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dialogo di Bruno Brancati 5E "LICEO CLASSSICO TOMMASO CAMPANELLA" DI REGGIO CALABRIA




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Intervista a Seneca formato pdf
Vita di Seneca
Cordova 4 d.c.- Roma 65 d.c.
Dialogo con Seneca
Luogo: il centro di una metropoli

Epoca: attuale

Non chiedetemi come sia successo: è una delle cose più strane che mi siano mai capitate. Stavo facendo una delle mie solite passeggiate per il centro, quando un tizio mai visto prima, ma chissà come conosciuto, venne verso di me: era vestito alla maniera occidentale, in modo piuttosto elegante
Bruno: Ciao Lucio, come va la vita? -vita si fa per dire: non eri morto da circa duemila anni?
Seneca: Sì, è vero, ma, nonostante tutto, mi sento più vivo che mai! Che fai da queste parti?
Bruno: Forse questa domanda dovrei fartela io, comunque sto facendo una passeggiata.
Seneca: Non preoccuparti, presto conoscerai quello che sono venuto a fare qui. Scusa, permettimi Un'altra domanda: sei solito girovagare lungo questi tortuosi canali lastricati che si immergono in luoghi piuttosto ampi, dove si accumulano persone a persone, dove è tutto un brillare di luci, uno scatenarsi di suoni, un furibondo scorrere di immagini, e??
Bruno: Lucio: una città.
Seneca: Ah, c'è una sola parola? Quindi, questa sarebbe una vostra "urbs"?
Bruno: Sì, proprio così.
Seneca: Capirai, dopo così tanto tempo che non vivo più nell' "orbe". A pensarci bene, però, le vostre città non sono tanto diverse da quelle che ricordo io: una gran confusione anche allora! Ce lo testimonia anche il caro Giovenale: dentro i vicoli, le mandrie producevano un fragore tremendo, e la folla?: ti andava bene se ti precedeva, ma se ti seguiva, allora non te li toglieva nessuno i chiodi che trapassavano i piedi e le travi in testa. Io, essendo ricco, avevo a disposizione la lettiga, ma per gli altri era un bel proble- ma. E poi, un pericolo ad ogni angolo: dalle tegole che precipitavano ai brutti incontri.
Bruno: È proprio vero che tutto il mondo è paese?
Seneca: Bando alle chiacchiere! Orsù, cammina, andiamo in un luogo più tranquillo, qui c'è troppa confusione.
Bruno: Ma dove vuoi andare a piedi?! Non troveremo luoghi tranquilli qui vicino.
Seneca: Tu dici?
E, pochi passi dopo, non si vedevano più né palazzi, né negozi, né insegne; c?erano un grande prato, alberi, un ruscello: un normale paesaggio di collina.
Bruno: Ma come siamo finiti qua?
Seneca: Non badare a ciò!
Bruno: Senti, Lucio, l'atmosfera è quella giusta: che ne dici di parlare un po'? Però, a dire il vero, non credo di essere degno di accedere alla tua sapienza.
Seneca: Bruno, ma allora non capisci? Proprio perché voglio parlare con te, ci siamo incontrati per strada! E poi, devi sapere che qualsiasi bene, se non si ha qualcuno con cui condividerlo, non è per niente piacevole, anzi è sgradito. E questo vale anche per quella che tu chiami "la mia sapienza". Dimmi, piuttosto, come ti sentivi in pieno centro cittadino?
Bruno: Mah, credevo di esserci ormai abituato. Ma, ora che me lo chiedi, mi accorgo che il clima della metropoli mi stordisce un po': quante luci, quanti bagliori, quanti rumori, troppa gente che corre e che va di fretta?
Seneca: Eh, sì, la confusione è uno dei tanti motivi per i quali bisogna evitare la folla. Comunque, è proprio qua che volevo arrivare. Una situazione di questo genere induce un progressivo, inesorabile disorientamento e, come hai testé detto tu stesso, stordimento.
Bruno: Hai ragione, ma non riesco bene a spiegarmene il perché.
Seneca: Te lo spiego io. La mente, in una situazione simile, è sottoposta a varie sollecitazioni, che prima stimolano, poi sovraccaricano, quindi ubriacano le facoltà percettive. Mi segui?
Bruno: Più o meno.
Seneca: Bene, ammettiamo che questi stimoli, i quali si manifestano sotto forme diverse, causano una notevole tensione dell'uomo verso l'esterno, ghermendo l'attenzione di quanti vi sono sottoposti?
