Ven
22 Novembre 2002 S. Cecilia
Registrati! Sei un nuovo utente di www.CulturaCattolica.it
Vuoi accedere a tutti i servizi, ricevere
le newsletter, colloquiare con i nostri esperti?
Non c'è problema! Registrati subito (è
gratuito!) ed avrai accesso a tutti questi servizi, e tanti altri!
Le centrali di
Maometto
Autore: Giorgio
Paolucci {BOXPDF}
Curatore: Nerella Buggio
Fonte: Avvenire 17.10.99
Le centrali di Maometto
"Spesso
i petrodollari finanziano la costruzione di moschee all'estero.
Il
dialogo? Rimane una necessità, ma non può essere in maschera"
I petrodollari? Più per le moschee che per
aiutare i musulmani poveri. Il confronto con l'islam?
Una
necessità ineludibile, alla quale peraltro l'Europa arriva debole, impreparata
e con una buona dose di ingenuità.
La reciprocità? È come Cenerentola, ma il Principe azzurro ha
altro a cui pensare.
A pochi giorni dagli allarmi risuonati al Sinodo per l'Europa in
corso a Roma, un'analisi impietosa e al tempo stesso appassionata dei rapporti
islamo-cristiani arriva da Samil Khalil Samir, gesuita, egiziano, docente alla
Saint Joseph University di Beirut e al Pontificio Istituto Orientale di Roma,
uno dei massimi esperti del mondo musulmano in campo cattolico.
L'islam si propone sulla scena mondiale con
una forte carica espansionistica. E c'è chi, come l'arcivescovo di Smirne
monsignor Bernardini, arriva a parlare di un "chiaro programma di
espansione e di riconquista".
"Forse non c'è un vero e proprio
progetto elaborato a tavolino, ma sicuramente esistono strategie per il
rafforzamento dell'islam nei Paesi in cui è già maggioritario e per la sua la
diffusione in alcune zone nevralgiche come l'Africa subsahariana, l'Indonesia,
la Malesia e ultimamente l'Europa.
È un fatto che in questi anni alcuni
Paesi-guida, in primo piano l'Arabia Saudita ma in misura minore anche Iran e
Pakistan, hanno stanziato ingenti somme per la costruzione di moschee, centri
culturali, scuole coraniche e hanno formato e inviato personale religioso
all'estero.
L'Arabia
Saudita si ritiene erede del califfato soppresso nel 1924 da Ataturk, e come
tale investita della missione di preservare e diffondere l'islam. Questo scopo,
sia ben chiaro, non viene perseguito con metodi terroristici, ma con la
costituzione di centrali di irradiazione dell'islam che agiscono al tempo
stesso sul piano religioso, sociale e politico.
E si deve purtroppo constatare che i
proventi ricavati dal petrolio, i cosiddetti petrodollari, vengono usati in
minima parte per il sostegno economico dei musulmani indigenti che si trovano
in emigrazione, mentre sono investiti con dovizia nella costruzione di
luoghi-simbolo dell'islam, come è accaduto per la moschea di Roma e di altre
capitali europee".
Che ne pensa dell'esortazione
dell'arcivescovo di Smirne a non concedere ai musulmani una chiesa cattolica
per il loro culto, perché questo ai loro occhi risulterebbe la prova più certa
di apostasia?
"Bisogna chiarire un equivoco che vedo
molto diffuso anche da voi in Italia: la moschea non è una "chiesa
musulmana".
Per il musulmano è molto di più che un luogo di culto, è un ambito
di aggregazione sociale, di rafforzamento della comune identità, di giudizio
sulla società e di rivisitazione di quanto accade alla luce del Corano, spesso
anche di trasmissione di parole d'ordine di tipo politico.
Studiando la storia dell'islam s'impara che
nella moschea sono state prese importanti decisioni o sono partite alcune
rivolte contro le autorità, e non è un caso che in molti Paesi le moschee
vengano presidiate dalle forze dell'ordine in occasione della preghiera del
venerdì.
