BUDAPEST BRUCIA L'OCCIDENTE TACE
CR 493105
ECONOMIA: la "riforma del capitalismo", ulteriore passo verso il
socialismo? Gli ambienti "liberali” lanciano il tema della "riforma dei capitalismo". Ne
è stata occasione il convegno su: "Quale
capitalismo nella seconda Repubblica?", svoltosi il 5 luglio scorso a
Milano. Il dibattito ruota intorno alle due forme di capitalismo attualmente in
vigore: quello familiare, detto “modello renano” e quello delle
public-companies o "neo-americano". Nel primo, le imprese sono
controllate da una famiglia, nel secondo da manager. Il modello familiare si
fonda sul concetto di "perennità dell'impresa". "Un'impresa è
perenne - spiega l'economista francese Michel Alben - quando viene considerata
un patrimonio che sì deve trasmettere di generazione in generazione" (cfr.
Corriere della Sera, 11 luglio 1996). Il capitalismo "neo-americano",
o azionario diffuso, è più vicino al modello socialista. "Moltissime
imprese tedesche - spiega ancora il prof. Alben - anche importanti non sono
quotate in borsa. Vivono e si sviluppano attraverso l'autofinanziamento o il
credito bancario" (cfr. Corriere della Sera, cit.). L'esempio più
spettacolare del capitalismo familiare è quello della BMW, ma l'espressione più
alta è quella delle piccole e medie imprese, elemento trainante dell'economia italiana.
(cfr. Corriere della Sera, cit.). Ora questo modello familiare viene messo in
discussione. Nell'era della globalizzazione dell'economia sono necessarie
risorse finanziarie sempre maggiori e, secondo gli esponenti del capitalismo
anglosassone, solo quest'ultima forma sarebbe in grado di reperirle.
Occorrerebbe, quindi, un ulteriore "passo in avanti” verso un’economia
meno “privatistica" e più "pubblicistica". Questo è il senso
dell'affermazione del presidente dell'Antitrust, Giuliano Amato, molto ben
considerato negli ambienti liberali, quando, nel corso del convegno ha
affermato: "Il mercato non è il luogo del padrone, ma di tutti" (cfr.
Corriere della Sera, cit.)... Ma i difensori del modello italiano non si
abbattono. Secondo Alberto Falck non è vero che le imprese familiari non sono
in grado di far fronte alle necessità finanziare sempre maggiori. "Le
imprese ben gestite - afferma Falck - sono capaci di generare risorse. La
dimostrazione è che le piccole e medie industrie fanno fronte alle necessità di
finanziamento senza ricorrere ad aumenti di capitale, proprio perché sono
capaci di generare cassa" (cfr. Corriere della Sera, cit.). (CR
493105/HG96)
TUTTE LE FORME DI IMPRESA
ARRICCHISCONO LA SOCIETà E SONO TUTELA DI QUELLA VARIETà CHE AL TEMPO STESSO è
PROTEZIONE DELLA DEMOCRAZIA.
CARCERE
ECONOMIA COLLETTIVISTA o LIBERISTA?
Nessuno dei due certamente. Lo Stato e la
collettività devono vigilare sempre, affinché
l’uomo non venga mai asservito dal capitale o calpestato dalla
massificazione materialistica. IL TURBO
CAPITALISMO (tratto dal manifesto di Rifondazione Comunista affisso nella
piazza comunale di Grumo il 30-5-96) Il conservatore Luttwak, direttore del
dipartimento di geoeconomia al "Centre For International Studies"
afferma che si sta affacciando il turbo capitalismo come fenomeno economico
mondiale, gli operai verranno pagati poco e comunque saranno precari a motivo
della manodopera a basso costo come avviene nei paesi del Bangladesh. Questo
sprofonda l'occidente nell'insicurezza, lo studioso Luttwak afferma che bisogna
essere un po' marxisti, affinchè l’uomo rimanga sempre l’inalienabile
signore della sua storia. Occorre equilibrio tra le esigenze del liberismo che
portano alla meritocrazia e tra le esigenze del socialismo che portano alla
solidarietà. Se riusciremo a trovare un equilibrio saremo invincibili. La forza
di uno Stato o di una società non si basano mai sullo squilibrio economico e
sociale. L’uguaglianza tra gli uomini prima che essere una esigenza della
giustizia è purtroppo un’esigenza dell’economia. I poveri non possono spendere
o investire, essi pensano solo a sopravvivere e non generano altra ricchezza. Nel 1981 con la Laborem Exercens di Giovanni Paolo II,
che dopo aver condannato il capitalismo osserva :”In questa luce acquistano un significato di particolare rilievo...la
comproprietà dei mezzi di lavoro, la partecipazione dei lavoratori alla
gestione ed ai profitti dell’impresa...rimane evidente che il riconoscimento
della giusta posizione del lavoro e dell’uomo del lavoro nel processo
produttivo esige vari adattamenti nell’ambito dello stesso diritto della
proprietà e dei mezzi di produzione.” E’ la dignità della persona che
costituisce il criterio per giudicare il lavoro e non viceversa(cf.).
Le carceri devono essere rieducative o
punitive. Le rieducative devono permettere il lavoro, con il quale il carcerato
non solo paga le spese del carcere, ma se in esubero introita le somme
guadagnate. Le punitive devono essere su isole o in luoghi naturalmente impervi
ed inaccessibili.
Nessun carcere deve essere “confortevole”.
CR 497104 FISCO: in 15 anni aumentate
dell'871% le tasse sulla casa. L’aumento continuo del peso fiscale, da parte
dello Stato, delle Province e dei Comuni, nei confronti di chi si è fatta la
casa - ha dichiarato Sforza Fogliani - è in contrasto sia con la situazione
degli altri paesi europei, sia con la conclamata volontà di ripresa economica.
Infatti, l'aumento dell'occupazione passa attraverso la mobilità territoriale,
soprattutto delle giovani leve del lavoro, che può realizzarsi solo attraverso
un rigoglioso mercato della locazione. "Tale mercato - conclude il
presidente della Confedilizia - viene invece sclerotizzato da politiche fiscali
che rasentano l'esproprio, ai danni degli investitori nell'edilizia".
(CR49710411H96)
Mentre la verginità è il non uso della
genitalità. La castità è l'uso onesto e legittimo della sessualità. Sul matrimonio
Gesù si sottrae all'AMBIGUITA' del piano giuridico e si rifà al progetto
originario di Dio: l'unione monogamica, feconda, perenne e fedele è inscritta
nella stessa realtà naturale e soprannaturale dell'uomo. Il disordine sessuale,
l'incapacità di realizzare un compiuto progetto d’amore sono il segno evidente
di una profonda immaturità e incompiutezza esistenziali, di un'ostinazione
ribelle. Riguardo all'insegnamento di Gesù sulle responsabilità intrinseche
della sessualità, segue il commento egoistico
degli apostoli, incredibilmente anche Gesù afferma che non conviene
sposarsi, “allora non conviene
sposarsi”. Certo non conviene! Chi vorrà fare della propria vita una
convenienza, si perderà! “Chi vorrà salvare la propria vita la perderà”. Ma chi
vorrà farne un dono, perdendosi in esso si salverà. Il modo migliore per
donarsi è quello della scelta più radicale a favore del Regno di Dio che è già
una realtà presente nel tempo; ma la comprensione di questa opzione è un dono
singolare e soprannaturale di Dio. La risposta di Gesù è anche una replica alle
accuse infamanti che dovevano essere state rivolte a lui. Gesù infatti era
celibe. Presso gli Ebrei il matrimonio era un obbligo grave, in osservanza di
Gen. 1,28 (siate fecondi e moltiplicatevi). Rabbi Eleazaro: "un uomo che
non ha la sua donna, non è neppure un uomo" (Talmud babilonese). La
verginità è bensì stimata, ma solo prima del matrimonio, in se stessa e come
stato permanente è invece considerata un disonore, quasi un castigo divino. Gesù
corregge questa impostazione, ripristinando la retta gerarchia dei valori:
prima della paternità/maternità carnali, assai più importante è la
paternità/maternità, che si esprime sul piano spirituale. La sterile e l'eunuco
vengono dichiarati 'beati', se sono stati fedeli al Signore. Come è
raccomandata la castità (nuova verginità per il Signore) delle vedove. GEREMIA:
Come segno profetico in Israele, segno di sventura e distruzione, Dio comanda
al profeta di restare celibe perché il popolo non ha futuro e dunque non ha
senso la procreazione prima della carneficina. Geremia vive in sé
anticipatamente il destino del popolo, nel suo corpo si anticipa il regno della
sterilità e della morte. Il vecchio ordine di cose cessa, e Dio costruirà un
nuovo ordine fondato sullo spirito. Ma a coloro che vivono da eunuchi per
aderire al Signore e osservano la sua legge è promesso (Is. 56,4-5) "un
posto e un nome migliore che ai figli e alle figlie" (cfr. anche Sap.
3,13-14). La stessa scelta di verginità di Gesù è il segno profetico della
nuova creazione, dell'apertura dell'orizzonte umano a Dio e al primato della
sua presenza. Nasce così accanto al matrimonio un nuovo stato di vita. Il
celibato di Gesù suppone il regno già venuto, suppone che Dio si sia già
piegato sull'umanità e abbia incontrato l'uomo. "Chi può capire,
capisca", si tratta di una realtà non comunemente comprensibile se non
all'interno di una specifica rivelazione. La verginità per il regno è coperta
da un velo di mistero è realtà di amore, dolore, fecondità e gioia su un altro
piano! LA VERGINITÀ E' UNA RINUNCIA e questo rappresenta l'aspetto più
impegnativo del sacrificio,(guai se la verginità venisse sempre considerata
come un sacrificio, bisognerebbe abbandonarla necessariamente) ma non nasce da
un disprezzo della corporeità, o della sessualità, o donne. Dunque non ha una
connotazione ascetica ma piuttosto mistica, cioè È PER IL REGNO E COSTITUISCE
UNA DIMENSIONE PROFETICA è UN VIVERE come tutti, un giorno, saremo chiamati a
vivere. Lc. 20,34-36: "I figli di questo mondo prendono moglie e prendono
marito; ma quelli che sono giudicati degni dell'altro mondo e della
risurrezione dai morti, non prendono moglie né marito e nemmeno possono più
morire, perché sono uguali agli angeli e, essendo figli della risurrezione, sono
figli di Dio". La verginità non è ontologicamente più perfetta, ma
escatologicamente più avanzata. A livello individuale, la via di perfezione è
quella che per me ha stabilito il Signore. La verginità è un aiuto agli sposati
perché non si trasformino vicendevolmente in idoli, e rammentino il primato di
Dio. Il sacrificio (solo a volte) è grande, ma chi vince la lotta si colloca
nell'orizzonte di Dio e della vita eterna. Non è una scelta ascetica, ma
mistica: l'obbiettivo è la perfetta carità: non l'isterilimento, non
l'impoverimento, ma potare, snellire per portare più frutto. Una scelta di
amore donato a tutti, piuttosto che alle poche del proprio nucleo familiare. La
realizzazione dell'uomo non deriva dall'esercizio della genitalità, ma dallo
spendersi sino alla fine per amore (è questa l’altissima testimonianza che i
vergini portano al mondo). La verginità parte dal cuore e può trasformarsi
nella dimensione più pura dell'amore. Essa non è contro natura, perché è
realizzazione dell'amore, aprirsi alla paternità e maternità, significa sempre
compiere un atto intrinsecamente spirituale.
La compensazione delle spese deve essere
rarissima. Le spese devono ricadere nella giusta percentuale di colpa o ragione
dei due contendenti. Se le cause non sono svolte entro un mese dalla
magistratura civile, passino immediatamente sotto la giurisdizione della
magistratura militare.
Famiglia Domani chiede il sequestro del
film blasfemo "Totò che visse due volte"... e si espone ai magistrati la rilevanza
penale della produzione
del film e del suo sovvenzionamento da parte di una Commissione dipendente dalla Presidenza
del Consiglio, chiamando
in causa il vice presidente del Consiglio dei Ministri, Walter Veltroni.
Nell'atto si afferma che "la produzione, realizzazione,
diffusione, promozione
e proiezione del film
di cui in premessa, integrano la fattispecie delittuosa prevista e punita dall'art. 402 c.p. atteso che le immagini e
le scene rappresentate dal lungometraggio, per quanto riferito
dalla stampa e per quanto
si evince dalla motivazione
del provvedimento di
censura, offendono palesemente e gravemente lo stesso concetto di sacro
e le verità di fede affermate dalla religione cattolica e professate dalla maggioranza
dei popolo italiano;
"che la manifestazione obiettivamente vilipendiosa
non può essere giustificata
come espressione di dissenso
dalla fede e dal culto praticati nella Chiesa cattolica, giacché il diritto di esprimere al
riguardo opinioni dissacratorie
o miscredenti trova limite nel rispetto dovuto al sentimento religioso dei credenti" (cfr. Cass. Pen. Sez.III 17.2.1981 n. 1062) "che la concessione del beneficio integra viceversa il delitto di
cui all'art. 323 c.p.
giacché la condotta dei funzionari responsabili dell'erogazione del contributo deve ritenersi palesemente violativa dell'art. 5 legge 4.11.1965 n. 1213 che regola l'ammissione ai benefici previsti dalla suddetta legge, stabilendo che presupposto per l'ammissione al beneficio è che le opere "presentino,
oltre che adeguati
requisiti di idoneità tecnica,
anche sufficienti qualità artistiche o culturali o spettacolari"; "che dall'esame
della motivazione del
provvedimento di censura si ricava non solo l'assoluta assenza dei requisiti previsti dalla legge per l'ammissione ai citati benefici, ma addirittura la rilevanza penale (violazione
art. 402 c.p.) dell'opéra sovvenzionata, che peraltro non si sarebbe potuta realizzare senza la concessione dei rilevanti contributi governativi;
Per questi motivi 1'Associazione
Famiglia Domani ha proposto formale denuncia nei confronti dei soggetti
ritenuti responsabili dei fatti
di cui in premessa integranti
la violazione degli art. 402 e
323 c.p., e chiesto il sequestro ai fini probatori e preventivi
della pellicola "Toto che visse due volte", nonché
di tutti gli atti relativi alla concessione del contributo
governativo. Il teologo
dell'Osservatore Romano,
padre Gino Concetti, ha protestato
anche lui contro il film: "Non si può mai assumere la libertà come pretesto di dissacrazione
dei diritti a contenuto
etico-religioso. In
tale caso, la libertà è liberticida,
e una sana democrazia
non può tollerare questo sofisma".
II politologo don Gianni Baget Bozzo ha commentato: "Ben venga dunque la censura, se
serve ad impedire che un’opera di larga diffusione offenda i fedeli, facendosi beffe del mondo sacro, dei simboli che sono il fulcro del nostro credo"
(II Messaggero, 4.3.98).
Il giornalista Giuseppe Savagnone, su Avvenire (5.3.98), ha elogiato
i componenti della Commissione censoria, "perché hanno avuto il coraggio di mettere in discussione l'unico valore sacro che,
a quanto sembra, sia rimasto in vigore nella nostra cultura: quello della libertà assoluta
di fare e dire ciò che si vuole".
Paolo Cranzotto, vicedirettore de Il Giornale
(5.3.98), si è invece chiesto
provocatoriamente se il film blasfemo avrebbe ottenuto approvazione
e finanziamenti statali nel caso in cui esso, "invece di irridere. la religione cattolica, avesse bestemmiato quella islamica o ebraica", e chiede al ministro
Veltroni: "Avrebbe lei autorizzato il finanziamento di un
film dove Maometto o Abramo subivano quello che Cristo e il Dio dei cristiani subiscono nell'opera di Cipri e Maresco?"
Il
22 dicembre scorso, il
film blasfemo "Totò che visse due volte", dei registi
Cipri e Maresco, era stato approvato
dal Dipartimento dello Spettacolo, istituto dipendente dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, e aveva anche ottenuto un sovvenzionamento statale per un miliardo e 600 milioni. Passato poi all'esame preventivo della
Commissione consultiva del citato Dipartimento, la
pellicola era stata giudicata come “artistica”
ottenendo parere favorevole.
Per contro, la parallela
Commissione di revisione, dipendente anch'essa dell'Ente dello Spettacolo, ha espresso parere negativo
sul film, dichiarandolo
inadatto alla proiezione
pubblica. Motivazione principale della censura: "Si ravvisa una palese violazione dell'art. 21 della Costituzione, in quanto offensivo del buon costume. (…) Si ravvisa
altresì una violazione
palese degli art. 402 e seg. del Codice Penale, in quanto il film
esprime un esplicito atteggiamento di disprezzo verso il sentimento religioso in generale e quello cristiano in particolare.
(...) Difatti, il diritto ad esprimere opinioni dissacratorie o miscredenti trova un
limite non superabile nel
rispetto dovuto al sentimento religioso della collettività.
Si sottolinea infine lo
squallore di scene chiaramente blasfeme e sacrileghe, intrise di degrado morale, di violenza gratuita e di sessualità perversa e bestiale, con sequenze laide e disgustose" (Il Tempo,
5.3.98). Lo psicologo Leonardo Ancona, membro della commissione censoria, ha definito la
pellicola "un film vomitevole"
aggiungendo: "E' tutto il Cristianesimo che vi viene offeso. E' la dignità degli esseri umani che viene messa in ridicolo. Un attacco al sacro e all'uomo"
(La Repubblica, 4.3.98). Il magistrato Domenico Nardi, presidente
della citata commissione, ha affermato: "Non è un film; è il fondo dell'inferno" (II Messaggero,
3.3.98). L'uscita nelle
sale cinematografiche è stata
quindi vietata. La produzione
del film ha ricorso in appello. Ma chi sono i responsabili di questa incredibile aggressione contro
la fede cattolica? Col
pretesto di difendere la libertà di espressione “artistica”, l’attacco alla
censura vuole difendere proprio la libertà pubblica di bestemmia.(Famiglia
Domani –Anno XI, n.1, Gennaio 1998)
Questa sembra la domanda più semplice e ovvia a cui si può dare una risposta, ma
non è così. Se dicessi il sesso o il tuo nome o i tuoi genitori o la
nazionalità. Io ti risponderei che non ti ho domandato che sesso hai, come ti
chiami, chi sono i tuoi genitori o a che nazionalità appartieni. A questa
domanda la risposta è una sola! Io sono Amore! Io allora ti chiederei, cos'è
l'Amore? Tu mi risponderesti: L'amore è Dio! Io ti chiederei ancora: Chi è Dio?
Tu potresti dire anche tanto di Lui, ma diresti sempre pochissimo perché Dio è
infinito! Questo è il vero mistero sapere chi sono io e sapere chi è Dio! Anche
in Paradiso questo mistero non sarà mai spiegato interamente, perché il mistero
è il fondamento del fascino che è il fondamento dell'amore. Per questo possiamo
innamorarci di noi stessi e degli altri, per questo Dio può innamorarsi di noi
e noi di Dio. Tutto quello che esce dall’Amore è affascinante perché è misterioso.
Un mistero intelligente che si svela continuamente e non si esaurisce mai. Più
conosco chi è Dio più conosco chi sono io! Se può uccidere un grande
dispiacere, può anche uccidere una grande felicità! Se comprendessimo quanto e
come ci ama Dio, moriremmo di felicità. Questa è stata la sorte beata di tanti
santi e sante, pochi istanti prima che sopraggiungesse sorella morte, il
Signore si è riversato nei loro cuori come una cascata di felicità, così che
non è stata sorella morte a portarli tra le braccia del Padre, ma è stata
sorella felicità. Solo Dio sa chi è l'uomo e qual è il suo valore! Gesù di
Nazareth ci fa capire qualcosa quando afferma: "sciocco, a che ti vale
guadagnare il mondo intero se poi perdi la tua anima, cosa potrai dare in
cambio della tua anima?" L'anima di un uomo vale molto di più di tutto
l'universo materiale. Il demonio che nulla può contro Dio, cerca di farlo
soffrire indirettamente nei suoi figli, facendoli precipitare con lui nell'inferno.
I
cibi a carattere popolare devono godere di una tassazione limitata.
Devono
essere tutti biologici.
Gli esuberi alimentari non
devono essere distrutti, ma consegnati ad un prezzo politico perché prendono la
via del terzo e quarto mondo.
Cominciamo col dire che il cielo è quello che
i poeti cantano, di notte, quando sono un pò tristi, o che i filosofi guardano
per capire l’immensità della coscienza. Però, noi credenti, usiamo la parola
“cielo” per descrivere un senso di pienezza, di gioia, di beatitudine, ecc...
Si comprende così come il cielo è una dimensione misteriosa (metafisica) del
nostro vivere quotidiano e sensibile: qualcosa -o Qualcuno- che ci è tanto
vicino da non poterlo più percepire. E la solitudine che se ne va a spasso. E,
in una giornata qualsiasi, noi compiamo le faccende normali, immersi in questo
mondo fatato ma reale, e tra il fruscio delle ali degli angeli.(di Alessandro
Maggiolini -Vescovo- Messaggero di sant’Antonio p. 74 giugno 1994) Il cielo non
è nello spazio e nel tempo, ma oltre!
O siamo continuamente nuovi o moriamo dentro.
Assecondiamo in noi il fascino di un incontro, l'evento di un principio di
bellezza e di bontà, quale contempliamo nello stupore della natura. E' nella
esperienza dell'essere amato e del poter amare che si spalancano le esigenze
dell'etica. Nell'esperienza dell'amore si supera il cinismo, mentre esso
trionfa di fronte al relativismo, alla confusione interpretativa e ad
esperienze di amori istintivi e passionali. Nell'affermazione dell'amore si
afferma anche la gloria di Dio, ogni uomo diviene un sacerdote ed un mediatore
della Presenza Infinita ed inesauribile, divenendo offerta di ogni gesto,
parola ed istante, di ogni sofferenza perché il suo vero Padre venga
riconosciuto. Affinché tutti gli uomini accolgano con consapevolezza,
gratitudine l'opera perfetta di Dio, che chiede di realizzarsi continuamente in
noi ed intorno a noi. Tutto per vivere al massimo, nella intensità della gioia
e del dolore, per fare nostre le speranze, le gioie e le sofferenze dei fratelli.
(René Coste DIMENSIONI POLITICHE DELLA FEDE,
Cittadella Editrice -Assisi)
Esiste un’enorme differenza tra civiltà
cristiana e cristianesimo. La civiltà cristiana è un dato culturale e non una
religione. La civiltà cristiana come dato culturale è un’insieme di sensibilità
è una visione della vita e dell’uomo che è ormai patrimonio di tutta l’umanità.
Un musulmano, un buddista, può essere perfetto e zelante nella sua religione,
pur vivendo culturalmente i valori di democrazia e di dignità umana che il
cristianesimo ha maturato lungo i secoli. I diritti universali dell’uomo,
codificati dalla comunità internazionale, sono il frutto del lavoro che, non
tanto la Chiesa Cattolica, quanto il messaggio evangelo ha operato in 2000
anni. Questo dato culturale e politico è così rispettoso dell’uomo e della sua
dignità, che allo stato attuale è il miglior
progetto culturale sull’uomo che
l’umanità abbia elaborato.
PROGRESSISTI - FASCISTI - CAPITALISTI
Ci si può intendere con gente di questo tipo
(per loro l'antifascismo continua ad essere un valore, mentre l'anticomunismo è
un meschino sentimento antistorico, robetta da borghesi piccoli-piccoli) disposta
a seppellire le porcherie di Stalin e non quelle di Hitler e del Duce? Che non
dimentica le vittime del nazifascismo, però non riconosce i 100 milioni di
morti ammazzati con la falce e martello? Che fatica ad archiviare una tragedia
avvenuta mezzo secolo fa, ma pretende
non si accenni alle stragi tuttora in corso là dove i totalitarismi rossi sono
ancora in piedi? D’altronde basta osservare l'accoglienza che la sinistra ha
riservato al Libro nero del comunismo... Capite qual è il metodo? Se un'ecatombe
è nota «non scandalizza e non meraviglia», diventa una sciocchezzuola. Cento
milioni di morti, che volete siano? E sentite Luciano Canfora come liquida la
pubblicazione mondadoriana, che è una raccolta di documenti anche fotografici:
«Si basa su un trucco grossolano: il rialzo delle cifre. Uno potrebbe ridere di
una buffonata come questa se non fosse infame il proposito che viene
perseguito».
Fino a dieci, 20 anni fa chiunque osasse
parlare male della rivoluzione maoista, o dei gulag sovietici, era un povero
deficiente che si lasciava intortare dalla propaganda imperialistica americana;
e Solzenicyn era uno sporco traditore. Oggi che è tutto chiaro, i progressisti
si dividono in due: quelli che «sono cose note e raffazzonate e non
scandalizzano» e quelli che «uno potrebbe ridere di una buffonata come questa».
