Dimensioni del problema

Nei sistemi produttivi dell'agricoltura, in particolare nei Paesi industrializzati, si sono configurati, nel corso di quest'ultimo secolo, elementi per la transizione da un settore basato sullo sfruttamento estensivo della risorsa terra ad uno basato sulla tecnologia e sulle acquisizioni scientifiche.

L'aumento della produzione agricola è stato sempre più sostenuto dallo sviluppo di nuove tecnologie meccaniche, chimiche e biologiche, ed è divenuto strettamente dipendente dalla capacità del settore industriale.

In alcuni agrosistemi, ormai, il modo di produrre è totalmente basato sulle tecnologie incorporate in nuovi e più produttivi inputs (sementi, fertilizzanti, erbicidi, insetticidi, macchinari e attrezzature).

Ma se le tecnologie hanno impresso una forte spinta all'agricoltura nei Paesi industrializzati, non hanno però apportato reali benefici nei Paesi sottosviluppati. Al contrario, in molti Paesi non han fatto altro che aumentare sempre più la forbice tra ricchi e poveri.

I coltivatori diretti sono stati espropriati delle loro terre (sulle quali praticavano agricoltura di sussistenza) per far confluire tutti i loro piccoli appezzamenti nelle proprietà dei grandi latifondisti (gli unici in grado di sostenere i costi di un'agricoltura "meccanicizzata" e "ingegnerizzata") e sono stati costretti a prestar mano d'opera, per salari da fame, nelle grandi aziende agricole o a migrare nelle aree urbane dove potevano vivere "al di sotto dei limiti della sopravvivenza".

Negli anni '50 iniziò una campagna internazionale per l'aumento della produttività agro-alimentare (Rivoluzione Verde) mediante l'introduzione di appropriate tecnologie per la coltivazione dei cereali.

In un primo momento, almeno in Asia, sembrò avere esiti positivi: vi fu effettivamente un incremento di produzione delle colture agricole, non dovute ad un incremento delle superfici agricole ma all'impiego di nuove agrotecnologie.

L'Africa, invece, non venne coinvolta dalle nuove tecniche produttive (se non marginalmente in qualche raro caso), a causa delle difficili condizioni pedoclimatiche e per motivazioni d'ordine politico ed economico.

Per quel che concerne il sud ed il sud-est del continente asiatico, nostante i risultati positivi ottenuti, almeno in apparenza, sono stati espressi, fin dai primi anni '70, timori e cautele sulle prestazioni di queste nuove tecniche produttive volte a garantire produzioni agricole quantitativamente e qualitativamente stabili.

Prima della comparsa delle varietà ad alta resa l'uso della terra e dell'acqua aveva prevalentemente come riferimento le necessità primarie delle famiglie produttrici. Quando la produttività crebbe gli agricoltori produssero surplus destinati al mercato, e quindi le loro vocazioni a investimenti negli inputs produttivi furono fortemente influenzate dal mercato stesso. Le politiche governative sui prezzi degli inputs e degli outputs agricoli sono diventate allora cruciali nell'orientare gli interessi degli agricoltori e nell'agire o meno sulle tecnologie.

Ciò ha spesso creato incertezze per le imprese agricole, e dipendenza dalle istituzioni e dalla loro efficienza. Le decisioni sulle scelte delle tecnologie si sono perciò basate sul ritorno netto, in termini finanziari, per ettaro, e sulla prevedibilità e sicurezza di quel ritorno piuttosto che sulla resa per ettaro.

E' largamente riconosciuto che le nuove tecnologie portano benefici economici agli agricoltori, indipendentemente dalle dimensioni delle loro imprese, purché essi abbiano un agevole accesso agli inputs necessari. Infatti nell'attivazione di tecnologie ad alta resa si configura un equilibrio in cui outputs più elevati si ottengono con inputs più intensi.

Raramente le poliche governative dei Paesi del terzo Mondo hanno fornito strumenti per garantire a tutti i contadini, indipendentemente dal loro reddito e dalle dimensioni della loro proprietà, inputs costosi e capacità di difesa delle colture per assicurare loro in maniera equa i benefici economici delle nuove tecnologie.

A causa di tali fenomeni negativi l'adozione di nuove varietà viene oggi considerata con maggior prudenza: i più alti inputs richiesti per le colture spesso aumentano il divario tra agricoltori che posseggono maggior capacità di investimenti e quelli poveri le cui risorse materiali e umane meglio si adattano alle colture tradizionali.

