lor vantaggio; ché meglio credo io che sia il non discorrere,
che discorrere a rovescio.
Simplicio
E' non è dubbio alcuno che la Terra è molto
piú perfetta essendo, come ella è, alterabile, mutabile, etc., che se la fusse
una massa di pietra, quando ben anco fusse un intero diamante, durissimo ed impassibile.
Ma quanto queste condizioni arrecano di nobiltà alla Terra, altrettanto renderebbero
i corpi celesti piú imperfetti, ne i quali esse sarebbero superflue, essendo che
i corpi celesti, cioè il Sole, la Luna e l'altre stelle, che non sono ordinati
ad altro uso che al servizio della Terra, non hanno bisogno d'altro per conseguire
il lor fine, che del moto e del lume.
Sagredo
Adunque la natura ha prodotti ed indrizzati
tanti vastissimi, perfettissimi e nobilissimi corpi celesti, impassibili, immortali,
divini, non ad altro uso che al servizio della Terra, passibile, caduca e mortale?
al servizio di quello che voi chiamate la feccia del mondo, la sentina di tutte
le immondizie? e a che proposito far i corpi celesti immortali etc., per servire
a uno caduco etc.? Tolto via questo uso di servire alla Terra, l'innumerabile
schiera di tutti i corpi celesti resta del tutto inutile e superflua, già che
non hanno, né possono avere, alcuna scambievole operazione fra di loro, poiché
tutti sono inalterabili, immutabili, impassibili: ché se, verbigrazia, la Luna
è impassibile, che volete che il Sole o altra stella operi in lei? sarà senz'alcun
dubbio operazione minore assai che quella di chi con la vista o col pensiero volesse
liquefare una gran massa d'oro. In oltre, a me pare che mentre che i corpi celesti
concorrano alle generazioni ed alterazioni della Terra, sia forza che essi ancora
sieno alterabili; altramente non so intendere che l'applicazione della Luna o
del Sole alla Terra per far le generazioni fusse altro che mettere a canto alla
sposa una statua di marmo, e da tal congiugnimento stare attendendo prole.
Simplicio
La corruttibilità, l'alterazione, la mutazione
etc. non son nell'intero globo terrestre, il quale quanto alla sua integrità è
non meno eterno che il Sole o la Luna, ma è generabile e corruttibile quanto alle
sue parti esterne; ma è ben vero che in esse la generazione e corruzione son perpetue,
e come tali ricercano l'operazioni celesti eterne; e però è necessario che i corpi
celesti sieno eterni.
Sagredo
Tutto cammina bene; ma se all'eternità dell'intero
globo terrestre non è punto progiudiziale la corruttibilità delle parti superficiali,
anzi questo esser generabile, corruttibile, alterabile etc. gli arreca grand'ornamento
e perfezione, perché non potete e dovete voi ammetter alterazioni, generazioni
etc. parimente nelle parti esterne de i globi celesti, aggiugnendo loro ornamento,
senza diminuirgli perfezione o levargli l'azioni, anzi accrescendogliele, col
far che non solo sopra la Terra, ma che scambievolmente fra di loro tutti operino,
e la Terra ancora verso di loro?
Simplicio
Questo non può essere, perché le generazioni,
mutazioni etc. che si facesser, verbigrazia, nella Luna, sarebber inutili e vane,
et natura nihil frustra facit.
Sagredo
E perché sarebbero elleno inutili e vane?
Simplicio
Perché noi chiaramente veggiamo e tocchiamo
con mano, che tutte le generazioni, mutazioni, etc., che si fanno in Terra, tutte,
o mediatamente o immediatamente, sono indrizzate all'uso, al comodo ed al benefizio
dell'uomo; per comodo de gli uomini nascono i cavalli, per nutrimento de' cavalli
produce la Terra il fieno, e le nugole l'adacquano; per comodo e nutrimento de
gli uomini nascono le erbe, le biade, i frutti, le fiere, gli uccelli, i pesci;
ed in somma, se noi anderemo diligentemente esaminando e risolvendo tutte queste
cose, troveremo, il fine al quale tutte sono indrizzate esser il bisogno, l'utile,
il comodo e il diletto de gli uomini. Or di quale uso potrebber esser mai al genere
umano le generazioni che si facessero nella Luna o in altro pianeta? se già voi
non voleste dire che nella Luna ancora fussero uomini, che godesser de' suoi frutti;
pensiero, o favoloso, o empio.
Sagredo
Che nella Luna o in altro pianeta si generino
o erbe o piante o animali simili a i nostri, o vi si facciano pioggie, venti,
tuoni, come intorno alla Terra, io non lo so e non lo credo, e molto meno che
ella sia abitata da uomini: ma non intendo già come tuttavolta che non vi si generino
cose simili alle nostre, si deva di necessità concludere che niuna alterazione
vi si faccia, né vi possano essere altre cose che si mutino, si generino e si
dissolvano, non solamente diverse dalle nostre, ma lontanissime dalla nostra immaginazione,
ed in somma del tutto a noi inescogitabili. E sí come io son sicuro che a uno
nato e nutrito in una selva immensa, tra fiere ed uccelli, e che non avesse cognizione
alcuna dell'elemento dell'acqua, mai non gli potrebbe cadere nell'immaginazione
essere in natura un altro mondo diverso dalla Terra, pieno di animali li quali
senza gambe e senza ale velocemente camminano, e non sopra la superficie solamente,
come le fiere sopra la terra, ma per entro tutta la profondità, e non solamente
camminano, ma dovunque piace loro immobilmente si fermano, cosa che non posson
fare gli uccelli per aria, e che quivi di piú abitano ancora uomini, e vi fabbricano
palazzi e città, ed hanno tanta comodità nel viaggiare, che senza niuna fatica
vanno con tutta la famiglia e con la casa e con le città intere in lontanissimi
paesi; sí come, dico, io son sicuro che un tale, ancorché di perspicacissima immaginazione,
non si potrebbe già mai figurare i pesci, l'oceano, le navi, le flotte e le armate
di mare; cosí e molto piú, può accadere che nella Luna, per tanto intervallo remota
da noi e di materia per avventura molto diversa dalla Terra, sieno sustanze e
si facciano operazioni non solamente lontane, ma del tutto fuori, d'ogni nostra
immaginazione, come quelle che non abbiano similitudine alcuna con le nostre,
e perciò del tutto inescogitabili, avvengaché quello che noi ci immaginiamo bisogna
che sia o una delle cose già vedute, o un composto di cose o di parti delle cose
altra volta vedute; ché tali sono le sfingi, le sirene, le chimere, i centauri,
etc.
Salviati
Io son molte volte andato fantasticando sopra
queste cose, e finalmente mi pare di poter ritrovar bene alcune delle cose che
non sieno né possan esser nella Luna, ma non già veruna di quelle che io creda
che vi sieno e possano essere, se non con una larghissima generalità, cioè cose
che l'adornino, operando e movendo e vivendo e, forse con modo diversissimo dal
nostro, veggendo ed ammirando la grandezza e bellezza del mondo e del suo Facitore
e Rettore, e con encomii continui cantando la Sua gloria, ed in somma (che è quello
che io intendo) facendo quello tanto frequentemente da gli scrittor sacri affermato,
cioè una perpetua occupazione di tutte le creature in laudare Iddio.
Sagredo
Queste sono delle cose che, generalissimamente
parlando, vi possono essere; ma io sentirei volentieri ricordar di quelle che
ella crede che non vi sieno né possano essere, le quali è forza che piú particolarmente
si possano nominare.
Salviati
Avvertite, signor Sagredo, che questa sarà
la terza volta che noi cosí di passo in passo, non ce n'accorgendo, ci saremo
deviati dal nostro principale instituto, e che tardi verremo a capo de' nostri
ragionamenti, facendo digressioni; però se vogliamo differir questo discorso tra
gli altri che siam convenuti rimettere ad una particolar sessione, sarà forse
ben fatto.
Sagredo
Di grazia, già che siamo nella Luna, spediamoci
dalle cose che appartengono a lei, per non avere a fare un'altra volta un sí lungo
cammino.
Salviati
Sia come vi piace. E per cominciar dalle
cose piú generali, io credo che il globo lunare sia differente assai dal terrestre,
ancorché in alcune cose si veggano delle conformità: dirò le conformità, e poi
le diversità. Conforme è sicuramente la Luna alla Terra nella figura, la quale
indubitabilmente è sferica, come di necessità si conclude dal vedersi il suo disco
perfettamente circolare, e dalla maniera del ricevere il lume del Sole, dal quale,
se la superficie sua fusse piana, verrebbe tutta nell'istesso tempo vestita, e
parimente poi tutta, pur in un istesso momento, spogliata di luce, e non prima
le parti che riguardano verso il Sole e successivamente le seguenti, sí che giunta
all'opposizione, e non prima, resta tutto l'apparente disco illustrato; di che,
all'incontro, accaderebbe tutto l'opposito, quando la sua visibil superficie fusse
concava, cioè la illuminazione comincierebbe dalle parti avverse al Sole. Secondariamente,
ella è, come la Terra, per se stessa oscura ed opaca, per la quale opacità è atta
a ricevere ed a ripercuotere il lume del Sole, il che, quando ella non fusse tale,
far non potrebbe. Terzo, io tengo la sua materia densissima e solidissima non
meno della Terra; di che mi è argomento assai chiaro l'esser la sua superficie
per la maggior parte ineguale, per le molte eminenze e cavità che vi si scorgono
mercé del telescopio: delle quali eminenze ve ne son molte in tutto e per tutto
simili alle nostre piú aspre e scoscese montagne, e vi se ne scorgono alcune tirate
e continuazioni lunghe di centinaia di miglia; altre sono in gruppi piú raccolti,
e sonvi ancora molti scogli staccati e solitari, ripidi assai e dirupati; ma quello
di che vi è maggior frequenza, sono alcuni argini (userò questo nome, per non
me ne sovvenir altro che piú gli rappresenti) assai rilevati, li quali racchiudono
e circondano pianure di diverse grandezze, e formano varie figure, ma la maggior
parte circolari, molte delle quali hanno nel mezo un monte rilevato assai, ed
alcune poche son ripiene di materia alquanto oscura, cioè simile a quella delle
gran macchie che si veggon con l'occhio libero, e queste sono delle maggiori piazze;
il numero poi delle minori e minori è grandissimo, e pur quasi tutte circolari.
Quarto, sí come la superficie del nostro globo è distinta in due massime parti,
cioè nella terrestre e nell'acquatica, cosí nel disco lunare veggiamo una distinzion
magna di alcuni gran campi piú risplendenti e di altri meno; all'aspetto de i
quali credo che sarebbe quello della Terra assai simigliante, a chi dalla Luna
o da altra simile lontananza la potesse vedere illustrata dal Sole, ed apparirebbe
la superficie del mare piú oscura, e piú chiara quella della terra. Quinto, sí
come noi dalla Terra veggiamo la Luna or tutta luminosa, or meza, or piú, or meno,
talor falcata, e talvolta ci resta del tutto invisibile, cioè quando è sotto i
raggi solari, sí che la parte che riguarda la Terra resta tenebrosa; cosí appunto
si vedrebbe dalla Luna, coll'istesso periodo a capello e sotto le medesime mutazioni
di figure, l'illuminazione fatta dal Sole sopra la faccia della Terra. Sesto...
Sagredo
Piano un poco, signor Salviati. Che l'illuminazione
della Terra, quanto alle diverse figure, si rappresentasse, a chi fusse nella
Luna, simile in tutto a quello che noi scorgiamo nella Luna, l'intendo io benissimo;
ma non resto già capace, come ella si mostrasse fatta coll'istesso periodo, avvenga
che quello che fa l'illuminazion del Sole nella superficie lunare in un mese,
lo fa nella terrestre in ventiquattr'ore.
Salviati
È vero che l'effetto del Sole, circa l'illuminar
questi due corpi e ricercar col suo splendore tutta la lor superficie, si spedisce
nella Terra in un giorno naturale, e nella Luna in un mese; ma non da questo solo
depende la variazione delle figure, sotto le quali dalla Luna si vedrebbero le
parti illuminate della terrestre superficie, ma da i diversi aspetti che la Luna
va mutando col Sole: sì che quando, verbigrazia, la Luna seguitasse puntualmente
il moto del Sole, e stesse per caso sempre linearmente tra esso e la Terra in
quell'aspetto che noi diciamo di congiunzione, vedendo ella sempre il medesimo
emisferio della Terra che vedrebbe il Sole, lo vedrebbe perpetuamente tutto lucido;
come, per l'opposito, quando ella restasse sempre all'opposizione del Sole, non
vedrebbe mai la Terra, della quale sarebbe continuamente volta verso la Luna la
parte tenebrosa, e perciò invisibile; ma quando la Luna è alla quadratura del
Sole, dell'emisfero terrestre esposto alla vista della Luna quella metà che è
verso il Sole è luminosa, e l'altra verso l'opposto del Sole è oscura, e però
la parte della Terra illuminata si rappresenterebbe alla Luna sotto figura di
mezo cerchio.
Sagredo
Resto capacissimo del tutto; ed intendo già
benissimo che partendosi la Luna dall'opposizione del Sole, di dove ella non vedeva
niente dell'illuminato della terrestre superficie, e venendo di giorno in giorno
verso il Sole, incomincia a poco a poco a scoprir qualche particella della faccia
della Terra illuminata, e questa vede ella in figura di sottil falce, per esser
la Terra rotonda; ed acquistando pur la Luna col suo movimento di dí in dí maggior
vicinità al Sole, viene scoprendo piú e piú sempre dell'emisfero terrestre illuminato,
sí che alla quadratura ne scuopre la metà giusto, sí come noi di lei veggiamo
altrettanto; continuando poi di venir verso la congiunzione, scuopre successivamente
parte maggiore della superficie illuminata, e finalmente nella congiunzione vede
l'intero emisferio tutto luminoso. Ed in somma comprendo benissimo che quello
che accade a gli abitatori della Terra, nel veder le varietà della Luna, accaderebbe
a chi fusse nella Luna nel veder la Terra, ma con ordine contrario: cioè che quando
la Luna è a noi piena ed all'opposizion del Sole, a loro la Terra sarebbe alla
congiunzion col Sole e del tutto oscura ed invisibile; all'incontro, quello stato
che a noi è congiunzion della Luna col Sole, e però Luna silente e non veduta,
là sarebbe opposizion della Terra al Sole, e per cosí dire Terra piena, cioè tutta
luminosa; e finalmente quanta parte a noi, di tempo in tempo, si mostra della
superficie lunare illuminata, tanto dalla Luna si vedrebbe esser nell'istesso
tempo la parte della Terra oscura, e quanto a noi resta della Luna privo di lume,
tanto alla Luna è l'illuminato della Terra; sí che solo nelle quadrature questi
veggono mezo cerchio della Luna luminoso, e quelli altrettanto della Terra. In
una cosa mi par che differiscano queste scambievoli operazioni: ed è che, dato
e non concesso che nella Luna fusse chi di là potesse rimirar la Terra, vedrebbe
ogni giorno tutta la superficie terrestre, mediante il moto di essa Luna intorno
alla Terra in ventiquattro o venticinque ore; ma noi non veggiamo mai altro che
la metà della Luna, poiché ella non si rivolge in se stessa, come bisognerebbe
per potercisi tutta mostrare.