Sicuro, il comunismo in Italia non c'è più, e se è per questo grazie agli
anticomunisti non c'è mai stato; ma i comunisti purtroppo ci sono ancora e,
anche se Fini e io siamo stanchi di polemizzare con loro, non serve fingere che
siano «guariti». Non sono neppure migliorati. I meno gravi affermano che il PCI
non c'entra nulla con gli stermini e si scordano che il loro capo, Togliatti,
era il braccio destro di Stalin e lo aiutava a scegliere chi doveva essere
accoppato (chiedere informazioni agli alpini o agli italiani emigrati in URSS).
Altri compagni allargano le braccia e sospirano: non eravamo al corrente. Ma
Eniannele Macaluso non dice che erano «cose note»? E allora i casi sono due: se
i comunisti italiani non sapevano, erano fessi; se sapevano e stavano zitti,
erano complici degli assassini. Scelgano loro. Quando poi avranno imparato a
memoria il Libro nero del comunismo, e saranno in grado di recitarlo a
menadito, avranno acquistato il diritto a sfottere Silvio Berlusconi. Intanto,
silenzio, per favore. (Chiama il Borghese 011/65.00.123 Articolo di Vittorio
Feltri, 11 MARZO 1998, p.3)
Termine che designa l’aspetto più deteriore
del comunismo sovietico. Josif Stalin esasperò la burocrazia, con le
repressioni di massa le vittime si contano a milioni. Si istituzionalizzò la
idolatria ovvero il culto della personalità del segretario del partito. Divenne
sistematica la soppressione fisica degli avversari. Il termine si applica anche
ad altri regimi dittatoriali come la Cambogia di Pol Pot, la Romania di
Ceausescu, la Corea del Nord di Kim Il Sung, ecc. Lo stalinismo divenne una
indiscutibile religione di stato, questo fenomeno prese il nome di “realismo
socialista”. Fu la rapida collettivizzazione dell'agricoltura a provocare
milioni di vittime tra i contadini che si opposero all’esproprio della terra.
Gli stati comunisti hanno fatto più vittime che la seconda guerra mondiale.
[presentiamo una breve recensione all'approfondito
studio a lui dedicato da: NATALINO VALENTINI, Pavel A. Florenskij: La Sapienza
dell'Amore. Teologia della bellezza e linguaggio della verità, Ed. Dehoniane
Bologna (Nuovi Saggi Teologici-41),pp. 390.](Quadrimestrale dell'Ass. Naz.
Insegnanti di Religione Reg. Tribunale di Savona n. 318 del 31 /5/85 Direttore
responsabile: Francesco Perez /via Avogadro, 3-47037 Rimini Tel. 0541/377663
Fax 785353)
Teologia della bellezza e linguaggio della
verità
Nell'occasione del 60° anniversario dalla tragica
morte di uno dei più grandi pensatori cristiani del Novecento, il sacerdote
ortodosso Pavel A. Florenskij, fucilato dai bolscevichi dopo anni di
persecuzioni e di sofferenze nei lager siberiani.
Padre Florenskij, genio sconosciuto del
Novecento
Davanti alla sublimità del dono di un genio,
che nobilita il genere umano con la luce della propria intelligenza, si prova
generalmente un sentimento di meravigliato smarrimento. E' quanto Natalino
Valentini chiama, con felicissima espressione schellinghiana, "stupore
della ragione", accostando non senza timore e tremore l'opera di Pavel A.
Florenskij (1882-1937), fisico, matematico, filosofo-teologo, teorico dell'arte
e del linguaggio, ingegnere, ecc., definito a pieno titolo il "Leonardo da
Vinci della Russia". Venne
fucilato nel lager sovietico delle isole Solovki l'8 dicembre 1937, nel pieno
della sua maturità di uomo e di intellettuale, e ciò che ora riaffiora dei suoi
scritti è forse soltanto la punta dell'Iceberg di una mente e di un'anima
straordinarie. Perciò si prova la nostalgia d'una grandezza perduta accostando
la vita e il pensiero di Florenskij, con il turbamento interiore per quanto è
stato cancellato della sua "storia" nel gorgo infernale di una delle
più tragiche involuzioni del senso stesso di umanità di cui il nostro secolo è
testimone. L'incommensurabilità di tale perdita si trova nelle parole dello
stesso Florenskij, scritte nel lager alla notizia del saccheggio della propria
biblioteca. Valentini le riporta in una nota dell'introduzione biografica al
suo Autore preferito: "La mia biblioteca non era semplice raccolta di
libri, ma una selezione di opere dedicate ad alcuni temi precisi. Posso dire
che diverse opere che avevo intenzione di scrivere erano già a metà pronte,
sotto forma di note in margine ai vari testi che io solo posso interpretare. Il
lavoro di tutta una vita si è oggi dissolto. La distruzione dei risultati delle
fatiche di tutta la mia vita è per me assai peggio della morte fisica" (p.
46, n. 52). Sono frasi che hanno l'amaro sapore del testamento di un uomo
colpito a morte nell'eredità del suo spirito, ma che pure ci lasciano traccia
del metodo di rielaborazione delle idee di un genio. La bellezza splendore del
vero. La Provvidenza ha voluto che parte dell'opera di Florenskij si salvasse e
riemergesse nel tempo dalle ceneri dell'ideologia. Merito del lavoro di
Valentini è di avercene restituito, con appassionata maestria filosofica ed
attenta analisi culturale e religiosa, l'anima della sua vitalità: la
"Sapienza dell'Amore". Dopo una parte introduttiva sulla vicenda
umana ed intellettuale di Florenskij ed il contesto della sua formazione
cristiano-ortodossa, il libro si articola in altre tre parti che, in un ampio
panorama investigativo di tutte le maggiori opere filosofiche e teologiche
conservate del grande pensatore russo, e con la lodevole rigorosità scientifica
del Valentini suo valido interprete, sviluppano il problema della
"verità", della "bellezza" e della "parola" tra
pensiero e linguaggio. La ricchezza che l'indagine sviscera rende ragione
all'altezza delle intuizioni di Florenskij, messe puntualmente in luce nel
crescendo di tensione e di pienezza contenutistica cui l'intelligenza del
lettore è indotta di capitolo in capitolo nel susseguirsi espositivo dei vari
argomenti, i quali come icone si aprono simili a fessure sull'infinito del
conoscere e del sapere. Il corredo del nutrito apparato scientifico che
supporta il testo, documentandolo esaurientemente, e la vastissima bibliografia
che fornisce al lettore una sorta di "opera omnia" di Florenskij e su
Florenskij rendono il libro di Valentini di capitale importanza nello sviluppo
degli studi sul grande pensatore russo e confermano profondamente la
convinzione di Giovanni Paolo II espressa nella Lettera Apostolica “Orientale
Lumen” per la quale, di fronte alla sfida del nuovo Millennio
"adveniente", "le parole dell'Occidente hanno bisogno delle
parole dell'Oriente, perché la Parola di Dio manifesti sempre meglio le sue
insondabili ricchezze" (OL 28). Pochi mesi prima di morire come un
martire, alla moglie Anna, Pavel Florenskij aveva scritto:
"Destino della grandezza è la
sofferenza, quella causata dal mondo esterno e la sofferenza interiore. Così è
stato, così è e così sarà ... Per il proprio dono, la grandezza, bisogna pagare
con il sangue" (dal lager, 13 febbraio 1937).
(Luciana Mirri, Docente di religione a
Bologna e di dogmatica all'ISR di Imola, studiosa di patristica e spiritualità
dell'Oriente Cristiano).
Le zone carsiche non presentano corsi d'acqua
in superficie: le acque scavano depressioni a imbuto, chiamate doline, e
convogliate attraverso inghiottitoi, o foibe, nelle cavità sotterranee, dove
possono scorrere come fiumi veri e propri. Il carsismo prende nome dal Carso,
una zona che si estende tra Friuli-Venezia-Giulia e Slovenia. Quando gli americani
furono fermati dalla linea di Montecassino, gli istriani, i popoli dalmati si
trovarono a vivere il loro olocausto. Queste popolazioni di italiani avevano un
forte concetto della loro identità e attendevano la liberazione
indifferentemente se essa fosse avvenuta ad opera degli americani o degli slavi
di Tito. Gli istriani non sapevano che a Jalta era già stato deciso il loro
destino. A Jalta si era decisa la divisione dell’Europa e per questo gli
americani si sarebbero comunque fermati a Venezia. Tutte le città dell’Istria
furono occupate dagli slavi di Tito, ma bastarono pochi giorni per rendersi
conto della disgrazia che era capitata loro. A dirigere quelle terre furono
inviati i partigiani comunisti internazionalisti i quali consideravano
integrate nella federazione iugoslava quelle terre. Preferirono sbrigativamente e tragicamente attuare il
loro progetto in questo modo:
1 - cambiarono nomi a città, cartelli
stradali e alle strade;
2 - simularono incendi, in diversi uffici
anagrafe, per distruggere qualsiasi
certificato di possesso o di identità;
3 - Chiusero la maggior parte delle chiese,
cacciarono o uccisero molti preti, perché questi non producendo un reddito,
erano considerati un peso inutile alla società, praticamente dei parassiti. In
realtà vollero lasciare quelle popolazioni senza alcuna autorità di riferimento;
4 - I dalmati giudicati ostili dal potere
comunista - cioè tutti - iniziarono a sparire, la persona con cui ti eri
incontrato il giorno prima, il giorno dopo spariva misteriosamente.
Come fu evidente il progetto di pulizia
etnica quasi tutti fuggirono (circa 250.000). Gli slavi realizzarono il loro
progetto, infatti avevano trasferito interi nuclei familiari nella attesa che
le proprietà fossero “liberate”, portarono nuove popolazioni ad occupare le
case ormai lasciate vuote. Non appena gli italiani uscivano, il giorno dopo una
famiglia slava sfondava la porta e si insediava. Fu un progetto lucido e
pianificato di pulizia etnica al fine di sradicare un intero popolo.
Improvvisamente iniziarono a sparire anche persone che con la politica non
centravano niente ... intere famiglie. Se si considera che praticamente tutti i
compromessi con il regime fascista, temendo ritorsioni avevano già abbandonato
quelle terre alcuni giorni prima che i comunisti slavi le occupassero. Si
comprende come la quasi totalità delle vittime fossero civili inermi e privi di
qualsiasi responsabilità, fatti sparire per il semplice interesse di
impossessarsi delle loro proprietà o per meschine vendette personali. Quelle
poche persone che di notte cercarono di violare il coprifuoco, raccontavano di
camion che giravano per i paesi deportando interi nuclei familiari o singoli
che poi regolarmente sparivano. Questi camion carichi di soldati vennero
denominati ben presto “Camion della morte ”. Si può considerare che nelle 2500
foibe del Carso, specie di inghiottitoi giganteschi sparirono dalle 10000 alle
12000 persone, tutti gli altri fuggirono. Un intero popolo è stato cancellato e
disperso. La tecnica preferita per gli omicidi era questa: i comunisti legavano
tra loro, con il filo spinato, due persone con le mani dietro la schiena, ad
uno gli sparavano alla nuca e l’altro lo gettavano dentro vivo
nell’inghiottitoio per pura crudeltà. Quando venivano trucidati in molti, testimoni
raccontano di aver udito, per giorni dall’orlo della foiba le voci straziate
dei moribondi arrivare in superficie. Voci che con il passare dei giorni erano
destinate a divenire sempre più fievoli. Così sono scomparse migliaia di
persone, un popolo intero è stato scippato della sua storia e del suo
patrimonio nella indifferenza generale, indifferenza che dura tutt’oggi. La sua
straziante agonia si vuole con complicità criminosa far finta, ancora oggi, che
non sia mai esistita (ho le prove che un docente universitario progressista ha
avuto la spudoratezza di negarla). In molti altri casi i comunisti gettavano
macerie o colate di cemento sulle vittime ancora vive. Si abbandonarono inoltre
ad atti di crudeltà gratuita, come sventrare le gestanti prima mi gettarle
nelle foibe, violentare le donne prima di sopprimerle, strappare gli occhi a
chi si ribellava prima della esecuzione ed altre sevizie. C'è forse una
differenza tra comunisti e nazisti? Nessuna! La peggiore schiatta che l'umanità
abbia conosciuto. Emblematica è l’esiguità delle fonti per un genocidio di
questa portata: Carlo Sgorlon “La foiba grande” ed Mondadori. Piuttosto
goffamente, Togliatti aveva liquidato le foibe come: “Giustizie di italiani
(antifascisti), contro italiani (fascisti)”(Montanelli-Cervi, L’Italia della
guerra civile, storia d’Italia, Rizzoli editore, p.344) .
"Non doversi procedere". Così, il
12 novembre, il GIP di Roma ha archiviato le indagini sul genocidio di
ventimila italiani da parte dei partigiani di Tito. A meno che la Cassazione
non accolga i ricorsi del PM Giuseppe Pititto, dell'Avvocatura dello Stato e
dei legali dei parenti delle vittime dei massacri, i principali responsabili
delle foibe non dovranno più rendere conto dei loro delitti. Paradossalmente la
ragione del colpa di spugna: siccome le stragi sono avvenute in territori
passati successivamente alla ex Jugoslavia, ci sarebbe un «difetto di
giurisdizione». Eppure, altri criminali, quelli nazisti, vengono ricercati,
catturati e puniti ovunque. Due pesi e due misure che hanno sollevato un
vespaio di polemiche e spaccato anche lo sinistra. Era stato lo stesso
presidente della Camera, Luciano Violante (PDS), a criticare la «congiuro del
silenzio sulle foibe». Un silenzio che ora diventerà di tomba, se la Cassazione
non ribalterà il verdetto. «Mi hanno infoibato. Sono vivo per miracolo. E
quello che hanno fatto a me l'han fatto a moltissimi altri, trucidati per la
sola colpa di essere italiani». Parla Graziano Udovisi, classe '36, di Pola. Un
ufficiale che ha combattuto per difendere l'Italia. Ha patito le pene
dell'inferno per salvare i suoi ed è riuscito a sfuggire alla morte. Dall'8
settembre '43 fino a tutto il '47, in Istria, Dalmazia, Fiume e dintorni, le
truppe jugoslave di Tito furono artefici di una lunga serie di eccidi ai danni
delle popolazioni italiane. Le vittime, dopo essere state torturate con
evirazioni, stupri, amputazioni, accecamenti, venivano precipitate a gruppi
nelle foibe, fenditure rocciose profonde centinaia di metri. I responsabili
percepiscono le pensioni di guerra. Invece, Udovisi ha solo una pensione da
insegnante, in base al lavoro svolto; lo Stato italiano non lo riconosce come
combattente. «Il presidente Scalfaro» spiega l'unico superstite delle foibe in
quest'intervista al Borghese «potrebbe riconoscere il grado di combattente non
solo a me, ma a tutti coloro che sono morti per difendere la Patria,
restituendoci i nostri gradi, il nostro titolo personale e la tanto agognata
pensione come invece è stata data ai nostri infoibatori, italiani e slavi. Ma
questo significherebbe sconfessare il comunismo dei primi tempi, sconfessare
Togliatti, sconfessare addirittura lo Stato italiano che finora ci ha trattato
così miseramente!».
Quello di Udovisi è un triste diario che fa
parte di un macabro e vergognoso capitolo della nostra storia, dimenticata da
troppi. Allora aveva solo 19 anni, ed era tenente della Milizia difesa
territoriale, reggimento comandato da Libero Sauro, figlio di Nazario, l'eroe
istriano. Ancora oggi Udovisi non dorme sonni tranquilli, non può dimenticare
quel terribile sabato di maggio 1945, quando si presentò alle 17,30
direttamente presso il comando slavo. Il suo senso di responsabilità lo fece
intervenire per cercare di salvare i suoi sottufficiali. I massacratori slavi
non lo fecero neanche parlare ma, dopo avergli chiesto solo nome, cognome e
grado, lo legarono con le mani dietro alla schiena col filo di ferro e lo
stiparono in una cella tre metri per quattro, assieme ad altri trenta italiani,
stretti come sardine, quasi senza aria, seminudi. Morivano di sete e dopo
imploranti richieste, gli slavi offrirono loro fiaschi pieni di urina. Dopo
pochi giorni ci prelevarono in sei e ci portarono in un'altra stanza. Ci
torturarono per tutta la notte. Dopo mezz'ora non sentivo più nulla, avrebbero
potuto anche tagliarmi a pezzettini, ma non me ne sarei accorto. Quando mi
hanno ordinato di alzarmi in piedi, ho cercato di guardarmi intorno, il mio
volto era talmente tumefatto che vedevo a malapena. Ho visto il mio compagno di
fronte a me con la schiena completamente rossa, poi ho capito che era sangue.
- Quando siete usciti da quella
stanza?
Udovisi: Poco prima dell'alba del giorno
dopo. Sono entrati due ufficiali slavi, un uomo e una donna. Quest'ultima ci ha
ordinato di alzarci in piedi e di disporci in fila. Eravamo senza forze,
nessuno si mosse. Allora questa donna mi ha preso per i capelli e senza dire
una parola mi ha spaccato la mascella sinistra con il calcio della pistola. Mi
hanno messo in fila per primo perché ero ufficiale, gli altri erano dietro, ma
l'ultimo non ce la faceva a stare in piedi. Sin dal primo momento di prigionia
ci avevano legato le mani col fil di ferro. Quei fili taglienti erano entrati
nella carne dei polsi e, al minimo movimento, continuavano a incidere le
ferite. - Poi cosa è successo?
Udovisi: Ci hanno portato fuori, eravamo
seminudi e scalzi: forse il fresco della notte ha fatto in modo che capissi
qualcosa di più, anche se la mia testa era completamente imbambolata.
- Erano
solo slavi o anche italiani?
Udovisi: Sono certissimo che erano slavi
coloro che dopo la lunga notte di tortura, sul fare dell'alba del 14 maggio
1945, nei pressi di Fianona, ci fecero contemporaneamente da scorta e da carnefici.
I soldati, ben vestiti, che ci hanno condotto nel bosco non erano gli stessi.
C'erano anche borghesi, partigiani comunisti, erano tutti contro di noi. Messi
in fila e sempre con le mani legate dietro la schiena, eravamo tenuti insieme
con un filo di ferro che scorreva sotto il braccio sinistro di ognuno. Ricordo
di aver sentito suggerire da due che parlavano in italiano di legare l'ultimo
attorno al collo, perché era svenuto. Sicuramente durante il tragitto verso la
foiba è morto, soffocato dal filo.
Cosa è successo durante il
trasferimento da Pola a Fianona?
Udovisi: Di tutto. Hanno continuato a
infliggerci ogni tipo di tortura, con il calcio e le canne dei mitragliatori,
ci hanno fatto mangiare la carta e i sassi, ci hanno sparato vicino alle orecchie.
Ci obbligavano a camminare scalzi tra rovi e sassi appuntiti. - Per quanto avete camminato?
Udovisi: Non lo so. Ero distrutto, e il fil
di ferro era una vera tortura. Appena sono riuscito a farlo scorrere lungo il
braccio, fino al polso, sono scivolato e caduto per il sollievo. Immediatamente
mi è arrivata una botta con il calcio di un mitra al rene destro. A causa di
ciò ho subito tre operazioni, perché da quel momento ho sempre sofferto di
calcoli, e vado sempre a Fiuggi a curarmi. Le torture mi hanno anche reso sordo
all'orecchio sinistro e al destro ci sento solo per metà.
-
-
Cosa ha provato sull'orlo della
foiba?
-
-
Udovisi: Un senso di liberazione.
Ci hanno detto: «Fermatevi. La liberazione è
vicina». In cuor mio ho inviato un pensiero al cielo. Ho abbassato lo sguardo
dentro la foiba, era l'alba, c'era ancora poca luce. Giù in fondo si vedeva un
piccolo riflesso chiaro, era l'acqua. Quando ho sentito l'urlaccio che ordinava
di fare fuoco, mi sono buttato giù prima degli spari, come se la foiba fosse
stata un'ancora di salvezza. Dopo un volo credo di 15-20 metri, sono piombato
dentro l'acqua, era molto fredda. Venivo trascinato sempre più giù e mi
dimenavo con la poca forza rimasta. Sono riuscito a liberarmi una mano, ho nuotato
verso l'alto e a un certo punto ho toccato una testa con dei capelli. L'ho
afferrata, tirata verso di me e sono riuscito a risalire. Così ho salvato
Giovanni Radeticchio, detto Ninì. Laggiù sul fondo sono scomparsi Felice Cossi,
Natale Mazzuchia, Carlo Radolovich e Giuseppe Sabath.
- Come
l'hanno accolto a casa?
Udovisi: Sul far della notte del 18 maggio
riuscii a raggiungere la casa. Mia sorella Mafalda, sentendo la mia voce, corse
ad aprirmi tendendo le braccia che subito ritrasse dicendo: «Chi sei? Tu non
sei mio fratello! Io non ti conosco». E mi sbatté la porta in faccia. Poi
riuscii a farmi riconoscere. Ero ridotto veramente male! Risento ancora oggi
dei danni fisici e morali. Nini, emigrato in Australia, ha resistito poco. La
nostalgia (per la sua patria perduta), la depressione per l'indifferenza della
sua Patria, le lesioni interne l’hanno indebolito, poi stroncato. Non l'ho più
rivisto dalla mia partenza da Pola. (il Borghese 28 novembre 1997 - chiama il
Borghese 011/650012)
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FILM / “Porsus” è la storia di una brigata di
partigiani cattolici trucidata da una brigata di partigiani comunisti. Il
regista un comunista che ha voluto documentare la realtà degli avvenimenti ha
trovato tali difficoltà nel realizzare questo film che ha impiegato venti anni
per produrlo.
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Ogni giorno deportati oppure fucilati.
Eravamo nel periodo bellico 1943-44 quando mi
assegnarono una nuova sede a Postumia-Grotte. In quella città erano concentrate
truppe tedesche, Slovene, croate, mancava una vera e propria difesa per
famiglie italiane e si può bene immaginare lo stato d'animo in cui vivevano.
Ogni giorno funzionari statali comunali e italiani venivano deportati in campi
di concentramento oppure fucilati. Allo scrivente fu inviato un avviso nel quale
era scritto: «Se non vuoi fare la stessa fine degli altri funzionari, lascia
Postumia entro tre giorni!». Non sapevo cosa decidere. Dove andare? La mia
famiglia era impossibile raggiungerla, dato che l’Italia meridionale era sotto
il controllo delle truppe alleate. I pensieri si accavallavano nella mente.
Nella notte, mentre dormivo, sentii scuotermi nel letto e nella penombra di una
luce fioca mi parve di vedere un frate
che mi diceva: «Parti subito. Ti verrà assegnata una nuova sede in
provincia di Padova». Dopo una lunga riflessione, mi misi in viaggio per il
luogo indicatomi. Dal funzionario della prefettura venni a conoscenza, che un signore aveva chiesto il mio
trasferimento. Non seppi chi fosse stato ad interessarsi del mio caso. Recatomi
per la prima volta nella chiesa del Santo a Padova e ammirando estasiato la
statua di sant’Antonio, riconobbi l'immagine del frate che mi aveva esortato a
lasciare Postumia.
Da allora presi a frequentare la chiesa di
sant’Antonio e ringraziarlo per quanto aveva fatto e per aumentare la fede
verso il Santo volli celebrare le nozze nella sua chiesa. D.F.
– Padova (Suppl. al n.4 del Messaggero di sant’Antonio – Aprile 1993 –
Sped. Abb. Post. Gr. III/70, p.53)
(DICHIARAZIONE DELL’AMBASCIATORE SLOVENO IN
ITALIA PETER ANDREJ BEKES)
"I massacri? I primi a compierli sono
stati i vostri soldati. Gli esuli? Solo dei contadini in fuga dalla miseria. I
beni abbandonati? Impossibile restituirli". L 'ambasciatore sloveno si
prende gioco della storia. Nonostante Lubiana abbia ancora un contenzioso
aperto. E sia a un passo dall'Europa. Grazie a Dini e Prodi. (di MARZIO G. MIAN
N. 9 -ANNO XLIX - 11 marzo 1998 p.37)
il Borghese: Come mai la legge sulla attuale
denazionalizzazione dei beni, un tempo espropriati, vale solo per i cittadini
ex jugoslavi?
Bekes: Vale per coloro che alla data del 9
maggio '45, cioè alla fine della Seconda guerra mondiale, erano cittadini
jugoslavi e, da almeno tre anni, vivevano nel territorio dell'attuale Slovenia.
E' naturale che venga tagliato fuori chi ha prestato servizio militare
nell'esercito italiano.
il Borghese: A Capodistria vive Mario
Toffanin, il gappista responsabile dell'eccidio friulano di Porzus, dove nel'44
i partigiani rossi sterminarono 19 osovani. Non è un personaggio ingombrante?
Bekes: Fatti come quello di Porzus si sono
verificati in tante parti d'Europa.
il Borghese: In occasione dell'apertura del
processo sulle foibe a Roma, la Slovenia ha protestato. Non le sembra
un'interferenza?