Il trasferimento inappropriato delle tecnologie agricole associate a nuove colture ha provocato pericolosi fenomeni di disoccupazione e lievitazione dei prezzi dei prodotti alimentari, quando il lavoro umano è stato sostituito da macchinari ed erbicidi, e quando le nuove colture destinate all'esportazione hanno sostituito colture che fornivano prodotti alimentari alla popolazione locale.

L'introduzione di nuove varietà, di tecnologie agricole intensive e della monocoltura, possono avere gravi ripercussioni sull'ambiente e sulla salute umana. L'irrigazione è stato uno dei fattori produttivi che hanno accompagnato la diffusione delle varietà della Rivoluzione Verde, ma si possono osservare vaste superfici desertificate e divenute sterili per gli eccessi di sale depositatosi irreversibilmente.

Le attività di miglioramento genetico si sono rivolte a cereali di base quali frumento, riso e mais, ma una delle conseguenze negative del successo delle varietà di questi cereali è stata il notevole calo della produzione e del consumo pro-capite di leguminose (la carne dei poveri). Le diete delle popolazioni del Nord del continente latino-americano, tradizionalmente composte d mais e fagioli, e quelle di riso e soia, di gran parte delle popolazioni asiatiche, si sono bruscamente sbilanciate nei contenuti proteici, pur mantenendo livelli calorici sufficienti, causando in tal modo la diffusione della sindrome di Kwashiorkor, che colpisce particolarmente i bambini.

Per quanto attiene ai rischi che si generano nell'impiego di pesticidi, oltre ai ben documentati danni all'ambiente, il problema sociale più rilevante che si presenta è costituito dagli effetti indesiderati sull'uomo.

Questi sono particolarmente gravi per i Paesi sottosviluppati che denunciano quasi tre quarti dei casi di intossicazione, sia per il tipo e le quantità di prodotti utilizzati che per le modalità d'applicazione dei pesticidi (senza le necessarie protezioni per l'operatore). In tempi lunghi, invece, si prospettano rischi di mutagenesi e di cancerogenesi a causa di assunzione prolungata in piccole dosi.

I consumi di pesticidi sono molto elevati, in Africa, ad esempio, dal 1964 al 1974 sono aumentati del 500%. La necessità di proteggere i raccolti è un fattore determinante per l'agricoltura, ma nei Paesi sottosviluppati l'uso crescente dei pesticidi non è legato all'obiettivo dell'autosufficienza alimentare, perché il grano ed il riso, ad esempio, ossia le due specie agroalimentari di base del Terzo Mondo, assorbono rispettivamente solo il 7% e l'8% dei pesticidi. La maggior parte dei pesticidi è infatti impiegata per la produzione destinata all'esportazione.

Poiché la normativa per la commercializzazione e l'uso dei pesticidi nei Paesi sottosviluppati è carente, e spesso neppure applicata nella pratica, vengono utilizzati composti chimici da tempo banditi o addirittura non ancora registrati e presumibilmente non registrabili nei Paesi industrializzati.

Gli effetti dei fertilizzanti chimici, somministrati spesso in eccesso alle varietà ibride, sono stati dannosi per la fertilità dei suoli, e hanno contribuito alla diminuzione dell' humus. Le elevate dosi di fertilizzanti azotati che vengono utilizzati per le colture cerealicole implicano gravi rischi di inquinamento delle acque superficiali e sotterranee, e i rischi che derivano alla salute umana sono associati alla formazione di nitrosammine e di nitrosammidi, la cui sintesi avviene all'interno dell'organismo.

Gli effetti di mutagenesi e cancerogenesi di questi composti sono stati dimostrati in esperimenti di laboratorio e studi epidemiologici hanno evidenziato la stretta correlazione tra la presenza di elevate quantità di nitrati nelle acque e l'incidenza di tumori all'apparato gastrointestinale della popolazione.

Sul piano tecnico le varietà ad alto rendimento ottengono nei campi risultati molto elevati se sono simultaneamente presenti tre condizioni di produzione e una condizione naturale:

- buona disponibilità di acqua nei periodi appropriati

- buone condizioni di fertilizzazione

- controllo delle malattie verso le quali queste varietà sono sensibili

- buona qualità della terra

Condizioni quasi sempre troppo onerose per un "Paese del Terzo Mondo".