Salviati
Purché questo non accaggia per il contrario,
cioè che il rigirarsi ella in se stessa sia cagione che noi non veggiamo mai l'altra
metà; ché cosí sarebbe necessario che fusse, quando ella avesse l'epiciclo. Ma
dove lasciate voi un'altra differenza, in contraccambio di questa avvertita da
voi?
Sagredo
E qual è? ché altra per ora non mi vien in
mente.
Salviati
È che, se la Terra (come bene avete notato)
non vede altro che la metà della Luna, dove che dalla Luna vien vista tutta la
Terra, all'incontro tutta la Terra vede la Luna, ma della Luna solo la metà vede
la Terra; perché gli abitatori, per cosí dire, dell'emisfero superiore della Luna,
che a noi è invisibile, son privi della vista della Terra, e questi son forse
gli antictoni. Ma qui mi sovvien ora d'un particolare accidente, nuovamente osservato
dal nostro Accademico nella Luna, per il quale si raccolgono due conseguenze necessarie:
l'una è, che noi veggiamo qualche cosa di piú della metà della Luna, e l'altra
è, che il moto della Luna ha giustamente relazione al centro della Terra: e l'accidente
e l'osservazione è tale. Quando la Luna abbia una corrispondenza e natural simpatia
con la Terra, verso la quale con una tal sua determinata parte ella riguardi,
è necessario che la linea retta che congiugne i lor centri passi sempre per l'istesso
punto della superficie della Luna, tal che quello che dal centro della Terra la
rimirasse, vedrebbe sempre l'istesso disco della Luna, puntualmente terminato
da una medesima circonferenza: ma di uno costituito sopra la superficie terrestre,
il raggio che dall'occhio suo andasse sino al centro del globo lunare non passerebbe
per l'istesso punto della superficie di quella per il quale passa la linea tirata
dal centro della Terra a quel della Luna, se non quando ella gli fusse verticale;
ma posta la Luna in oriente o in occidente, il punto dell'incidenza del raggio
visuale resta superiore a quel della linea che congiugne i centri, e però si scuopre
qualche parte dell'emisferio lunare verso la circonferenza di sopra, e si nasconde
altrettanto dalla parte di sotto; si scuopre, dico, e si nasconde rispetto all'emisfero
che si vedrebbe dal vero centro della Terra: e perché la parte della circonferenza
della Luna che è superiore nel nascere, è inferiore nel tramontare, però assai
notabile dovrà farsi la differenza dell'aspetto di esse parti superiore e inferiore,
scoprendosi ora, ed ora ascondendosi, delle macchie o altre cose notabili di esse
parti. Una simil variazione dovrebbe scorgersi ancora verso l'estremità boreale
ed australe del medesimo disco, secondo che la Luna si trova in questo o in quel
ventre del suo dragone; perché, quando ella è settentrionale, alcuna delle sue
parti verso settentrione ci si nasconde, e si scuopre delle australi, e per l'opposito.
Ora, che queste conseguenze si verifichino in fatto, il telescopio ce ne rende
certi. Imperocché sono nella Luna due macchie particolari, una delle quali, quando
la Luna è nel meridiano, guarda verso maestro, e l'altra gli è quasi diametralmente
opposta, e la prima è visibile anco senza il telescopio, ma non già l'altra: è
la maestrale una macchietta ovata, divisa dall'altre grandissime; l'opposta è
minore, e parimente separata dalle grandissime, e situata in campo assai chiaro:
in amendue queste si osservano molto manifestamente le variazioni già dette, e
veggonsi contrariamente l'una dall'altra, ora vicine al limbo del disco lunare,
ed ora allontanate, con differenza tale, che l'intervallo tra la maestrale e la
circonferenza del disco è piú che il doppio maggiore una volta che l'altra; e
quanto all'altra macchia (perché l'è piú vicina alla circonferenza), tal mutazione
importa piú che il triplo da una volta all'altra. Di qui è manifesto, la Luna,
come allettata da virtú magnetica, constantemente riguardare con una sua faccia
il globo terrestre, né da quello divertir mai.
Sagredo
E quando si ha a por termine alle nuove osservazioni
e scoprimenti di questo ammirabile strumento?
Salviati
Se i progressi di questa son per andar secondo
quelli di altre invenzioni grandi, è da sperare che col progresso del tempo si
sia per arrivar a veder cose a noi per ora inimmaginabili. Ma tornando al nostro
primo discorso, dico, per la sesta congruenza tra la Luna e la Terra, che, sí
come la Luna gran parte del tempo supplisce al mancamento del lume del Sole e
ci rende, con la reflessione del suo, le notti assai chiare, cosí la Terra ad
essa in ricompensa rende, quando ella n'è piú bisognosa, col refletterle i raggi
solari, una molto gagliarda illuminazione, e tanto, per mio parere, maggior di
quella che a noi vien da lei, quanto la superficie della Terra è piú grande di
quella della Luna.
Sagredo
Non piú, non piú, signor Salviati; lasciatemi
il gusto di mostrarvi come a questo primo cenno ho penetrato la causa di un accidente
al quale mille volte ho pensato, né mai l'ho potuto penetrare. Voi volete dire
che certa luce abbagliata che si vede nella Luna, massimamente quando l'è falcata,
viene dal reflesso del lume del Sole nella superficie della terra e del mare:
e piú si vede tal lume chiaro, quanto la falce è piú sottile, perché allora maggiore
è la parte luminosa della Terra che dalla Luna è veduta, conforme a quello che
poco fa si concluse, cioè che sempre tanta è la parte luminosa della Terra che
si mostra alla Luna, quanta l'oscura della Luna che guarda verso la Terra; onde
quando la Luna è sottilmente falcata, ed in conseguenza grande è la sua parte
tenebrosa, grande è la parte illuminata della Terra, veduta dalla Luna, e tanto
piú potente la reflession del lume.
Salviati
Questo è puntualmente quello ch'io voleva
dire. In somma, gran dolcezza è il parlar con persone giudiziose e di buona apprensiva,
e massime quando altri va passeggiando e discorrendo tra i veri. Io mi son piú
volte incontrato in cervelli tanto duri, che, per mille volte che io abbia loro
replicato questo che voi avete subito per voi medesimo penetrato, mai non è stato
possibile che e' l'apprendano.
Simplicio
Se voi volete dire di non averlo potuto persuadere
loro sí che e' l'intendino, io molto me ne maraviglio, e son sicuro che non l'intendendo
dalla vostra esplicazione, non l'intenderanno forse per quella di altri, parendomi
la vostra espressiva molto chiara; ma se voi intendete di non gli aver persuasi
sí che e' lo credano, di questo non mi maraviglio punto, perché io stesso confesso
di esser un di quelli che intendono i vostri discorsi, ma non vi si quietano,
anzi mi restano, in questa e in parte dell'altre sei congruenze, molte difficultà,
le quali promoverò quando avrete finito di raccontarle tutte.
Salviati
Il desiderio che ho di ritrovar qualche verità,
nel quale acquisto assai mi possono aiutare le obbiezioni di uomini intelligenti,
qual sete voi, mi farà esser brevissimo nello spedirmi da quel che ci resta. Sia
dunque la settima congruenza il rispondersi reciprocamente non meno alle offese
che a i favori: onde la Luna, che bene spesso nel colmo della sua illuminazione,
per l'interposizion della Terra tra sé e il Sole, vien privata di luce ed ecclissata,
cosí essa ancora, per suo riscatto, si interpone tra la Terra e il Sole, e con
l'ombra sua oscura la Terra; e se ben la vendetta non è pari all'offesa, perché
bene spesso la Luna rimane, ed anco per assai lungo tempo, immersa totalmente
nell'ombra della Terra, ma non già mai tutta la Terra, né per lungo spazio di
tempo, resta oscurata dalla Luna, tuttavia, avendosi riguardo alla picciolezza
del corpo di questa in comparazion della grandezza di quello, non si può dir se
non che il valore, in un certo modo, dell'animo sia grandissimo. Questo è quanto
alle congruenze. Seguirebbe ora il discorrer circa le disparità; ma perché il
signor Simplicio ci vuol favorire de i dubbi contro di quelle, sarà bene sentirgli
e ponderargli, prima che passare avanti.
Sagredo
Sí, perché è credibile che il signor Simplicio
non sia per aver repugnanze intorno alle disparità e differenze tra la Terra e
la Luna, già che egli stima le lor sustanze diversissime.
Simplicio
Delle congruenze recitate da voi nel far
parallelo tra la Terra e la Luna, non sento di poter ammetter senza repugnanza
se non la prima e due altre. Ammetto la prima, cioè la figura sferica, se bene
anco in questa vi è non so che, stimando io quella della Luna esser pulitissima
e tersa come uno specchio, dove che questa della Terra tocchiamo con mano esser
scabrosissima ed aspra, ma questa, attenente all'inegualità della superficie,
va considerata in un'altra delle congruenze arrecate da voi; però mi riserbo a
dirne quanto mi occorre nella considerazione di quella. Che la Luna sia poi, come
voi dite nella seconda congruenza, opaca ed oscura per se stessa, come la Terra,
io non ammetto se non il primo attributo della opacità, del che mi assicurano
gli eclissi solari; ché quando la Luna fusse trasparente, l'aria nella totale
oscurazione del Sole non resterebbe cosí tenebrosa come ella resta, ma per la
trasparenza del corpo lunare trapasserebbe una luce refratta, come veggiamo farsi
per le piú dense nugole. Ma quanto all'oscurità, io non credo che la Luna sia
del tutto priva di luce, come la Terra, anzi quella chiarezza che si scorge nel
resto del suo disco, oltre alle sottili corna illustrate dal Sole, reputo che
sia suo proprio e natural lume, e non un reflesso della Terra, la quale io stimo
impotente, per la sua somma asprezza ed oscurità, a reflettere i raggi del Sole.
Nel terzo parallelo convengo con voi in una parte, e nell'altra dissento; convengo
nel giudicar il corpo della Luna solidissimo e duro, come la Terra, anzi piú assai,
perché se da Aristotile noi caviamo che il cielo sia di durezza impenetrabile,
e le stelle parti piú dense del cielo, è ben necessario che le siano saldissime
ed impenetrabilissime.
Sagredo
Che bella materia sarebbe quella del cielo
per fabbricar palazzi, chi ne potesse avere, cosí dura e tanto trasparente!
Salviati
Anzi pessima, perché sendo, per la somma
trasparenza, del tutto invisibile, non si potrebbe, senza gran pericolo di urtar
negli stipiti e spezzarsi il capo, camminar per le stanze.
Sagredo
Cotesto pericolo non si correrebbe egli,
se è vero, come dicono alcuni Peripatetici, che la sia intangibile; e se la non
si può toccare, molto meno si potrebbe urtare.
Salviati
Di niuno sollevamento sarebbe cotesto; conciosiaché,
se ben la materia celeste non può esser toccata, perché manca delle tangibili
qualità, può ben ella toccare i corpi elementari; e per offenderci, tanto è che
ella urti in noi, ed ancor peggio, che se noi urtassimo in lei. Ma lasciamo star
questi palazzi o per dir meglio castelli in aria, e non impediamo il signor Simplicio.
Simplicio
La quistione che voi avete cosí incidentemente
promossa, è delle difficili che si trattino in filosofia, ed io ci ho intorno
di bellissimi pensieri di un gran cattedrante di Padova; ma non è tempo di entrarvi
adesso. Però, tornando al nostro proposito, replico che stimo la Luna solidissima
piú della Terra, ma non l'argomento già, come fate voi, dalla asprezza e scabrosità
della sua superficie, anzi dal contrario, cioè dall'essere atta a ricevere (come
veggiamo tra noi nelle gemme piú dure) un pulimento e lustro superiore a qual
si sia specchio piú terso; ché tale è necessario che sia la sua superficie, per
poterci fare sí viva reflessione de' raggi del Sole. Quelle apparenze poi che
voi dite, di monti, di scogli, di argini, di valli, etc., son tutte illusioni;
ed io mi sono ritrovato a sentire in publiche dispute sostener gagliardamente,
contro a questi introduttori di novità, che tali apparenze non da altro provengono
che da parti inegualmente opache e perspicue, delle quali interiormente ed esteriormente
è composta la Luna, come spesso veggiamo accadere nel cristallo, nell'ambra ed
in molte pietre preziose perfettamente lustrate, dove, per la opacità di alcune
parti e per la trasparenza di altre, appariscono in quelle varie concavità e prominenze.
Nella quarta congruenza concedo che la superficie del globo terrestre, veduto
di lontano, farebbe due diverse apparenze, cioè una piú chiara e l'altra piú oscura,
ma stimo che tali diversità accaderebbono al contrario di quel che dite voi; cioè
credo che la superficie dell'acqua apparirebbe lucida, perché è liscia e trasparente,
e quella della terra resterebbe oscura per la sua opacità e scabrosità, male accomodata
a riverberare il lume del Sole. Circa il quinto riscontro, lo ammetto tutto, e
resto capace che quando la Terra risplendesse come la Luna si mostrerebbe, a chi
di lassú la rimirasse, sotto figure conformi a quelle che noi veggiamo nella Luna;
comprendo anco come il periodo della sua illuminazione e variazione di figure
sarebbe di un mese, benché il Sole la ricerchi tutta in ventiquattr'ore; e finalmente
non ho difficultà nell'ammettere che la metà sola della Luna vede tutta la Terra,
e che tutta la Terra vede solo la metà della Luna. Nel sesto, reputo falsissimo
che la Luna possa ricever lume dalla Terra, che è oscurissima, opaca ed inettissima
a reflettere il lume del Sole, come ben lo reflette la Luna a noi; e, come ho
detto, stimo che quel lume che si vede nel resto della faccia della Luna, oltre
alle corna splendidissime per l'illuminazion del Sole, sia proprio e naturale
della Luna, e gran cosa ci vorrebbe a farmi credere altrimenti. Il settimo, de
gli eclissi scambievoli, si può anco ammettere, se ben propriamente si costuma
chiamare eclisse del Sole questo che voi volete chiamare eclisse della Terra.