Bekes: È stato un processo giustamente
interpretato come un atto d'accusa contro la Slovenia. Siamo legati all'Italia
da tanti rapporti. Presto sarà il nostro primo partner commerciale.
il Borghese: Per concludere: si possono già
definire i tempi per una "soluzione" del contenzioso tra Italia e
Slovenia?
Bekes: L'unico contenzioso era la
liquidazione del debito, che rappresenta solo il 3 per cento degli scambi
commerciali ed economici tra i due Paesi. Quindi, se Dini mantiene le sue
intenzioni, il contenzioso è presto chiuso. E questo momento è molto vicino.
Entro il secolo saremo due normali Paesi confinanti.(per conoscere la storia
delle Foibe: chiama il Borghese 011/65.00.191)
Tutti i governi italiani che si sono
succeduti sono colpevoli per non aver fatto perseguire i criminali di questi
eccidi da un tribunale internazionale e
per aver occultato gli avvenimenti ponendoli in sordina. Che gli istriani erano
stato trucidati? Bisognava dormirci sopra per attutire la vergogna per inziare
dal partito comunista e per finire alla Democrazia Cristiana. Alla fine della
guerra lo stato italiano tirò fuori alcune centinaia di morti in accordo con le
autorità iugoslave.
Lecce
Lecce, in ricordo dei martiri delle foibe.
Nella città pugliese il Sindaco e la Giunta si sono impegnati a dedicare, una
via o una piazza ai “martiri delle foibe”; la grande tragedia che ha colpito il
nostro popolo tra il ‘43 e il ‘45. Un’altra breccia verrà così aperta nel
colpevole muro di silenzio e omertà che, falsificando la storia, era stato
eretto nel tentativo di coprire un delitto contro l’umanità che non potrà mai
cadere in prescrizione (AREA- luglio-agosto 1997). “Quando gli uomini uccidono,
bruciano i cadaveri o li gettano nella foiba lo fanno da sonnambuli, mentre
sono preda degli incubi e dei deliri della storia. Poi, quando si svegliano, le
guerre finiscono... allora non credono più a quello che hanno fatto, si
figurano d’aver sognato, e diffondono la notizia che si tratta solo di fantasia
e leggenda”(Carlo Sgorlon, La foiba grande). “Se
lei chiede a uno svedese che cos’è l’inquisizione, lo sa. Se chiede che cosa è
stato lo sterminio degli indiani, lo sa. Se chiede delle foibe non le
risponderà nessuno... Parliamo di cose più serie...”: così parlò Victor Magiar,
“illuminato” consigliere comunale di Roma, pidiessino, raggiunto da insperata
notorietà per aver proposto un museo capitolino degli stermini sull’onda delle
passioni scatenate dal “caso Priebke”. Per lui, come per gran parte degli eredi
del comunismo italiano, i diecimila infoibati nei bui crepacci del Carso non
sono degni di rispetto e di memoria, sfortunate vittime di quelle “brutalità
militari - come ha spiegato da par suo Stefano Rodotà - di cui la storia è
piena”. Nulla di paragonabile, insomma, ai 335 martiri delle fosse Ardeatine.
Le ragioni sono molteplici. La prima è molto semplice: “Dal 1945 - ha scritto
Maurizio Cabona sul Giornale - i
morti non sono tutti uguali, c’è sempre qualcuno più morto degli altri...” La
seconda ragione è che questi “morti di nessuno” sono caduti per mano delle
bande partigiane al comando di Josip Broz, detto Tito, e gli eccidi compiuti in
nome del comunismo sono legittimati, agli occhi dell’intellighenzia manichea
che detiene ancora l’egemonia in campo storico-culturale. “Solo quelli dei
sacerdoti del marxismo, argomenta un indignato Vittorio Messori, erano
sacrifici a un Dio buono. Il dio di Hitler è il dio cattivo. Quindi quegli
italiani buttati nelle foibe dai comunisti di Tito non sono comparabili a
quelli delle Fosse Ardeatine...”. La sinistra dunque ha reagito al dibattito
sulle foibe con la solita ipocrisia - salvo qualche meritoria eccezione, come
nel caso di Leo Valiani - che le ha impedito di riconoscere la verità. Conclude
Messori: “che quello che gli sloveni di Tito hanno attuato, forse con la
complicità, sicuramente col silenzio dei comunisti di Togliatti, era un
progetto di pulizia etnica”. La terza ragione l’ha espressa Ernesto Galli della
Loggia: mancando del tutto da noi un forte sentimento di italianità si è consentita
la rimozione di una pagina di orrori facendo in modo che il pregiudizio
antifascista prevalesse sul sentimento di dignità nazionale. E’ per questo che
ancora oggi quella “pagina strappata” dalla memoria nazionale crea disagio e
imbarazzo e consente a Luciano Canfora, marxista prima ancora che storico, di
dire che gli italiani in Jugoslavia “hanno raccolto quello che hanno seminato”,
giustificando i massacri di Tito con il trattamento feroce riservato da
tedeschi e italiani agli slavi (AREA, sett. 1996).
CONCLUSIONE
Non ci sono più le ragioni del contendere
(1°. perché i morti non rivendicano diritti di proprietà; 2°. perché nella mia
famiglia non è stato infoibato nessuno e non mi hanno confiscato niente), se
non l’esigenza di ripristinare la verità storica, ritengo che sia ora che sui
libri di scuola si dica la verità. La mia ambizione territoriale però esiste.
Io voglio annettermi tutta la Croazia, anzi è per amore che voglio annettermi
tutto il mondo. E' per il loro bene che tutte le popolazioni del mondo verranno
a supplicarmi: "Ti preghiamo annettici! Ponici sotto la tua legge
d'amore!" In realtà alla filosofia della morte si contrappone solo la
metafisica, la fondazione di un umanesimo eroico e spirituale costruito sui
valori assoluti, universali e trascendenti. Finché questo non sarà, su tutto il
pianeta saremo sempre in pericolo. Finché questo non sarà i politici disonesti
potranno nascondersi dietro i loro discorsi ipocriti per fare soltanto
politiche strumentali e di interesse economico a favore di una oligarchia
ristretta. Questa è la verità, esiste ancora solo una parvenza di democrazia.
Esiste purtroppo una oligarchia in regime democratico. Purtroppo l’esperienza
non matura ancora saggezza. Culturalmente esistono tutti i presupposte per tragedie
anche più grandi di quelle che l’umanità ha finora conosciuto. Verso queste
stiano inevitabilmente scivolando, solo la metafisica realistica di Maritain
può essere speranza concreta per tutta l’umanità.
VEDETE SE C'E' UN DOLORE PARI AL MIO
(lamentazioni 1,12) AIUTO ALLA CHIESA CHE SOFFRE - Rapporto annuale 1978 Numero speciale dell'"Eco
dell'Amore" Periodico bimestrale n. 4, Giugno 1979 -
Il 27 luglio 1978 ho parlato al
"Congresso della Chiesa che soffre" a Kònigstein del dovere di
solidarietà verso i fratelli perseguitati. Preoccupato della sorte dei nostri
fratelli d'Oltrecortina ho deciso di dare ai pensieri e alle riflessioni
espressi a Kònigstein una maggiore divulgazione. Li dedico, pieno di speranza e
di rispetto, a Giovanni Paolo II, il Papa venuto dall'Oriente...
CECOSLOVACCHIA: Quando la "bufera rossa" si abbatté sulla
Cecoslovacchia, "la Primavera di Praga" si trasformò in un gelido
inverno, nel corso del quale crollò l'illusione riguardante un comunismo più
umano. Un sacerdote ceco, intelligente, pio, parla cinque lingue, ha passato
dodici anni in carcere. L'avevamo invitato a passare due mesi nell'Europa
Occidentale, visitò sei paesi per conoscere la chiesa del mondo libero. Ascoltò
molto, lesse molto ma parlò poco. Accomiatandosi disse però cose che non posso
ripetere senza fremere: "Ho fatto dodici anni di prigione poiché volevo
restare fedele alla Chiesa di Roma. Mi hanno torturato perché non volevo
rinnegare il Papa. Ho perso tutto per la fede. Ma questa fede mi ha dato una
pace e una sicurezza che hanno fatto di quegli anni di pena, gli anni più
preziosi della mia vita. Voi avete perso la pace in Dio. Voi avete scalzato la
fede al punto che essa non vi da più sicurezza. Nella vostra libertà, voi
rigettate i valori per i quali noi abbiamo sofferto sotto l'oppressione.
“L'Occidente mi ha deluso. Piuttosto che restare da voi, preferisco altri
dodici anni di prigionia in una prigione comunista”. Questo giudizio deve farci riflettere, perché traduce l'opinione
di quella importante parte della Chiesa che è stata purificata attraverso le
lacrime ed il martirio. Ed i cuori puri, senza dubbio, vedono meglio la verità
che non i falsi profeti, i sommi sacerdoti accecati e gli scribi altezzosi che
negli ultimi anni vennero sempre più rimproverati da Papa Paolo VI. E' tragico
che la cristianità sia così disorientata, così incerta e divisa, proprio ora
che al di là della Cortina di ferro, i migliori sono alla ricerca di un nuovo
ideale. Rischiamo di caricare sulla Chiesa una nuova colpa storica. Troppo
spesso abbiamo soltanto tinto di bianco la facciata del nostro materialismo
pratico, anziché trasformarci interiormente. A ragion veduta la gioventù ricusa
ciò che è menzognero. Se vogliamo
convincerla dobbiamo rivedere la nostra vita cristiana alla luce della
verità... Soltanto allora saremo degni della libertà. Soltanto allora per l'Est
la nostra libertà sarà fruttuosa.
VERO RINNOVAMENTO. Da noi troppo spesso il
rinnovamento ecclesiale viene male interpretato. In tutta la storia della
Chiesa nessun Concilio ha mai avuto lo scopo di adeguare la vita cristiana allo
spirito del mondo. Tutte le vere riforme miravano al ritorno allo Spirito di
Cristo. Il criterio della loro genuinità è stato espresso da Giovanni Battista
nel motto: "Bisogna che Egli cresca ed io diminuisca". Se Iddio viene
sminuito, mentre l'uomo si esalta, non si tratta più di rinnovamento ma di
decadenza. L'emancipazione del popolo
di Dio diventa sospetta alla luce delle parole di Cristo: "Ti rendo lode,
Padre, perché hai nascosto queste cose ai dotti e ai sapienti e le hai rivelate
ai piccoli". Questi piccoli sono gli stessi "poveri di spirito"
che il Signore chiamò beati. Non sono necessariamente privi di mezzi, ma poveri
dello spirito di questo mondo. Si sono ritirati nel regno intimo della
presenza di Dio. La ricchezza dell'anima è la loro eredità. Nonostante la loro
piccolezza sono interiormente grandi. Sono le sentinelle silenziose con uno
sguardo che abbraccia il mondo intero. La loro disponibilità discreta nella
preghiera e nella penitenza scompare dinanzi alla sempre più strepitosa
attività della Chiesa e del mondo. Dio però non è nello strepito, ma nel
silenzio. Più che altrove, questo silenzio regna nei paesi dove la Chiesa è
costretta a tacere: nelle mansarde dei preti operai che non possono predicare
la parola di Dio; nelle cooperative delle suore condannate ad estinguersi e che
attendono la morte lavorando a maglia; nelle celle dei prigionieri che sono in
catene per il Signore. Questo silenzio non è un segno di morte. E' pieno di
vita soprannaturale. Vale più di tante chiacchiere nel "mondo
libero". Mentre da noi si proclama
che Dio è morto, in Russia migliaia di persone hanno capito che senza Dio non
si può vivere. Dobbiamo pregare affinché Dio doni alla Chiesa un numero sempre
più grande di piccoli e di poveri di spirito, di oranti e di penitenti, di
umili e di silenti. Poiché "mentre
un profondo silenzio avvolgeva tutte le cose, e la notte era a metà del suo
corso, l'Onnipotente tuo Verbo, o Signore, discese dal celeste trono regale".
PREDICA DEL CARDINALE WYSZYNSKI: Nella famosa
predica sulla falsa e sulla vera Chiesa postconciliare, tenuta il 19 aprile
1974 a Varsavia, egli descrive dapprima una Chiesa post-conciliare che, nella
sua maniera di vivere, si scosta notevolmente da ciò che avvenne sul Calvario;
una Chiesa che ridimensiona i suoi compiti e risolve i problemi non più secondo
la volontà di Dio ma secondo le possibilità umane; una Chiesa il cui credo è
diventato elastico e la cui morale è andata sminuendosi; una Chiesa nel dubbio
e priva delle tavole di pietra dei dieci comandamenti; una Chiesa che chiude
gli occhi dinanzi al peccato e teme il rimprovero di essere conservatrice,
arretrata e antiquata; una Chiesa di teologi che disputano, e non di maestri
della verità il cui si è si e il cui no e no. E allora il Primate polacco - in
un paese comunista, la Polonia, dove i vescovi accusano il sabotaggio
amministrativo con il quale viene intralciata la costruzione di Chiese,
chiedono che l'insegnamento religioso non venga più ostacolato, auspicano la
fine della discriminazione della quale i fedeli sono vittime, dice con inaudito
coraggio: "Malgrado questa nebbia artificiale di dubbio e di incertezza,
l'uomo credente può scoprire ancora il vero volto della Chiesa postconciliare.
Questa Chiesa ha l'onore di annoverare tra i suoi porporati un certo numero di
intrepidi confessori, martiri e prigionieri. Recentemente è morto in
Cecoslovacchia il cardinale Trochta. Stefano Trochta è stato prigioniero
per quasi tutta la sua vita di vescovo. Durante la seconda guerra mondiale ha
trascorso tre anni nel campo di concentramento di Dachau. Nel 1947 divenne
vescovo di Litomerice. Arrestato dai comunisti nel 1951, venne interrogato per
tre anni "Il periodo più atroce della mia vita", dirà egli in
seguito. Nel 1954 venne condannato a venticinque anni di lavori forzati per
"tradimento e spionaggio a favore del Vaticano". Posto in libertà
provvisoria nel 1966 perché sofferente di cuore e di asma, venne internato in
un convento a Radvanov. Riabilitato durante la primavera di Praga, poté
nuovamente esercitare il suo ministero. Alla primavera fece seguito un gelido
inverno. Nominato segretamente cardinale nel 1969, il vescovo Trochta venne
continuamente spiato e impedito nelle sue funzioni. Nell'aprile del 1974 fu
interrogato per sei ore di seguito. Il giorno dopo morì. Quello che il
cardinale Trochta aveva previsto è accaduto: umanamente parlando la Chiesa in
Cecoslovacchia non ha più avvenire... Il fatto che le chiese cadano in rovina è
il meno. Di gran lunga peggiore è la grave pressione esercitata sui genitori
che mandano i loro figli al catechismo, la catastrofica mancanza di letteratura
religiosa e la severa censura esercitata sulla limitatissima stampa religiosa.
La formazione dei sacerdoti è sotto la sorveglianza dello Stato. Gli atei
stabiliscono chi può diventare sacerdote, da quali professori vengono formati i
seminaristi e controllano l'apostolato. Sacerdoti zelanti sono indesiderati. Lo
Stato domina la vita interna della Chiesa ed è riuscito a seminare divisione
fra il clero. Parte della gerarchia non merita fiducia. La Chiesa ufficiale,
totalmente isolata e distaccata dalla gioventù, vive in un vuoto spirituale).Quasi
tutta la sua vita di vescovo egli l'ha trascorsa in prigione e in campi di
concentramento. Venne cacciato dalla sua diocesi e condannato ai lavori forzati
in una fabbrica. Quando entrava in fabbrica i lavoratori sapevano che egli non
andava come prete operaio per far loro concorrenza nella lotta per il pane
quotidiano, ma che la fabbrica era il suo esilio. L'unica sua colpa era di
essere vescovo della Chiesa di Cristo.
Anche il cardinale Stepinac era un prigioniero ed un esule. Venne
sepolto nella sua cattedrale a Zagabria. I fiori e le candele intorno alla sua
tomba ci ricordano la risurrezione e la vita (Egli venne cacciato dalla sua
residenza episcopale perché era un vescovo che testimoniava il Cristo. In
Jugoslavia fu condannato il cardinale Stepinac. Durante la guerra si era
prodigato per la dignità umana di Ebrei, Zingari e Serbi. Dopo la guerra si
trovò di fronte a quell'uomo che riteneva di aver liberato il suo popolo
precipitandolo nella schiavitù di un regno senza Dio. Stepinac intralciava i
piani dei senza Dio. Per questo doveva sparire. Falsi giudici gli imposero una
croce sotto la quale doveva soccombere. Venne condannato a 16 anni di carcere.
A causa di malattia, dopo cinque anni, venne posto in residenza coatta nel
villaggio di Krasic. Vi rimase nove anni, e cioè fino alla sua morte: 10
febbraio 1960. Nel venticinquesimo della sua consacrazione episcopale, una
lettera di papa Giovanni XXIII lo consolò in carcere: "Virtù e non colpa
ti hanno procurato questa sofferenza. Possa consolarti il fatto che è meglio
soffrire dell'ingiustizia che compierla". Mons. Giulio Hossu fu
l'ultimo rappresentante della Chiesa greco cattolica "non
clandestina" in Romania. Nominato segretamente cardinale da Papa Paolo VI,
egli morì nel 1970 all'età di 89 anni, dopo essere stato privato della sua
libertà per ben 22 anni. Tuttavia la Chiesa greco-cattolica in ROMANIA è stata incorporata per forza nella Chiesa
ortodossa.. Lontano dalla sua sede vescovile morì l'arcivescovo di Praga, il
Cardinale Beran , dapprima prigioniero a Dachau e poi VITTIMA
dell'attuale regime. Egli è morto come un santo(Jozef Beran, sopravvissuto al
terrore di tre anni a Dachau, pronunciò nel 1949 queste dure parole:"La
Chiesa in Cecoslovacchia dispone ora di meno libertà che sotto l'occupazione
nazista". Fu posto agli arresti domiciliari, venne esiliato da Praga ed
internato a Radvanov ma non fu mai condannato. Nel 1965, dopo essere stato
privato della libertà per più di 15 anni, poté recarsi a Roma, ma gli fu
impedito di ritornare in patria. Egli morì in esilio nel 1969). Anche il
cardinale Mindszenty, primate d'Ungheria, era prigioniero e fu rimosso
dalla sua sede episcopale. Perché? Era forse un malfattore? Un nemico del suo
popolo e della sua patria? No. Egli era un vescovo e testimoniava per
Cristo(Mindszenty aveva 83 anni quando morì a Vienna il 6 maggio del 1975. Fu
incarcerato sia dai nazisti che dai comunisti. Rifiutò ogni sorta di
compromesso e accettò tutte le croci che gli vennero imposte. Anche quella
dell'obbedienza. La Chiesa d'Ungheria, per la quale Mindszenty ha sacrificato
la sua vita, è ora una Chiesa il cui modo di vivere con il comunismo equivale
ad un modo di morire. Una Chiesa con una gerarchia di cui non tutti i membri
sono degni di fiducia e con un cardinale che, strumento dei comunisti, si
affanna ad elogiare lo Stato socialista. Una Chiesa con una gioventù che nelle
grandi città non può praticamente ricevere alcun insegnamento religioso, con un
clero di età media avanzata, con seminari controllati dagli atei, con cattolici
che vengono discriminati dallo Stato, con gli ordini religiosi dichiarati
illegali e con una Chiesa clandestina che viene spesso ostacolata dagli stessi
vescovi). Il cardinale Slipyj, arcivescovo di Lviv, ha condiviso per
diciotto anni la sorte degli esuli e dei prigionieri. Ora egli vive fuori della
sua diocesi e della sua patria perché vescovo fedele a Cristo(Giuseppe Slipyj
ha ora 87 anni, nel 1940 venne ordinato vescovo in segreto. Dopo la seconda
guerra mondiale la Chiesa uniata ucraina venne liquidata dal governo sovietico
con la complicità della Chiesa russo-ortodossa. Più di tremila parrocchie
ucraine vennero consegnate illegalmente al patriarcato di Mosca. Vescovi,
sacerdoti e fedeli furono massacrati. L'arcivescovo Slipyj fu arrestato nell'aprile
del 1945 e condannato nel 1946 a otto anni di lavori forzati. A causa della sua
inflessibilità venne nuovamente condannato nel 1954. Nel 1959 gli venne offerta
la libertà in cambio di una sua rinuncia alla carica. Slipyj rinunciò. Si sa
che durante i diciotto anni trascorsi nelle carceri e nei campi di
concentramento è stato terribilmente torturato e umiliato. Nel 1963 venne
liberato ed esiliato a Roma). Ecco la vera Chiesa postconciliare!"
I PERSEGUITATI NON VOGLIONO COMPROMESSI: la
deferenza e il rispetto che noi dobbiamo ai perseguitati fanno si che non sta a
noi insegnare loro come devono comportarsi e che, in particolare, la diplomazia
ecclesiastica non può costringerli ad accettare compromessi che ripugnano la
loro coscienza. Molti vivono nell'illusione che una riconciliazione fra Cristo
e Marx sia non solo possibile, ma assolutamente necessaria nell'interesse della
pace. Ma coloro che come agnelli - secondo l'esempio di Cristo - sono stati
condotti al macello, ed ora tornano dalle prigioni spiritualmente vincitori,
temono -come ogni soldato che abbia rischiato la vita- che dei diplomatici,
ignari dell'avversario e che mai hanno visto un campo di battaglia, concludano
una pace che farà perder loro i frutti della vittoria.
PARLA UN MARTIRE:
Questo era quello che temeva anche un eroe che ho incontrato in Romania e che, per il sacrificio di tutta
una vita ha, più di molti altri il diritto di parlare. Era operaio, viveva in
una mansarda ed aveva trascorso quindici anni in prigione. Era vescovo di
quella Chiesa greco-cattolica che taluni considerano un ostacolo per il
movimento ecumenico. Il suo corpo era irreparabilmente rovinato in seguito ad
innumerevoli interrogatori, ma il suo spirito era rimasto indomito. Con
rispetto ha raccolto dalle sue labbra le seguenti parole:"Per anni abbiamo
sopportato torture, percosse, fame, freddo, nudità e insulti perché fedeli al
primato del Papa. Abbiamo baciato le nostre catene e le sbarre della cella come
oggetti sacri. Abbiamo venerato i nostri stracci di ergastolani come una tunica
santa. Abbiamo accettato di portare la nostra croce volontariamente, anche se
decine di volte ci hanno offerto libertà, denaro e vita comoda qualora ci
fossimo staccati da Roma. I nostri vescovi, preti e fedeli sono stati
condannati a pene che assommano ad oltre cinquemila anni di prigione, di cui ne
hanno scontato oltre mille. Sei vescovi sono morti in prigione per l'unità con
Roma. Malgrado questi duri sacrifici la chiesa greco-cattolica conta ora lo
stesso numero di vescovi dal momento in cui Stalin e il patriarca ortodosso
Giustiniano proclamarono trionfalmente la sua morte. Il fatto che tanti anni di
sofferenza non hanno potuto distruggerla, è per noi il segno che Dio attende la
sua ora. Colui che ci ha accordato la grazia della perseveranza ci darà anche
la grazia della risurrezione. La Chiesa non ha dunque alcun motivo di
affrettare le trattative con i dirigenti ortodossi e comunisti, che non hanno
mai dato prova di buona volontà e che non rappresentano né l'ortodossia né il
popolo romeno. La Chiesa è paziente perché è eterna. Il fatto che dalla nostra
profonda miseria noi esortiamo gli altri alla pazienza è segno che siamo pronti
a morire per la nostra fede. Ora Cristo ha detto che il grano di frumento che
muore porterà frutti abbondanti. Non dubitiamo della Sua parola..." NIENTE
FALSO ECUMENISMO: qualche anno fa un amico ha visitato la Chiesa delle
catacombe nell'Unione Sovietica. Egli ci ha riportato fra l'altro notizie delle
diocesi greco-cattoliche che sono state incorporate di forza nella Chiesa
ortodossa. Secondo quanto riferitoci da questo portavoce, i sacerdoti di quelle
diocesi sono spinti alla disperazione a seguito del Sinodo ortodosso di Mosca
del 1971. La trionfale dichiarazione di annullamento della secolare unità fra
Roma e la Chiesa uniata in Ucraina sarebbe stata appresa senza pubblica
protesta dai delegati vaticani. In base a ciò, i sacerdoti ed i fedeli che con
il sangue ed il sacrificio della libertà hanno suggellato la loro fedeltà a
Roma, vengono dipinti dalla propaganda comunista ed ortodossa come degli stolti
che ostinatamente persistono ad aggrapparsi ad una unità alla quale Roma ha
rinunciato. L'argomento principale è che l'inviato pontificio avrebbe avallato
con il suo silenzio la liquidazione forzata della Chiesa ucraina. Il cardinale
Slipyj ha lanciato una raccapricciante accusa, ai Sovietici ed ai loro servi
ortodossi, nel Sinodo romano dei vescovi del 1971: "La nostra Chiesa è
stata distrutta in maniera sanguinosa. Dopo l'arresto di tutta la gerarchia essa
è stata incorporata a viva forza nella Chiesa ortodossa. A tutt'oggi questa
grave ingiustizia non è stata ancora riparata. I cattolici ucraini, che hanno
sepolto montagne di cadaveri e versato rivi di sangue, subiscono anche oggi una
insopportabile persecuzione a causa della loro fedeltà alla religione cattolica
e alla tradizione apostolica. Centinaia di migliaia di fedeli, centinaia di
vescovi e sacerdoti sono stati gettati in carcere e deportati in Siberia e
nelle zone polari. E dopo tutto ciò i cattolici ucraini, che così a lungo hanno
sofferto come martiri e confessori, vengono messi da parte per considerazioni
diplomatiche, quali scomodi testimoni della vecchia ingiustizia.
