Le tematiche della poesia di Giovanni Pascoli

Nella poesia di Giovanni Pascoli tutti i temi sono riconducibili ad uno solo che è dominante: quello dell'infanzia.
Il suo continuo richiamo alla fanciullezza nasce dalla psicologia di un uomo incapace di affrontare la realtà per quello che di bene o di male essa può offrire; ma anche dalla crisi che la società del primo Novecento sta attraversando, crisi che genera confusione, smarrimento, incertezze.
La nuova società, caratterizzata dalla frenesia industriale, dal denaro, dai movimenti delle masse e dalla reazione borghese, sembra sull'orlo di qualcosa di oscuro e pauroso. Ecco che allora, a Pascoli, il ricordo dell'infanzia pare un rifugio di fronte a simili pericoli, il luogo dell'innocenza e della pace, in cui si spengono i contrasti e si vanificano i problemi.
La stessa poesia s'identifica con un altro tema tipico della poesia pascoliana: quello della famiglia. Essa è vista come schermo contro il mondo, come nido protettivo, escluso da ogni rapporto che non sia quello del sangue. Questa idea del nido, sul piano sociale, diventa rigido nazionalismo quando Pascoli allarga alla nazione la sua visione del rapporto come affetto del sangue e difende il nido costituito dalla nazione come quello chiuso della famiglia.
È in questa senso che Pascoli prende posizione contro l'emigrazione perché in essa lo colpisce la necessità di allontanarsi dal paese e dalla casa in cui si è nati e quindi dal mondo della propria infanzia. Come già detto, sono la percezione della condizione dell'uomo moderno e della sua crisi che portano Pascoli a vagheggiare l'infanzia e la famiglia come luoghi d'innocenza e di calma. Allo stesso modo la campagna, contrapposta alla città, diventa simbolo di semplicità e di quiete, a cui Pascoli affida il compito di suggerire e sottolineare gli stati d'animo dell'uomo. Quelli pascoliani sono dunque i temi di una poesia che vuole evadere dai problemi del mondo moderno e che è incapace di analizzare la realtà. Ma proprio in questi limiti sta anche la sua autenticità e la sua modernità perché mostra alcuni aspetti della sensibilità e della coscienza moderne che ritorneranno nei maggiori autori del '900 europeo.

Commento critico al "Gelsomino notturno" 

In questa poesia, scritta da Pascoli in occasione del matrimonio di un amico nel 1901, l'osservazione di un fenomeno della natura (lo sbocciare, al crepuscolo, dei fiori notturni) si collega, attraverso una fitta rete di analogie, ai ricordi più cari del poeta, all'affetto per i suoi familiari ormai scomparsi e, insieme, alla realtà di una vita nuova che sboccia nella notte, nell'intimità della casa degli sposi: così che la notte, simbolo di morte, diventa anche immagine di nuova vita.
Nella lirica vari sono gli elementi che s'intrecciano attraverso le numerose corrispondenze: la natura (piante, animali), i due sposi e la loro casa, i pensieri del poeta. E proprio perché costruita sull'associazione di immagini diverse, legate solo da rapporti analogici, essa è difficile da spiegare in termini logici, anche se ne possono individuare due nuclei principali, ognuno formato da un'opposizione: il riposo e il silenzio della notte e la vita notturna che continua; la sera come simbolo della morte e l'alba come simbolo di nascita. Il motivo ispiratore della lirica sta nel turbamento che nasce in Pascoli dal concepimento di una nuova vita che appare pieno di mistero e di fascino alla sensibilità infantile del poeta, stato d'animo che si estende dalla finestra illuminata nella notte a tutta la natura circostante. Il motivo occasionale dell'opera, il matrimonio dell'amico, porta alla luce anche l'ideologia del "nido", cioè della famiglia, che tanta parte ha nel pensiero di Pascoli: il ricordo dei morti è il richiamo alla famiglia del poeta si lega alla costituzione di quella nuova dell'amico, in cui proprio quella notte è concepita una nuova vita, esperienza e "nido" da cui egli si sente escluso (ciò è reso dalla sua posizione d'osservatore" esterno verso i gesti, il brillare e lo spegnersi di luci, il silenzio della casa).
C'è da notare, inoltre, che nel "Gelsomino notturno" sono presenti, più o meno scopertamente, dei simboli sessuali, nati proprio dalla condizione d'escluso del poeta, di uomo rimasto un bambino curioso dell'amore, visto come morte, sofferenza, violazione, ma anche come esperienza misteriosa ed affascinante. Il motivo del regresso all'infanzia e l'attrazione verso l'esperienza erotica s'intrecciano al riflesso di situazioni biografiche, come il motivo funebre-domestico, e al tema dell'esclusione dal "nido", per rappresentare la trasposizione allusiva dell'atto nuziale in seno al segreto pulsare di vita nascosta da cui si esala il faticoso sbocciare di "una felicità nuova". Infine c'è da sottolineare che questa lirica è molto rappresentativa della poetica pascoliana secondo la quale, come già per i simbolisti francesi, il poeta scopre gli aspetti della realtà ignoti alla logica e presenti, invece, nella visione ingenua e prelogica che della realtà ha il bambino. Come Pascoli afferma nel suo testo teorico "II fanciullino", il poeta, come il bambino, ci fa conoscere la realtà in modo "profondo perché d'un tratto ci trasporta nell'abisso della verità".