E questo è quanto per ora mi occorre dirvi in contradizione alle sette congruenze;
alle quali instanze se vi piacerà di replicare alcuna cosa, l'ascolterò volentieri.
Salviati
Se io ho bene appreso quanto avete risposto,
parmi che tra voi e noi restino ancora controverse alcune condizioni, le quali
io faceva comuni alla Luna ed alla Terra; e son queste. Voi stimate la Luna tersa
e liscia com'uno specchio, e, come tale, atta a refletterci il lume del Sole,
ed all'incontro la Terra, per la sua asprezza, non potente a far simile reflessione.
Concedete la Luna solida e dura, e ciò argumentate dall'esser ella pulita e tersa,
e non dall'esser montuosa; e dell'apparir montuosa ne assegnate per causa l'essere
di parti piú o meno opache e perspicue. E finalmente stimate, quella luce secondaria
esser propria della Luna, e non per reflession della Terra; se ben par che al
mare, per esser di superficie pulita, voi non neghiate qualche riflessione. Quanto
al torvi di errore, che la reflession della Luna non si faccia come da uno specchio,
ci ho poca speranza, mentre veggo che quello che in tal proposito si legge nel
Saggiatore e nelle Lettere Solari del nostro amico comune non ha profittato nulla
nel vostro concetto, se però voi avete attentamente letto quanto vi è scritto
in tal materia.
Simplicio
Io l'ho trascorso cosí, superficialmente,
conforme al poco tempo che mi vien lasciato ozioso da studi piú sodi: però, se
col replicare alcune di quelle ragioni o coll'addurne altre voi pensate risolvermi
le difficultà, le ascolterò piú attentamente.
Salviati
Io dirò quello che mi viene in mente al presente
e potrebb'essere che fusse una mistione di concetti miei propri e di quelli che
già lessi ne i detti libri, da i quali mi sovvien bene ch'io restai interamente
persuaso, ancorché le conclusioni nel primo aspetto mi paresser gran paradossi.
Noi cerchiamo, signor Simplicio, se per fare una reflession di lume simile a quello
che ci vien dalla Luna, sia necessario che la superficie da cui vien la reflessione
sia cosí tersa e liscia come di uno specchio, o pur sia piú accomodata una superficie
non tersa e non liscia, ma aspra e mal pulita. Ora, quando a noi venisser due
reflessioni, una piú lucida e l'altra meno, da due superficie opposteci, io vi
domando, qual delle due superficie voi credete che si rappresentasse a gli occhi
nostri piú chiara e qual piú oscura.
Simplicio
Credo senza dubbio che quella che piú vivamente
mi reflettesse il lume, mi si mostrerebbe in aspetto piú chiara, e l'altra piú
oscura.
Salviati
Pigliate ora in cortesia quello specchio
che è attaccato a quel muro, ed usciamo qua nella corte. Venite, signor Sagredo.
Attaccate lo specchio là a quel muro, dove batte il sole; discostiamoci e ritiriamoci
qua all'ombra. Ecco là due superficie percosse dal sole, cioè il muro e lo specchio.
Ditemi ora qual vi si rappresenta piú chiara: quella del muro o quella dello specchio?
voi non rispondete?
Sagredo
Io lascio rispondere al signor Simplicio,
che ha la difficultà; ché io, quanto a me, da questo poco principio di esperienza
son persuaso che bisogni per necessità che la Luna sia di superficie molto mal
pulita.
Salviati
Dite, signor Simplicio: se voi aveste a ritrar
quel muro, con quello specchio attaccatovi, dove adoprereste voi colori piú oscuri,
nel dipignere il muro o pur nel dipigner lo specchio?
Simplicio
Assai piú scuri nel dipigner lo specchio.
Salviati
Or se dalla superficie che si rappresenta
piú chiara vien la reflession del lume piú potente, piú vivamente ci refletterà
i raggi del Sole il muro che lo specchio.
Simplicio
Benissimo, signor mio; avete voi migliori
esperienze di queste? Voi ci avete posti in luogo dove non batte il reverbero
dello specchio; ma venite meco un poco piú in qua: no, venite pure.
Sagredo
Cercate voi forse il luogo della reflessione
che fa lo specchio?
Simplicio
Signor sí.
Sagredo
Oh vedetela là nel muro opposto, grande giusto
quanto lo specchio, e chiara poco meno che se vi battesse il Sole direttamente.
Simplicio
Venite dunque qua, e guardate di lì la superficie
dello specchio, e sappiatemi dire se l'è piú scura di quella del muro.
Sagredo
Guardatela pur voi, ché io per ancora non
voglio acceccare; e so benissimo, senza guardarla, che la si mostra vivace e chiara
quanto il Sole istesso, o poco meno
Simplicio
Che dite voi dunque che la reflession di
uno specchio sia men potente di quella di un muro? io veggo che in questo muro
opposto, dove arriva il reflesso dell'altra parete illuminata insieme con quel
dello specchio, questo dello specchio è assai piú chiaro; e veggio parimente che
di qui lo specchio medesimo mi apparisce piú chiaro assai che il muro.
Salviati
Voi con la vostra accortezza mi avete prevenuto,
perché di questa medesima osservazione avevo bisogno per dichiarar quel che resta.
Voi vedete dunque la differenza che cade tra le due reflessioni, fatte dalle due
superficie del muro e dello specchio, percosse nell'istesso modo per l'appunto
da i raggi solari; e vedete come la reflession che vien dal muro si diffonde verso
tutte le parti opposteli, ma quella dello specchio va verso una parte sola, non
punto maggiore dello specchio medesimo; vedete parimente come la superficie del
muro, riguardata da qualsivoglia luogo, si mostra chiara sempre egualmente a se
stessa, e per tutto assai piú chiara che quella dello specchio, eccettuatone quel
piccolo luogo solamente dove batte il reflesso dello specchio, ché di lí apparisce
lo specchio molto piú chiaro del muro. Da queste cosí sensate e palpabili esperienze
mi par che molto speditamente si possa venire in cognizione, se la reflessione
che ci vien dalla Luna venga come da uno specchio, o pur come da un muro, cioè
se da una superficie liscia o pure aspra.
Sagredo
Se io fussi nella Luna stessa, non credo
che io potessi con mano toccar piú chiaramente l'asprezza della sua superficie
di quel ch'io me la scorga ora con l'apprensione del discorso. La Luna, veduta
in qualsivoglia positura, rispetto al Sole e a noi, ci mostra la sua superficie
tocca dal Sole sempre egualmente chiara; effetto che risponde a capello a quel
del muro, che, riguardato da qualsivoglia luogo, apparisce egualmente chiaro,
e discorda dallo specchio, che da un luogo solo si mostra luminoso e da tutti
gli altri oscuro. In oltre, la luce che mi vien dalla reflession del muro è tollerabile
e debile, in comparazion di quella dello specchio gagliardissima ed offensiva
alla vista poco meno della primaria e diretta del Sole: e cosí con suavità riguardiamo
la faccia della Luna; che quando ella fusse come uno specchio, mostrandocisi anco,
per la vicinità, grande quanto l'istesso Sole, sarebbe il suo fulgore assolutamente
intollerabile, e ci parrebbe di riguardare quasi un altro Sole.
Salviati
Non attribuite di grazia, signor Sagredo,
alla mia dimostrazione piú di quello che le si perviene. Io voglio muovervi contro
un'instanza, che non so quanto sia di agevole scioglimento. Voi portate per gran
diversità tra la Luna e lo specchio, che ella rimandi la reflessione verso tutte
le parti egualmente, come fa il muro, dove che lo specchio la manda in un luogo
solo determinato; e di qui concludete, la Luna esser simile al muro, e non allo
specchio. Ma io vi dico che quello specchio manda la reflessione in un luogo solo,
perché la sua superficie è piana, e dovendo i raggi reflessi partirsi ad angoli
eguali a quelli de' raggi incidenti, è forza che da una superficie piana si partano
unitamente verso il medesimo luogo; ma essendo che la superficie della Luna è
non piana, ma sferica, ed i raggi incidenti sopra una tal superficie trovano da
reflettersi ad angoli eguali a quelli dell'incidenza verso tutte le parti, mediante
la infinità delle inclinazioni che compongono la superficie sferica, adunque la
Luna può mandar la reflessione per tutto, e non è necessitata a mandarla in un
luogo solo, come quello specchio che è piano.
Simplicio
Questa è appunto una delle obbiezioni che
io volevo fargli contro.
Sagredo
Se questa è una, è forza che voi ne abbiate
delle altre; però ditele, ché quanto a questa prima mi par che ella sia per riuscire
piú contro di voi che in favore.
Simplicio
Voi avete pronunziato come cosa manifesta,
che la reflession fatta da quel muro sia cosí chiara ed illuminante come quella
che ci vien dalla Luna, ed io la stimo come nulla in comparazion di quella: imperocché
"in questo negozio dell'illuminazione bisogna aver riguardo e distinguere la sfera
di attività; e chi dubita che i corpi celesti abbiano maggiore sfera di attività
che questi nostri elementari, caduchi e mortali? e quel muro, finalmente, che
è egli altro che un poco di terra, oscura ed inetta all'illuminare?"
Sagredo
E qui ancora credo che voi vi inganniate
di assai. Ma vengo alla prima instanza mossa dal signor Salviati: e considero
che per far che un oggetto ci apparisca luminoso, non basta che sopra esso caschino
i raggi del corpo illuminante, ma ci bisogna che i raggi reflessi vengano all'occhio
nostro; come apertamente si vede nell'esempio di quello specchio, sopra il quale
non ha dubbio che vengono i raggi luminosi del Sole, con tutto ciò ei non ci si
mostra chiaro ed illustrato se non quando noi mettiamo l'occhio in quel luogo
particulare dove va la reflessione. Consideriamo adesso quel che accaderebbe quando
lo specchio fusse di superficie sferica: ché senz'altro noi troveremo che della
reflessione che si fa da tutta la superficie illuminata, piccolissima parte è
quella che perviene all'occhio di un particolar riguardante, per esser una minimissima
particella di tutta la superficie sferica quella l'inclinazion della quale ripercuote
il raggio al luogo particolare dell'occhio; onde minima convien che sia la parte
della superficie sferica che all'occhio si mostra splendente, rappresentandosi
tutto il rimanente oscuro. Quando dunque la Luna fusse tersa come uno specchio,
piccolissima parte si mostrerebbe a gli occhi di un particulare illustrata dal
Sole, ancorché tutto un emisferio fusse esposto a' raggi solari, ed il resto rimarrebbe
all'occhio del riguardante come non illuminato e perciò invisibile, e finalmente
invisibile ancora del tutto la Luna, avvenga che quella particella onde venisse
la riflessione, per la sua piccolezza e gran lontananza si perderebbe; e sí come
all'occhio ella resterebbe invisibile, cosí la sua illuminazione resterebbe nulla,
ché bene è impossibile che un corpo luminoso togliesse via le nostre tenebre col
suo splendore e che noi non lo vedessimo.
Salviati
Fermate in grazia, signor Sagredo, perché
io veggo alcuni movimenti nel viso e nella persona del signor Simplicio, che mi
sono indizi ch'ei non resti o ben capace o soddisfatto di questo che voi con somma
evidenza ed assoluta verità avete detto; e pur ora mi è sovvenuto di potergli
con altra esperienza rimuovere ogni scrupolo. Io ho veduto in una camera di sopra
un grande specchio sferico: facciamolo portar qua, e mentre che si conduce, torni
il signor Simplicio a considerare quanta è grande la chiarezza che vien nella
parete qui sotto la loggia dal reflesso dello specchio piano.
Simplicio
Io veggo che l'è chiara poco meno che se
vi percotesse direttamente il Sole.
Salviati
Cosí è veramente. Or ditemi: se, levando
via quel piccolo specchio piano, metteremo nell'istesso luogo quel grande sferico,
qual effetto credete voi che sia per far la sua reflessione nella medesima parete?
SIMP Credo che gli arrecherà lume molto maggiore e molto più amplo.
Salviati
Ma se l'illuminazione sarà nulla, o cosí
piccola che appena ve ne accorgiate, che direte allora?
Simplicio
Quando avrò visto l'effetto, penserò alla
risposta.
Salviati
Ecco lo specchio, il quale voglio che sia
posto accanto all'altro. Ma prima andiamo là vicino al reflesso di quel piano,
e rimirate attentamente la sua chiarezza: vedete come è chiaro qui dove e' batte,
e come distintamente si veggono tutte queste minuzie del muro.
Simplicio
Ho visto e osservato benissimo: fate metter
l'altro specchio a canto al primo.
Salviati
Eccolo là. Vi fu messo subito che cominciaste
a guardare le minuzie, e non ve ne sete accorto, sí grande è stato l'accrescimento
del lume nel resto della parete. Or tolgasi via lo specchio piano. Eccovi levata
via ogni reflessione, ancorché vi sia rimasto il grande specchio convesso. Rimuovasi
questo ancora, e poi vi si riponga quanto vi piace: voi non vedrete mutazione
alcuna di luce in tutto il muro. Eccovi dunque mostrato al senso come la reflessione
del Sole fatta in ispecchio sferico convesso non illumina sensibilmente i luoghi
circonvicini. Ora che risponderete voi a questa esperienza?
Simplicio
Io ho paura che qui non entri qualche giuoco
di mano. Io veggo pure, nel riguardar quello specchio, uscire un grande splendore,
che quasi mi toglie la vista, e, quel che piú importa, ve lo veggo sempre da qualsivoglia
luogo ch'io lo rimiri, e veggolo andar mutando sito sopra la superficie dello
specchio, secondo ch'io mi pongo a rimirarlo in questo o in quel luogo: argomento
necessario, che il lume si reflette vivo assai verso tutte le bande, ed in conseguenza
cosí potente sopra tutta quella parete come sopra il mio occhio.
Salviati
Or vedete quanto bisogni andar cauto e riservato
nel prestare assenso a quello che il solo discorso ci rappresenta. Non ha dubbio
che questo che voi dite ha assai dell'apparente; tuttavia potete vedere come la
sensata esperienza mostra in contrario.
Simplicio
Come dunque cammina questo negozio?