La Madonna apparendo a Fatima (siamo durante
la prima guerra mondiale) previde che se l'umanità non si fosse convertita, la
Russia avrebbe diffuso nel mondo i suoi errori e una grande tragedia si sarebbe
abbattuta sul mondo. Come non guardare con inquietudine il lavoro demolitore
della dignità dell’uomo che il relativismo ed il materialismo stanno compiendo
nel mondo? Come non guardare con preoccupazione la irresponsabile fiducia di
molti cristiani nei confronti degli eredi e continuatori culturali del
comunismo? Ma Gramsci comprendeva molto bene quanto siano utili alla
distruzione dell’anima cristiana i cristiani di sinistra: "Il
cattolicesimo democratico fa ciò che il comunismo non potrebbe: amalgama,
ordina, vivifica e si suicida...I popolari stanno ai socialisti come Kerensky a
Lenin". (Antonio Gramsci) Per la prima volta al governo dell'Italia è
andata tutta la sinistra e una componente determinante di comunisti: questa
coalizione chiamata l'Ulivo ha vinto
le elezioni politiche del 21 aprile 96.
PREMESSE:
A - Gloria Buffo, della segreteria del PDS, ha
sostenuto che la coalizione progressista intende rilanciare la "cultura
della convivenza", nella prospettiva di favorire la legalizzazione delle
"tante forme di convivenza di coppia", compresa quindi quella
omosessuale.
B - Speriamo che si sbagli l'On. Alfredo
Mantovano quando afferma: "Questo è un governo la cui opposizione frontale
ai principi tradizionali, naturali e cristiani è bene impersonata dall'On.
Livia Turco, femminista e abortista storica, e dal cambio di denominazione del
ministero a lei affidato, dalla cui ragione sociale è scomparso il riferimento
alla famiglia". Sul Manifesto, 9 maggio 1996, un'altra femminista , la
pidiessina Franca Chiaromonte, spiega con evidente riferimento alle coppie
omosessuali: "Dire famiglia significa non riconoscere che i legami sociali
sono cambiati, riguardano gli individui che formano piccole comunità,
svincolate sia dalla logica dello stato che da quella del mercato". Ma
mentre l'anticomunismo si dissolve, il comunismo non scompare, subisce solo una
insidiosa metamorfosi, passando dalla fase della dittatura del proletariato, a
quella più subdola dell'utopia autogestionaria. Ciò accade in Italia grazie
alla politica collaborazionista di cattolici e di moderati. "Non era mai
accaduto, in centocinquant'anni di storia unitaria - scrive lo storico Lucio
Villari su l'Unità del 23 aprile 1996 - che forze e movimenti politici moderati
scegliessero con convinzione assoluta la sinistra come alleata elettorale di
governo". (CR 481/01/B E96)(Corrispondenza Romana, V. G. Sacconi 4b, 00196
Roma - tel. 06/32.23.607 Fax 06/32.20.292 Abbonamento annuo £ 100.000 - CCP n.
60849007 intestato ad Associazione Fiducia)
"La sinistra inaugura la corruzione e
apre la strada al trasformismo, che dissolve i partiti ed inquina la vita
politica".
Questa dichiarazione di Giuseppe Prezzolini,
mette in luce come mentre si era intenti a parlare di compromesso storico, di
fatto esso era già stato realizzato da tempo ipocritamente alle spalle dei
cittadini. Chi doveva fare opposizione ha pensato a lottizzare, ad impadronirsi
delle istituzioni culturali e a occupare gli spazzi vitali della società che al
contempo si voleva rendere vulnerabile al fine di destabilizzarla. Il progetto
destabilizzante era infatti il più credibile progetto per giungere al potere in
una nazione molto cattolica come l’Italia. Abbiamo assistito alla corruzione
partitocrazia e sindacalistica, che ha operato quel saccheggio del patrimonio
storico, culturale, morale, spirituale ed economico del nostro paese, senza del
quale mai le coscienze materialiste-relativiste avrebbero potuto coronare il
loro sogno di potere. Questa situazione di corruzione e di vuoto generalizzato,
se non è subita dalle classi forti della finanza e della nuova aristocrazia
partito-affaristica, di fatto è un fardello pesantissimo sulle spalle degli
onesti e di quei cittadini che non potendo vantare conoscenze altolocate si
trovano di fatto in una struttura sociale sempre più precaria, contorta ed
inefficente. Non solo chi è filosoficamente responsabile del relativismo e
della crisi che produce si scrolla le sue responsabilità, ma addirittura si
vanta di costituire la primizia del pensiero democratico. Gli storici laicisti
volentieri dimenticano che furono proprio gli scrittori cattolici del XVI secolo,
come Francisco de Vitoria, Roberto Bellarmino e Francisco Suarez, ad affermare,
prima degli scrittori liberali, i principi del moderno stato democratico. Ma
promuovere l’omosessualità come un valore alternativo all’unione naturale,
sostenerla con le nostre tasse, permettere che questi miseri malati abbiano
l'affidamento e l'adozione di bambini, sta cuore alle sinistre come
intramontato progetto di distruzione della famiglia, e con tante altre proposte
dal chiaro obiettivo di definitivo sradicamento dei valori cristiani al fine di
annientare finalmente l’identità storica della nostra Europa. Ma questi
profanatori non hanno un fondamento culturale e storico, come lo ha la civiltà
cristiana. Intrinsecamente poi sono portatori di concezioni aberranti di vita,
in cui si vede l’individuo scomparire di fronte alla ideologia e scomparire di
fronte alla logica di stato. Non ci troviamo di fronte ad una alternativa, ma
di fronte ad un regime che impone annientando altre forme di umanesimo.
-Don Luigi Sturzo, tra falsificazioni ed
appropriazioni indebite-
Purtroppo tra gli analisti del doppio Sturzo
figurano anche illustrissimi laici, tra i quali Montanelli, che, a dir il vero,
ha interpretato la duplicità sturziana, anche quando la sinistra Dc faceva i
salti mortali per far credere che don Sturzo non era mai esistito. Proprio
recentemente Montanelli ha ripetuto le sue sciocchezze, che rimangono tali
anche se autorevoli. Ha scritto che: "di Don Sturzo ce ne sono due, in
piena dissonanza tra loro", che "a rivendicarne l'eredità hanno
titoli entrambi i contendenti (Cdu e Ppi)", perché «dall'America tornò uno
Sturzo che sembrava, ed era il rovescio ideologico di quello che vi si era
rifugiato» e cioè un cattolico che sosteneva con vigore le tesi liberali della
iniziativa privata, del mercato, della libera concorrenza. Di fronte a così
saccente dogmatismo ci riteniamo autorizzati a pensare che Montanelli o è in
malafede o paurosamente disinformato (Si tenta da parte dei cattolici di
sinistra (Ppi) di appropriarsi del pensiero di don Sturzo nel tentativo di
trovare un fondamento storico alla loro militanza a fianco degli ex-comunisti).
In un articolo, infatti, del 1956 Don Sturzo, commentando i dissensi e consensi
ad un suo precedente scritto, sfidava così i suoi critici: "Don Sturzo è
stato sempre fedele a se stesso... Ho forse rinunciato alle mie idee del
cinquantennio 1895-1945? Si faccia avanti chi me lo provi, carte alla mano; ma
costui avrebbe il dovere di leggere o rileggere i miei discorsi politici, i
miei scritti del tempo". E ci fermiamo qui nella citazione, che potrebbe
essere ben più lunga, se qualcuno non fosse ancora persuaso. Ma le poche
espressioni riferite, forti ed inequivocabili, se per un verso rivelano il
carattere ben poco addomesticabile del prete di Caltagirone, dall'altro gettano
nel ridicolo i manipolatori e falsificatori della storia. L'autenticità del
pensiero del grande statista è contenuta nei suoi scritti e non nelle
interpretazioni cervellotiche di chi è interessato a strumentalizzazioni che
sono impossibili (Di Alcide Cotturone AREA, sett. 1996, p. 82).
LE AUTORITà ERANO A CONOSCENZA DELLE
FORMAZIONI PARAMILITARI CLANDESTINE, DEI DEPOSITI D’ARMI, DEI CAMPI
D’ADDESTRAMENTO E DELLE SCUOLEDI SABOTAGGIO ALL’ESTERO, DEI LEGAMI COI SERVIZI
SEGRETI SOVIETICI E DEI TRAFFICI CON L’EST. SAPEVANO E TACEVANO... Pubblichiamo
in anteprima alcuni brani de La Gladio Rossa, il libro di imminente uscita
scritto da Gian Paolo Pellizzaro e pubblicato dalle edizioni settimo sigillo.
Il volume basato su documenti inediti dell’inchiesta condotta dai magistrati
della Procura di Roma sul cosiddetto “apparato di vigilanza” del Pci,
ricostruisce le fasi iniziali della nascita e della evoluzione della Quinta
Colonna armata comunista. Nel libro sarà riprodotto anche un dossier del Sifar
(allora servizio segreto militare), risalente al febbraio del 1959, dedicato
integralmente alla rete di resistenza clandestina facente capo a Botteghe
Oscure. Nel documento sono riportati i nomi dei quadri dirigenti e gli
obiettivi da colpire, la dislocazione delle forze in campo regione per regione,
le strutture d’appoggio. Secondo il Sifar , nel dopoguerra il Sifar poteva
contare su un esercito occulto di 250 mila unità, che sarebbero quadruplicate
in caso di invasione da Est da parte delle forze del Patto di Varsavia.(Gian
Paolo Pellizzaro, AREA gennaio 1997)
Siamo due neodiplomati di un liceo romano che
vorrebbero sottolineare una realtà incresciosa da voi del resto già ampiamente
denunciata. Noi giovani cresciamo con concetti storico-politici
"prefabbricati": la scuola media superiore non dona cultura, bensì
ideologie pseudo-sinistroidi. La conferma di tale teoria, oltre alla faziosità
di certi insegnanti, è da riscontrarsi nei libri di testo. Prima fra tutte
l'opera omnia del sig. Desideri e della sua collaboratrice Iaccio intitolata
Secondo Millennio (Ed. G. D'Anna); questo "capolavoro" di oltre mille
Pagine ha colto pienamente l'essenza della parola "strumentalizzazione".
Sfogliandolo non si può fare a meno di ridere; a proposito di Stalin il testo
dice letteralmente: «Se si prescinde dall'altissimo costo umano, non si possono
disconoscere i successi del primo piano quinquennale». Il problema delle Foibe
in questo "libro di storia" poi è assolutamente ignorato a riprova
della faziosità dei suoi autori (ci sarebbero ancora centinaia di esempi da
rimarcare). Siamo estremamente soddisfatti di aver trovato una rivista nella
quale sfoga re tanta amarezza. Luca
Ioveno e Carla Cace - Roma (AREA sett. 1997)
Ricordiamo il vecchio sacerdote ed asceta Giuseppe Dossetti, che insieme a La
Pira e a Fanfani fu padre del centro-sinistra. Domenica scorsa 15 dicembre è scomparso,
all'età di 83 anni, don Giuseppe Dossetti, figura chiave del mondo progressista
italiano. Tra i primi a commemorare la figura dello scomparso è stato il
cardinale Carlo Maria Martini, Arcivescovo di Milano, che ha affermato che don
Dossetti è stato per lui "un grande
amico ed un ispiratore" e "una
figura profetica”. Anche il segretario del Pds Massimo D'Alema si è unito
al coro, inviando una lettera in cui, tra l'altro, si legge: "Dossetti è stato uno dei protagonisti più
prestigiosi della nostra democrazia" (cfr. Corriere della Sera, 16 dicembre 1996). Il presidente del
Consiglio, on. Romano Prodi si è subito recato a Monteveglio, sull'appennino
bolognese, a rendere omaggio a colui che per lui è stato una guida spirituale (cfr. Corriere
della Sera, cìt.).(CR 507/041NA96)
CR 507105 PROGRESSISMO:
il Dossetti ecclesiastico
Docente di diritto presso l'Università
Cattolica di Milano e l'Università di Modena, Dossetti fu cofondatore della Democrazia
Cristiana e leader di quell'ala della sinistra del partito che comprendeva La
Pira, Fanfani e Moro. In tale veste fu tra i principali redattori dell'attuale
Costituzione della Repubblica Italiana. Fu poi ordinato sacerdote ed
accompagnò, così, come perito, i Cardinali Suenens e Lercaro durante il
Concilio Vaticano II. Per la prima parte del Concilio fu segretario dei quattro
Cardinali Moderatores, ed il suo ruolo e la sua conoscenza dei meccanismi delle
assemblee, acquisita durante la Costituente, si rivelò fondamentale per la
vittoria dello schieramento progressista, numericamente minoritario. Nel Diade
del Vaticano II del teologo domenicano francese p. Marie Dominique Chenu, alla
data del 10 novembre 1962, si legge: "Dossetti,...afferma che la battaglia
efficace si gioca sulla procedura; "E' sempre per questa via che ho
vinto" (cfr. Corriere della Sera, 21 novembre 1996). "Come
"perito" a fianco di Lercaro - scrive Alceste Santini, vaticanista
dell'Unità e protagonista, per conto del Pci, della grande operazione
strategica del "disgelo" con il mondo cattolico (cfr. CR 504/03, 30
novembre 1996) - poté vivere quella stagione esaltante del Concilio (1962-65)
che ha dato, come lui auspicava, un nuovo volto alla Chiesa cattolica
nell'aprirsi alle altre religioni e alle diverse culture" (cfr. l'Unità,
16 dicembre 1996)(21 dicembre 1996, n. 507Corr.romana). Dopo il Concilio, operò
con il cardinale Lercaro per una profonda trasformazione della diocesi di
Bologna in senso progressista. Nel 1968, con la rimozione del cardinal Lercaro
dalla diocesi, anche Dossetti lasciò il suo incarico. Al ritorno da una serie
di viaggi in oriente, si impegnò nell'elaborazione di un progetto di una Lex Ecclesiae fundamentalis, che però
venne respinta dalla Conferenza episcopale italiana. (cfr. l’Unità cit.). E'
noto, anche tramite la testimonianza di un profondo conoscitore del pensiero
dossettiano, don Gianni Baget Bozzo, che il defunto sacerdote criticò duramente
la Chiesa fondata sul Papato, e che il suo pensiero, dominato da un
"complesso antiromano”, si volse con simpatia all'induismo.
Successivamente fondò e diresse una congregazione religiosa, ma conservò la sua
influenza sulla politica italiana grazie ai suoi "figli spirituali",
fra i quali si annovera l'attuale Presidente del Consiglio On. Romano Prodi ed
il suo entourage. (CR 507/05/NA96)
CR 507/06 PROGRESSISMO:
il Dossetti politico. La fase pubblica dell'impegno politico di Dossetti, dalla
fine degli anni '40 all'inizio degli anni '50, si caratterizzò per un costante attrito
con Pio XII. Il Santo Padre fu infatti sempre avverso al socialcomunismo,
mentre l'allora onorevole Dossetti veniva definito "un pesce rosso che
nuota nell'acqua santa". Osserva Paolo Pombeni nel suo libro, il gruppo dossettiano e la fondazione della
democrazia italiana, Bologna, 1979: l'esperienza dossettiana non è
comprensibile se si vuole prescindere dalla costante dell'ambiente in cui si
muove: essa voleva nuotare nell'acqua santa, cioè mantenersi circolante
all'interno del mondo cattolico, essere destinata ad esso (...) Però nella
proposta di cultura politica che esce da Dossetti... vi sono, a mio giudizio,
molti elementi portanti di quello che in Europa è stato il patrimonio storico
dei gruppi socialisti: la centralità della classe operaia nella costruzione
della nuova società; l'attenzione al sindacato; l'accettazione di un modello di
stato interventista; la proposta della pianificazione economica; l'idea del
partito come strumento di educazione culturale delle masse; la condanna come
inadeguata della democrazia liberale; la preferenza per un assetto
internazionale che garantisse il pacifismo; una più positiva valutazione
dell'esperienza bolscevica rispetto alla democrazia capitalista (cfr. op. cit.
pp. 13-14). Chiunque può rendersi conto della simpatia di Dossetti e del suo
gruppo verso la "esperienza bolscevica" sfogliando le pagine di Cronache Sociali, la rivista da lui
diretta tra il 1947 ed il 1951 e che fu l'organo ufficiale della sua
corrente(21 dicembre 1996, n.507 Corr.
romana). Pur se costretta a condannare i
crimini stalinisti, la redazione di Cronache Sociali non esitava a pubblicare articoli in cui si affermava che
"Marx e Lenin hanno molto da insegnarmi" (cfr. Comunisti e cristiani,
in CS, n.10, 31 maggio 1948) e si proclamava che la Chiesa deve attingere a
"quel 'qualcosa' di vitale e lievitante che il marxismo possiede" (
cfr. il Comunismo, in CS, n. 4, 15 luglio 1947) I dossettiani si spinsero a
lodare la dittatura di Mao Tse Tung; "L'oppressione ed il totalitarismo
comunista, a parte i suoi legami ideologici con l'URSS, si presentavano invece
ai più onesti osservatori come un mezzo per attuare una trasformazione sociale
ed economica” scriveva l'articolista commentando la presa di potere di Mao,
aggiungendo che "gli Stati Uniti avrebbero dovuto assistere i comunisti
asiatici in quanto rappresentano le forze sociali emergenti (circa La guerra in
Corea e la politica dell'occidente, in CS, n 7,15 luglio 1950). La critica di
Dossetti nei confronti dello stalinismo presenta aspetti anche inquietanti:
egli condanna Stalin in quanto, secondo lui, il dittatore comunista limitava i
cattolici reazionari! Per i dossettiani lo stalinismo era 'Una vera e propria
perversione del marxismo e del leninismo" (cfr. C'è una crisi dottrinaria
dell'URSS?, In CS, n.1 3/14,1-15 novembre 1950), in quanto la concezione in
termini teocratici della funzione di guida politica(...) ha un valore
sostanzialmente reazionario (cfr. L'eresia comunista, in CS, n.2/3, 1-28
febbraio 1951). Per l'autore dell'articolo, la colpa di Stalin era quella di
guidare "un partito comunista teocratico e dogmatico" (ibidem);
insomma, per Cronache Sociali il
Comunismo si presenta e si impone con un carattere nettamente clericale"
(cfr. C'è una crisi nel partito comunista francese?, in CS, n.7, 15 luglio
1950). L'uso di questi termini evidenzia che il vero nemico di don Dossetti fu,
allora e sempre, per tutta la sua vita, il cosiddetto "integrismo"
cattolico, ossia, secondo la definizione riportata nel primo Quaderno di Cronache Sociali pubblicato nel 1948,
quella concezione secondo la quale occorre "combattere il mondo, lanciando
una crociata contro gli avversari del Cristo, rispondere ai loro attacchi e
magari passare all'offensiva. (E. Suhard, Agonia della Chiesa?, "Quaderni
di Cronache Sociali", Roma, 1948, p.48). (CR 507/06/NAOB)
A quarant'anni dalla rivolta di Budapest, un
ricordo di quei terribili giorni. Budapest 1956: il ricordo delle passate
generazioni è appannato e non solo dal tempo, e i giovani di oggi, che non
possono avere ricordi, pare non abbiano nemmeno diritto alla conoscenza. Accade
quando avvenimenti come quelli di quarant'anni fa, drammaticamente vissuti da
un intero popolo, lungo le rive del Danubio, vengono scientificamente annegati
nel pozzo profondo dell'oblio dalla storiografia ufficiale. Cosa fu veramente
la rivolta di Budapest, perché ci fu quella insurrezione popolare, chi fu Imre
Nagy, l'uomo che volle ridare libertà al suo popolo e vi trovò il patibolo?
Sono tutte domande che, insieme con molte altre, sono rimaste, nel tempo,
sepolte sotto la valanga degli inviti a dimenticare. Accadde già nel corso del
riprodursi di quei fatti, mentre la violenza del potere autocratico dilagava
senza freni e il sangue scorreva nelle strade della capitale ungherese.
«Dimenticare Budapest!» fu l'invito che giunse dall'una e dall'altra parte del
mondo e che il mondo accolse sacrificando il moto della propria coscienza
sull'altare dell'ideologia posta al servizio non dell'uomo ma del potere e su quello
dell'interesse politico-capitalistico che, al grido di «lasciateci lavorare»,
non gradiva sussulti, emozioni o reazioni, non sopportava tentativi di
squilibrio nei rapporti di forza che si erano creati a livello internazionale.
Così, quando alle 5,20 di mattina del 4 novembre 1956 dopo dodici giorni di
violenze e di sangue, il primo ministro ungherese Imre Nagy, l'uomo che per
anni aveva tentato di pone il partito comunista magiaro al servizio del popolo,
per questo era stato più volte accusato di 'deviazionismo', lanciò dalla radio
di Budapest un drammatico appello al mondo, nessuno rispose. «Vi parla il Primo
ministro Imre Nagy» disse quella mattina il premier ungherese ai microfoni
della radio. «Nelle prime ore di questa mattina le truppe sovietiche hanno
aggredito la nostra capitale, con l'evidente intenzione di rovesciare il
governo legale e democratico dell'Ungheria. Le nostre truppe sono impegnate nel
combattimento. Il governo è al suo posto. Comunico questo fatto al popolo del
nostro Paese e al mondo intero». Ma il mondo fece finta di non aver sentito. A
questo appello fece seguito, dopo un paio d'ore e sempre via radio, una
altrettanto drammatica invocazione degli intellettuali magiari: «Qui parla
l'associazione degli scrittori... Vi chiediamo di aiutarci e di sostenerci. Il
tempo stringe. Voi conoscete i fatti. Aiutate l'Ungheria... Aiutateci.
Aiutateci!». Furono le ultime parole ascoltate da Budapest perché, subito dopo,
la radio tacque. E tacque per vari giorni mentre nella capitale ungherese si
consumavano tragedie personali e collettive e infamie senza fine e senza
ritegno. Tacquero anche le consorterie intellettualistiche dell'occidente,
specializzate, soprattutto in Italia, ...di quei manifesti che andavano sempre
più proponendosi come vuote e retoriche esercitazioni verbali, valide soltanto
ai fini propagandistici. Fecero eccezione alcuni intellettuali francesi e,
soprattutto, Jean-Paul Sartre, che innescò una dura polemica con gli apparati
del comunismo occidentale e dette origine in Francia (in Italia, gli
intellettuali che gravitavano nel partito e intorno al partito si limitarono a
firmare un ridicolo manifesto) ... per il resto tacquero tutti, mentre le orde
barbariche del XX secolo s'avventavano su una città con tutte le ferite aperte e
un popolo ormai stremato e inerme. Finirono così i tredici giorni di
esaltazione e di dolore, di eroismi e di ignominie, della insurrezione del
popolo magiaro... Cominciarono così quelle due settimane di passione, di
sangue, di eroismi in cui si distinse il colonnello Pal Maleter, il difensore
della caserma Kilian e di infamie, nelle quali si introdusse il segretario del
partito comunista magiaro Jànos Kadar. E quando, messa a ferro e fuoco dai
mezzi corazzati dell'esercito sovierico una città così ricca di storia,
sconvolte le sue strade, deturpati i suoi palazzi, si arrivò al redde rationem, ordinato da Mosca ed
eseguito dagli scherani di Kadar, nei confronti di coloro che avevano voluto
ridare libertà al popolo, i cortili delle carceri di Budapest si popolarono di
forche. Tutto ciò, è bene rammentarlo ancora una volta, nel disinteresse
generale di un mondo a cui importava più la sopravvivenza dei sistemi che
quella degli individui, più gli equilibri politici internazionali che
l'esistenza preziosa di uomini leali e coraggiosi. Uomini di grande onestà e
spiritualità come Imre Nagy, che non volle mai - come diceva Garcia Lorca -
«abbandonare l'anima nel bicchiere della morte». (di Aldo Santamaria AREA,
novembre 1996 p. 69)
1 nov. 1956 - La direzione del PSI approva un
documento sulla rivolta d’Ungheria “incompatibile con il diritto dei popoli
all’indipendenza”.
