Forse
era la prima versione del Libro, cancellata perché non più
"ammissibile"... Gli imam hanno tentato di distruggere i microfilm
"sacrileghi"; ma qualche teologo inizia a studiarli con metodo
storico.
Il
Caso
Il ritrovamento di antichi manoscritti nello
Yemen rilancia il dibattito sull'origine del sacro testo dell'islam
Parigi.
Maometto sapeva leggere e scrivere?
La maggior parte dei musulmani credono che
il Profeta, del tutto illetterato, abbia ricevuto il suo messaggio direttamente
da Dio, in accordo con la tradizione islamica che lo rappresenta mentre recita
le sure ai suoi prossimi o mentre le detta agli scribi, man mano che gli
vengono rivelate.
Del resto l'espressione da cui deriva il
termine Corano sembra esprimere l'idea di "comunicazione orale", di
"messaggio", trasmesso sotto forma di "recitazione ad alta
voce". Secondo la Sunna, intorno al 610, Muhammad ibn'Abdallah, il
Profeta, si preparava a passare la notte in una grotta del monte Hira, vicino
alla Mecca, quando ricevette l'apparizione dell'arcangelo Gabriele che gli
ordinò: "Leggi! (secondo le diverse traduzioni: "recita", oppure
"prega").
Nel nome del tuo Signore che ha creato,
creato l'uomo da un grumo di sangue". A questa prima
"rivelazione" ne seguirono tante altre, distribuite su 23 anni, dal
612 al 632, data della morte del Profeta.
Nella forma riconosciuta e immutabile, il
Corano è composto da 114 capitoli, o sure, suddivisi in versetti e classificati
secondo un ordine di lunghezza decrescente, tipico di raccolte poetiche o
filologiche del mondo semitico. Per i musulmani il Corano è dunque, è la parola
stessa di Dio, dettata in una lingua araba "inimitabile".
Ma alcune recenti scoperte rimettono in discussione un dogma
accettato ciecamente dall'islam più conservatore. La più interessante riguarda
un'antichissima copia del Corano scoperta a Sanaa, capitale dello Yemen, di cui
parlava il quotidiano Le Monde in un lungo articolo di qualche giorno fa.
Nel 1972, durante i lavori di restauro
della grande moschea Jama'a al-Kabir, uno dei più antichi monumenti dell'islam,
alcuni operai trovarono in un nascondiglio ricavato sotto il tetto un ammasso
di vecchie pergamene consumate dal tempo. Si trattava di una "tomba delle
carte", cioè una "sepoltura" di vecchi testi religiosi ormai in
disuso e che per il loro carattere sacro non è permesso distruggere: una
pratica in uso anche nel mondo ebraico.
Per invito del presidente delle Antichità
yemenite, il ricercatore universitario tedesco Gerard Rudigen Puin potè
esaminarle a fondo ed anche riprodurle su microfilm. Si trattava senza dubbio
di antichissimi manoscritti arabi del Corano: la scrittura, semplice e senza
fioriture, contrasta con la versione ufficiale del Corano, il cui testo viene
presentato senza varianti e circondato da una cornice decorata che ne
sottolinea il carattere unico. La scrittura è in stile hedjazien, in uso alla
fine del VII secolo nella regione di Hedijaz, tra la Mecca e Medina.
Gerard Puin spiega: "Più esattamente
risalirebbe al 680 circa, sotto la dinastia degli Ommiadi di Damasco. In questo
tipo di scrittura non esiste ancora il segno che indica le vocali corte e
neppure i segni diacritici, quei puntini posti sotto o sopra le lettere che
permettono di differenziarne il suono, e distinguere per esempio la
"b", la "n", la"y" e la "t"". Le
conseguenze sono importanti, come spiega lo studioso: "Per questo la parola
"ql" può leggersi sia "di'", sia "egli diceva".
Tutto ciò presuppone che la scrittura
servisse di supporto alla tradizione orale.
In ogni pagina le differenze con la vulgata coranica sono una
decina.
Più interessante ancora la scoperta di un documento che era stato
scritto su una pergamena già utilizzata per un altro testo.
La prima scrittura, che appare nettamente benché fosse stata
lavata, è anch'essa un testo del Corano, tracciato nello stesso stile
arcaico". "Senza dubbio ci troviamo di fronte al più antico testo
coranico conosciuto - spiega il ricercatore tedesco - che è stato cancellato
perché forse non era più ammissibile…".
Le ipotesi di Puin sono semplicemente
sacrileghe per i musulmani sunniti, per i quali il Corano è in qualche modo
"il Verbo di Dio" disceso in terra.
Non stupisce che i microfilm di Sanaa siano stati esposti alla
luce (per fortuna senza gravi conseguenze) quando le autorità dello Yemen si
sono rese conto delle conseguenze di una simile scoperta.
Secondo la tradizione islamica, per evitare che il testo sacro
scomparisse dalle memorie, una prima raccolta di tutti i frammenti della
rivelazione fu compiuta da uno degli scribi di Maometto tra il 632 e il 634.
Ma secondo gli specialisti non musulmani (per i quali i problemi
storici non hanno nulla a che a fare con quelli relativi alla fede) non
esistono le prove archeologiche che il Corano esistesse già alla fine del VII
secolo: nessun testo scritto di quelle epoche è arrivato fino a noi.
Secondo Jacqueline Chabbi, professore a
Parigi VIII, autore di Le Seigneur des tribus (1977), il Corano è stato messo
per iscritto la prima volta sotto il califfo Abd-al Malik a Damasco all'inizio
dell'VIII secolo: a partire da frammenti orali è stato dunque compilato il
"Corano islamico", che si è arricchito di dettagli nel corso dei due
secoli successivi; nel corso dei quali però ha perduto gran parte del suo
colore e della sua forza.
Nonostante il problema della storicità del
Corano si ponga in termini molto più delicati per i ricercatori musulmani,
alcuni di loro incominciano ad infrangere il tabù. Un professore universitario
tunisino, che gode della fama di demolitore di tutte le certezze (ex marxista,
ha pubblicato alcuni articoli in cui nega perfino l'esistenza delle camere a
gas), è autore di un libro uscito in Francia di recente e intitolato Il Corano
è autentico? (editore Sfar).
Benchè credente convinto, Mondher Sfar accetta le conclusioni dei
ricercatori tedeschi e francesi: per lui il Corano è il frutto di
"evoluzioni e variazioni nel tempo"; il che nulla toglie alla sua
origine divina.
Nel mondo di Maometto, intorno al VII
secolo - sottolinea lo storico tunisino - il concetto di autenticità letteraria
non era quella contemporanea: il profeta e lo scriba compiono ognuno la sua
funzione e dalla loro collaborazione nasce l'autenticità.
Per lui Maometto "non ha ricevuto la rivelazione sotto la
forma della dettatura, ma dell'ispirazione". La sua sintesi tra tradizione
e ricerca dimostra che gli studi coranici potrebbero oggi trovare un nuovo
ossigeno e recuperare il tempo perduto, due secoli, rispetto agli studi
biblici.