Salviati
Io vi dirò quel che ne sento, che non so
quanto vi sia per appagare. E prima, quello splendore cosí vivo che voi vedete
sopra lo specchio, e che vi par che ne occupi assai buona parte, non è cosí grande
a gran pezzo, anzi è piccolo assai assai; ma la sua vivezza cagiona nell'occhio
vostro, mediante la reflessione fatta nell'umido de gli orli delle palpebre, la
quale si distende sopra la pupilla, una irradiazione avventizia, simile a quel
capillizio che ci par di vedere intorno alla fiammella di una candela posta alquanto
lontana, o vogliate assimigliarla allo splendore avventizio di una stella; che
se voi paragonerete il piccolo corpicello, verbigrazia, della Canicola, veduto
di giorno col telescopio, quando si vede senza irradiazione, col medesimo veduto
di notte coll'occhio libero, voi fuor di ogni dubbio comprenderete che l'irraggiato
si mostra piú di mille volte maggiore del nudo e real corpicello: ed un simile
o maggior ricrescimento fa l'immagine del Sole che voi vedete in quello specchio;
dico maggiore, per esser ella piú viva della stella, come è manifesto dal potersi
rimirar la stella con assai minor offesa alla vista, che questa reflession dello
specchio. Il reverbero dunque, che si ha da participare sopra tutta questa parete,
viene da piccola parte di quello specchio; e quello che pur ora veniva da tutto
lo specchio piano, si participava e ristrigneva a piccolissima parte della medesima
parete: qual meraviglia è dunque che la reflessione prima illumini molto vivamente,
e che quest'altra resti quasi impercettibile?
Simplicio
Io mi trovo piú inviluppato che mai, e mi
sopraggiugne l'altra difficultà, come possa essere che quel muro, essendo di materia
cosí oscura e di superficie cosí mal pulita, abbia a ripercuoter lume piú potente
e vivace che uno specchio ben terso e pulito.
Salviati
Piú vivace no, ma ben piú universale, ché,
quanto alla vivezza, voi vedete che la reflessione di quello specchietto piano,
dove ella ferisce là sotto la loggia, illumina gagliardamente, ed il restante
della parete, che riceve la reflession del muro, dove è attaccato lo specchio,
non è a gran segno illuminato come la piccola parte dove arriva il reflesso dello
specchio. E se voi desiderate intender l'intero di questo negozio, considerate
come l'esser la superficie di quel muro aspra, è l'istesso che l'esser composta
di innumerabili superficie piccolissime, disposte secondo innumerabili diversità
di inclinazioni, tra le quali di necessità accade che ne sieno molte disposte
a mandare i raggi, reflessi da loro, in un tal luogo, molte altre in altro; ed
in somma non è luogo alcuno al quale non arrivino moltissimi raggi reflessi da
moltissime superficiette sparse per tutta l'intera superficie del corpo scabroso,
sopra il quale cascano i raggi luminosi: dal che segue di necessità che sopra
qualsivoglia parte di qualunque superficie opposta a quella che riceve i raggi
primarii incidenti, pervengano raggi reflessi, ed in conseguenza l'illuminazione.
Seguene ancora, che il medesimo corpo sul quale vengono i raggi illuminanti, rimirato
da qualsivoglia luogo, si mostri tutto illuminato e chiaro: e però la Luna, per
esser di superficie aspra e non tersa, rimanda la luce del Sole verso tutte le
bande, ed a tutti i riguardanti si mostra egualmente lucida. Che se la superficie
sua, essendo sferica, fusse ancora liscia come uno specchio, resterebbe del tutto
invisibile, atteso che quella piccolissima parte dalla quale potesse venir reflessa
l'immagine del Sole, all'occhio di un particolare, per la gran lontananza, resterebbe
invisibile, come già abbiam detto.
Simplicio
Resto assai ben capace del vostro discorso;
tuttavia mi par di poter risolverlo con pochissima fatica, e mantener benissimo
che la Luna sia rotonda e pulitissima e che refletta il lume del Sole a noi al
modo di uno specchio: né perciò l'immagine del Sole si deve veder nel suo mezo;
avvengaché "non per le spezie dell'istesso Sole possa vedersi in sí gran distanza
la piccola figura del Sole, ma sia compresa da noi per il lume prodotto dal Sole
l'illuminazione di tutto il corpo lunare. Una tal cosa possiamo noi vedere in
una piastra dorata e ben brunita, che, percossa da un corpo luminoso, si mostra,
a chi la guarda da lontano, tutta risplendente; e solo da vicino si scorge nel
mezo di essa la piccola immagine del corpo luminoso".
Salviati
Confessando ingenuamente la mia incapacità,
dico che non intendo di questo vostro discorso altro che di quella piastra dorata;
e se voi mi concedete il parlar liberamente, ho grande opinione che voi ancora
non l'intendiate, ma abbiate imparate a mente quelle parole scritte da qualcuno
per desiderio di contraddire e mostrarsi piú intelligente dell'avversario, mostrarsi,
però, a quelli che, per apparir eglino ancora intelligenti, applaudono a quello
che e' non intendono, e maggior concetto si formano delle persone secondo che
da loro son manco intese; e pur che lo scrittore stesso non sia (come molti ce
ne sono) di quelli che scrivono quel che non intendono, e che però non s'intende
quel che essi scrivono. Però, lasciando il resto, vi rispondo quanto alla piastra
dorata, che quando ella sia piana e non molto grande, potrà apparir da lontano
tutta risplendente, mentre sia ferita da un lume gagliardo, ma però si vedrà tale
quando l'occhio sia in una linea determinata, cioè in quella de i raggi reflessi;
e vedrassi piú fiammeggiante che se fusse, verbigrazia, d'argento, mediante l'esser
colorata ed atta, per la somma densità del metallo, a ricevere brunimento perfettissimo:
e quando la sua superficie, essendo benissimo lustrata, non fusse poi esattamente
piana, ma avesse varie inclinazioni, allora anco da piú luoghi si vedrebbe il
suo splendore, cioè da tanti a quanti pervenissero le varie reflessioni fatte
dalle diverse superficie; che però si lavorano i diamanti a molte facce, acciò
il lor dilettevol fulgore si scorga da molti luoghi: ma quando la piastra fusse
molto grande, non però da lontano, ancorché ella fusse tutta piana, si vedrebbe
tutta risplendente. E per meglio dichiararmi, intendasi una piastra dorata piana
e grandissima esposta al Sole: mostrerassi a un occhio lontano l'immagine del
Sole occupare una parte di tal piastra solamente, cioè quella donde viene la reflessione
de i raggi solari incidenti; ma è vero che per la vivacità del lume tal immagine
apparirà inghirlandata di molti raggi, e però sembrerà occupare maggior parte
assai della piastra che veramente ella non occuperà. E che ciò sia vero, notato
il luogo particolare della piastra donde viene la reflessione, e figurato parimente
quanto grande mi si rappresenta lo spazio risplendente, cuoprasi di esso spazio
la maggior parte, lasciando solamente scoperto intorno al mezo: non però si diminuirà
punto la grandezza dell'apparente splendore a quello che di lontano lo rimira,
anzi si vedrà egli largamente sparso sopra il panno o altro con che si ricoperse.
Se dunque alcuno col vedere una piccola piastra dorata da lontano tutta risplendente,
si sarà immaginato che l'istesso dovesse accadere anco di piastre grandi quanto
la Luna, si è ingannato non meno che se credesse, la Luna non esser maggiore di
un fondo di tino. Quando poi la piastra fusse di superficie sferica, vedrebbesi
in una sola sua particella il reflesso gagliardo, ma ben, mediante la vivezza,
si mostrerebbe inghirlandato di molti raggi assai vibranti: il resto della palla
si vedrebbe come colorato, e questo anco solamente quando e' non fusse in sommo
grado pulito; ché quando e' fusse brunito perfettamente, apparirebbe oscuro. Esempio
di questo aviamo giornalmente avanti gli occhi ne i vasi d'argento, li quali,
mentre sono solamente bolliti nel bianchimento, son tutti candidi come la neve,
né punto rendono l'immagini; ma se in alcuna parte si bruniscono, in quella subito
diventano oscuri, e di lí rendono l'immagini come specchi: e quel divenire oscuro
non procede da altro che dall'essersi spianata una finissima grana che faceva
la superficie dell'argento scabrosa, e però tale che rifletteva il lume verso
tutte le parti, per lo che da tutti i luoghi si mostrava egualmente illuminata;
quando poi, col brunirla, si spianano esquisitamente quelle minime inegualità,
sí che la reflessione de i raggi incidenti si drizza tutta in luogo determinato,
allora da quel tal luogo si mostra la parte brunita assai piú chiara e lucida
del restante, che è solamente bianchito, ma da tutti gli altri luoghi si vede
molto oscura. È noto che la diversità delle vedute, nel rimirar superficie brunite,
cagiona differenze tali di apparenze, che per imitare e rappresentare in pittura,
verbigrazia, una corazza brunita, bisogna accoppiare neri schietti e bianchi,
l'uno a canto all'altro, in parti di essa arme dove il lume cade egualmente.
Sagredo
Adunque, quando questi Signori filosofi si
contentassero di conceder che la Luna, Venere e gli altri pianeti fussero di superficie
non cosí lustra e tersa come uno specchio, ma un capello manco, cioè quale è una
piastra di argento bianchita solamente, ma non brunita, questo basterebbe a poterla
far visibile ed accomodata a ripercuoterci il lume del Sole?
Salviati
Basterebbe in parte; ma non renderebbe un
lume cosí potente, come fa essendo montuosa ed in somma piena di eminenze e cavità
grandi Ma questi Signori filosofi non la concederanno mai pulita meno di uno specchio,
ma bene assai piú, se piú si può immaginare, perché stimando eglino che a' corpi
perfettissimi si convengano figure perfettissime, bisogna che la sfericità di
quei globi celesti sia assolutissima; oltre che, quando e' mi concedessero qualche
inegualità, ancorché minima, io me ne prenderei senza scrupolo alcuno altra assai
maggiore, perché consistendo tal perfezione in indivisibili, tanto la guasta un
capello quanto una montagna.
Sagredo
Qui mi nascono due dubbi: l'uno è l'intendere,
perché la maggior inegualità di superficie abbia a far piú potente reflession
di lume; l'altro è, perché questi Signori Peripatetici voglian questa esatta figura.
Salviati
Al primo risponderò io, ed al signor Simplicio
lascerò la cura di rispondere al secondo. Devesi dunque avvertire che le medesime
superficie vengono dal medesimo lume piú e meno illuminate, secondoché i raggi
illuminanti vi cascano sopra piú o meno obliquamente, sí che la massima illuminazione
è dove i raggi son perpendicolari. Ed ecco ch'io ve lo mostro al senso. Io piego
questo foglio tanto che una parte faccia angolo sopra l'altra; ed esponendole
alla reflession del lume di quel muro opposto, vedete come questa faccia, che
riceve i raggi obliquamente, è manco chiara di quest'altra, dove la reflessione
viene ad angoli retti; e notate come secondo che io gli vo ricevendo piú e piú
obliquamente, l'illuminazione si fa piú debole.
Sagredo
Veggo l'effetto, ma non comprendo la causa.
Salviati
Se voi ci pensaste un centesimo d'ora, la
trovereste; ma per non consumare il tempo, eccovene un poco di dimostrazione in
questa figura.
Sagredo
La sola vista della figura mi ha chiarito
il tutto, però seguite.
Simplicio
Dite in grazia il resto a me, che non sono
di sí veloce apprensiva.
Salviati
Fate conto che tutte le linee parallele che
voi vedete partirsi da i termini A, B, sieno i raggi che sopra la linea C D vengono
ad angoli retti: inclinate ora la medesima C D, sí che penda come D O: non vedete
voi che buona parte di quei raggi che ferivano la C D, passano senza toccar la
D O? [vedi figura07.gif] Adunque se la D O è illuminata da manco raggi, è ben
ragionevole che il lume ricevuto da lei sia piú debole. Torniamo ora alla Luna,
la quale, essendo di figura sferica, quando la sua superficie fusse pulita quanto
questa carta, le parti del suo emisferio illuminato dal Sole che sono verso l'estremità,
riceverebbero minor lume assaissimo che le parti di mezo, cadendo sopra quelle
i raggi obliquissimi, e sopra queste ad angoli retti; per lo che nel plenilunio,
quando noi veggiamo quasi tutto l'emisferio illuminato, le parti verso il mezo
ci si dovrebbero mostrare piú risplendenti, che l'altre verso la circonferenza:
il che non si vede. Figuratevi ora la faccia della Luna piena di montagne ben
alte: non vedete voi come le piagge e i dorsi loro, elevandosi sopra la convessità
della perfetta superficie sferica, vengono esposti alla vista del Sole, ed accomodati
a ricevere i raggi, assai meno obliquamente, e perciò a mostrarsi illuminati quanto
il resto?
Sagredo
Tutto bene: ma se vi sono tali montagne,
è vero che il Sole le ferirà assai piú direttamente che non farebbe l'inclinazione
di una superficie pulita, ma è anco vero che tra esse montagne resterebbero tutte
le valli oscure, mediante l'ombre grandissime che in quel tempo verrebber da i
monti; dove che le parti di mezo, benché piene di valli e monti, mediante l'avere
il Sole elevato, rimarrebbero senz'ombre, e però piú lucide assai che le parti
estreme, sparse non men di ombre che di lume: e pur tuttavia non si vede tal differenza.
Simplicio
Una simil difficultà mi si andava avvolgendo
per la fantasia.
Salviati
Quanto è piú pronto il signor Simplicio a
penetrar le difficultà che favoriscono le opinioni d'Aristotile, che le soluzioni!
Ma io ho qualche sospetto che a bello studio e' voglia anco talvolta tacerle;
e nel presente particulare, avendo da per sé potuto veder l'obbiezione, che pure
è assai ingegnosa, non posso credere che e' non abbia ancora avvertita la risposta,
ond'io voglio tentar di cavargliela (come si dice) di bocca. Però ditemi, signor
Simplicio: credete voi che possa essere ombra dove feriscono i raggi del Sole?
Simplicio
Credo, anzi son sicuro, che no, perché essendo
egli il massimo luminare, che scaccia con i suoi raggi le tenebre, è impossibile
che dove egli arriva resti tenebroso; e poi aviamo la definizione che tenebræ
sunt privatio luminis.
Salviati
Adunque il Sole, rimirando la Terra o la
Luna o altro corpo opaco, non vede mai alcuna delle sue parti ombrose, non avendo
altri occhi da vedere che i suoi raggi apportatori del lume; ed in conseguenza
uno che fusse nel Sole, non vedrebbe mai niente di adombrato, imperocché i raggi
suoi visivi andrebbero sempre in compagnia de i solari illuminanti.
Simplicio
Questo è verissimo, senza contradizione alcuna.
Salviati
Ma quando la Luna è all'opposizion del Sole,
qual differenza è tra il viaggio che fanno i raggi della vostra vista, e quello
che fanno i raggi del Sole?
Simplicio
Ora ho inteso; voi volete dire che caminando
i raggi della vista e quelli del Sole per le medesime linee, noi non possiamo
scoprir alcuna delle valli ombrose della Luna. Di grazia, toglietevi giú di questa
opinione, ch'io sia simulatore o dissimulatore; e vi giuro da gentiluomo che non
avevo penetrata cotal risposta, né forse l'avrei ritrovata senza l'aiuto vostro
o senza lungo pensarvi.