1 gen. 1957 - Un gruppo di intellettuali
comunisti, fra i quali Natalino Sapegno, Domenico Purificato, Vezio Crisafulli,
rassegna le dimissioni dal PCI, a causa del profondo dissenso nei confronti
dell’atteggiamento del partito sulla rivolta d’Ungheria.
16 giugno 1958 - Alla Camera, Pietro Ingrao
giustifica l’esecuzione del lider della riforma ungherese, Imre Nagy,
inserendola nella contrapposizione Est-Ovest.(Storia d’Italia, Istituto
Geografico De Agostini - Novara, 1991)
CR
513103 "LOTTA CONTINUA": breve storia del
movimento terrorista comunista. Lotta Continua, movimento extra-parlamentare
comunista fondato da Adriano Sofri nel 1969, disciolto nel 1976, è stato tra i
più attivi nei cosiddetti "anni di piombo" (che vanno dal 1969 a
1956) durante i quali il terrorismo in Italia ha causato 419 morti e parecchie
migliaia di feriti in 14.589 attentati (cfr. Corriere della Sera, 20 gennaio
1988). Il fondatore delle Brigate Rosse, Renato Curcio, ricorda nel suo libro
intervista “A viso aperto”, che i
rapporti del suo movimento con Lotta
Continua erano così stretti che entrambe le associazioni eversive avevano
"militanti che si muovevano nella illegalità armata “passando dall'una
all'altra organizzazione o appartenendo ad entrambe contemporaneamente” (cfr.
CR 359/5, 30 giugno 1993). Curcio precisa
che Adriano Sofri e Giorgio Pietrostefani, capi di L.C., proposero alle B.R. di
fondere i due movimenti e di "diventare il loro braccio armato” (cfr CR,
cit.). "L'omicidio Calabresi è l'inizio del terrorismo di sinistra in
Italia. Così, Franco Piperno, ex leader di Potere Operaio, fissa le
responsabilità dell'organizzazione eversiva nella nascita del terrorismo in
Italia (cfr. L'Espresso, 5 settembre 1996). Il gruppo
di Lotta Continua si forma nell'autunno del 1969, per iniziativa del gruppo di
Potere Operaio di Pisa (di cui facevano parte Adriano Sofri, Giorgio
Pietrostefani, Carla Melazzini, Franco Bolis, Cesare Moreno) e di Pavia (Sergio
Saviori) e del Movimento Studentesco di Torino (Guido Viale, Luigi Sobbio), di
Milano (Luigi Manconi, Luciano Pero, Franca Fossati) e dì Trento (Mauro
Rostagno, Marco Boato). Organizzata gerarchicamente come un classico partito di
sinistra, con una segreteria, un esecutivo nazionale e un comitato centrale,
Lotta Continua aveva più di 200 sedi in tutta Italia. Svolgeva la sua attività,
oltre che nelle scuole e nelle fabbriche, anche nelle caserme, con specifici
comitati di lotta chiamati Proletari in divisa, nelle carceri, con: i
dannati della terra e nei quartieri delle metropoli, con: Prendiamoci la
città. A fianco dell'organizzazione ufficiale, operava una struttura
clandestina che organizzava le rapine per i finanziamenti e l'acquisizione
delle armi, gestiva i poligoni per le esercitazioni e i depositi clandestini di
armi. Il 10 novembre 1969 esce, con frequenza settimanale, l'organo ufficiale
omonimo Lotta continua, che più avanti, l'11 aprile 1972, diventerà
quotidiano. Sarà diretto, a rotazione, dai più noti intellettuali di sinistra tra
cui Piergiorgio Bellocchio, Pier Paolo Pasolini, Marco Pannella e Gianpiero
Mughini.(1 febbraio 1997, n. 513 Corrispondenza romana) Al quotidiano, Sofri
affiancherà il quindicinale, destinato al Sud, Mo che il tempo si avvicina.
Nel 1972, l'anno dell'omicidio Calabresi, nel documento preparatorio al
convegno nazionale, i dirigenti rendevano pubblica la strategia del movimento: "E' necessario preparare il
movimento a uno scontro generalizzato, che ha come avversario lo Stato e come
strumento l'esercizio della violenza rivoluzionaria, di massa e d'avanguardia" (cfr. L'Espresso, 5 settembre 1996). E
uno degli strumenti fu il cosiddetto "servizio d'ordine", utilizzato
per creare i sanguinosi scontri di piazza che sconvolsero l'Italia.
Responsabile nazionale del servizio d'ordine fu Luigi Manconi (cfr. l'Espresso,
4 agosto 1995), eletto senatore a Macerata nelle liste dell' Ulivo alle ultime
elezioni e, dal novembre 1996, anche Segretario dei Verdi. Manconi conquistò
prestigio e fama nell'ambito dell'organizzazione extra-parlamentare di sinistra
guidando operazioni di guerriglia urbana: suo capolavoro fu la manifestazione a
Milano dell'11 marzo 1972. Da un lato le spranghe di Lotta continua,
Avanguardia operaia e del Movimento studentesco, dall'altra i manganelli dei
poliziotti Agli ordini di Luigi c'erano duemila energumeni divisi in gruppi di
cento, come coorti romane. (...) Fu un trionfo, il suo giorno di gloria. Da
quel momento il suo nome circolò tra i militanti di Lc, circondato quasi dalla
stessa aureola di Adriano Sofri, il leader. (cfr. Il Giornale, 16 dicembre
1996). Responsabile romano, invece, era lo scrittore Erri De Luca che di quel
periodo ricorda: "avevo ventisette anni allora e (...) provenivo dagli
allenamenti su strada, dai lanci di pietre e battaglie (cfr. La Stampa, 27 luglio 1996). (Fa. Ber.) (CR 51 3103IB897) / CR
513/04 "LOTTA CONTINUA": il "circo mediatico" difende
Sofri. La sanzione definitiva della
Cassazione sulla vicenda Calabresi ha suscitato le ire dei vari personaggi
della sinistra extra-parlamentare di allora, che hanno definito la sentenza
“atto finale di una lunghissima ingiustizia (Luigi Manconi) e la più grave
vicenda giudiziaria della storia repubblicana” (Marco Boato). Il giornalista
televisivo Fabio Fazio è giunto a salutare Sofri nel corso di una trasmissione
in diretta su Raidue, concordata con il responsabile della rete, Carlo
Freccero. "Ci spiace solo - ha detto Fazio - che a scherzare con noi su
questi anni (...) non ci sono certe persone che avrebbero potuto divertirsi con
noi. Un nome per tutti: Adriano Sofri. Il Sottosegretario alla Giustizia, l'on.
Franco Corleone (Verdi), non ha esitato a parlare di "una giustizia
farisaica e catastrofica".
Molti di questi personaggi hanno fatto una
rapida e brillante carriera, andando ad occupare posti importanti nel mondo
politico e, soprattutto, in quello dei media.
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Già un mese prima della condanna definitiva,
era sceso in campo per difendere Sofri lo stesso ministro dell'interno, il comunista
Giorgio Napolitano(cfr. l'Unità, 11 dicembre 1996).(11 Febbraio 1997, n. 513
Corrispondenza romana). Dal canto suo, Marco Pannella, un anno fa offrì la
presidenza onoraria del movimento a Sofri per "la sua straordinaria opera
a favore dei diritti umani e di una politica non violenta" (cfr. La
Stampa, 13 novembre 1995). L'influenza di questa lobby è stata giustamente
denunciata dal prof. Giorgio Rumi sul quotidiano della Santa Sede.
"Sull'operato dei giudici che ha concluso un decennio di operazioni
processuali - scrive Rumi - giganteggia un gruppo d'opinione, un vero circo
mediatico che dalle colonne dei giornali ai più frequentati canali televisivi
detta le sue sentenze.(cfr. L'Osservatore Romano, 27-28 gennaio 1997). L'opera
di questo “circo mediatico” non è stata senza effetti. Per Sofri e compagni si
profila già la grazia. L'ha fatto intendere il ministro della Giustizia
Giovanni Maria Flick, il quale, forse già dimentico di quando piombò di notte
nel Tribunale Militare di Roma per impedire il rilascio di Erich Priebke, ha
affermato: "La lentezza del processo civile e penale è sotto gli occhi di
tutti. Sono convinto che la pena per essere efficace deve essere collegata con
il fatto che sia per il rispetto dell'opinione pubblica, sia per il rispetto di
chi subisce queste pene" (cfr. Il Tempo, 25 gennaio 1997).
CR 517/03 TERRORISMO: dalle Brigate Rosse al
traffico internazionale di droga. Dopo una lunga latitanza, lo scorso 8
febbraio è stato arrestato dai Carabinieri del Comando di Roma l'ex brigatista
rosso Antonio Damiano. Ricercato dal 1979 per costituzione di banda armata ed
associazione sovversiva, Damiano deve scontare anche una pena di tre anni e sei
mesi per violazione della legge sugli stupefacenti. Esponente di Guerriglia
Comunista, (organizzazione terroristica nata nel quartiere romano di
Cinecittà), Damiano fu responsabile di numerosi ferimenti e di decine di rapine
finalizzate a finanziare le Brigate Rosse. Gli investigatori sono arrivati a
lui in seguito ad un indagine su un traffico internazionale di cocaina che
dalla Colombia giungeva in Olanda per poi finire in Italia, traffico gestito
dal terrorista e da molti altri dei suoi ex compagni latitanti dell'estrema
sinistra che a Roma avevano agito tra il '76 e il '78 (cfr. La Stampa, 9
febbraio 1997). (CR 517/03IB0 97) Fin
dalla copertina si precisa che l'UAAR condivide
la sede con quella di Legambiente di
Padova. La Legambiente è l'organizzazione
ecologista vicina al PDS, partito che nel suo ultimo congresso nazionale ha
approvato tre ordini del giorno radicalmente anticristiani (cfr CR517101,1
marzo 1997). Già sulla copertina dell'Ateo
campeggia un disegno che deride l'Ultima Cena di Nostro Signore. Né
stupisce di leggere, sfogliando il periodico, di una serie di affermazioni
piene di odio alla Fede ed alla Chiesa Cattolica. Eccone un florilegio: "Il nostro scopo è quello di una lotta
di liberazione dell’uomo dai vincoli e dalle coercizioni delle religioni per
arrivare all'autodeterminazione dell'umanità" (p.3). "Fin dall'inizio della sua attività
l'UAAR si è impegnata in una campagna che potremo definire di 'decontaminazione
degli edifici pubblici' intesa a far rimuovere dalle scuole, ospedali tribunali
luoghi pubblici in genere il simbolo della religione cattolica, cioè il crocifisso"
(p.4). (...) Propone per ogni Comune
d’Italia l'organizzazione di una conferenza anticlericale" (p.6). (...) "Appello alle Nazioni Unite (...)
Noi sottoscritti crediamo che sia del tutto inappropriato, per la Chiesa
Cattolica Romana, partecipare come membro votante alle conferenze delle Nazioni
Unite" (p.8). (...) “La Chiesa
Cattolica, mai sazia di privilegi, è riuscita a mettere a punto e a far
approvare un meccanismo perverso” (p.12). "E' sotto gli occhi di
tutti un cristianesimo aziendale, di possesso e di rapina" (p.13). Ma
qual'è la differenza fra una religione (per esempio quella capeggiata dal Papa)
e una setta come quella guidata da David Koresh, la quale trovò la sua tragica
fine? La risposta sembra essere che se è di vecchia data e ha un gran numero di
seguaci è una religione e rispettabile, mentre se è nuova e seguita solo da
pochi è una setta e perciò non rispettabile. Per coloro di noi che non sono
accecati dalla fede, è chiaro che qualsiasi differenza è solo di grado, non di
sostanza." (p.14). "Tutti sappiamo quale forsennata opposizione
esercita specialmente la chiesa cattolica, in difesa retorica della sacralità
della vita, frenando come sempre la crescita responsabile dell'uomo"
(p.15). (CR 51 9/061CC97)
CR 517/01 PDS: Il congresso rilancia il
socialismo relativista. Domenica 23 febbraio si è concluso il congresso del
Pds. La massima assise dei neo-comunisti è stata piuttosto scialba. Nonostante
questo appiattimento, il Pds non ha rinunciato alla sua natura ideologica che
vuole trasformare le società in senso socialista e relativista. La scelta del
Pds, che ha suscitato le proteste dei cattolici e messo in luce le
contraddizioni tra le composite forze di governo, è stata difesa dal filosofo
Salvatore Veca, l'intellettuale che, nell'operazione di maquillage del vecchio Pci, propose, con Michele Salvati, la
denominazione di Partito democratico della sinistra. "I primi due - ha detto Veca nel corso di un'intervista al
Corriere della Sera -, il documento sull’omosessualità e quello sull'embrione,
hanno tra loro un che di familiare. In questo senso: puntano ad estendere ad
altre aree, oltre all'area dello svantaggio standard, lo svantaggio economico,
sociale, il principio della tutela uguale. In sostanza puntano a tutelare gli
spazi di scelta Individuale" (cfr. Corriere della Sera, 25 febbraio 1997).
Passando al terzo ordine del giorno, quello sulla legalizzazione delle droghe,
Veca ha affermato: "Quest'ordine del giorno mi sembra indipendente dagli
altri. I primi due hanno a che fare con i principi il terzo con la valutazione
sulle conseguenze. Sappiamo che le politiche di penalizzazione delle droghe leggere
non hanno dato buoni risultati..." (cfr. Corriere della Sera, cit.). Tra
le critiche del mondo cattolico, quelle dell'Osservatore Romano, secondo il
quale "sembra permanere nel Pds una forte ideologizzazione di fondo”. Per
l'arcivescovo di Napoli, cardinale Michele Giordano, gli ordini del giorno
approvati dal Pds sono frutto di un “oltranzismo ideologico” che segna una
distanza incolmabile, di cui i cattolici prendono atto, preparandosi "alla
mobilitazione in tutti i modi possibili”. Il cardinale Ersilio Tonini, dal
canto suo, ha affermato: "Sono sorpreso. Non mi aspettavo dal congresso
del Pds queste prese di posizione di intonazione radicale in materia di
bioetica, di omosessualità e di droghe leggere (...) Si direbbe che l'anima
radicale del partito sia rimasta intatta" (cfr. Corriere della Sera,
cit.). Il vescovo di Como, Mons. Alessandro Maggiolini si rivolge ai popolari
quando dice: "Pongo una domanda: possono i cattolici continuare a
collaborare con questo Pds?" (cfr. Corriere della Sera, 26 febbraio 1997).
I pronunciamenti comunisti hanno fatto esplodere le contraddizioni all'interno
dell'Ulivo. L'on. Gerardo Bianco, presidente del Ppi, ha detto: "A D'Alema
do 8 e mezzo per il suo discorso politico complessivo. 4 in visione
antropologica (...) SI, perché se sul piano politico hanno fatto dei passi da
gigante, su quello della realtà sociale stanno sposando le tesi di un
pericoloso relativismo etico (...) Così si imbocca la strada del permissivismo,
dell’individualismo sfrenato tipico dei radicali.(1 marzo 1997, n.517 Corrispondenza romana)
CR 504/03
SANTA SEDE: i retroscena del disgelo con i comunisti svelati dal
vaticanista dell’Unità. In un’intervista al settimanale Epoca (22 nov.1996), il
vaticanista dell’Unità, Alceste Santini, svela i retroscena del disgelo tra il
Partito comunista e la Santa Sede. “Dopo il Concilio Vaticano II - racconta
Santini - fondai, con un gruppo di studiosi, la rivista “religioni oggi/dialogo”
con l'obiettivo di favorire gli incontri tra i marxisti e i cristiani. Il clima
era molto pesante: il mondo diviso in due blocchi i comunisti colpiti dalla
scomunica di Pacelli del 1949, i collegamenti con il Vaticano inesistenti. Di
fatto con la rivista si aprì un canale, organizzammo convegni in tutti i Paesi
dell'Est. Si apriva, finalmente, uno spiraglio tra l'universo comunista e la
Santa Sede. Nella strategia del dialogo appena iniziato, Palmiro Togliatti,
allora segretario dei Pci, il 20 marzo 1963 fece un importante comizio a
Bergamo, città dove allora la DC raccoglieva il 60 per cento dei voti, nel
corso del quale affermò che "anche dalla scelta religiosa può nascere
l'impegno a realizzare una società più giusta e perfino socialista. "Appena
20 giorni dopo - ricorda Santini - Il 1 aprile 1963, arriva l'enciclica
"Pacem in terris", con la quale Giovanni XXIII offre un metodo per il
dialogo con i marxisti la distinzione tra sistemi filosofici, rigidi, e i
movimenti storici destinati a mutare. (...) Grazie alla forza dei contenuti
della "Pacem in terris” Giovanni XXIII ha potuto passare alla storia come
il Papa che apri le finestre della Chiesa sul mondo, e in particolare sui Paesi
dell'Est. Iniziò, cosi, in Italia, la stagione del centro-sinistra. "La
posizione del Papa mi fu anticipata da monsignor Loris Francesco Capovilla, il
suo segretario particolare. Mi disse: 'La svolta nei rapporti a livello
mondiale non può non avere riflessi anche nella politica italiana. Andiamo
verso una nuova stagione. Nel 1963, la conferenza episcopale italiana pubblicò
un'esortazione tesa a favorire le aperture sociali e le alleanze politiche con
i socialisti. "Ho potuto esercitare per circa vent'anni - prosegue il
giornalista comunista - il doppio ruolo di ambasciatore del Pci in Vaticano e
di vaticanista dell'Unità, il primo accreditato presso la Santa Sede, grazie a
due elementi la credibilità conquistata con i miei scritti e la discrezione.
Tutte le missioni che ho svolto dovevano restare segrete, guai a trasformarle
in scoop giornalistici. Le confidenze che ricevevo si dividevano in due gruppi,
quelle da dimenticare e quelle da divulgare. Con l'arrivo di Berlinguer al
vertice del Pci, Santini diventa una sorta di consulente fisso della segreteria
comunista sulle questioni vaticane e il suo ruolo, come racconta lo stesso, si
rivelò molto utile per il Pci nella questione del divorzio. "Lo scontro
sul divorzio rischiava di cancellare il lavoro di anni, era in discussione lo
stesso dialogo tra cattolici e marxisti Berlinguer da una parte teneva duro,
affermando che “Si! il dialogo ha un prezzo, ma anche un limite”; dall'altro
usava Santini per mantenere un sia pur minimale contatto con il Vaticano. Ci fu
quindi un incontro con il cardinale Antonio Poma, allora presidente della CEI,
nel quale Santini portò una proposta dì mediazione del Pci, che fu giudicata
"interessante” dal porporato, ma l'opposizione di Fanfani, allora
segretario della Dc, fece fallire la trattativa. Il dialogo, quindi, non era
interrotto. "Paolo VI guardava con grande attenzione alla politica di Aldo
Moro e, in particolare, alla sua "terza fase'; quella dell'incontro fra la
Dc e il Pci", dice ancora Santini, che aggiunge: "Giovanni XXIII ha
realizzato il disgelo, ma è stato Paolo VI, con la sua politica, con una
singolare miscela di flessibilità e rigore, a sancire l’irreversibile apertura
verso i Paesi dell'Est". Santini poi parla di Giovanni Paolo II e della
"storica udienza” concessa il 17 novembre 1994 a Walter Veltroni, allora
direttore dell'Unità, che "maturò in seguito alla decisione di Veltroni di
pubblicare, su mia proposta, i Vangeli e allegarli al giornale".(30
novembre 1996, n.504 Corrispondenza
romana) Il Papa aveva appena pronunciato la preghiera per l'Italia e così
Santini disse a Veltroni: "Cogliamo il segnale di una Chiesa che si
distacca dai partiti e con la pubblicazione dei Vangeli rilanciamo
l'universalità di grandi valori e il dialogo a tutto campo con il mondo
cattolico. Il vaticanista dell'Unità chiese quindi udienza per presentare al
Pontefice l'iniziativa in anteprima. "Fummo ricevuti dopo appena tre
giorni ma la cosa sorprendente fu il fatto che il Papa ci concesse un'udienza
ufficiale con il protocollo riservato ai capi di Stato e di governo. Ci
accolse, infatti, con le famiglie e su un vassoio d'argento consegnò a noi le
medaglie del pontificato, e alle nostre mogli una corona in madreperla con il
crocifisso”. Santini, che di sé dice: "non sono un praticante cattolico, e
non ho modificato questa posizione dopo tanti anni di frequentazioni in
Vaticano”; così conclude l'intervista: "Per noi si aprono nuovi spazi, una
nuova frontiera, dopo quella di un dialogo durato quasi mezzo secolo. Non c'è
più la Dc; la Chiesa, dopo il convegno di Palermo, ha annunciato pubblicamente
la sua distanza da qualsiasi partito(...): il terreno è fertile, le porte sono
aperte, affinché nel Pds e in generale nella sinistra i cattolici diventino più
visibili di quello che sono. E poi oggi non è escluso che anche un cattolico
possa diventare segretario nazionale del partito. D'altra parte D'Alema ha
capito che, senza una presenza forte dei cattolici, accanto a forze di
tradizioni diverse, il Pds non potrà mai essere un partito di governo a pieno
titolo. (CR 504/03/MA9S) Secondo Bertinotti, il dialogo da sempre è stato “un punto essenziale della crescita
della sinistra”, giovandosi di coscienze
cattoliche. Un confronto che il segretario di Rifondazione comunista vuole
portare soprattutto sul campo delle tematiche dello stato sociale, che “va difeso dallo stato liberista fonte di
grandi disuguaglianze”. Gli alleati di questa "operazione” Bertinotti
vuole trovarli nell’Arcipelago vastissimo di forze sociali, civili,
associative": in "tutte le culture critiche del primato del mercato -
e qui cita anche Giovanni Paolo II -, tutte
quelle culture che non accettano che il primato del mercato si manifesti in un
aumento della disoccupazione e della povertà. Bertinotti è consapevole
"che le due posizioni che egli vuole alleate sono diverse tra loro perché
si tratta di due ruoli diversi; ma quello che auspica è che queste culture
critiche del capitalismo (più soft quella del papa, più radicale la sua)
mantengano aperto il dialogo” (cfr. Adista, cit.). (CR 509/021M97)
CR 542104 COMUNISMO: i valori della Sinistra.
All'ultimo festival nazionale dell' Unità, organo ufficiale del PDS, sono
stati simulati amplessi omosessuali davanti a una platea di duemila giovani
scatenati.(20 settembre 1997, n. 542 Corrispondenza
romana) E' accaduto a Reggio Emilia, quando nello spazio "Tunnel"
gestito dai giovani del PDS era in programma un dibattito dal titolo: "Il
comune senso del pudore". Un gruppo di ragazzi e ragazze si è esibito in
una sfilata di abbigliamento intimo, con abiti così succinti e trasparenti da
essere praticamente nudi; poi sono stati simulati amplessi etero e omosessuali.
L'iniziativa è stata promossa dal locale club dell'Arcigay, che l'ha poi commentata positivamente. "Non se ne può più del clima moralista
che si respira nell'Ulivo solo per tenersi tuoni i cattolici” ha dichiarato
Stefano Pieralli, iscritto all'Arcigay e al PDS. Stefano Pieralli è attivista
della prima sezione "gay” della Quercia, la "Pier Vittorio
Tondelli" di Reggio Emilia. (cfr. la Repubblica, 5 settembre 1997).
- progressisti; - rifondazione comunista; -
lega di Bossi; - si sono astenuti i deputati del PPI di Bianco che hanno
venduto i loro ideali per trenta denari. Nulla è storicamente più ridicolo
dell'espressione "cristiani di sinistra"! Denunciamo:
- il
dispregio dei progressisti nei confronti delle scelte del popolo italiano;
- lo stravolgimento della presente
normativa; - la insensibilità per i
diritti democratici di alunni, genitori ed insegnanti; - la logica coerente
della dittatura comunista oggi incarnata dai progressisti. E' proprio vero
:"il lupo perde il pelo ma non il vizio". Perché l'Ulivo illude
l'elettorato cristiano e poi lo pugnala alle spalle!
-COMUNISMO INTERNAZIONALE-
FRANCIA: Collaboratori di Jospin. Francois
Lyotard e Bernard-Henri Lévy; tra i tecnocrati Jean Pisani-Fery, già membro
della Commissione europea di Bruxelles e Pierre-Alain Muet, molto vicino a
Jacques Delors; tra i giornalisti Jean-Marie Colombani di Le Monde e Alain Duhame, di Europe
1; tra i politici stranieri, Habib Tiam, già primo ministro del Senegal,
Tony Blair, neo-primo ministro laburista inglese e Massimo D'Alema. "Il PDS di Dalema - si legge sul
settimanale francese L'Express - è certamente la formazione alla quale Jospin si
sente più vicino (cfr. L’Express n.
2396 dal 5 giugno 1997).
(CR 509/051AB97)(4 gennaio 1997, n. 509 Corrispondenza romana)
CR 510102 COMUNISMO: i complici dei Tupac
Amaru. Il nucleo peruviano della T.F.P.