Bruno: Sì.
Seneca: E mi sembra di aver capito che siete abituati a questi stimoli.
Bruno: È vero.
Seneca: Non mi stupisco. Anche quando io vivevo ? in carne ed ossa ?, la società produceva stimoli di questo genere. Orbene, ammettiamo che una caratteristica di questi stimoli è di agire sulla superficie della persona, non sulla sua essenza, quindi solo sulla sfera sensoriale di un individuo?
Bruno: Comincio a capire quello che intendi: vuoi dire che gli stimoli di cui stiamo parlando, e sono tanti, allontanano chi vi è sottoposto da se stesso?
Seneca: Esattamente. La via che queste sollecitazioni ci propongono è certamente attraente: essa suggerisce l'abbandono a ogni tipo di piacere, il soddisfacimento di ogni desiderio, di ogni voglia. Ma questa è solo una piccola parte di ciò che implica la via del piacere. Il resto è sofferenza, è schiavitù, dipendenza dai propri capricci infantili, inconsapevolezza.
Bruno: Sono d'accordo.
Seneca: E ora, se è vero che queste sollecitazioni implicano una tensione verso l'esterno e non verso l'anima, non verso il cuore, non è vero anche che, seguendo queste sollecitazioni, ci allontaneremo da noi stessi e, quindi, non ci conosceremo più?
Bruno: Mi sembra un ragionamento logico. E, del resto, non ti nascondo che queste parole mi la- sciano un po' turbato, proprio perché comincio a rendermi conto di quante volte io sia sta- to schiavo, dipendente, inconsapevole.
Seneca: Non devi abbatterti: io stesso ho commesso tanti errori di questo genere. La perfezione non è nella natura umana: l'importante è rendersi conto dell'errore, come hai fatto tu, alzarsi e ricominciare. La consapevolezza dell'errore è l'inizio della salvezza.
Bruno: Come darti torto? È vero: è impossibile, per l'uomo, non sbagliare mai.
Seneca: Ma ritorniamo al discorso di prima. Questa "ignoratio sui" ci accomuna alle creature non pensanti e ci rende non umani, incapaci di felicità: come può essere felice un individuo che non sa per che cosa sia nato, che cosa debba fare, chi sia?
Bruno: Quindi bisogna impegnarsi.
Seneca: Esatto, senza dimenticare, però, che la filosofia esige la frugalità, non la sofferenza, e sen- za certo trascurare le qualità fisiche e le inclinazioni naturali: esse sono una ricchezza se usate con cura e serenità e, soprattutto, come qualcosa che abbia il compito di servire, non di comandare; esse devono contribuire alla felicità, ma non sono la felicità, perché sono ef- fimere.
Bruno: Sono meravigliato dalla bellezza di queste parole.
Seneca: Queste parole sono belle, ma non devono rimanere "belle parole": la filosofia non è nelle parole, ma nelle cose, così come insegna Socrate, il quale chiama somma sapienza il di- stinguere il bene dal male. Se la filosofia non potesse operare nella realtà, ma fosse solo un passatempo per persone colte, sarebbe proprio inutile. Essa, invece, si può e si deve appli- care nella realtà. Soprattutto, la filosofia deve aiutarti a ragionare con la tua testa: come è triste vedere persone che non fanno altro che citare frasi e pensieri di uomini illustri, senza però formulare un proprio pensiero. È necessario, invece, che tutti formino una propria coscienza critica, in modo da contribuire al miglioramento della società.
Bruno: La filosofia, quindi, ci aiuta a diventare persone con i piedi ben piantati a terra. Seneca: Certo. Per questo bisogna che rientriamo in noi stessi: così la nostra volontà sarà forte e noi stessi saremo persone mature, la cui felicità non dipende dall'avere o dall'essere in funzione di, ma dal semplice essere. La felicità è l'armonia interiore, giacché le virtù si trovano nell'accordo e nell'unità: dove questi mancano, non ci sono che vizi.
Bruno: ?
Seneca: Il primo passo verso la felicità è cercare la Verità sull'uomo.
Scomparve. Mi trovavo di nuovo in città. Speravo che quelle parole si fossero radicate nella mia anima.
Opere di Seneca



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