Sagredo
La soluzione che fra tutti due avete addotta
circa quest'ultima difficultà, ha veramente soddisfatto a me ancora; ma nel medesimo
tempo questa considerazione del camminare i raggi della vista con quelli del Sole,
mi ha destato un altro scrupolo circa l'altra parte: ma non so se io lo saprò
spiegare, perché, essendomi nato di presente, non l'ho per ancora ordinato a modo
mio; ma vedremo fra tutti di ridurlo a chiarezza. E' non è dubbio alcuno che le
parti verso la circonferenza dell'emisferio pulito, ma non brunito, che sia illuminato
dal Sole, ricevendo i raggi obliquamente, ne ricevono assai meno che le parti
di mezo, le quali direttamente gli ricevono; e può essere che una striscia larga,
verbigrazia, venti gradi, che sia verso l'estremità dell'emisferio, non riceva
piú raggi che un'altra verso le parti di mezo, larga non piú di quattro gradi;
onde quella veramente sarà assai piú oscura di questa, e tale apparirà a chiunque
le rimirasse amendue in faccia o vogliam dire in maestà. Ma quando l'occhio del
riguardante fusse costituito in luogo tale che la larghezza de i venti gradi della
striscia oscura se gli rappresentasse non piú lunga d'una di quattro gradi posta
sul mezo dell'emisferio, io non ho per impossibile che se gli potesse mostrare
egualmente chiara e luminosa come l'altra, perché finalmente dentro a due angoli
eguali, cioè di quattro gradi l'uno, vengono all'occhio le reflessioni di due
eguali moltitudini di raggi, di quelli, cioè, che si reflettono dalla striscia
di mezo, larga gradi quattro, e de i reflessi dall'altra di venti gradi, ma veduta
in iscorcio sotto la quantità di gradi quattro: ed un sito tale otterrà l'occhio,
quando e' sia collocato tra 'l detto emisfero e 'l corpo che l'illumina, perché
allora la vista e i raggi vanno per le medesime linee. Par dunque che non sia
impossibile che la Luna possa esser di superficie assai bene eguale, e che non
dimeno nel plenilunio si mostri non men luminosa nell'estremità che nelle parti
di mezo.
Salviati
La dubitazione è ingegnosa e degna d'esser
considerata: e comeché ella vi è nata pur ora improvisamente, io parimente risponderò
quello che improvisamente mi cade in mente, e forse potrebb'essere che col pensarvi
piú mi sovvenisse miglior risposta. Ma prima che io produca altro in mezo, sarà
bene che noi ci assicuriamo con l'esperienza se la vostra opposizione risponde
cosí in fatto, come par che concluda in apparenza. E però, ripigliando la medesima
carta, inclinandone, col piegarla, una piccola parte sopra il rimanente, proviamo
se esponendola al lume, sí che sopra la minor parte caschino i raggi del lume
direttamente, e sopra l'altra obliquamente, questa che riceve i raggi diretti
si mostri piú chiara; ed ecco già l'esperienza manifesta, che l'è notabilmente
piú luminosa. Ora, quando la vostra opposizione sia concludente, bisognerà che,
abbassando noi l'occhio tanto che, rimirando l'altra maggior parte, meno illuminata,
in iscorcio, ella ci apparisca non piú larga dell'altra piú illuminata, e che
in conseguenza non sia veduta sotto maggior angolo che quella, bisognerà, dico,
che il suo lume si accresca sí, che ci sembri cosí lucida come l'altra. Ecco che
io la guardo, e la veggo sí obliquamente che la mi apparisce piú stretta dell'altra;
ma con tutto ciò la sua oscurità non mi si rischiara punto. Guardate ora se l'istesso
accade a voi.
Sagredo
Ho visto, né, perché io abbassi l'occhio,
veggo punto illuminarsi o rischiararsi davvantaggio la detta superficie; anzi
mi par piú tosto che ella si imbrunisca.
Salviati
Siamo dunque sin ora sicuri dell'inefficacia
dell'opposizione. Quanto poi alla soluzione, credo che, per esser la superficie
di questa carta poco meno che tersa, pochi sieno i raggi che si reflettano verso
gl'incidenti, in comparazione della moltitudine che si reflette verso le parti
opposte, e che di quei pochi se ne perdano sempre piú quanto piú si accostano
i raggi visivi a essi raggi luminosi incidenti; e perché non i raggi incidenti,
ma quelli che si reffettono all'occhio, fanno apparir l'oggetto luminoso, però
nell'abbassar l'occhio, piú è quello che si perde che quello che si acquista,
come anco voi stesso dite apparirvi nel vedere il foglio più oscuro.
Sagredo
Io dell'esperienza e della ragione mi appago.
Resta ora che 'l signor Simplicio risponda all'altro mio quesito, dichiarandomi
quali cose muovano i Peripatetici a voler questa rotondità ne i corpi celesti
tanto esatta.
Simplicio
L'essere i corpi celesti ingenerabili, incorruttibili,
inalterabili, impassibili, immortali, etc., fa che e' sieno assolutamente perfetti;
e l'essere assolutamente perfetti si tira in conseguenza che in loro sia ogni
genere di perfezione, e però che la figura ancora sia perfetta, cioè sferica,
e assolutamente e perfettamente sferica, e non aspera ed irregolare.
Salviati
E questa incorruttibilità da che la cavate
voi?
Simplicio
Dal mancar di contrari immediatamente, e
mediatamente dal moto semplice circolare.
Salviati
Talché, per quanto io raccolgo dal vostro
discorso, nel costituir l'essenza de i corpi celesti incorruttibile, inalterabile
etc., non v'entra come causa o requisito necessario, la rotondità; che quando
questa cagionasse l'inalterabilità, noi potremo ad arbitrio nostro far incorruttibile
il legno, la cera, ed altre materie elementari, col ridurle in figura sferica.
Simplicio
E non è egli manifesto che una palla di legno
meglio e piú lungo tempo si conserverà che una guglia o altra forma angolare,
fatta di altrettanto del medesimo legno?
Salviati
Cotesto è verissimo, ma non però di corruttibile
diverrà ella incorruttibile; anzi resterà pur corruttibile, ma ben di piú lunga
durata. Però è da notarsi che il corruttibile è capace di piú e di meno tale,
potendo noi dire: "Questo è men corruttibile di quello", come, per esempio, il
diaspro è men corruttibile della pietra serena; ma l'incorruttibile non riceve
il piú e 'l meno, sí che si possa dire: "Questo è piú incorruttibile di quell'altro",
se amendue sono incorruttibili ed eterni. La diversità dunque di figura non può
operare se non nelle materie che son capaci del piú o del meno durare; ma nelle
eterne, che non posson essere se non egualmente eterne, cessa l'operazione della
figura. E per tanto, già che la materia celeste non per la figura è incorruttibile,
ma per altro, non occorre esser cosí ansioso di questa perfetta sfericità, perché,
quando la materia sarà incorruttibile, abbia pur che figura si voglia, ella sarà
sempre tale.
Sagredo
Ma io vo considerando qualche cosa di piú,
e dico che, conceduto che la figura sferica avesse facultà di conferire l'incorruttibilità,
tutti i corpi, di qualsivoglia figura, sarebbero eterni e incorruttibili. Imperocché
essendo il corpo rotondo incorruttibile, la corruttibilità verrebbe a consistere
in quelle parti che alterano la perfetta rotondità: come, per esempio, in un dado
vi è dentro una palla perfettamente rotonda, e come tale incorruttibile; resta
dunque che corruttibili sieno quelli angoli che ricuoprono ed ascondono la rotondità;
al piú dunque che potesse accadere, sarebbe che tali angoli e (per cosí dire)
escrescenze si corrompessero. Ma se piú internamente andremo considerando, in
quelle parti ancora verso gli angoli vi son dentro altre minori palle della medesima
materia, e però esse ancora, per esser rotonde, incorruttibili; e cosí ne' residui
che circondano queste otto minori sferette, vi se ne possono intendere altre;
talché finalmente, risolvendo tutto il dado in palle innumerabili, bisognerà confessarlo
incorruttibile. E questo medesimo discorso ed una simile resoluzione si può far
di tutte le altre figure.
Salviati
Il progresso cammina benissimo: sí che quando,
verbigrazia, un cristallo sferico avesse dalla figura l'esser incorruttibile,
cioè la facultà di resistere a tutte le alterazioni interne ed esterne, non si
vede che l'aggiugnerli altro cristallo e ridurlo, verbigrazia, in cubo l'avesse
ad alterar dentro, né anco di fuori, sí che ne divenisse meno atto a resistere
al nuovo ambiente, fatto dell'istessa materia, che non era all'altro di materia
diversa, e massime se è vero che la corruzione si faccia da i contrari, come dice
Aristotile; e di qual cosa si può circondare quella palla di cristallo, che gli
sia manco contraria del cristallo medesimo? Ma noi non ci accorgiamo del fuggir
dell'ore, e tardi verremo a capo de' nostri ragionamenti, se sopra ogni particulare
si hanno da fare sí lunghi discorsi; oltre che la memoria si confonde talmente
nella multiplicità delle cose, che difficilmente posso ricordarmi delle proposizioni
che ordinatamente aveva proposte il signor Simplicio da considerarsi.
Simplicio
Io me ne ricordo benissimo; e circa questo
particulare della montuosità della Luna, resta ancora in piede la causa che io
addussi di tale apparenza, potendosi benissimo salvare con dir ch'ella sia un'illusione
procedente dall'esser le parti della Luna inegualmente opache e perspicue.
Sagredo
Poco fa, quando il signor Simplicio attribuiva
le apparenti inegualità della Luna, conforme all'opinione di certo Peripatetico
amico suo, alle parti di essa Luna diversamente opache e perspicue, conforme a
che simili illusioni si veggono in cristalli e gemme di piú sorti, mi sovvenne
una materia molto piú accomodata per rappresentar cotali effetti, e tale che credo
certo che quel filosofo la pagherebbe qualsivoglia prezo; e queste sono le madreperle,
le quali si lavorano in varie figure, e benché ridotte ad una estrema liscezza,
sembrano all'occhio tanto variamente in diverse parti cave e colme, che appena
al tatto stesso si può dar fede della loro egualità.
Salviati
Bellissimo è veramente questo pensiero; e
quel che non è stato fatto sin ora, potrebbe esser fatto un'altra volta, e se
sono state prodotte altre gemme e cristalli, che non han che fare con l'illusioni
delle madreperle, saran ben prodotte queste ancora. Intanto, per non tagliar l'occasione
ad alcuno, tacerò la risposta che ci andrebbe, e solo procurerò per ora di sodisfare
alle obbiezioni portate dal signor Simplicio. Dico per tanto che questa vostra
è una ragion troppo generale, e come voi non l'applicate a tutte le apparenze
ad una ad una che si veggono nella Luna, e per le quali io ed altri si son mossi
a tenerla montuosa, non credo che voi siate per trovare chi si soddisfaccia di
tal dottrina; né credo che voi stesso né l'autor medesimo trovi in essa maggior
quiete, che in qualsivoglia altra cosa remota dal proposito. Delle molte e molte
apparenze varie che si scorgono di sera in sera in un corso lunare, voi pur una
sola non ne potrete imitare col fabbricare una palla a vostro arbitrio di parti
piú e meno opache e perspicue e che sia di superficie pulita; dove che, all'incontro,
di qualsivoglia materia solida e non trasparente si fabbricheranno palle le quali,
solo con eminenze e cavità e col ricevere variamente l'illuminazione, rappresenteranno
l'istesse viste e mutazioni a capello, che d'ora in ora si scorgono nella Luna.
In esse vedrete i dorsi dell'eminenze esposte al lume del Sole chiari assai, e
doppo di loro le proiezioni dell'ombre oscurissime; vedrete le maggiori e minori,
secondo che esse eminenze si troveranno piú o meno distanti dal confine che distingue
la parte della Luna illuminata dalla tenebrosa; vedrete l'istesso termine e confine,
non egualmente disteso, qual sarebbe se la palla fusse pulita, ma anfrattuoso
e merlato; vedrete, oltre al detto termine, nella parte tenebrosa, molte sommità
illuminate e staccate dal resto già luminoso; vedrete l'ombre sopradette, secondoché
l'illuminazione si va alzando, andarsi elleno diminuendo, sinché del tutto svaniscono,
né piú vedersene alcuna quando tutto l'emisferio sia illuminato; all'incontro
poi, nel passare il lume verso l'altro emisfero lunare, riconoscerete l'istesse
eminenze osservate prima, e vedrete le proiezioni dell'ombre loro farsi al contrario
ed andar crescendo: delle quali cose torno a replicarvi che voi pur una non potrete
rappresentarmi col vostro opaco e perspicuo.
Sagredo
Anzi pur se ne imiterà una, cioè quella del
plenilunio, quando, per esser il tutto illuminato, non si scorge piú né ombre
né altro che dalle eminenze e cavità riceva alcuna variazione. Ma di grazia, signor
Salviati, non perdete piú tempo in questo particolare, perché uno che avesse avuto
pazienza di far l'osservazioni di una o due lunazioni e non restasse capace di
questa sensatissima verità, si potrebbe ben sentenziare per privo del tutto di
giudizio; e con simili, a che consumar tempo e parole indarno?
Simplicio
Io veramente non ho fatte tali osservazioni,
perché non ho avuta questa curiosità, né meno strumento atto a poterle fare; ma
voglio per ogni modo farle: e intanto possiamo lasciar questa questione in pendente
e passare a quel punto che segue, producendo i motivi per i quali voi stimate
che la Terra possa reflettere il lume del Sole non men gagliardamente che la Luna,
perché a me par ella tanto oscura ed opaca, che un tale effetto mi si rappresenta
del tutto impossibile.
Salviati
La causa per la quale voi reputate la Terra
inetta all'illuminazione non è altramente cotesta, signor Simplicio. E non sarebbe
bella cosa che io penetrassi i vostri discorsi meglio che voi medesimo?
Simplicio
Se io mi discorra bene o male, potrebb'esser
che voi meglio di me lo conosceste; ma, o bene o mal ch'io mi discorra, che voi
possiate meglio di me penetrar il mio discorso, questo non crederò io mai.
Salviati
Anzi vel farò io creder pur ora. Ditemi un
poco: quando la Luna è presso che piena, sí che ella si può veder di giorno ed
anco a meza notte, quando vi par ella piú splendente, il giorno o la notte?