(Associazione per la difesa delta Tradizione, Famiglia e Proprietà) Il 30
dicembre scorso ha pubblicato un manifesto nel quale analizza la vicenda
dell'assalto dei guerriglieri comunisti Tupac
Amaru alla residenza dell'Ambasciatore del Giappone a Urna e del sequestro
di centinaia di ostaggi (Cfr. CR 509105,
4 gennaio 1997). Molti spiriti
superficiali - si legge nei manifesto hanno immaginato che con il crollo dell’ex
Unione Sovietica e con il generale discredilo della ideologia marxista
- inclusa la sua versione ecclesiastica, nota come “teologia della liberazione”
- la sovversione in America Latina in generale e nel PERÙ in particolare
avrebbe perduto slancio e motivazioni. La realtà comprova che il comunismo non solo non è diminuito in fanatismo
e virulenza, ma che al contrario, come avvertiva vent'anni fa il Don. Plinio de
Oliveira nella terza parte del suo celebre saggio Rivoluzione e
Contro-Rivoluzione, sta subendo una metamorfosi sia verso una forma sempre più
estremistica che come rivoluzione culturale. Questa oggi sovverte tutti i
valori sociali e familiari; e questo senza abbandonare, nelle nazioni in cui
risulti strategicamente conveniente, la sua implacabile oppressione tirannica o
i suoi metodi terroristici di rivolta e destabilizzazione. Di ciò è un esempio
il recente assalto alla residenza dell'Ambasciatore del Giappone, effettuato
dai guerriglieri Tupac Amaru, che operano in stretta relazione con altri gruppi
terroristici andini. Tutti questi gruppi possono contare sulla mal dissimulata
complicità del regime comunista cubano, esattamente come dieci, venti o
trent'anni fa. Particolarmente rivelatore in questo senso è il comportamento
mantenuto sul caso dal governo comunista castrista: “fino ad ora esso è l’unico
Paese dell'America Latina che non ha condannato l'attacco terrorista, né
espresso alcuna forma di solidarietà pubblica verso il governo peruviano né
verso le vittime del sequestro. “Questo silenzio - si legge ancora nel
manifesto - dimostra, molto più eloquentemente di molti discorsi, che il
castrismo continua ad essere così radicalmente comunista come quando, negli
anni sessanta, la "Conferenza Tricontinentale; svoltasi a Lavana sotto gli
auspici di Fidel Castro, decise di promuovere la violenza sovversiva in tutta
l'America Latina. Se rimanesse qualche dubbio su questo, esso dovrebbe essere
stato dissipato qualche settimana fa, quando Castro è stato ricevuto da S.S.
Giovanni Paolo II, in udienza privata: molti sperarono che il gesto papale
desse impulso ad un ammorbidimento della tirannia comunista che opprime
l'isola, verso il riconoscimento di tutte le libertà e garanzie individuali
vigenti nelle nazioni civili fino ad ora negate in Cuba, come i diritti di
associazione, informazione, insegnamento, proprietà privata, libera iniziativa
ecc.. Vana speranza: non appena tornato da Roma e meno di una settimana dopo
l'udienza papale, Fidel Castro si proclamò "orgoglioso di essere
comunista; affermò che nulla è possibile senza il socialismo e respinse quelle
che qualificò come "espedienti" di democrazia, affermando in maniera
tagliente che non avrebbe liberalizzato il regime: il partito che dirige la
Rivoluzione è sufficiente e basta! La T.F.P. peruviana conclude il manifesto
esortando a "saper resistere alla tentazione di smobilitare di fronte ad
un avversario che non conosce la parola tregua nei confronti della Rivoluzione
anti-cristiana". (CR 51 01021AA97) (11 gennaio 1997, n. 510 Corrispondenza romana)
CR 488102 COMUNISMO: una certa Sinistra non
rinnega Pol Pot. Le recenti notizie sulla probabile morte del feroce dittatore
comunista cambogiano Pol Pot, hanno riportato di attualità la questione delle
stragi perpetrate dai Khmer Rossi alla fine degli anni '70, quando venne
freddamente pianificato ed attuato il massacro del popolo cambogiano, con
milioni di vittime. Il comunismo radicale di Pol Pot ha però ancora degli
adepti, persino in Europa. Lo storico francese dean Lacouture "non se la
sente di pronunciare un categorico mea culpa per la cecità della sinistra
europea nei primi anni '70, quando Pol Pot era considerato un liberatore' 'io
sono stato troppo lento a reagire -dice Lacouture- Ma mi chiedo: bisogna oggi
rinnegare l'azione dei comunisti nella Resistenza italiana e francese a causa
di Stalin? Bisogna situarsi nella storia"
(cfr. Corriere della Sera, 8 giugno 1996). "Non rimpiango - afferma
ancora lo storico - di aver scritto in favore dei partigiani che lottavano per
scacciare Lon Not. Era, ripeto, un agente americano. Noi non sapevamo ciò che
accadeva realmente durante la guerra partigiana. E poi perché rimpiangere visto
che i comunisti in Cambogia rappresentavano la verità contro l'occupazione
straniera? Insisto: i partigiani comunisti italiani non erano nel giusto
attaccando i fascisti di Salò? Bisogna rinnegare le azioni dei comunisti nella
Resistenza perché sullo sfondo si annunciava Stalin? Eravamo per Stalin a
Stalingrado. Non avremmo dovuto perché si sarebbe trasformato in un
criminale?" (cfr. Corriere della Sera, cit.). (CR 488/02/BF96)
I GRANDI DITTATORI DELLA STORIA:(liberamente
sintetizzato da videoteca il borghese)
"Il potere nasce dalla canna del fucile" Mao Tse Tung (1893-1976)
Mao si considerava marxista e fu tra i dodici
uomini che fondarono il partito comunista cinese. Inizialmente incitati da
Mosca i comunisti collaborarono con i nazionalisti di Chiang Kai-shek nella
lotta per trasformare la Cina in uno stato moderno. Mao si occupava dei
contadini ad iniziare da quelli della sua provincia, mentre Chiang Kai-shek
operava nelle città. Ma quando ben presto scoppiarono disordini, tra i
sostenitori di Mao e Chiang Kai-shek, che provocarono migliaia di morti, Mao
era già lontano. Il suo istinto opportunista lo salverà diverse volte.
L’espansionismo cinese si rese minaccioso e i governi occidentali inviarono le
loro truppe per proteggere i loro interessi. Mao si era rifugiato nella remota
provincia di Jiangxi nella quale venne proclamata la Repubblica Cinese dei
Soviet. Mao consolidò il suo potere con una accorta propaganda, con il
terrorismo e con l'uso di una brutalità inimmaginabile che giunse a far
interrare vivi migliaia di oppositori. Intanto Chiang Kai-shek presiedeva il
governo centrale di Nanchino e voleva sconfiggere i comunisti prima di
impegnarsi nell'inevitabile scontro con il Giappone. Mao si sentì in trappola
consapevole di non poter fronteggiare le armate di Chiang Kai-shek con la sola
fanteria leggera. Decise allora di agire, inizia così "la grande
marcia" l'evento leggendario quanto crudele che lo porterà al potere. Mao
la iniziò alla testa di centomila cinesi, appena un terzo di loro arrivò alla
fine, compirono 9000 Km impiegando più di un anno, la sua destinazione era
Hunan, la sua provincia, nel Nord Ovest del paese, dove Mao stabilì il suo governo
per i successivi dieci anni. La pressione fiscale che esercita sui contadini è
terribile viene prelevato il 35% del raccolto. Cura l'esportazione dell'oppio.
Una delle sue armi fu la propaganda, ma nulla trapelava ufficialmente sui suoi
metodi oppressivi. Mentre il peso della guerra ricadde sui seguaci di Chiang
Kai-shek, Mao poté consolidare il suo potere. Dopo la seconda guerra mondiale
la tregua imposta dagli americani tra Mao e Chiang Kai-shek fu presto
interrotta. Chiang (aiutato dagli americani che trasportarono le truppe con
aerei) organizzò le sue truppe in Manciuria e da qui incominciarono i
combattimenti. Fu però Mao a vincere marciando verso Sud fino alla conquista di
Pechino. I nazionalisti e i loro sostenitori furono presi dal panico, nel Sud
del paese come reazione alle fucilazioni il massa operate da Mao ai danni dei
nazionalisti, anche Chiang Kai-shek ordinò di fucilare in piazza i sostenitori
dei comunisti. Mentre Mao avanzava verso Sciangai il panico si diffuse anche
tra gli stranieri. Le atrocità commesse dai comunisti spinsero migliaia di
persone nei porti in cerca di un imbarco. Nella lunga lotta Mao era uscito
vincitore. Iniziava un regime cupo e drammatico in cui l'assassinio diventava
metodo di governo. In cinese LUAN significa caos anarchia. Mao credeva nel LUAN
una forma di forza che paradossalmente poteva produrre ordine. Maggiore il
caos, maggiore l'ordine che ne deriva basato sulla violenza e il terrore. Il 1
ott. 1949 fu proclamata la Repubblica Popolare Cinese e fu riconosciuta da
tutte le nazioni ad eccezione degli Stati Uniti. Gli esperti di politica cinese
trattenevano il fiato nell'attesa di vedere cosa avrebbe fatto Mao. Ma nel
novembre 1950 Mao dichiara pubblicamente: "Noi dobbiamo uccidere tutti
quei reazionari che meritano di essere uccisi". Fonti ufficiali maoiste
informano che tra il 49 e il 52 due
milioni di banditi sono stati liquidati poco importa se tra questi sono inclusi
oppositori intellettuali che vengono considerati testualmente "nemici del
governo popolare". Il regime si struttura in un'onnipresente struttura di
controllo: 5.500.000 miliziani; 3.800.000 attivisti e propagandisti; 75.000
informatori. La polizia politica conta oltre 1.200.000 uomini. Intanto dilaga
il culto della personalità a vantaggio del grande timoniere. I libretti rossi,
i distintivi obbligatori per tutti, gli slogan e le frasi ad effetto. Tutti gli
stranieri sono considerati barbari. Il governo Tibetano in esilio ha accusato
la Cina di aver operato 1.200.000 vittime cioè un tibetano su quattro. Tra gli
anni 50 e 60 centinaia di migliaia di tibetani furono internati nei campi di
concentramento maoisti. La denuncia del Dalai Lama fu raccapricciante: "I
tibetani non sono soltanto stati fucilati, ma picchiati a morte crocifissi,
seppeliti vivi, mutilati strangolati, decapitati uccisi nell'acqua bollenti,
testimonianze credibili raccontano di feriti lasciati divorare dai cani
randagi.". Le truppe cinesi distruggevano le immagini dei Budda
sostituendoli con il ritratto di Mao. In indocina l'influenza cinese si spinge
fino a SAIGON. I rapporti internazionali erano pessimi, lo stesso Crusciof,
succeduto a Stalin mostrava diffidenza verso il lider cinese. Mao proseguì la
sua politica di assoluto disprezzo per i diritti umani e civili e promosse
sempre espropriazioni e purghe nelle grandi città e una riforma agraria basata
sull'odio di classe. Odio per i latifondisti e la proprietà privata, l'odio a
cui fu permesso di giustificare esecuzioni capitali. Intanto in occidente molti
sprovveduti si convincono che il regime marxista maoista sia infinitamente più
umano e popolare di quello staliniano, si determinano così anche in ambiente
non comunisti pericolose
conclusioni riguardo alla vera natura
sanguinaria del regime di Mao. Prosegue infatti la repressione, centinaia di
migliaia di imprenditori vengono imprigionati vengono arrestate centinaia di
migliaia di cosiddette spie. Soprattutto gli ecclesiastici vengono definiti
spie, tra cui un vescovo italiano condannato all'ergastolo, i missionari
cattolici passarono da 5500 a una decina. Mao stesso ammette nel 1957 800.000
esecuzioni. In maggio-giugno promuove la "liberalizzazione dei cento
fiori" in cui consente agli intellettuali di poter esprimere liberamente
il loro pensiero e il loro dissenso, in realtà ciò serviva a Mao per stanarli e
reprimerli ferocemente attraverso le crudeli guardie rosse. Anche le teorie
economiche maoiste si rivelarono un completo fallimento, al punto da essere
contestato dagli stessi compagni di partito. Inizialmente Mao incoraggiava le
critiche per individuare e colpire chi dissentiva . Uno dei più grandi errori
di Mao, forse il più tragico, fu il cosiddetto "Grande balzo in
avanti". Tutti i cinesi vennero invitati a creare piccole industrie
modello in grado di moltiplicare enormemente la produzione. Gli osservatori
stranieri le ridicolizzarono subito chiamandole "acciaierie da
cortile", l'esperimento fu disastroso e provocò la più grande carestia
ideologica mondiale "tre anni di sforzi e privazioni e mille anni di felicità"
recitava lo slogan dell'epoca. La gente moriva di fame, chi protestava veniva
affidato agli attivisti che incominciarono a seppellire vivi i dissidenti e a
torturarli con il ferro rovente. La carestia incalzava tra il 59 e il 61
morirono in Cina di stenti miseria e inenarrabili violenze politiche 30-40
milioni di persone. La rivoluzione culturale, che seguirà a questo periodo,
rappresenterà un'altro capitolo sanguinoso e crudele di repressione. Mao
risparmia solo le forze armate e gli esperimenti scientifici concentrati sugli
armamenti nucleari: "I capitalisti sono la pelle, gli intellettuali sono i
capelli che spingono sotto la pelle, ma
quando la pelle muore non ci sono più capelli". Il fanatismo degli
studenti maoisti genera fra il mezzo milione e il milione di morti. Mao quando
muore è riconosciuto il padre morale della rivoluzione. Nel 75 avremo in Cina
una nuova costituzione. In settembre 1976 Mao Tse Tung muore, ma ancora oggi le
nuove generazioni sono soggette ad un regime da lui ideato e a un partito da lui
fondato. Nel 1987 il Tibet conoscerà ancora la repressione cinese. 1989
migliaia di studenti e oppositori perderanno la vita in piazza Tienanmen. Sulla
democrazia politica e sulle libertà umane in Cina grava ancora l'ombra
minacciosa di Mao Tse Tung, il grande timoniere.
- Don Giovanni Bosco, in uno dei suoi sogni
profetici, aveva visto la Cina e, sopra di essa, due calici pieni di sudore e
di sangue. A metà febbraio 1930, Mons. Versilia era partito da Shu Chow in
visita pastorale per Lin Chow. Lo accompagnavano don Callisto Caravario, due
maestri con le rispettive sorelle, una catechista ed un bambino di 10 anni.
Percorsero un tratto in treno, poi noleggiarono una giunca per circa sei giorni
di viaggio. Il mattino dopo la partenza, un gruppo di pirati comunisti intimò
loro l'alt: chiedevano ai due missionari 500 dollari. Una cifra favolosa che
essi neppure sognavano di possedere. "Se non avete soldi, dateci le
ragazze" - proposero quei delinquenti. Mons. Luigi e don Callisto opposero
un netto rifiuto alla proposta indegna. Quelli contrattaccarono vomitando il
loro odio per il cattolicesimo e per ogni religione. Picchiarono selvaggiamente
i missionari. Poi parodiarono un "processo" contro "i diavoli
stranieri e la loro religione". Seguì la sentenza di morte. Legati
insieme, i due salesiani furono condotti in un bosco vicino e fucilati
barbaramente. Così caddero il 25 febbraio 1930, sotto il piombo dei comunisti,
i due martiri della fede. Le loro salme recuperate qualche giorno dopo, furono
portate a Shiu Chow. Al rito funebre imponente parteciparono anche i
non-cristiani. Le autorità civili accompagnarono le bare. Il mandarino tenne il
discorso: "E' meravigliosa la Chiesa cattolica che da alla società uomini
simili, vittime del dovere, pronti a sacrificare la vita per i loro figli
spirituali". Don Versiglia quando ricevette un calice in dono presagì il
suo martirio, mettendolo in riferimento al sogno di S. Giovanni Bosco,
fondatore dei salesiani, "Tu mi porti il calice visto dal Padre..., tocca
a me riempirlo di sangue per adempiere la visione". E quel giorno di
martirio, Mons. Versiglia e don Caravario, dopo aver alzato al cielo tante
volte il calice del sangue di Cristo, innalzarono il calice colmo del proprio
sangue( G. Bosio, Martiri in Cina, LDC, Torino, 1977).
CR 546/02 COMUNISMO: si intensifica la
persecuzione anticattolica in Cina. L'8 ottobre scorso, la polizia comunista ha
nuovamente arrestato S.E. Mons. Su Zhimin, vescovo cattolico di Baoding, nella
regione dello Hebei (Cina Nord-Orientale). Lo ha rivelato il Cardinale Kung Foundation in una
dichiarazione inviata via fax agli organi di informazione, nella quale si
precisa che il vescovo è stato arrestato per aver rifiutato di disconoscere
l'autorità del Papa. Mons. Su, 62 anni, ha già trascorso 20 anni nelle carceri
comuniste. Il suo ultimo arresto risale al maggio del 1996, durante
un'operazione repressiva nel corso della quale era stato distrutto il santuario
mariano dedicato a Nostra Signora della Cina; riuscito a fuggire, Mons. Su era
rimasto nascosto per 17 mesi, fino all'ultimo arresto. Il nuovo giro di vite
contro i cattolici è iniziato circa due anni or sono, quando, approssimandosi
la morte di Deng Xiao Ping, il presidente Jiang Zemin, per rafforzare il suo
potere con l'eliminazione di ogni organizzazione non controllata, ha
programmato la distruzione della Chiesa cattolica clandestina, fedele al Papa.
La campagna persecutoria prevede modalità dure, attraverso arresti di massa ed
una più sottile, con diverse misure tra le quali l'obbligo di iscriversi alla
"Chiesa patriottica", fondata dal regime comunista. "L'arresto di monsignor Su Zhimh di
Baoding - scrive Bernardo Cerveliera sull'Avvenire
del 12 ottobre 1997 - è solo l'ultimo
atto di una catena di persecuzioni che la Chiesa Cattolica (e le altre
religioni) stanno sperimentando in Cina. La mappa delle persecuzioni contro i
cattolici in particolare è vasta quanta tutta la Cina. Attualmente vi sono
almeno 26 vescovi della Chiesa fedele, non riconosciuta dal governo, in
prigione, agli arresti domiciliari, sotto vigilanza o semplicemente
scomparsi". La situazione più grave è quella del vescovo di Yuflang
(Jiangxi), Mons. Tommaso Zheng Jingmu, 77 anni, condannato al lager per 5 anni
(...) malato di polmonite. Agli arresti vi è monsignor Giuseppe Fan Zhongliang,
vescovo di Shangai, visitato dalla polizia poco prima di Pasqua; e il vescovo
di Jilln, Shi Hongzen. Nella lunga serie degli “scomparsi” vi è il caso
drammatico di Mons. Pietro Liu Guandong, di Yixian (Hebei), fondatore della
Conferenza episcopale clandestina. Mons. Liu è anziano e paralitico. Sono poi
scomparsi altri 9 vescovi dell'Hebe, dove vive una forte comunità cattolica
clandestina; 2 vescovi dell'Henan; 2 vescovi del Gansu; 2 vescovi di Tiantin:
altri subiscono forti pressioni dalla polizia. La persecuzione, come sempre
accade, fa fiorire la comunità cattolica, contro le intenzioni dei persecutori.
Dal 1949, data della presa del potere da parte dei comunisti, i cattolici sono
quasi quadruplicati: secondo stime dell'agenzia internazionale Fides, essi sono
attualmente 12 milioni.
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“I popolari rappresentano una fase necessaria
del processo di sviluppo del proletariato italiano verso il comunismo (...) Il
cattolicesimo democratico fa ciò che il consumismo non potrebbe: amalgama,
ordina, vivifica e si suicida. (...) I popolari stanno ai socialisti come
Kerensky a Lenin”. Antonio Gramsci
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-STRATEGIE POSTCOMUNISTE-
I lider del Pds hanno sempre fatto ricorso
alla strategia della doppia verità, che consente di dire tutto e il contrario
di tutto. “Le leggi, la morale, la religione, (scrivono marx ed Enges) sono
borghesi dietro i quali si nascondono interessi borghesi”. Cosa risponde il Pds
a questi concetti marxiani? (AREA, sett. 1996).
Corrispondenza: C.P. 6080 - Roma Prati -RM
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Per un' Italia dei Valori
Tradizionali e Familiari. Riportiamo il testo integrale della relazione di
chiusura del convegno all 'Augustinianum, svolta dal prof Roberto de Mattei.
1.1 comunisti al potere oggi in Italia. Il
nostro incontro viene a coincidere con un avvenimento storico: la formazione
del primo governo comunista in Italia dopo la breve e infelice parentesi del
centrodestra. Si dirà che si tratta di un governo di coalizione, che il governo
non è guidato da un comunista, e che i comunisti di oggi non sono i comunisti
di ieri. Ma sarebbe facile rispondere che se il governo fosse guidato da un
comunista e se i comunisti di oggi si presentassero allo stesso modo di quelli
di ieri, i comunisti non sarebbero al governo dell’Italia. Non sarebbero al
governo perché l'Italia non solo non è un paese comunista, ma non è neppure un
paese di sinistra, come dimostrano i dati delle elezioni del 21 aprile, che
assegnano il 21,1% dei voti al PDS, e l'8,6 a Rifondazione Comunista; cioè in
totale meno del trenta per cento dei voti sul totale dei votanti. E' importante
sottolineare dei votanti, perché se si tiene conto degli astenuti. Il 17% del
totale, che certamente non sono di sinistra, la percentuale decresce
sensibilmente, è più vicina al 20 che al 30%. I comunisti per andare al governo
avevano bisogno di sembrare diversi dai comunisti di ieri. Paradosso
dell'Italia di oggi. I comunisti non sono andati al potere nel 1948 con
Togliatti, quando avevano, con i socialisti il 31% dei voti, non sono andati al potere nel 1976, con
Berlinguer, l'anno del temuto sorpasso, quando avevano da soli, il 34,4% dei
voti. Il PDS è andato al potere nel 1996 con D'Alema e Veltroni, potendo
contare su poco più del 20% del consenso elettorale: uno dei suoi minimi
storici dopo 1948, questi sono i fatti. Una realtà che ci spinge a chiederci:
come è potuto accadere tutto questo? Che cosa accadrà ora? E noi, che cosa
faremo? Cercare di rispondere a queste domande è il tema del mio intervento.
Come è potuto accadere? Probabilmente anche una parte dell'elettorato moderato
del Polo è convinta che i comunisti siano cambiati. E’ venuto meno il timore
del comunismo dell'elettorato cattolico e moderato. L'ultima campagna
elettorale è stata "deideologizzata" a sinistra e a destra, ridotta a
scontro tra ricette economiche alternative: più o meno tasse, più o meno
pensioni, più meno stato sociale, più o meno riforma istituzionale. Non si è
parlato che in maniera eccezionale ed episodica, di valori, di concezioni
ideali, di comunismo e di anticomunismo. Il padre Pasquale Borgomeo, che è il
direttore generale della Radio Vaticana, in un'intervista
sull'"Unità" del 6 maggio ha riassunto la situazione in questa
formula: “il 'fattore “K” è morto”. Il
fattore K è il "fattore comunismo", l'elemento che consentiva alla
Democrazia Cristiana di innalzare, al momento del voto un muro elettorale
contro il Pci, salvo poi collaborare con esso in forma più o meno consociativa.
Il "fattore K" fu il fattore che spinse Berlusconi a scendere in
campo e ad unire nel 1994, contro la minaccia comunista, la sua coalizione
elettorale. Oggi il fattore K è caduto, e chi lo ha fatto cadere, afferma padre
Borgomeo, con una certa soddisfazione, è la Chiesa, sono i vescovi italiani. La
rivendicazione del voto secondo coscienza, in seguito alla neutralità della
Chiesa è da lui contraddetta. Un atto neutro è un atto che non produce effetti
a favore di nessuna delle due parti. In questo caso, padre Borgomeo ammette,
che le autorità ecclesiastiche hanno liberato la sinistra dal 'fattore K'
permettendo così ai cattolici che egli definisce "coerenti con l'insegnamento evangelico" di orientare
i loro voti verso l'Ulivo. Aggiunge padre Borgomeo: La responsabilità delle
autorità ecclesiastiche nella vittoria della sinistra non è più un mistero.
Prodi, il Kerenski italiano? In cui ricordando la frase di Gramsci secondo cui
"i popolari stanno al socialismo come Kerenski sta a Lenin"
aggiungevamo che ciò che Gramsci non poteva immaginare era che il ruolo svolto
in Russia dal 1917 dal ministro Kerenski, quello di consegnare la sua nazione
al comunismo sarebbe stato svolto in Italia, oltre che dai popolari, rappresentati
da Prodi, da una parte consistente del mondo organizzato cattolico, i
"cristiani della linfa" cioè i cristiani progressisti, dì cui parla
il cardinal Martini. Il Padre Borgomeo lo ammette e lo rivendica a loro merito.