Esprimendo queste condizioni in termini di energia utilizzata per la produzione, possiamo dire che se per produrre un chilogrammo di mais, in condizioni tradizionali, sono necessarie 190 kcal (di cui il 90% provenienti dall'energia umana), per produrre le medesime quantità di mais ad alto rendimento sono necessarie 3300 chilocalorie, di cui il 95% di origine commerciale, provenienti cioé dall'energia per fabbricare il trattore, per produrre i pesticidi, i fertilizzanti sintetici e quelli minerali, i consumi di carburante dei macchinari, l'uso dei motori diesel ed elettrici per alimentare i sistemi di irrigazione etc. Tutto ciò comporta costi molto alti, ma anche maggiori benefici economici, dato che la produzione é 2-3 volte superiore a quella che si ottiene con varietà locali.

Un'agricoltura così concepita può funzionare in un Paese "ricco" ma non uguali vantaggi scaturiscono dalla strategia che induce ad adottare questa tecnica per risolvere i problemi alimentari nei Paesi sottosviluppati.

Una ragione oggettiva della mancata introduzione delle nuove varietà della Rivoluzione Verde nelle aree agricole africane, ad esempio, è da ricercarsi nelle condizioni pedoclimatiche che caratterizzano questo continente, certamente più ostili ad ospitare le colture delle nuove varietà di cereali e meno uniformi rispetto a quelle asiatiche.

Ma esistono anche ragioni di ordine sociale ed economico. Poiché i fattori produttivi della Rivoluzione Verde sono tutti altamente intensivi di energia, sono facilmente prevedibili le difficoltà che incontrano gran parte delle famiglie rurali del Terzo mondo nel procurarsi questi costosi materiali e servizi.

Poiché le varietà ad alto rendimento richiedono forti apporti di energia commerciale per unità di superficie, l'azienda agricola diventa un fondo di investimento che modifica spesso sia la relazione tra gli agricoltori che quella tra campagna e città.

Per accedere ai nuovi mezzi di produzione il contadino deve dipendere dai crediti che gli giungono dall'esterno. Si vengono così a creare dipendenze dal sistema urbano industriale che favoriscono quei produttori che hanno più terra, e quindi maggior accesso al credito, e maggiori "attributi sociali" per confrontarsi con la burocrazia urbana. Infine, anche le aziende con risorse finanziarie sufficienti per far fronte a tante difficoltà, si trovano spesso a confrontarsi con ulteriori problemi quali, ad esempio, l'assenza di una rete viaria in grado di collegarle ai punti di vendita o assitenza, o il reperimento di competenze sufficienti per una gestione conveniente dei fattori elettromeccanici e chimici.

Le strategie che si rivolgono all'introduzione delle varietà ad alto rendimento potrebbero risultare buone se l'organizzazione della produzione e della commercializzazione dei prodotti agricoli e il costo dell'alimento di base nelle città (o il potere di acquisto delle famiglie) dipendessero solamente dal maggiore o minore rendimento per ettaro che si ottiene nelle campagne.

Questo però non è assolutamente vero.

Anche nei Paesi sottosviluppati dove più brillanti sono stati i risultati dell'introduzione delle varietà ad alto rendimento, l'alimentazione delle classi più povere delle città è fortemente carente ed espone larghi gruppi della popolazione al rischio di malnutrizione.

Per quanto riguarda le campagne, le varietà ad alto rendimento hanno "premiato" gli agricoltori che avevano buone condizioni socioeconomiche (più terra e più credito) ma non quelli che stavano male.

Il modello dominante di sviluppo agricolo, oggi, non è in grado di nutrire la popolazione mondiale perché poggia le sue basi strutturali sulla necessità di procurarsi, attraverso la sostituzione del diretto uso alimentare dei prodotti agricoli, biomasse indistinte da cui ricavare merci alimentari con quantità crescente di valore aggiunto, prodotti energetici o materie base per successive trasformazioni industriali, necessità inconciliabile con l'autosufficienza alimentare.

In questo quadro di riferimento deve essere posta la riflessione sulle tecnologie agricole e il loro effetto sui Paesi sottosviluppati e le agricolture subalterne.

Il settore agricolo dei Paesi del Terzo mondo, confermato nel suo ruolo di asse vitale intorno a cui ruotano interi assetti produttivi nazionali, è sempre meno capace di reagire in termini positivi; schiacciato definitivamente dal peso degli assetti internazionali, diviene , esso stesso, moltiplicatore dei processi di disarticolazione delle società locali.    (fonte: unimondo.org)


http://www.unimondo.org/globpopoli/schede/biodiv_002.html

 - HOME: formiche.too.it -