Simplicio
La notte, senza comparazione, e parmi che
la Luna imiti quella colonna di nugole e di fuoco che fu scorta a i figliuoli
di Isdraele, che alla presenza del Sole si mostrava come una nugoletta, ma la
notte poi era splendidissima. Cosí ho io osservato alcune volte di giorno tra
certe nugolette la Luna non altramente che una di esse biancheggiante; ma la notte
poi si mostra splendentissima.
Salviati
Talché quando voi non vi foste mai abbattuto
a veder la Luna se non di giorno, voi non l'avreste giudicata piú splendida di
una di quelle nugolette.
Simplicio
Cosí credo fermamente.
Salviati
Ditemi ora: credete voi che la Luna sia realmente
piú lucente la notte che 'l giorno, o pur che per qualche accidente ella si mostri
tale?
Simplicio
Credo che realmente ella risplenda in se
stessa tanto di giorno quanto di notte, ma che 'l suo lume si mostri maggiore
di notte perché noi la vediamo nel campo oscuro del cielo; ed il giorno, per esser
tutto l'ambiente assai chiaro, sí che ella di poco lo avanza di luce, ci si rappresenta
assai men lucida.
Salviati
Or ditemi; avete voi veduto mai in su la
meza notte il globo terrestre illuminato dal Sole?
Simplicio
Questa mi pare una domanda da non farsi se
non per burla, o vero a qualche persona conosciuta per insensata affatto.
Salviati
No, no, io v'ho per uomo sensatissimo, e
fo la domanda sul saldo: e però rispondete pure, e poi se vi parrà che io parli
a sproposito, mi contento d'esser io l'insensato; ché bene è piú sciocco quello
che interroga scioccamente, che quello a chi si fa interrogazione.
Simplicio
Se dunque voi non mi avete per semplice affatto,
fate conto ch'io v'abbia risposto, e detto che è impossibile che uno che sia in
Terra, come siamo noi, vegga di notte quella parte della Terra dove è giorno,
cioè che è percossa dal Sole.
Salviati
Adunque non vi è toccato mai a veder la Terra
illuminata se non di giorno; ma la Luna la vedete anco nella piú profonda notte
risplendere in cielo: e questa, signor Simplicio, è la cagione che vi fa credere
che la Terra non risplenda come la Luna; che se voi poteste veder la Terra illuminata
mentreché voi fuste in luogo tenebroso come la nostra notte, la vedreste splendida
piú che la Luna. Ora, se voi volete che la comparazione proceda bene, bisogna
far parallelo del lume della Terra con quel della Luna veduta di giorno, e non
con la Luna notturna, poiché non ci tocca a veder la Terra illuminata se non di
giorno. Non sta cosí?
Simplicio
Cosí è dovere.
Salviati
E perché voi medesimo avete già confessato
d'aver veduta la Luna di giorno tra nugolette biancheggianti e similissima, quanto
all'aspetto, ad una di esse, già primamente venite a confessare che quelle nugolette,
che pur son materie elementari, son atte a ricever l'illuminazione quanto la Luna,
ed ancor piú, se voi vi ridurrete in fantasia d'aver vedute talvolta alcune nugole
grandissime, e candidissime come la neve; e non si può dubitare che se una tale
si potesse conservar cosí luminosa nella piú profonda notte, ella illuminerebbe
i luoghi circonvicini piú che cento Lune. Quando dunque noi fussimo sicuri che
la Terra si illuminasse dal Sole al pari di una di quelle nugolette, non resterebbe
dubbio che ella fusse non meno risplendente della Luna. Ma di questo cessa ogni
dubbio, mentre noi veggiamo le medesime nugole, nell'assenza del Sole, restar
la notte cosí oscure come la Terra; e, quel che è piú, non è alcuno di noi al
quale non sia accaduto di veder piú volte alcune tali nugole basse e lontane,
e stare in dubbio se le fussero nugole o montagne: segno evidente, le montagne
non esser men luminose di quelle nugole.
Sagredo
Ma che piú altri discorsi? Eccovi là su la
Luna, che è piú di meza; eccovi là quel muro alto, dove batte il Sole; ritiratevi
in qua, sí che la Luna si vegga accanto al muro; guardate ora: che vi par piú
chiaro? non vedete voi che se vantaggio vi è, l'ha il muro? Il Sole percuote in
quella parete; di lí si reverbera nelle pareti della sala; da quelle si reflette
in quella camera, sí che in essa arriva con la terza riflessione: e ad ogni modo
son sicuro che vi è piú lume, che se direttamente vi arrivasse il lume della Luna.
Simplicio
Oh questo non credo io, perché quel della
Luna, e massime quando ell'è piena, è un grande illuminare.
Sagredo
Par grande per l'oscurità de i luoghi circonvicini
ombrosi, ma assolutamente non è molto, ed è minore che quel del crepuscolo di
mez'ora doppo il tramontar del Sole; il che è manifesto, perché non prima che
allora vedrete cominciare a distinguersi in Terra le ombre de i corpi illuminati
dalla Luna. Se poi quella terza reflessione in quella camera illumini piú che
la prima della Luna, si potrà conoscere andando là, col legger quivi un libro,
e provar poi stasera al lume della Luna se si legge piú agevolmente o meno, che
credo senz'altro che si leggerà meno.
Salviati
Ora, signor Simplicio (se però voi sete stato
appagato), potete comprender come voi medesimo sapevi veramente che la Terra risplendeva
non meno che la Luna, e che il ricordarvi solamente alcune cose sapute da per
voi, e non insegnate da me, ve n'ha reso certo: perché io non vi ho insegnato
che la Luna si mostra piú risplendente la notte che 'l giorno, ma già lo sapevi
da per voi, come anco sapevi che tanto si mostra chiara una nugoletta quanto la
Luna; sapevi parimente che l'illuminazion della Terra non si vede di notte, ed
in somma sapevi il tutto, senza saper di saperlo. Di qui non doverà di ragione
esservi difficile il conceder che la reflessione della Terra possa illuminar la
parte tenebrosa della Luna, con luce non minor di quella con la quale la Luna
illustra le tenebre della notte, anzi tanto piú, quanto che la Terra è quaranta
volte maggior della Luna.
Simplicio
Veramente io credeva che quel lume secondario
fosse proprio della Luna.
Salviati
E questo ancora sapete da per voi, e non
v'accorgete di saperlo. Ditemi: non avete voi per voi stesso saputo che la Luna
si mostra piú luminosa assai la notte che il giorno, rispetto all'oscurità del
campo ambiente? ed in conseguenza non venite voi a sapere in genere, che ogni
corpo lucido si mostra piú chiaro quanto l'ambiente è piú oscuro?
Simplicio
Questo so io benissimo.
Salviati
Quando la Luna è falcata e vi mostra assai
chiaro quel lume secondario, non è ella sempre vicina al Sole, ed in conseguenza
nel lume del crepusculo?
Simplicio
Èvvi; e molte volte ho desiderato che l'aria
si facesse piú fosca per poter veder quel tal lume piú chiaro, ma l'è tramontata
avanti notte oscura.
Salviati
Voi dunque sapete benissimo che nella profonda
notte quel lume apparirebbe piú?
Simplicio
Signor sí, ed ancor piú se si potesse tor
via il gran lume delle corna tocche dal Sole, la presenza del quale offusca assai
l'altro minore.
Salviati
Oh non accad'egli talvolta di poter vedere
dentro ad oscurissima notte tutto il disco della Luna, senza punto essere illuminato
dal Sole?
Simplicio
Io non so che questo avvenga mai, se non
ne gli eclissi totali della Luna.
Salviati
Adunque allora dovrebbe questa sua luce mostrarsi
vivissima, essendo in un campo oscurissimo e non offuscata dalla chiarezza delle
corna luminose: ma voi in quello stato come l'avete veduta lucida?
Simplicio
Holla veduta talvolta del color del rame
ed un poco albicante; ma altre volte è rimasta tanto oscura, che l'ho del tutto
persa di vista.
Salviati
Come dunque può esser sua propria quella
luce, che voi cosí chiara vedete nell'albor del crepuscolo, non ostante l'impedimento
dello splendor grande e contiguo delle corna, e che poi nella piú oscura notte,
rimossa ogni altra luce, non apparisce punto?
Simplicio
Intendo esserci stato chi ha creduto cotal
lume venirle participato dall'altre stelle, ed in particolare da Venere, sua vicina.
Salviati
E cotesta parimente è una vanità, perché
nel tempo della sua totale oscurazione dovrebbe pur mostrarsi piú lucida che mai,
ché non si può dire che l'ombra della Terra gli asconda la vista di Venere né
dell'altre stelle; ma ben ne riman ella del tutto priva allora, perché l'emisferio
terrestre che in quel tempo riguarda verso la Luna, è quello dove è notte, cioè
un'intera privazion del lume del Sole. E se voi diligentemente andrete osservando,
vedrete sensatamente che, sí come la Luna, quando è sottilmente falcata, pochissimo
illumina la Terra, e secondoché in lei vien crescendo la parte illuminata dal
Sole, cresce parimente lo splendore a noi, che da quella vienci reflesso; cosí
la Luna, mentre è sottilmente falcata e che, per esser tra 'l Sole e la Terra,
scuopre grandissima parte dell'emisferio terreno illuminato, si mostra assai chiara,
e discostandosi dal Sole e venendo verso la quadratura, si vede tal lume andar
languendo, ed oltre la quadratura si vede assai debile, perché sempre va perdendo
della vista della parte luminosa della Terra: e pur dovrebbe accadere il contrario
quando tal lume fusse suo o comunicatole dalle stelle, perché allora la possiamo
vedere nella profonda notte e nell'ambiente molto tenebroso.
Simplicio
Fermate, di grazia, che pur ora mi sovviene
aver letto in un libretto moderno di conclusioni, pieno di molte novità, "che
questo lume secondario non è cagionato dalle stelle né è proprio della Luna e
men di tutti comunicatogli dalla Terra, ma che deriva dalla medesima illuminazion
del Sole, la quale, per esser la sustanza del globo lunare alquanto trasparente,
penetra per tutto il suo corpo, ma piú vivamente illumina la superficie dell'emisfero
esposto a i raggi del Sole, e la profondità, imbevendo e, per cosí dire, inzuppandosi
di tal luce a guisa di una nugola o di un cristallo, la trasmette e si rende visibilmente
lucida. E questo (se ben mi ricorda) prova egli con l'autorità, con l'esperienza
e con la ragione, adducendo Cleomede, Vitellione, Macrobio e qualch'altro autor
moderno, e soggiugnendo, vedersi per esperienza ch'ella si mostra molto lucida
ne i giorni prossimi alla congiunzione, cioè quando è falcata, e massimamente
risplende intorno al suo limbo; e di piú scrive che negli eclissi solari, quando
ella è sotto il disco del Sole, si vede tralucere, e massime intorno all'estremo
cerchio. Quanto poi alle ragioni, parmi ch'e' dica che non potendo ciò derivare
né dalla Terra né dalle stelle né da se stessa, resta necessariamente ch'e' venga
dal Sole; oltreché, fatta questa supposizione, benissimo si rendono accomodate
ragioni di tutti i particulari che accascano. Imperocché del mostrarsi tal luce
secondaria piú vivace intorno all'estremo limbo, ne è cagione la brevità dello
spazio da esser penetrato da i raggi del Sole, essendoché delle linee che traversano
un cerchio, la massima è quella che passa per il centro, e delle altre le piú
lontane da questa son sempre minori delle piú vicine. Dal medesimo principio dice
egli derivare che tal lume poco diminuisce. E finalmente, per questa via si assegna
la causa onde avvenga che quel cerchio piú lucido intorno all'estremo margine
della Luna si scorga nell'eclisse solare in quella parte che sta sotto il disco
del Sole, ma non in quella che è fuor del disco; provenendo ciò, perché i raggi
del Sole trapassano a dirittura al nostro occhio per le parti della Luna sottoposte,
ma per le parti che son fuori, cascano fuori dell'occhio".
Salviati
Se questo filosofo fusse stato il primo autore
di tale opinione, io non mi maraviglierei che e' vi fusse talmente affezionato,
che e' l'avesse ricevuta per vera; ma ricevendola da altri, non saprei addur ragione
bastante per iscusarlo dal non aver comprese le sue fallacie, e massime doppo
l'aver egli sentita la vera causa di tale effetto, ed aver potuto con mille esperienze
e manifesti riscontri assicurarsi, ciò dal reflesso della Terra, e non da altro,
procedere; e quanto questa cognizione fa desiderar qualche cosa nell'accorgimento
di questo autore e di tutti gli altri che non le prestano l'assenso, tanto il
non l'avere intesa e non esser loro sovvenuta mi rende scusabili quei piú antichi,
i quali son ben sicuro che se adesso l'intendessero, senza una minima repugnanza
l'ammetterebbero. E se io vi devo schiettamente dire il mio concetto, non posso
creder che quest'autor moderno internamente non la creda, ma dubito che il non
potersen'egli fare il primo autore, lo stimoli un poco a tentare di supprimerla
o smaccarla almanco appresso a i semplici, il numero de i quali sappiamo esser
grandissimo; e molti sono che godono assai piú dell'applauso numeroso del popolo,
che dell'assenso de i pochi non vulgari.
Sagredo
Fermate un poco, signor Salviati, ché mi
par di vedere che voi non andiate drittamente al vero punto nel vostro parlare;
perché questi, che tendono le pareti al comune, si sanno anco fare autori dell'invenzioni
di altri, purché non sieno tanto antiche e fatte pubbliche per le cattedre e per
le piazze, che sieno piú che notorie a tutti.
Salviati
Oh io son piú cattivo di voi. Che dite voi
di pubbliche o di notorie? non è egli l'istesso l'esser l'opinioni e l'invenzioni
nuove a gli uomini, che l'esser gli uomini nuovi a loro? se voi vi contentaste
della stima de' principianti nelle scienze, che vengon su di tempo in tempo, potreste
farvi anco inventore sin dell'alfabeto, e cosí rendervi ad essi ammirando; e se
ben poi col progresso del tempo si scoprisse la vostra sagacità, ciò poco pregiudica
al vostro fine, perché altri sottentrano a mantenere il numero de i fautori. Ma
torniamo a mostrare al signor Simplicio la inefficacia de i discorsi del suo moderno
autore, ne i quali ci sono falsità e cose non concludenti ed inopinabili. E prima,
è falso che questa luce secondaria sia piú chiara intorno all'estremo margine
che nelle parti di mezo, sí che si formi quasi un anello o cerchio piú risplendente
del resto del campo. Ben è vero che guardando la Luna posta nel crepuscolo, si
mostra, nel primo apparire, un tal cerchio, ma con inganno che nasce dalla diversità
de i confini con i quali termina il disco lunare, sparso di questa luce secondaria:
imperocché dalla parte verso il Sole confina con le corna lucidissime della Luna,
e dall'altra ha per termine confinante il campo oscuro del crepuscolo, la relazion
del quale ci fa parere piú chiaro l'albore del disco lunare, il quale nella parte
opposta viene offuscato dallo splendor maggiore delle corna. Che se l'autor moderno
avesse provato a farsi ostacolo tra l'occhio e lo splendor primario col tetto
di qualche casa o con altro tramezzo, sí che visibile restasse solamente la piazza
della Luna fuori delle corna, l'avrebbe veduta tutta egualmente luminosa.