La base cattolica e moderata dell'elettorato italiano, che certamente non è
comunista, è stata invitata da Prodi e dalla sua lista a rafforzare la
coalizione dell'Ulivo. I responsabili del mondo cattolico non solo non hanno
impedito questa operazione, ma anzi si sono preoccupati di liberare la base
cattolica dal timore del comunismo. Come avrebbero potuto. in queste
condizioni, i leader dello schieramento del Polo, condurre una battaglia
apertamente cattolica ed anticomunista? Molti di loro, oltre tutto, come gran
parte dei nostri vescovi, non credono più a loro volta al "fattore
K". Come pretendere che ci credano allora gli elettori? E gli elettori si
sono comportati di conseguenza. Si dice che il maggior successo del demonio
consiste nel far credere che non esiste. Il maggior sforzo del comunismo, nella
sua storia, è stato di far credere che non esiste un pericolo comunista. Chi ha
accreditato questo sono purtroppo gli stessi personaggi ecclesiastici che
dovrebbero ricordarci, e purtroppo mancano di ricordarci, l'esistenza del male
e del demonio nella nostra vita e nella storia. 3. Il 'fattore K" nella
storia del XX secolo
La richiesta di abbandonare il "fattore
K" e con esso ogni forma di anticomunismo, è stata sempre avanzata dai
comunisti.
La storia del comunismo non comincia in
Russia nel 1917. Bisogna rintracciane le origini nel 1789, nel primo
laboratorio politico moderno, la Rivoluzione francese, quando nasce l'utopia egualitaria destinata a tradursi nel Terrore.
E' allora che nasce il socialismo, che Marx e poi Lenin cercarono di rendere
"scientifico", formulando una pseudo-scienza dell'organizzazione
sociale. Nel 1917 il socialismo prende con Lenin il potere in Russia. Stalin
realizzò in Russia ciò che Lenin aveva reso possibile. Ma, a partire dal 1917,
mano mano che si espandeva nel mondo il comunismo offriva un'immagine
terrificante, che contraddiceva la sua utopia. La Russia divenne il simbolo
dello Stato brutale e terrorista, e nello stesso tempo il simbolo dello Stato
fallimentare, incapace di organizzarsi e di produrre. La guerra civile di
Spagna, dì cui è passato sotto silenzio l'anniversario, - iniziò 60 anni fa -
rivelò al mondo l’odio antireligioso del comunismo e le atrocità di cui esso
sapeva macchiarsi. In Spagna, il comunismo conobbe però anche la sconfitta più
clamorosa della sua storia. Alla luce di questa disfatta avvenne l'elaborazione
di una nuova strategia di conquista del potere in occidente, basata più che
sulla forza, sulla collaborazione con gli avversari, per spegnerne la
reattività, e tra gli avversari soprattutto con la Chiesa cattolica, il nemico
per eccellenza, che proprio durante la guerra di Spagna, con l'enciclica Divini
Redemptoris di Pio XI, il 19 marzo 1937, aveva denunciato con parole di fuoco
la natura perversa del comunismo. "Alla luce dell'esperienza della
repubblica spagnola - scrive Giorgio Napolitano, esponente storico del PCI e da
oggi ministro dell'interno della Repubblica italiana - si elabora, ed elabora
in modo particolare Togliatti, la prospettiva di una democrazia di tipo nuovo.” E’ la “via italiana” al socialismo,
pensata da Gramsci, svolta da Togliatti, perfezionata di Berlinguer e dai suoi
attuali discepoli. Una strategia che ebbe la sua prima espressione nella
cosiddetta "svolta di Salerno", cioè nella decisione di 'Togliatti di
entrare a far parte nel 1944 del governo Badoglio. Il primo "compromesso
storico italiano, quello ciellenistico durò dal 21 giugno 1945 data della
formazione del governo Parri, con De Casperi e Togliatti ministri, fino al
luglio 1947, quando la situazione internazionale e la ferma presa di posizione
di Pio XII costrinsero De Gasperi, divenuto capo del governo, a estromettere i
comunisti. Da allora Togliatti e i suoi successori adottarono una strategia
basata soprattutto sul piano gramsciano di conquista della società civile,
attraverso l'egemonia sulla cultura. E nel governo Prodi i comunisti
controllano tutti i ministeri chiave della cultura. Il piano fu perfezionato da
Enrico Berlinguer nel ‘73 con il suo saggio Riflessioni
sull'Italia dopo i fatti del Cile, in cui analizzava le cause della caduta
di Allende e teorizzava la necessità per i comunisti, in Italia e in Occidente,
di andate al potere non da soli, ma con i rappresentanti del mondo cattolico
organizzato. Compromesso storico ed eurocomunismo fallirono perché ancora
esisteva in Italia una vivace reattività anticomunista.
4. Comunismo e Civiltà cristiana.
Il comunismo è l’utopia della società senza
classi, cioè di una società paradisiaca che realizzi gli ideali della
Rivoluzione francese: l’assoluta libertà, l’assoluta eguaglianza, la assoluta
fraternità; il comunismo è l’odio per l’autorità e per la disuguaglianza
naturale e sociale spinto ai suoi punti estremi. E’ la negazione più radicale
che si possa immaginare della società tradizionale e cristiana; è l’espressione
più compiuta che la storia abbia finora conosciuto di quel processo
plurisecolare di aggressione alla Civiltà cristiana. L’ordine naturale e
cristiano non è la pulizia delle strade e i treni in orario; non è la
possibilità di trovare un lavoro e di formare una famiglia; non sono le scuole
tranquille, lo Stato discreto ed efficiente, le forze armate rispettate, le
élites (meritocrazia) alla testa della nazione; tutto questo è frutto
dell’ordine naturale e cristiano, ma non è la sua essenza. Sua essenza è la
gerarchia dei valori, dei beni, delle istituzioni, di ogni realtà. E' mettere
al proprio posto l'uomo e Dio. L'antitesi del comunismo non è dunque la società
liberale e permissiva dei nostri giorni, ma è una società ordinata, fondata ~ti
principi naturali e cristiani, fondata su principi naturali e cristiani, sui
valori familiari e tradizionali, perché la famiglia costituisce la base della
società, il luogo dove i valori si trasmettono e dove la tradizione vive:
l'antitesi del comunismo è la Civiltà cristiana.
5. La vita e la fecondità dei valori.
Parlare di società cristiana, parlare di
valori tradizionali e familiari può sembrare astratto e velleitario. Il mondo
cambia, la società cristiana si dissolve, i valori in cui crediamo sembrano
crollare. Il neo-comunismo per giunta prende il potere. In questo orizzonte di
crisi e di incertezza ognuno di noi è alle prese con i problemi concreti del
presente, che non sembrano lasciare molto spazio per la contemplazione dei
principi e per le battaglie ideali. Eppure, se vogliamo veramente attenerci
alla realtà, c'è un punto capitale da comprendere: quello del rapporto tra la
dimensione dei fatti, che è quella esterna, che colpisce i nostri sensi, e la
dimensione interna, ideologica e psicologica che prepara e determina i fatti. I
fatti sensibili e concreti non sono
tutta la realtà. Le idee sono altrettanto reali dei fatti e tra le idee
e i fatti c'è un rapporto di causa e di effetto. Se vogliamo essere realisti
non dobbiamo limitarci alla corteccia, all'epidermide della realtà: dobbiamo
risalire ai principi, passare dai fatti alle idee, dalle conseguenze alla
cause. CORAGGIO! CORAGGIO! CORAGGIO!
Se l'uomo ha un'anima, l'uomo può conoscere delle realtà spirituali, e il fatto
stesso che l'umo possa pensare delle realtà spirituali, concetti come verità,
bene, libertà, giustizia, dimostra che l'uomo ha un'anima e una natura
spirituale. Perché se l'uomo fosse, come gli animali, pura materia, sarebbe
incapace di conoscere e di amare ciò
che è al di fuori della materia. Ciò che è al di fuori della materia, idee come
la verità, il bene, la bellezza, la giustizia, e al di sopra di tutte queste
idee, Dio stesso, che è la causa prima di ogni realtà. Ciò che è materiale
infatti è suscettibile del divenire, del disgregarsi, del morire. Ciò che è
spirituale è al contrario, per sua natura invisibile e incorruttibile;(per
questo non scoraggiatevi: coraggio!) non può disgregarsi e corrompersi, in una
parola non può morire. Le realtà spirituali non solo sono reali, ma immortali,
senza fine e dunque non possono conoscere né decomposizioni; né crolli di alcun
genere. Ciò che è vero, ciò che è buono, ciò che è bello, non può mai cessare
di essere vero, buono e bello. Non è l’uomo che con la sua intelligenza crea o
produce la verità, il bene, la bellezza. La verità, il bene, la bellezza. La
verità, il bene, la bellezza hanno il loro fondamento in Dio. Crollano le
società, crollano le istituzioni, crollano gli uomini: non crollano mai, i
valori; non crolla, mai, la verità; non crolla mai Dio, fondamento di ogni
verità e di ogni valore. “Dio non muore!” gridò il presidente dell’Ecuador
Garcia Moreno pugnalato a morte da un rivoluzionario sui gradini della
cattedrale di Quito. I valori non muoiono, proclamiamo noi con la nostra
manifestazione e con i nostri sforzi. I valori attendono. Attendono uomini,
istituzioni, società che si mettano al loro servizio, per riprendere la via
abbandonata dalla verità e dal bene. Ogni edificio si regge su fondamenta.
Tanto più solide le fondamenta, tanto più solido è l’edificio. L’edificio
sociale si regge su principi. Se essi vengono abbandonati, non crollano i
principi, ma crolla l’edificio sociale. Analogamente non ci può essere
ricostruzione economica, politica, sociale istituzionale, che non parta dalle
fondamenta culturali e morali. Molto spesso ci si sente dire “che fare”? Da
dove cominciare? Ebbene, comprendere e vivere questa verità è l’unico punto di
partenza e di reale efficacia. Non ci sono scorciatoie, è la legge della
società. Per questo il vero problema
dell’Italia di oggi è quello della definitiva perdita o della definitiva
riconquista dei valori. La nostra esperienza personale del resto lo conferma.
Il nostro presente certo non è facile. Vivere oggi non è facile; diventa sempre
più una lotta per sopravvivere. Chi è giovane, chi è adolescente, non riesce a
intravedere nella società odierna il suo avvenire. Vede con una certa paura,
qualche volta con terrore, quelli che un tempo erano gli approdi naturali della
giovinezza: la famiglia e il lavoro. Sostarsi, trovare un lavoro appaiono
responsabilità gravose. Lo spettro della disoccupazione, quello di una famiglia
che sì sfalda poco dopo il matrimonio, non sono prospettive irreali. Ma il
problema del lavoro e il problema della famiglia, prima di essere problemi
economici e materiali sono problemi che rimandano ad una filosofia e a una
scelta di vita. Il principale problema dei giovani di oggi è la loro mancanza
di orientamenti e di ideali. Guardiamo gli uomini maturi. I padri e le madri di
famiglia che si trovano nel mezzo della loro vita sanno a loro volta, al di là
di ciò che luccica artificialmente, quanto profondo sia ciò che preoccupa la
loro anima: ancora una volta il lavoro, la famiglia, i figli, sono al centro
dell’incertezza in una situazione in cui per nessuno il futuro si presenta
roseo; ma, il loro, il nostro problema principale non è in realtà quello
economico, è quello di dare una ragione profonda alle nostre scelte, di
individuare i valori a cui ancorare la nostra esistenza. E che dire degli anziani
che oggi costituiscono una parte rilevante della società italiana e che di
questa società dovrebbero costituire un bene prezioso, per il patrimonio di
valori, arricchiti dall'esperienza, che ad essi spetterebbe trasmettere? Gli
anziani non riescono ad intravedere, nei figli e nei nipoti il futuro
desiderato, la prosecuzione ideale della loro vita, come un tempo accadeva, in
una simbiosi tra le generazioni che si avvicendavano. Senza i valori essi sono
inutili. Ancora una volta il problema di fondo è quello delle idee e dei
principi. Il bisogno di valori è tanto vero è tanto reale che anche il
neocomunismo, anche la nuova sinistra li riscopre. Veltroni per esempio nel suo
ultimo libro afferma che “dobbiamo ritrovare dei valori, delle ragioni unificanti”.
Ma di quali valori si tratta? Egli dichiara l’indisponibilità alle certezze
assolute, “la consapevolezza della relatività delle cose”, dice di non credere
in Dio, definisce buona legge quella sull’aborto, si dice favorevole alla
legalizzazione della droga; e proclama la necessità di un’etica pubblica, che
non ha nulla a che fare con i valori tradizionali e familiari in cui
crediamo. In campo ecclesiastico c'è
chi invece di valori preferisce parlare di “ethos evangelico” e teorizza la
“mediazione” tra l'etica e la politica, la "traduzione politica dei valori
cristiani", affermando che nella società pluralistica e complessa di
oggi,”quando più un valore è eticamente rilevante, tanto più è impegnativo e
perciò più bisognoso di maturazione a livello di costume”.-E' il cardinale
protettore dell'Ulivo, a dirlo. A suo avviso, tanto più un valore è eticamente
rilevante, ad esempio la difesa della vita, tanto più remota deve essere la sua
traduzione politica in leggi ed istituzioni, perché, prima delle leggi occorre
la maturazione a livello di costume, come se a questa maturazione non
contribuissero le leggi, come se dalla forma
data attraverso le leggi alla società non dipendesse anche la cultura e
il costume. Eppure Giovanni Paolo II, nelle sue ultime encicliche, ha ribadito
l’urgenza di tradurre in istituzioni ed in leggi politiche i principi del
Decalogo. Ciò che è scolpito in quelle tavole è scolpito anche nella nostra
intelligenza e nel nostro cuore, a difesa della vita!
6. il Decalogo: legge della società.
Il Decalogo non è solo la legge dei
cattolici; è la legge naturale, valida per ogni uomo, in ogni epoca, in ogni
latitudine. Il primo comandamento del
Decalogo dice: Io sono il signore Dio tuo, non avrai altro Dio dinanzi a me. Ma
la nuova sinistra taccia di fanatismo e di integralismo ogni credente, di
qualsiasi religione, che affermi l'esclusività della verità. All'unicità della
vera religione essa oppone il pluralismo dei valori, il politeismo degli idoli
moderni. Il secondo comandamenti dice:
non nominare il nome di Dio invano. La nuova sinistra, che vuole togliere o
limitare la libertà dei cattolici di professare pubblicamente tutta la propria
fede, ammette però la assoluta licenza di aggredire i valori religiosi e
morali. Negli spot televisivi, nei film e nelle pièces teatrali, nei cartelloni
pubblicitari, il nome di Dio, della Chiesa e dei suoi rappresentanti è nominato
ben peggio che invano: è esposto allo scherno, al ridicolo, all'umiliazione. Il
terzo comandamento dice: ricordati di santificare le feste e afferma con ciò
che il tempo, la storia, la società, sono sacri cioè ordinati a Dio. La nuova
sinistra si propone la desacralizzazione e la laicizzazione di ogni ambito
sociale, a cominciare dalla settimana lavorativa, abolendo il riposo domenicale.
Il quarto comandamento dice onora il
padre e la madre formulando i doveri non solo verso i genitori, ma verso ogni
autorità sociale. La nuova sinistra nega la famiglia tradizionale, proponendo
aberranti forme di famiglie alternative e nega alla radice il principio dì
autorità in nome di una radicale autodeterminazione dell'uomo. Il quinto comandamento dice: non uccidere
l’innocente, affermando la condanna non
solo dell'omicidio e del suicidio, ma anche di tutto ciò che uccide l'anima, a
cominciare dagli scandali, cioè le
parole, gli esempi e le influenze che portano al male. La nuova sinistra
ammette la liceità dell'aborto, dell'eutanasia, del consumo della droga, e nega
all'essere umano, dallo stadio embrionale a quello terminale quel diritto alla
vita e all'esistenza che riconosce più volentieri agli animali. Attraverso la
pornografia, l'educazione sessuale, l'esaltazione della violenza gratuita, la
nuova sinistra corrompe la vita dell'anima prima ancora di distruggere quella
del corpo. Il sesto e il nono comandamento dicono non commettere atti impuri,
non desiderare la donna d’altri. La nuova sinistra teorizza l'emancipazione
della donna, l'assoluta libertà di ogni rapporto omo ed eterosessuale, propugna
l'educazione sessuale, disprezza i valori della castità e della purezza. Il
settimo e il decimo comandamento dicono
non rubare e non desiderare ciò che appartiene al prossimo. E’ la salvaguardia
della proprietà e la pratica della giustizia. La nuova sinistra relativizza e
vanifica la proprietà privata auspica il miserabilismo sociale, favorisce una
tassazione iniqua che corrisponde a un vero furto da parte dello Stato.
L’ultimo precetto divino, l'ottavo comandamento dice: non dire falsa
testimonianza. E' la legge della verità nelle relazioni umane e sociali. La
nuova sinistra commette qualcosa di peggio della menzogna perché rifiuta il
concetto stesso della verità, l'idea stessa di verità. La concezione
relativista ed evoluzionista della nuova sinistra nega in radice la possibilità
stessa che la verità esista . Dissolve con la verità, l’oggettività di ogni
legge e di ogni relazione sociale. Questo è l’antidecalogo della nuova
sinistra, del neocomunismo che va al potere in Italia. Come sarà possibile
gestire questo potere assieme a degli uomini politici che si dicono cattolici?
E come e possibile che dei cattolici abbiano avallato tutto questo? Eppure
l’obiettivo del consumismo è chiaro. Walter Veltroni si dice affascinato dal
“meting pot”, ossia dalla società ibrida multirazziale e multiculturale: è una
società in cui scompaiono tutte le distinzioni e con esse, inevitabilmente
tutte le identità, perché definire significa porre dei confini, dei limiti; una
società letteralmente confusa, in cui tutto si amalgama e si confonde come in
un calderone ribollente. E’ una società in cui in suffisso “auto” è
determinante: autogestione, autodeterminazione, autoliberazione dell’uomo.
“Auto” significa senza di, mancanza
di dipendenza e di autorità, rifiuto di un principio primo a cui ci si
subordina, rifiuto di una paternità: una società in cui si è tutti compagni e
tutti fratelli. Il mito della “fraternità” è uno degli idoli della Rivoluzione
francese; la Nuova Sinistra oggi lo risolleva.
Ma quale fraternità è possibile, senza paternità? Si è fratelli perché
si ha un padre, si ha un principio comune. Se non si riconosce un principio
comune, non c’è fraternità possibile e la società è destinata a finire, come
accade nella Rivoluzione francese, nel fratricidio, in nuove Sarajevo,
facilitate dalle spinte secessioniste, e da una tendenza centrifuga della
società moderna in cui, abbandonati i valori, ognuno cerca solo se stesso. La
nostra forza non sono le nostre persone, sono i principi in cui crediamo:
questi principi sono incrollabili, questi principi hanno un futuro, perché hanno
un presente, perché hanno un passato, perché sono eterni, perché sono fondati
su chi giudicherà un giorno le nostre persone, la società attuale, la storia
nel suo complesso.
7. "La Russia diffonderà nel mondo i
suoi errori”.
Per questo combattiamo, con fiducia
tranquilla nell'avvenire, non dimenticando quanto non può essere dimenticato:
non possiamo tacerlo, non possiamo ignorare che nel 1917, l'anno della
Rivoluzione Comunista. la Madonna apparve a Fatima, in Portogallo, parlò a tre
pastorelli e disse loro che se l'umanità non si fosse convertita, "la
Russia avrebbe diffuso i suoi errori nel mondo”. Chi avrebbe potuto immaginare
in quell'estate del 1917 in cui non governava ancora Lenin, ma governava Kerensky, il Prodi del tempo, chi
avrebbe potuto immaginare a quali "errori" si riferiva la Madonna?
Non si riferiva alla forza militare dell'autocrazarista ormai in dissoluzione:
parlava di errori in un secolo che si sarebbe affermato come il secolo delle
ideologie, dei veleni ideologici. Tutto fu chiaro quando il colosso ideologico
sovietico iniziò la sua espansione nel mondo. Ma tutto è ancora più chiaro
oggi, quando il Molok sovietico si è disintegrato e gli errori si disseminano
nel mondo in maniera subdola ma pacifica, senza bisogno di carri armati. I
missili e i carri armati sono scomparsi (nel senso che sono nascosti, in tunnel
nelle viscere della terra!), è rimasto l'errore allo stato puro e questo errore
prende pacificamente il potere in
Italia. La profezia di Fatima sì compie. Oggi possiamo dirlo: la Russia
ha diffuso nel mondo i suoi errori. Si dice che Lenin, morto drammaticamente di
malattia mentale, tra incubi e allucinazioni, in punto di morte avesse detto:
“ci sarebbero voluti dieci San Francesco per salvare la Russia”. Speriamo che
tanti S.Francesco e tante S. Caterina da Siena sorgano in mezzo a noi e per la
nostra salvezza. A Fatima, la Madonna sapeva bene cosa diceva quando parla
degli errori del comunismo, e sapeva bene, anche cosa diceva quando parlò di un
futuro trionfo del suo Cuore Immacolato, della Chiesa, della Civiltà cristiana;
il futuro, aggiungiamo noi, dell’Italia restituita alla sua fede, alla sua
storia, ai suoi valori. E’ con questa speranza che combattiamo, è con questa
fiducia che guardiamo avanti, oggi, in questa difficile ora della nostra storia
nazionale e mondiale.
ROBERTO DE MATTEI
Bibliografia:
1. G. Napolitano, Intervista sul PCI,
Laterza, Bari 1976, p.12
2. M: Gorbaciov, La casa comune europea,
Mondadori, Milano 1989, p. 291.
3. “Corriere della Sera”, 19.11. 1989.
4. W: Veltroni, La bella politica, Rizzoli,
Milano 1995.
CR 508/01 1996: bilancio di un anno che si
chiude. L'anno che si è chiuso, il 1996, sarà ricordato nella storia come
quello che ha visto i comunisti andare al governo, dopo avere per molti anni
gestito il potere reale. Il Centro
Culturale Lepanto, nel suo manifesto Prodi:
il Kerensky italiano? ha messo in luce come ciò sia avvenuto grazie al
ruolo determinante svolto da consistenti settori della Gerarchia cattolica. Lo
stesso Prodi, però, è diventato oggi il bersaglio delle crescenti proteste
dell'opinione pubblica, indignata per la politica fallimentare di un governo
che, dietro il presidente del Consiglio, ha i suoi veri e non più occulti
artefici nei leader comunisti D'Alema e Bertinotti. Il rischio di una
catastrofe economica, reso sempre più attuale da una pressione fiscale
insostenibile, è di portata europea, ed appare legato proprio alla costruzione
di quell'Europa di Maastricht, che paradossalmente ci viene presentata come la
soluzione obbligata per uscire dalla grave crisi finanziaria che ci attanaglia.
La liquidazione della sovranità degli Stati nazionali, imposta dagli eurocrati
di Maastricht è alimentata dalle spinte secessionistiche, apre in realtà la
strada al caos economico e ad una anarchia sociale che vedrà esplodere i
problemi che già affliggono la nostra società, dal traffico della droga al
crimine organizzato, dai conflitti etnici alle rivolte urbane. Mentre dal Sudan
all'Afghanistan, dal Medio Oriente alla Bosnia, una trentina di guerre o
guerriglie dilaniano il mondo, episodi come la bomba islamica nel metrò di
Parigi e il sequestro nell'ambasciata giapponese di Lima dimostrano come il
terrorismo sia ormai destinato a divenire la terribile “guerra del
futuro". La possibilità di un'offensiva islamica dal Sud del Mediterraneo
e quella di migrazioni incontenibili di popoli slavi da Oriente, rappresentano
intanto due gravissimi pericoli per l'Europa cristiana. Il "nuovo
disordine europeo", ma ormai anche mondiale, di cui abbiamo spesso parlato,
è ormai una tragica realtà. Gli esponenti della nuova sinistra esaltano questo
disordine: una volta falliti i loro progetti di costruzione rivoluzionaria,
essi favoriscono il disordine universale nel quale vedono quel "caos
creatore" che potrebbe rigenerare la società contemporanea. "Soltanto
il disordine può garantire la libertà e la creatività. L'odine è il vero
peccato originale, e genera infelicità: così ha detto Mikhail Gorbaciov durante
il suo viaggio a Roma, alla fine del novembre scorso (cfr. Il Giornale, 20
novembre 1996), nel corso del quale è stato ricevuto con tutti gli onori dal
presidente della Repubblica Scalfaro e dal presidente della Camera dei Deputati
Violante. Davanti al sogno di distruzione che chiude questo secolo e questo
millennio, l'unica alternativa, per la quale ci siamo sempre battuti, resta il
ritorno ai perenni principi della Civiltà cristiana, oggi eclissati, ma mai
tramontati od estinti. Essi indicano la via del nostro futuro, come scriveva
tempo fa Plinio Corrèa de Oliveira: "Sono certo che i principi ai quali
consacrai la mia vita sono oggi più attuali che mai e indicano il cammino che
il mondo seguirà nei prossimi secoli. Gli scettici potranno sorridere. Ma il
sorriso degli scettici non è mai riuscito a sviare la marcia vittoriosa di
coloro che hanno Fede. (CR 508/01/NB96)(25 dicembre 1996, n. 508 Corrispondenza ronana)
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“Se si accetteranno le mie richieste la
Russia si convertirà e vi sarà pace, diversamente diffonderà i suoi errori nel
mondo, promuovendo guerre e persecuzioni alla chiesa; i buoni saranno
martirizzati, il Santo Padre dovrà soffrire molto, diverse nazioni saranno
annientate. Infine, il mio Cuore Immacolato trionferà”. Fatima 1917
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Nella indicazione di quei valori immutabili
ed oggettivi per la gloria di Dio e per la gloria di ogni uomo di buona volontà
DEFINIAMO E PROCLAMIAMO:
1 - La incompatibilità degli ideali di
Giustizia e Verità, con l’attuale
sinistra internazionale.