Si cerchi di definire la poetica
del fanciullino collocando il Pascoli
nell'ambito del Decadentismo

Anche per Pascoli la poesia assume il compito proprio di tutto il Decadentismo, di "rivelazione". Il poeta cerca di scoprire il mistero dell'universo precluso alla conoscenza scientifica, intuisce e illumina quel mistero, quell'ignoto che la ragione e la scienza non hanno saputo esplorare. L'intuizione visionaria del mistero avviene attraverso la poetica del fanciullino. Dalla poetica del fanciullino discende quindi l'idea di un poeta medium e di poesia non descrittiva, ma allusiva, tutta esaurita in un lampo di intuizione che penetra realtà invisibili ai più, sovrasensibili. Si badi che in questo modo il Pascoli liquida tutta l'eredità risorgimentale e ottocentesca di una poesia impegnata, civile e divulgatrice del vero. Egli postula apertamente una poesia senza aggettivi, lontana dalla poesia applicata dei drammi, dei poemi narrativi, dei romanzi. Ecco allora l'ipotesi, in una famosa lettera a Raffaello Marcovigi, di una poesia "ridotta al cristallo nativo... poesia carbonio puro"; ideale che da una parte raccoglie l'eredità di molte voci del decadentismo europeo, sostenitrici della poesia pura (e quindi breve, frammento fulmineo), mentre dall'altra è molto vicina all'idea della poesia come intuizione lirica che Benedetto Croce imporrà alla cultura ita­liana del Novecento.
Manifesto organico dell'idea e della funzione pascoliana di poesia è appunto "II fanciullino", un articolo pubblicato sul Marzotto (giornale dell'estetismo decadente fiorentino) nel 1897 e in edizione definitiva nel 1902. Riprendendo e reinterpretando un'immagine platonica (che ognuno ha dentro di sé un fanciullino che teme la morte e deve essere rassicurato). Pascoli afferma che tutti gli uomini si portano dentro un fanciullino, cioè un modo prerazionale, intuitivo e poetico, di guardare gli aspetti del mondo, di sentire le paure e le gioie della vita con gli occhi freschi, stupefatti dell'infanzia, con l'anima calda e fantasiosa propria del fanciullo che vede e sente le cose per la prima volta. Questo fanciullino (nascosto e silenzioso negli adulti perché occupati e distratti da interessi pratici, ma pronto a rivelarsi, a parlare anche in loro quando maggiormente soffrono, si entusiasmano e si commuovono) "alla luce sogna o sembra sognare ricordando cose non vedute mai... parla alle bestie, agli alberi, ai sassi, alle nuvole, alle stelle, popola l'ombra di fantasmi ed il cielo di dei". Il fanciullino cerca la poesia nelle piccole cose, anche nelle cose quotidiane, familiari, "come la pimpinella (erba aromatica molto comune) sul greppo dietro la casa, è il nuovo per chi sa vederlo".
Oppure trova nelle grandi cose tramandate dalla leggenda e dalla storia il piccolo, cioè il particolare modesto, quotidiano, puro. La poesia non deve proporsi intenzionalmente scopi utilitari, non deve essere poesia applicata. Il poeta fanciullo "è poeta, non oratore, non tribuno, non filosofo, non isterico, non maestro, non demagogo, non uomo di stato o di corte". La socialità della poesia sta nel suo essere solo poesia, nel suo ridursi al cantuccio del cuore. Ma proprio per questo, per essere sogno e visione, meraviglia e conforto, la poesia abolisce l'odio e affratella gli uomini.

 

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