Simplicio
Mi par pur ricordare che egli scriva d'essersi
servito di un simile artifizio per nascondersi la falce lucida.
Salviati
Oh come questo è, la sua, che io stimava
inavvertenza, diventa bugia; la quale pizzica anco di temerità, poiché ciascheduno
ne può far frequentemente la riprova. Che poi nell'eclisse del Sole si vegga il
disco della Luna in altro modo che per privazione, io ne dubito assai, e massime
quando l'eclisse non sia totale, come necessariamente bisogna che siano state
le osservate dall'autore; ma quando anco e' si scorgesse come lucido, questo non
contraria, anzi favorisce l'opinion nostra, avvengaché allora si oppone alla Luna
tutto l'emisferio terrestre illuminato dal Sole, ché se bene l'ombra della Luna
ne oscura una parte, questa è pochissima in comparazione di quella che rimane
illuminata. Quello che aggiugne di piú, che in questo caso la parte del margine
che soggiace al Sole si mostri assai lucida, ma non cosí quella che resta fuori,
e ciò derivare dal venirci direttamente per quella parte i raggi solari all'occhio,
ma non per questa, è bene una di quelle favole che manifestano le altre finzioni
di colui che le racconta; perché, se per farci visibile di luce secondaria il
disco lunare bisogna che i raggi del Sole vengano direttamente al nostro occhio,
non vede il poverino che noi mai non vedremmo tal luce secondaria se non nell'eclisse
del Sole? E se l'esser una parte della Luna remota dal disco solare solamente
manco assai di mezo grado può deviare i raggi del Sole, sí che non arrivino al
nostro occhio, che sarà quando ella se ne trovi lontana venti e trenta, quale
ella ne è nella sua prima apparizione? e come verranno i raggi del Sole, che hanno
a trapassar per il corpo della Luna, a trovar l'occhio nostro? Quest'uomo si va
di mano in mano figurando le cose quali bisognerebbe ch'elle fussero per servire
al suo proposito, e non va accomodando i suoi propositi di mano in mano alle cose
quali elle sono. Ecco: per far che lo splendor del Sole possa penetrar la sustanza
della Luna, ei la fa in parte diafana, quale è, verbigrazia, la trasparenza di
una nugola o di un cristallo; ma non so poi quello ch'ei si giudicasse, circa
una tal trasparenza, quando i raggi solari avessero a penetrare una profondità
di nugola di piú di dua mila miglia. Ma ammettasi che egli arditamente rispondesse,
ciò potere esser benissimo ne i corpi celesti, che sono altre faccende che questi
nostri elementari, impuri e fecciosi, e convinchiamo l'error suo con mezi che
non ammettono risposta, o per dir meglio, sutterfugii. Quando ei voglia mantenere
che la sustanza della Luna sia diafana, bisogna ch'ei dica che ella è tale mentreché
i raggi del Sole abbiano a penetrar tutta la sua profondità, cioè ne abbiano a
penetrar piú di dua mila miglia, ma che opponendosigliene solo un miglio ed anco
meno, non la penetreranno piú che e' si penetrino una delle nostre montagne.
Sagredo
Voi mi fate sovvenire di uno che mi voleva
vendere un segreto di poter parlare, per via di certa simpatia di aghi calamitati,
a uno che fusse stato lontano due o tre mila miglia; e dicendogli io che volentieri
l'avrei comprato, ma che volevo vederne l'esperienza, e che mi bastava farla stando
io in una delle mie camere ed egli in un'altra, mi rispose che in sí piccola distanza
non si poteva veder ben l'operazione: onde io lo licenziai, con dire che non mi
sentivo per allora di andare nel Cairo o in Moscovia per veder tale esperienza;
ma se pure voleva andare esso, che io arei fatto l'altra parte, restando in Venezia.
Ma sentiamo come va la conseguenza dell'autore, e come bisogni ch'egli ammetta,
la materia della Luna esser permeabilissima da i raggi solari nella profondità
di dua mila miglia, ma opacissima piú di una montagna delle nostre nella grossezza
di un miglio solo.
Salviati
L'istesse montagne appunto della Luna ce
ne fanno testimonianza, le quali, ferite da una parte dal Sole, gettano dall'opposta
ombre negrissime, terminate e taglienti piú assai dell'ombre delle nostre; che
quando elle fussero diafane, mai non avremmo potuto conoscere asprezza veruna
nella superficie della Luna, né veder quelle cuspidi luminose staccate dal termine
che distingue la parte illuminata dalla tenebrosa; anzi né meno vedremmo noi questo
medesimo termine cosí distinto, se fusse vero che 'l lume del Sole penetrasse
la profondità della Luna; anzi, per il detto medesimo dell'autore, bisognerebbe
vedere il passaggio e confine tra la parte vista e la non vista dal Sole assai
confuso e misto di luce e tenebre, ché bene è necessario che quella materia che
dà il transito a i raggi solari nella profondità di dua mila miglia, sia tanto
trasparente che pochissimo gli contrasti nella centesima o minor parte di tal
grossezza: tuttavia il termine che separa la parte illuminata dalla oscura è tagliente
e cosí distinto quanto è distinto il bianco dal nero, e massime dove il taglio
passa sopra la parte della Luna naturalmente piú chiara e piú aspra; ma dove sega
le macchie antiche, le quali sono pianure, per andare elle sfericamente inclinandosi,
sí che ricevono i raggi del Sole obliquissimi, quivi il termine non è cosí tagliente,
mediante la illuminazione piú languida. Quello finalmente ch'ei dice del non si
diminuire ed abbacinare la luce secondaria secondo che la Luna va crescendo, ma
conservarsi continuamente della medesima efficacia, è falsissimo; anzi, poco si
vede nella quadratura, quando, per l'opposito, ella dovrebbe vedersi piú viva,
potendosi vedere fuor del crepuscolo, nella notte piú profonda. Concludiamo per
tanto, esser la reflession della Terra potentissima nella Luna; e, quello di che
dovrete far maggiore stima, cavatene un'altra congruenza bellissima: cioè, che
se è vero che i pianeti operino sopra la Terra col moto e col lume, forse la Terra
non meno sarà potente a operar reciprocamente in loro col medesimo lume e per
avventura col moto ancora; e quando anco ella non si movesse, pur gli può restare
la medesima operazione, perché già, come si è veduto, l'azione del lume è la medesima
appunto, cioè del lume del Sole reflesso, e 'l moto non fa altro che la variazione
de gli aspetti, la quale segue nel modo medesimo facendo muover la Terra e star
fermo il Sole, che se si faccia per l'opposito.
Simplicio
Non si troverà alcuno de i filosofi che abbia
detto che questi corpi inferiori operino ne i celesti, ed Aristotile dice chiaro
il contrario.
Salviati
Aristotile e gli altri che non han saputo
che la Terra e la Luna si illuminino scambievolmente, son degni di scusa; ma sarebber
ben degni di riprensione se, mentre vogliono che noi concediamo e crediamo a loro
che la Luna operi in Terra col lume, e' volessin poi a noi, che gli aviamo insegnato
che la Terra illumina la Luna, negare l'azione della Terra nella Luna.
Simplicio
In somma io sento in me un'estrema repugnanza
nel potere ammettere questa società che voi vorreste persuadermi tra la Terra
e la Luna, ponendola, come si dice, in ischiera con le stelle; ché, quando altro
non ci fusse, la gran separazione e lontananza tra essa e i corpi celesti mi par
che necessariamente concluda una grandissima dissimilitudine tra di loro.
Salviati
Vedete, signor Simplicio, quanto può un inveterato
affetto ed una radicata opinione; poiché è tanto gagliarda, che vi fa parer favorevoli
quelle cose medesime che voi stesso producete contro di voi. Che se la separazione
e lontananza sono accidenti validi per persuadervi una gran diversità di nature,
convien che per l'opposito la vicinanza e contiguità importino similitudine: ma
quanto è piú vicina la Luna alla Terra che a qualsivoglia altro de i globi celesti?
Confessate dunque, per la vostra medesima concessione (ed averete anco altri filosofi
per compagni), grandissima affinità esser tra la Terra e la Luna. Or seguitiamo
avanti, e proponete se altro ci resta da considerare circa le difficultà che voi
moveste contro le congruenze tra questi due corpi.
Simplicio
Ci resterebbe non so che in proposito della
solidità della Luna, la quale io argumentava dall'esser ella sommamente pulita
e liscia, e voi dall'esser montuosa. Un'altra difficultà mi nasceva per il credere
io che la reflession del mare dovesse esser, per l'egualità della sua superficie,
piú gagliarda che quella della Terra, la cui superficie è tanto scabrosa ed opaca.
Salviati
Quanto al primo dubbio, dico che, sí come
nelle parti della Terra, che tutte per la lor gravità conspirano ad approssimarsi
quanto piú possono al centro, alcune tuttavia ne rimangono piú remote che l'altre,
cioè le montagne piú delle pianure, e questo per la lor solidità e durezza (ché
se fusser di materia fluida si spianerebbero), cosí il veder noi alcune parti
della Luna restare elevate sopra la sfericità delle parti piú basse arguisce la
loro durezza, perché è credibile che la materia della Luna si figuri in forma
sferica per la concorde conspirazione di tutte le sue parti al medesimo centro.
Circa l'altro dubbio, parmi che per le cose che aviamo considerate accader negli
specchi, possiamo intender benissimo che la reflession del lume che vien dal mare
sia inferiore assai a quella che vien dalla terra, intendendo però della reflessione
universale; perché quanto alla particolare che la superficie dell'acqua quieta
manda in un luogo determinato, non ha dubbio che chi si constituirà in tal luogo,
vedrà nell'acqua un reflesso potentissimo, ma da tutti gli altri luoghi si vedrà
la superficie dell'acqua piú oscura di quella della terra. E per mostrarlo al
senso, andiamo qua in sala e versiamo un poco di acqua sul pavimento: ditemi ora,
non si mostr'egli questo mattone bagnato piú oscuro assai degli altri asciutti?
Certo sí, e tale si mostrerà egli rimirato da qualsivoglia luogo, eccettuatone
un solo, e questo è quello dove arriva il reflesso del lume che entra per quella
finestra: tiratevi adunque indietro pian piano.
Simplicio
Di qui veggo io la parte bagnata piú lucida
del resto del pavimento, e veggo che ciò avviene perché il reflesso del lume,
che entra per la finestra, viene verso di me.
Salviati
Quel bagnare non ha fatto altro che riempier
quelle piccole cavità che sono nel mattone e ridur la sua superficie a un piano
esquisito, onde poi i raggi reflessi vanno uniti verso un medesimo luogo: ma il
resto del pavimento asciutto ha la sua asprezza, cioè una innumerabil varietà
di inclinazioni nelle sue minime particelle, onde le reflessioni del lume vanno
verso tutte le parti, ma piú debili che se andasser tutte unite insieme; e però
poco o niente si varia il suo aspetto per riguardarlo da diverse bande, ma da
tutti i luoghi si mostra l'istesso, ma ben men chiaro assai che quella reflession
della parte bagnata. Concludo per tanto che la superficie del mare, veduta dalla
Luna, sí come apparirebbe egualissima (trattone le isole e gli scogli), cosí apparirebbe
men chiara che quella della terra, montuosa e ineguale. E se non fusse ch'io non
vorrei parer, come si dice, di volerne troppo, vi direi d'aver osservato nella
Luna quel lume secondario, ch'io dico venirle dalla reflession del globo terrestre,
esser notabilmente piú chiaro due o tre giorni avanti la congiunzione che doppo,
cioè quando noi la veggiamo avanti l'alba in oriente che quando si vede la sera,
doppo il tramontar del Sole, in occidente; della qual differenza ne è causa che
l'emisferio terrestre che si oppone alla Luna orientale ha poco mare ed assaissima
terra, avendo tutta l'Asia, doveché, quando ella è in occidente, riguarda grandissimi
mari, cioè tutto l'Oceano Atlantico sino alle Americhe: argomento assai probabile
del mostrarsi meno splendida la superficie dell'acqua che quella della terra.
SIMP.[Adunque, per vostro credere, ella farebbe un aspetto simile a quello che
noi veggiamo nella Luna, delle 2 parti massime.] Ma credete voi forse che quelle
gran macchie che si veggono nella faccia della Luna siano mari, e il resto piú
chiaro terra, o cosa tale?