2 - La costituzione di una nuova sinistra,
FONDATA SUGLI IDEALI ETERNI, indispensabile per la tutela della classe operaia
e per la sopravvivenza della comunità democratica.
3 - Tutti coloro che si sentiranno chiamati a
questo importantissimo ruolo: ovvero rifondare una nuova sinistra (umana,
metafisica, naturale e strutturata nella trascendenza del valore), si
dispongano a costituire Associazioni di Giustizia e Verità con questa finalità
politica. Per poter attraverso la militanza sostituire dall’interno l’anima cattiva
della sinistra con quella buona. -S.
Natale 25 dicembre 1997 ore 9.47.26 am-
Voglio onorare i tanti marxisti idealisti,
che hanno concorso al progresso morale e materiale e che non si sono lordati le
mani di sangue o di fango e che per questo sono stati anche estromessi dal
partito.
DEDICO QUESTO CAPITOLO A MIA MOGLIA CHE CON
IL SUO SACRIFICIO HA RESO POSSIBILE IL MIO
L’uomo filisteo e l’uomo conformista sono, oggi
come ieri, personaggi ubiquitari che non hanno una precisa collocazione
politica o una identità sociale ben definita. Li troviamo tra le fila compatte
di tutti i partiti, tra gli adepti molto numerosi e ben protetti di ogni
confessione religiosa. Il filisteismo e il conformismo sono atteggiamenti di
superficiale allineamento morale e intellettuale, sono disposizioni
psicologiche o attitudini banali e gregarie che coinvolgono il carattere
dell’uomo, il suo comportamento, il suo etos. Grettezza, spersonalizzazione,
paura di pensare in proprio, tendenza a coincidere con il sistema dominante
delle grandi rappresentazioni collettive, rifugio nella anonimia e nella
banalità della chiacchiera che rappresenta l’opinione corrente del momento,
sono questi gli elementi fisiognomici che contrassegnano il volto dell’uomo che
il sociologo americano, David Riesman, ha giustamente rubricato con l’etichetta
tipologia di uomo eterodiretto. Nessuno può dubitare che la lotta di
KierKegaard sia rivolta a difendere il suo cristianesimo scomodo e impervio,
perché tutto modellato sulla figura del Cristo deriso, umiliato, offeso,
percosso e, infine, crocifisso. Kierkegaard, sferza con uguale violenza due
diverse negazioni del Cristo: quella dei nemici che si contrappongono apertamente
alla sua predicazione e quella, non meno pericolosa, dei suoi imborghesiti
seguaci che si rifugiano nel falso di una cristianità accomodante,
compromissoria, benpensante, tutta immersa negli agi e nel comfort di
un’esistenza che non si priva di alcun piacere o divertimento. L’agonia del
cristianesimo non significa per K. un evento metafisico perché la verità si
pone per lui come essere e vita al di sopra della storia. Quando parliamo di
“morte di Dio”, questo distacco dell’uomo contemporaneo dalla religiosità,
questo brusco congedo dal cristianesimo, in registro ateo oppure in registro di
“cristianità” senza autenticità cristiana, senza fede e senza coscienza del
peccato, sono fenomeni storicamente equivalenti e, in qualche modo, paralleli.
Il vero eroismo cristiano, che forse si riscontra molto di rado, è osare di
essere interamente se stesso, un singolo uomo determinato, solo di fronte a Dio
e di fronte alla storia, solo in quest’immenso sforzo e in quest’immensa
responsabilità. Il vero nemico è il conformista. Anonimato e irresponsabilità
sono una malattia che non hanno una virtù guaritrice. (Commento di Remo Cantori
Kierkegaard “La malattia mortale” tascabili economici Newton)
CONGIUNZIONE
INTERFERENZA TRA FEDE E POLITICA. La fede
interroga e critica tutta la vita :"Come possiamo essere credenti nella
società e nella politica" - si chiedono - Ricorso obbligato all'analisi
marxsista o socialista o ad altre
analisi al contempo alle esigenze della fede. Ma l'analisi marxista, come altre
analisi si oppongono alla "fede tradizionale", o sono in
contraddizione su alcuni punti essenziali con la fede più autentica? Ma alcune
esperienze, e quella francese in particolare, in cui l'adesione di un numero
impressionante di lavoratori al socialismo marxista e al partito comunista è un
fatto che merita la massima attenzione. Certo bisogna evitare la
strumentalizzazione ideologica del cristianesimo sia dalla componente
sinistrorsa che da quella destrorsa. Da questo momento non si crre il pericolo
di tramutare la fede evangelica in progetto politico, presentandosi questo "infine, come la forma plenaria e
l'unica legittima di una fede evangelica autentica?"(Ph. Roqueplo,
Expérience du monde: expérience de Dieu? 2° edizione, Le Cerf, Parigi 1968,
p.43.)
CR 513106 CHIESA
CATTOLICA: il card. Biffi critica la cronolatria del mondo cattolico. Invitato
ad inaugurare un ciclo di conferenze sul Decalogo, l'arcivescovo di Bologna
cardinale Giacomo Biffi ha illustrato il primo Comandamento, definendolo come
il Comandamento fondamentale, senza il quale ogni morale resta sospesa nel
nulla e quindi vana... Se Dio c'è, è Lui, e non io, a stabilire che cosa sia
giusto e che cosa sia sbagilato. Il che è senza dubbio irritante, e spiega
perché l'uomo così spesso sogna di essere ateo". Il cardinale ha poi
criticato la mentalità libertaria oggi dominante, secondo cui “è vietato
vietare” i comandamenti quindi riescono particolarmente antipatici. Ma non è
raro riscontrare un po di questa allergia anche nei bravi ragazzi che
frequentano veglie e letture bibliche e, se ne hanno l'estro, simpegnano in
qualche esperienza di solidarietà.
Molti cristiani, infatti, credono di poter
temperare, con un po' dì perbenistica e utilitaristica devozione,
l'intangibilità dei loro gusti e interessi, nel tentativo di costruirsi una
religione personalizzata.
Ecco quindi che sorgono "quei piccoli
idoli, frutto dell'enfatizzazione indebita di alcuni valori", che oscurano
la coscienza contemporanea. Fra questi idoli vanno annoverati l'utilità
economica, il godimento sessuale, il bagliore apparente dei mass-medìa, la
cronolatria (adorazione dell'attualità). Un altro idolo è quello secondo cui
bisogna "andare d'accordo" con tutti: "Basterà al riguardo
ricordare - ha precisato il cardinale - quanto sia antievangelico e rovinoso
l'uso assolutizzato del principio secondo cui 'bisogna guardare più a ciò che
ci unisce che a ciò che ci divide. Se ciò che ci differenzia è la divinità di
Cristo o la Sua Resurrezione, ad esempio, non è giusto non parlarne più per
rispetto dei non cristiani e per amore del quieto vivere". Questo modo di
vedere domina anche la stampa cattolica odierna: "Oggi uno può impunemente
parlare male della Chiesa senza avere il minimo fastidio ecclesiale; ma se si
azzarda a scrivere due righe contro il mondo, deve aspettarsi almeno qualche
tiratina d'orecchi anche da parte dei recensori più benevoli e misericordiosi
delle nostre riviste" (cfr. Avvenire, 15 gennaio 1997). (CR SI 310G/AA97) (1 febbraio 1997,n.513 Corrispondenza romana)
Il sistema consociativo, ha permesso
l’impaludamento della giustizia e del senso dello Stato. Le leggi sono
contorte, lunghe, involute perché ogni loro virgola è il frutto di un
compromesso. Questo porta facilmente a violarle. La punizione legittima che
segue la violazione della norma è percepita come un’ingiustizia, come una
violenza gratuita che il povero ladro, evasore, terrorista, mafioso, magnaccio,
truffatore, corrotto, corruttore devono subire. Le loro colpe complice la lentezza,
se non anche la corruzione della macchina giudiziaria, vengono dimenticate,
annacquate se non giustificate. Puntualmente si levano cori di sanatorie,
condoni, indulti, amnistie e colpi di spugna. Tanta indulgenza è un forte
incoraggiamento al crimine, chi non è stato debitamente punito si organizza
alla grande. Le poche persone oneste che si rendono conto che rispettare le
leggi costa, soldi, ingiustizie, vessazioni, tempo e fatica, comprendono in
fretta che tutto questo si può evitare, perché fra condoni e sanatorie l’Italia
è pur sempre il paese del “ben godi”. Così quando si applicano le sanzioni si
grida allo scandalo da parte delle “vittime” di turno: “perché proprio io, se
tutti rubano?” Con la logica conseguenza
che gli onesti sono invogliati a violare le leggi ed i disonesti sono
sempre più arroganti e finiscono per paralizzare del tutto le istituzioni dello
Stato.
Il
lato opposto di questa medaglia è la morte per fame di milioni di persone.
Le risorse vitali e
primarie non possono essere irresponsabilmente sperperate o inquinate.
A noi ci ha rovinato il benessere. L'altra
notte -ormai la tivù la guardo solo dopo le due- ho visto i funerali di Fausto
Coppi. La commozione della folla è profonda, ma trattenuta, pudica, nessuno
sgangherato applauso accoglie la bara all'uscita della chiesa (come avviene
oggi per riflesso condizionato della società dello spettacolo). Anche i
carabinieri, ragazzi italiani, chiamati a fare un servizio di tutto riposo,
perché la gente è compostissima, han garbo, stile e persino gesti di tenerezza
nell'aiutare qualche vecchina a districarsi fra la moltitudine. Nessuna stupida
parata di autorità, dei personaggi noti si vede solo Gino Bartali,
l'amico-nemico, l'eterno rivale. I volti della folla anonima sono dignitosi,
scabri, asciutti, persino belli nella loro semplicità, il vestito è quello
buono, della festa e delle occasioni speciali, ma non c'è alcuna traccia di
volgarità. Questa della dignità dei volti è una cosa che avevo già notato in
alcuni documentari sulla guerra. Pensavo che fosse la sofferenza a dare
intensità, interesse e bellezza a quei visi. Ma qui, ai funerali di Coppi, nel
1960, i patimenti e la fame sono ormai un ricordo anche se il «boom» economico
è appena iniziato e siamo ancora poveri. Ma resiste ed è largamente diffusa
l'etica, di derivazione cattolica, della «povertà dignitosa»: il povero non è
ancora considerato un reietto, un paria, un relitto della società. Non si
dubita che si possa essere poveri e felici. In quegli anni Albert Camus, nella
prefazione a: Il rovescio e il diritto,
scrive: «Grazie al sole e al mare anche un ragazzo povero può crescere felice».
E l'Italia, non sconciata dalla speculazione edilizia, è ancora il giardino
d'Europa, il tour obbligato d'ogni grande intellettuale del Nord; le coste
liguri, ingentilite dai borghi di pescatori, sono le stesse che alla fine
dell'Ottocento attrassero i ricchi inglesi e americani che vi comprarono le
ville dei nobili decaduti, i Del Carretto, i De Mari, i Doria. E quello di Napoli
è ancora «il golfo più bello del mondo», mentre la camorra è un'accozzaglia di
simpatici guaglioni che si dedicano al contrabbando di sigarette. Le differenze
di classe sono appena percepibili. Fra noi ragazzi erano addirittura
inesistenti. Fossimo figli di borghesi o di proletari, conducevamo tutti, più o
meno, la stessa vita, vestivamo al medesimo modo, facevamo le stesse cose.
Negli ambienti circoscritti in cui vivevamo, la scuola, la strada di sotto e
d'estate, per i più fortunati, i Bagni, era molto difficile apprezzare le
diversità di classe perché, anche se c'erano, non si vedevano. A volte,
raramente, c'era qualche «figlio di papà» che mostrava un po' di lusso ma, in
luogo di essere ammirato, adulato e circuito, era disprezzato come individuo tendenzialinente
poco virile. Un "fighetta". Quel che contava fra noi era chi giocava
meglio al pallone, tirava con precisione di cerbottana e, più tardi, filava con
le ragazze più belle. Ma anche fra gli adulti ostentare la ricchezza era considerato
disdicevole. Il buon Giovanni Rorghi, il patron della Ignis, a cui piaceva
pavoneggiarsi, peraltro in modo molto naif e in definitiva innocente («S’el
custa? Cumpri mi»,) era bersaglio di feroci e allegre prese in giro. Il denaro,
contava, naturalmente, ma c'erano anche altri valori. A noi ci ha rovinato il
benessere. Già nel 1964, alla fine del «boom», si avvertono le prime
incrinature. Eravamo, diventati più grassi e più flaccidi, perché mangiavamo
troppo e andavamo in macchina, presto tramutatasi in status symbol destinato a
marcare, con spietatezza, le differenze. «C'ho giù la Giulia», diceva il
macellaio arricchito e il «da casello a
casello» era già il sintomo d'una nevrosi che in pochi anni ci avrebbe
coinvolto tutti. Oggi siamo sguaiati e volgari come mai siamo stati quando
eravamo poveri. Perché siamo tutti fuori dei nostri panni. Nei nostri vestiti,
negli oggetti che usiamo, nelle informazioni che utilizziamo c'è sempre
qualcosa di troppo, di eccessivo, di disarmonico rispetto alla nostra
personalità. Non siamo all'altezza della sofisticata cultura tecnologica che è
contenuta negli oggetti che ci circondano e che usiamo. Basta guardare in
strada un qualsiasi tipo con il telefonino: è proprio l'oggetto che ha in mano
a sottolineare, per sproporzione, la scimmia ammaestrata che è in lui. E la
volgarità è esattamente questo: essere discrasici rispetto al proprio essere
profondo. Un primitivo non è mai volgare. Perché è in perfetta armonia con la
realtà che lo circonda. Quando negli anni Sessanta viaggiavo per l'Africa,
l'Africa struggente fotografata per l'ultima volta da Gualtiero Jacopetti, mi
colpiva sempre quella che Curzio Malaparte chiama, nella Pelle, «la dignità solitaria del nero», la sua assenza di
volgarità, anche nelle situazioni per noi più barbare. Ancora oggi mi capita di
vedere in qualche aeroporto certe principesse nere, immerse, drappeggiate con
gli abiti tradizionali: sono bellissime e non c'è in loro un briciolo della
volgarità delle modelle che ogni giorno sculano in tutte le capitali dell'Occidente
credendosi fatali mentre son solo delle poverette. È il benessere il nostro
autentico nemico. Insieme al Pil, alle crescite esponenziali e alle scommesse,
di destra e di sinistra, sulle potenzialità infinite della tecnica e
dell'industrialismo. Altro che Marx: sarebbe San Francesco, oggi, il vero
rivoluzionario. Negli anni Sessanta eravamo poveri ma dignitosi. Oggi siamo
diventati volgari e sguaiati. Come una scimmia con il cellulare. (di Massimo Fini, il Borghese 11 marzo 1998
p.98)
Il criminale non è propriamente un uomo. Chi
è propriamente uomo sa dominare i vizi capitali e gli istinti vergognosi della
natura. Forse che chiameremo uomo chi vive per i suoi bassi istinti? Chi non si
sottomette agli ideali assoluti, universali e trascendenti è solo l’animale più
evoluto del pianeta è solo un criminale. Chi vive così è inattendibile, è
egoista fino al crimine ovvero ad un atteggiamento non semplicemente
utilitaristico -visto che cercare il proprio interesse senza danneggiare quello
altrui è legittimo- ma deliberatamente dannoso nei confronti del prossimo.
Forse che io non sento i bassi istinti? Semplicemente li rinnego e mi vergogno
di essi, perché vedo come essi darebbero subitaneamente la morte all’uomo
interiore, a tutto quello che di più importante ho. Mi perderei, perderei me
stesso, la mia esistenza verrebbe succhiata dalla materia e ne assumerebbe il
suo tragico destino: la corruzione, il nulla. Preghiamo e lottiamo per un nuovo
umanesimo eroico. Al di fuori degli ideali assoluti, universali e trascendenti,
al di fuori dei nostri ideali non vi può essere dignità umana, legalità,
civiltà, progresso e felicità. Sono maledetti tutti coloro che non si
sottomettono al valore, ma sottomettono il valore al loro ventre, il loro
destino eterno è l’inferno! Questi disonesti devono ottenere molti castighi,
anche da parte della comunità civile, come già ne ricevono da Dio, che permette
loro tante disavventure e tante malattie.
COSTO DELLA VITA.
Uno Stato metafisico (forte), non si
lascerebbe mai inflazionare. Il costo della vita sarebbe accettabile anche
dalle fasce più povere della società.
LO STATO ITALIANO RITIENE SIMBOLO POLITICO E
COSTITUZIONALE IL CROCIFISSO, INSIEME AL TRICOLORE E ALLA FOTO DEL PRESIDENTE
DELLA REPUBBLICA. SI APPROPRIA DI UN SIMBOLO RELIGIOSO SVUOTANDOLO DEL
SIGNIFICATO DI RAPPRESENTARE UNA RELIGIONE. IL CROCIFISSO TRASFORMATO IN
SIMBOLO POLITICO E CULTURALE, APPARTIENE INDISSOCIABILMENTE ALLA IDENTITà DI UN
POPOLO. Il Consiglio di Stato adunanza 2° n. 63/88 del 27 - 4 - 88 precisa
quanto segue: distingue nettamente il crocifisso dall'IRC e dalla sensibilità
religiosa dei singoli e lo dichiara patrimonio storico-culturale del popolo
italiano. Dichiara che le norme vigenti sono preesistenti ai patti lateranensi.
Dato l'atteggiamento del preside di Trento, impone il crocifisso nelle aule
scolastiche e fa obbligo ai Consigli di Istituto di denunciare il Preside che
si opponga all'attuazione di dette norme.
Art. 118 del Regio Decreto 304 del 1924 n. 965
Art. 119 fa obbligo di richiedere la fornitura
Art 826 cod.
civ. "patrimonio indisponibile"
Art 828 "non può essere sottratto"
Circolare N. 157, Prot. n. 13039/571/GL,
Gab./I, 9 giugno 1988.
Oggi assistiamo a fenomeni di regressione
delle risorse umane, causa di questo è il vivere in una società sempre più
materialista e sempre meno ricca di valori e di punti di riferimento. Si
diventa intolleranti, poco inclini ad accogliere, cioè sempre meno solidali.
Certo il ritmo frenetico di vita, il falso modello di benessere a cui cerchiamo
tutti di corrispondere generano in noi l'ansia, la freddezza, l'indifferenza,
il risentimento, l'intolleranza con una predisposizione all'aggressività.
Questa situazione deforma il nostro animo e lo radicalizza in un processo
progressivo di impoverimento interiore. Così quando questi atteggiamenti
deteriori si radicalizzano anche nel
quotidiano, allora perdiamo la capacità di gioire e di amare e subentra
un'amarezza di fondo che pervade il nostro animo ed il nostro cuore, perdiamo
la dolcezza, la pazienza e la mitezza.. Risalire la china è d'obbligo, risanare
le ferite interiori e ripristinare una nuova qualità della vita diviene una
questione di vita o di morte. Impegnarsi a sorridere anche se non se ne ha
voglia, fermarsi a riflettere e a dialogare. Mostrarsi paziente e benevolo
verso chi si vorrebbe aggredire, convertirsi con violenza alla simpatia quando
spontanea troviamo in noi l'avversione dell'antipatia. Chi ha imparato ad
ascoltare il cuore? Solo il cuore sa vedere e sa capire ciò che è veramente
importante! Il cuore si trova nell'essere, cioè nel patrimonio spirituale di
ogni uomo vero, perché chi non ama non è nessuno. Chi non ama si trova
nell'avere, tutto il suo valore è nel possedere, nel soddisfacimento dei suoi
istinti, così che anche lui si oggettivizza insieme alle sue cose, che poi non
sono sue, in quanto le ha sottratte. Anche la tua vita non è tua perché ti è
stata data da Dio e tu la devi usare aderendo alla sua volontà. Non sa
ascoltare, chi deride il prossimo solo perché non sa esprimersi correttamente.
Non sa dialogare chi non sa ascoltare, perché come un bulldozer va dove lo
spinge il suo interesse e non dove è la Verità che può essere cercata solo con
umiltà…. L'arroganza è il vestito dei cattivi, di chi si crede "il
padrone" e non comprende che è mortale e che "le sue viscere sono
ripugnanti", di chi a parole o atteggiamenti dice: "tu non sai chi
sono io". Maestri di ipocrisia, sepolcri imbiancati, esperti in malizia,
essi scagliano la freccia per colpire nel buio i retti di cuore. Ma costoro a
loro rovina scavano una fossa e cadono nella fossa che loro stessi hanno
scavato, perché alla disonesta prevaricazione è stato posto un termine, che
nessuno potrà passare. La maledizione che essi meritano rimane conservata anche
per i loro discendenti. I malvagi SEMBRANO pasciuti, tranquilli e felici. Ma
sono posti in un luogo scivoloso ad un termine che è loro fissato cadranno. Gli
empi, gli operatori di iniquità… è in questa esperienza terrena che saranno
abbattuti. Non sono infelici avendo rinnegato e pervertito la natura progettata
per amare e per essere in atteggiamento di servizio verso ogni uomo mio
fratello? Com’è difficile per l’uomo trascendere l'animale che è in lui! Per
non disumanizzarmi devo anch'io affrontare, avvolte , una lotta durissima che
sembra schiacciarmi. Ma nella consumazione delle energie resta forse una
piccola voce, una piccola luce, prima di essere spezzato anch'io dalla logica
della violenza, una nuova speranza risorge in me. Sono proprio le tenebre, la
sofferenza a rendere più forti e salde la fede, la speranza con la conseguente
capacità di amare. Ora come una quercia posso rimanere nel "quì ed
ora" della storia senza temere le tempeste. La barbarie viene
istituzionalizzata attraverso la volgarità, la pornografia e i film di terrore,
da parte di chi naturalmente dovrebbe cercare il vero, il bello e il buono ed
invece sceglie il turpe, il brutto, l'osceno. La barbarie diventa costume
quando l'anelito religioso, insopprimibile in ogni uomo, viene vissuto come
superstizione, esoterismo, magia ed occulto. Quante violenze deve subire questa
nostra terra? Fino a quando? L'unica strada è la Speranza, ma già essa è
poesia, ordine, armonia. Una poesia insopprimibile, di tutti e per tutti; non di
alcuni per tutti. Insopprimibile perché la vita è di tutti, quella vita che per
essere viva deve essere poesia. Avvolte l'uomo si sente schiacciato dalla
violenza, dalla arroganza e dalla volgarità. Chi cerca di difendere i valori
fondamentali della vita si trova a sperimentare anche la persecuzione dei
"ben pensanti" di quelli che hanno rinunciato alla spiritualità ed ai
valori autentici che partono sempre dall’uomo e non dalle opinioni. Ma i valori
autentici vanno vissuti e non teorizzati! Chi può sottrarre ai ben pensanti il
criterio di poter giudicare fra valore e valore? Sarà la poesia! Con la sua
forza dirompente e rivoluzionaria a cercare e trovare quell'uomo che si è
smarrito in noi.
Chi osa annientare il popolo curdo?
Chi osa annientare il popolo tibetano? Dio
annienterà lui!
Basta con questo genocidio.
Aiutiamo il popolo curdo.
Aiutiamo tutti i popoli a cui hanno sottratto
la terra. Togliere la terra e come togliere le radici ad un albero.
Come possiamo essere indifferenti? Ordiamo la
immediata restituzione dei territori sottratti affinchè il popolo curdo viva in
pace. Ladri ed assassini restituite la terra al popolo curdo! La comunità
internazionale deve applicare un rigido embargo nei confronti di tutti quei
criminali che soffocano le speranze di libertà di un popolo. La terra
appartiene a tutti gli uomini!