Salviati
Questo che voi domandate è il principio delle
incongruenze ch'io stimo esser tra la Luna e la Terra, dalle quali sarà tempo
che noi ci sbrighiamo, ché pur troppo siamo dimorati in questa Luna. Dico dunque
che quando in natura non fusse altro che un modo solo per far apparir due superficie,
illustrate dal Sole, una piú chiara dell'altra, e che questo fosse per esser una
di terra e l'altra di acqua, bisognerebbe necessariamente dire che la superficie
della Luna fosse parte terrea e parte aquea; ma perché vi sono piú modi conosciuti
da noi, che posson cagionare il medesimo effetto, ed altri per avventura ne posson
essere incogniti a noi, però io non ardirei di affermare, questo piú che quello
esser nella Luna. Già si è veduto di sopra come una piastra d'argento bianchito,
col toccarlo col brunitoio, di candido si rappresenta oscuro; la parte umida della
Terra si mostra piú oscura della arida; ne i dorsi delle montagne, le parti silvose
appariscono assai piú fosche delle nude e sterili; ciò accade, perché tra le piante
casca gran quantità di ombra, ed i luoghi aprici son tutti illuminati dal Sole;
e questa mistione di ombre opera tanto, che voi vedete ne i velluti a opera il
color della seta tagliata mostrarsi molto piú oscuro che quel della non tagliata,
mediante le ombre disseminate tra pelo e pelo, ed il velluto piano parimente assai
piú fosco che un ermisino fatto della medesima seta; sí che quando nella Luna
fossero cose che imitassero grandissime selve, l'aspetto loro potrebbe rappresentarci
le macchie che noi veggiamo; una tal differenza farebbero s'elle fusser mari;
e finalmente non repugna che potesse esser che quelle macchie fosser realmente
di color piú oscuro del rimanente, ché in questa guisa la neve fa comparir le
montagne piú chiare. Quello che si vede manifestamente nella Luna è che le parti
piú oscure son tutte pianure, con pochi scogli e argini dentrovi, ma pur ve ne
son alcuni: il restante piú chiaro è tutto pieno di scogli, montagne, arginetti
rotondi e di altre figure; ed in particolare intorno alle macchie sono grandissime
tirate di montagne. Dell'esser le macchie superficie piane, ce ne assicura il
veder come il termine che distingue la parte illuminata dall'oscura, nel traversar
le macchie fa il taglio eguale, ma nelle parti chiare si mostra per tutto anfrattuoso
e merlato. Ma non so già se questa egualità di superficie possa esser bastante
per sé sola a far apparir l'oscurità, e credo piú tosto di no. Reputo, oltre a
questo, la Luna differentissima dalla Terra, perché, se bene io mi immagino che
quelli non sien paesi oziosi e morti, non affermo però che vi sieno movimenti
e vita, e molto meno che vi si generino piante, animali o altre cose simili alle
nostre, ma, se pur ve n'è, fussero diversissime, e remote da ogni nostra immaginazione:
e muovomi a cosí credere, perché, primamente, stimo che la materia del globo lunare
non sia di terra e di acqua, e questo solo basta a tòr via le generazioni e alterazioni
simili alle nostre; ma, posto anco che lassú fosse acqua e terra, ad ogni modo
non vi nascerebbero piante ed animali simili a i nostri, e questo per due ragioni
principali. La prima è, che per le nostre generazioni son tanto necessarii gli
aspetti variabili del Sole, che senza essi il tutto mancherebbe: ora le abitudini
del Sole verso la Terra son molto differenti da quelle verso la Luna Noi, quanto
all'illuminazion diurna, abbiamo nella maggior parte della Terra ogni ventiquattr'ore
parte di giorno e parte di notte, il quale effetto nella Luna si fa in un mese;
e quello abbassamento ed alzamento annuo per il quale il Sole ci apporta le diverse
stagioni e la disegualità de i giorni e delle notti, nella Luna si finisce pur
in un mese; e dove il Sole a noi si alza ed abbassa tanto, che dalla massima alla
minima altezza vi corre circa quarantasette gradi di differenza, cioè quanta è
la distanza dall'uno all'altro tropico, nella Luna non importa altro che gradi
dieci o poco piú, ché tanto importano le massime latitudini del dragone di qua
e di là dall'eclittica. Considerisi ora qual sarebbe l'azion del Sole dentro alla
zona torrida quando e' durasse quindici giorni continui a ferirla con i suoi raggi,
che senz'altro s'intenderà che tutte le piante e le erbe e gli animali si dispergerebbero;
e se pur vi si facessero generazioni, sarebber di erbe, piante ed animali diversissimi
da i presenti. Secondariamente, io tengo per fermo che nella Luna non siano piogge,
perché quando in qualche parte vi si congregassero nugole, come intorno alla Terra,
ci verrebbero ad ascondere alcuna di quelle cose che noi col telescopio veggiamo
nella Luna, ed in somma in qualche particella ci varierebber la vista; effetto
che io per lunghe e diligenti osservazioni non ho veduto mai, ma sempre vi ho
scorto una uniforme serenità purissima.
Sagredo
A questo si potrebbe rispondere, o che vi
fossero grandissime rugiade, o che vi piovesse ne i tempi della lor notte, cioè
quando il Sole non la illumina.
Salviati
Se per altri riscontri noi avessimo indizii
che in essa si facesser generazioni simili alle nostre, e solo ci mancasse il
concorso delle piogge, potremmo trovarci questo o altro temperamento che supplisse
in vece di quelle, come accade nell'Egitto dell'inondazione del Nilo; ma non incontrando
accidente alcuno che concordi co i nostri, de' molti che si ricercherebbero per
produrvi gli effetti simili, non occorre affaticarsi per introdurne un solo, e
quello anco non perché se n'abbia sicura osservazione, ma per una semplice non
repugnanza. Oltre che, quando mi fosse domandato quello che la prima apprensione
ed il puro naturale discorso mi detta circa il prodursi là cose simili o pur differenti
dalle nostre, io direi sempre, differentissime ed a noi del tutto inimmaginabili,
che cosí mi pare che ricerchi la ricchezza della natura e l'onnipotenza del Creatore
e Governatore.
Sagredo
Estrema temerità mi è parsa sempre quella
di coloro che voglion far la capacità umana misura di quanto possa e sappia operar
la natura, dove che, all'incontro, e' non è effetto alcuno in natura, per minimo
che e' sia, all'intera cognizion del quale possano arrivare i piú specolativi
ingegni. Questa cosí vana prosunzione d'intendere il tutto non può aver principio
da altro che dal non avere inteso mai nulla, perché, quando altri avesse esperimentato
una volta sola a intender perfettamente una sola cosa ed avesse gustato veramente
come è fatto il sapere, conoscerebbe come dell'infinità dell'altre conclusioni
niuna ne intende.
Salviati
Concludentissimo è il vostro discorso; in
confermazion del quale abbiamo l'esperienza di quelli che intendono o hanno inteso
qualche cosa, i quali quanto piú sono sapienti, tanto piú conoscono e liberamente
confessano di saper poco; ed il sapientissimo della Grecia, e per tale sentenziato
da gli oracoli, diceva apertamente conoscer di non saper nulla.
Simplicio
Convien dunque dire, o che l'oracolo, o l'istesso
Socrate, fusse bugiardo, predicandolo quello per sapientissimo, e dicendo questo
di conoscersi ignorantissimo.
Salviati
Non ne seguita né l'uno né l'altro, essendo
che amendue i pronunziati posson esser veri. Giudica l'oracolo sapientissimo Socrate
sopra gli altri uomini, la sapienza de i quali è limitata; si conosce Socrate
non saper nulla in relazione alla sapienza assoluta, che è infinita; e perché
dell'infinito tal parte n'è il molto che 'l poco e che il niente (perché per arrivar,
per esempio, al numero infinito tanto è l'accumular migliaia, quanto decine e
quanto zeri), però ben conosceva Socrate, la terminata sua sapienza esser nulla
all'infinita, che gli mancava. Ma perché pur tra gli uomini si trova qualche sapere,
e questo non egualmente compartito a tutti, potette Socrate averne maggior parte
de gli altri, e perciò verificarsi il responso dell'oracolo.
Sagredo
Parmi di intender benissimo questo punto.
Tra gli uomini, signor Simplicio, è la potestà di operare, ma non egualmente participata
da tutti: e non è dubbio che la potenza d'un imperadore è maggiore assai che quella
d'una persona privata; ma e questa e quella è nulla in comparazione dell'onnipotenza
divina. Tra gli uomini vi sono alcuni che intendon meglio l'agricoltura che molti
altri; ma il saper piantar un sermento di vite in una fossa, che ha da far col
saperlo far barbicare, attrarre il nutrimento, da quello scierre questa parte
buona per farne le foglie, quest'altra per formarne i viticci, quella per i grappoli,
quell'altra per l'uva, ed un'altra per i fiocini, che son poi l'opere della sapientissima
natura? Questa è una sola opera particolare delle innumerabili che fa la natura,
ed in essa sola si conosce un'infinita sapienza, talché si può concludere, il
saper divino esser infinite volte infinito.
Salviati
Eccone un altro esempio. Non direm noi che
'l sapere scoprire in un marmo una bellissima statua ha sublimato l'ingegno del
Buonarruoti assai assai sopra gli ingegni comuni degli altri uomini? E questa
opera non è altro che imitare una sola attitudine e disposizion di membra esteriore
e superficiale d'un uomo immobile; e però che cosa è in comparazione d'un uomo
fatto dalla natura, composto di tante membra esterne ed interne, de i tanti muscoli,
tendini, nervi, ossa, che servono a i tanti e sí diversi movimenti? Ma che diremo
de i sensi, delle potenze dell'anima, e finalmente dell'intendere? non possiamo
noi dire, e con ragione, la fabbrica d'una statua cedere d'infinito intervallo
alla formazion d'un uomo vivo, anzi anco alla formazion d'un vilissimo verme?
Sagredo
E qual differenza crediamo che fusse tra
la colomba d'Archita ed una della natura?
Simplicio
O io non sono un di quegli uomini che intendano,
o 'n questo vostro discorso è una manifesta contradizione. Voi tra i maggiori
encomii, anzi pur per il massimo di tutti, attribuite all'uomo, fatto dalla natura,
questo dell'intendere; e poco fa dicevi con Socrate che 'l suo intendere non era
nulla; adunque bisognerà dire che né anco la natura abbia inteso il modo di fare
un intelletto che intenda.
Salviati
Molto acutamente opponete; e per rispondere
all'obbiezione, convien ricorrere a una distinzione filosofica, dicendo che l'intendere
si può pigliare in due modi, cioè intensive, o vero extensive: e che extensive,
cioè quanto alla moltitudine degli intelligibili, che sono infiniti, l'intender
umano è come nullo, quando bene egli intendesse mille proposizioni, perché mille
rispetto all'infinità è come un zero; ma pigliando l'intendere intensive, in quanto
cotal termine importa intensivamente, cioè perfettamente, alcuna proposizione,
dico che l'intelletto umano ne intende alcune cosí perfettamente, e ne ha cosí
assoluta certezza, quanto se n'abbia l'intessa natura; e tali sono le scienze
matematiche pure, cioè la geometria e l'aritmetica, delle quali l'intelletto divino
ne sa bene infinite proposizioni di piú, perché le sa tutte, ma di quelle poche
intese dall'intelletto umano credo che la cognizione agguagli la divina nella
certezza obiettiva, poiché arriva a comprenderne la necessità, sopra la quale
non par che possa esser sicurezza maggiore.
Simplicio
Questo mi pare un parlar molto resoluto ed
ardito.
Salviati
Queste son proposizioni comuni e lontane
da ogni ombra di temerità o d'ardire e che punto non detraggono di maestà alla
divina sapienza, sí come niente diminuisce la Sua onnipotenza il dire che Iddio
non può fare che il fatto non sia fatto. Ma dubito, signor Simplicio, che voi
pigliate ombra per esser state ricevute da voi le mie parole con qualche equivocazione.
Però, per meglio dichiararmi, dico che quanto alla verità di che ci danno cognizione
le dimostrazioni matematiche, ella è l'istessa che conosce la sapienza divina;
ma vi concederò bene che il modo col quale Iddio conosce le infinite proposizioni,
delle quali noi conosciamo alcune poche, è sommamente piú eccellente del nostro,
il quale procede con discorsi e con passaggi di conclusione in conclusione, dove
il Suo è di un semplice intuito: e dove noi, per esempio, per guadagnar la scienza
d'alcune passioni del cerchio, che ne ha infinite, cominciando da una delle piú
semplici e quella pigliando per sua definizione, passiamo con discorso ad un'altra,
e da questa alla terza, e poi alla quarta, etc., l'intelletto divino con la semplice
apprensione della sua essenza comprende, senza temporaneo discorso, tutta la infinità
di quelle passioni; le quali anco poi in effetto virtualmente si comprendono nelle
definizioni di tutte le cose, e che poi finalmente, per esser infinite, forse
sono una sola nell'essenza loro e nella mente divina. Il che né anco all'intelletto
umano è del tutto incognito, ma ben da profonda e densa caligine adombrato, la
qual viene in parte assottigliata e chiarificata quando ci siamo fatti padroni
di alcune conclusioni fermamente dimostrate e tanto speditamente possedute da
noi, che tra esse possiamo velocemente trascorrere: perché in somma, che altro
è l'esser nel triangolo il quadrato opposto all'angolo retto eguale a gli altri
due che gli sono intorno, se non l'esser i parallelogrammi sopra base comune e
tra le parallele, tra loro eguali? e questo non è egli finalmente il medesimo
che essere eguali quelle due superficie che adattate insieme non si avanzano,
ma si racchiuggono dentro al medesimo termine? Or questi passaggi, che l'intelletto
nostro fa con tempo e con moto di passo in passo, l'intelletto divino, a guisa
di luce, trascorre in un instante, che è l'istesso che dire, gli ha sempre tutti
presenti. Concludo per tanto, l'intender nostro, e quanto al modo e quanto alla
moltitudine delle cose intese, esser d'infinito intervallo superato dal divino;
ma non però l'avvilisco tanto, ch'io lo reputi assolutamente nullo; anzi, quando
io vo considerando quante e quanto maravigliose cose hanno intese investigate
ed operate gli uomini, pur troppo chiaramente conosco io ed intendo, esser la
mente umana opera di Dio, e delle piú eccellenti.
Sagredo
Io son molte volte andato meco medesimo considerando,
in proposito di questo che di presente dite, quanto grande sia l'acutezza dell'ingegno
umano; e mentre io discorro per tante e tanto maravigliose invenzioni trovate
da gli uomini, sí nelle arti come nelle lettere, e poi fo reflessione sopra il
saper mio, tanto lontano dal potersi promettere non solo di ritrovarne alcuna
di nuovo, ma anco di apprendere delle già ritrovate, confuso dallo stupore ed
afflitto dalla disperazione, mi reputo poco meno che infelice. S'io guardo alcuna
statua delle eccellenti, dico a me medesimo: "E quando sapresti levare il soverchio
da un pezzo di marmo, e scoprire sí bella figura che vi era nascosa? quando mescolare
e distendere sopra una tela o parete colori diversi, e con essi rappresentare
tutti gli oggetti visibili, come un Michelagnolo, un Raffaello, un Tiziano?" S'io
guardo quel che hanno ritrovato gli uomini nel compartir gl'intervalli musici,
nello stabilir precetti e regole per potergli maneggiar con diletto mirabile dell'udito,
quando potrò io finir di stupire? Che dirò de i tanti e sí diversi strumenti?
La lettura de i poeti eccellenti di qual meraviglia riempie chi attentamente considera
l'invenzion de' concetti e la spiegatura loro? Che diremo dell'architettura? che
dell'arte navigatoria? Ma sopra tutte le invenzioni stupende, qual eminenza di
mente fu quella di colui che s'immaginò di trovar modo di comunicare i suoi piú
reconditi pensieri a qualsivoglia altra persona, benché distante per lunghissimo
intervallo di luogo e di tempo? parlare con quelli che son nell'Indie, parlare
a quelli che non sono ancora nati né saranno se non di qua a mille e dieci mila
anni? e con qual facilità? con i vari accozzamenti di venti caratteruzzi sopra
una carta. Sia questo il sigillo di tutte le ammirande invenzioni umane, e la
chiusa de' nostri ragionamenti di questo giorno: ed essendo passate le ore piú
calde, il signor Salviati penso io che avrà gusto di andare a godere de i nostri
freschi in barca; e domani vi starò attendendo amendue per continuare i discorsi
cominciati, etc.