Né
va dimenticato che secondo il pensiero islamico un luogo reso sacro non si può
più sconsacrare: in Egitto è accaduto che gruppi di fondamentalisti si siano
recati di buon mattino su alcuni terreni della Chiesa copta, abbiano steso il
tappeto e pregato, rendendo di fatto impossibile l'edificazione di una chiesa
su quell'area che con il loro gesto era stata resa sacra all'islam.
Per questo un gesto che, magari in buona
fede, è mosso dalla solidarietà o dall'altruismo, viene vissuto da parte
musulmana come resa, tradimento, implicita ammissione della loro superiorità,
ingenerando pericolosi equivoci".
Ammetterà che si devono comunque affrontare
i nodi connessi ai rapporti con milioni di musulmani che hanno messo radici in
Europa...
"È una sfida lanciata dalla storia, ma viene vissuta secondo
prospettive differenti.
Uno chek musulmano molto autorevole di Beirut, lo sciita
Fadlallah, durante un incontro con i cristiani sosteneva che il sistema
democratico vigente in Europa rappresenta la chance migliore per la diffusione
dell'islam.
In Occidente c'è una situazione che
permette ai musulmani di ottenere importanti riconoscimenti sul piano giuridico
in nome della libertà e del pluralismo, e un clima culturale favorevole: da voi
è rinato l'interesse per proposte forti, che trasmettono insieme certezze e novità,
e si avverte indifferenza verso un cristianesimo disponibile a mille
compromessi.
Per dialogare servono certezze, non mercanteggiamenti, altrimenti
tutto diventa ambiguo e finisce per prevalere chi è più consapevole della propria
identità rispetto a chi è disposto a rinunciarvi, magari sventolando le insegne
della cosiddetta società multiculturale".
Occidente e islam non hanno nulla da imparare l'uno dall'altro?
"L'Occidente porta nel suo Dna valori che possono giovare al
mondo islamico, dove ancora non hanno il posto che meritano: la dignità della
persona, l'uguaglianza di fronte alla legge derivante dal concetto di
cittadinanza; la democrazia; la distinzione (non dico separazione) tra
politica, religione e Stato.
D'altra parte il mondo musulmano è portatore di valori che erano
condivisi in Occidente ma che la secolarizzazione ha fatto dimenticare: per
esempio il fatto che la morale non può essere soggettiva ma che esistono
riferimenti oggettivi, l'importanza della comunità, la necessità di non
dissociare la tecnica dall'etica e l'affermazione che il progresso tecnologico
non significa necessariamente progresso dell'umanità.
Sono convinto che bisogna esercitare la fatica del dialogo ma
insisto: i frutti si possono vedere solo quando i due partner hanno una visione
chiara di cosa sono e di ciò che vogliono.
Il dialogo in maschera è inutile".
Le reiterate richieste di reciprocità per
garantire la libertà di espressione religiosa anche nei Paesi islamici sono
destinate a rimanere lettera morta?
"Anzitutto vorrei sgombrare il campo
da una falsità che continua a circolare: non è vero che in Arabia Saudita non
si possano costruire chiese o celebrare funzioni religiose diverse da quelle
musulmane soltanto perché quella sarebbe la "terra santa dell'islam".
La tradizione ricorda che quando Maometto entra alla
Mecca nel 630 e ordina la distruzione di tutti gli idoli, vedendo una piccola
icona della Madonna con Gesù chiede di risparmiarla.
La seconda falsità è che fuori dall'Arabia
Saudita non ci siano problemi: ricordo solo che in Egitto tra le dieci condizioni
da rispettare per la costruzione di una chiesa c'è l'assenza di una moschea nel
raggio di mezzo chilometro, cosa che costringerebbe a edificare nel deserto,
vista la concentrazione di moschee che si registra nelle città...
Vede, il Papa non si stanca di chiedere la
reciprocità quando incontra gli ambasciatori presso la Santa Sede, ma questo
non basta: sono gli Stati che dovrebbero premere per questo nell'ambito di una
più generale azione in favore dei diritti umani.
Purtroppo, i vostri governanti sono talmente occupati a concludere
affari con i Paesi produttori di petrolio che finiscono per
dimenticarsene...".
Copyright (C) 1995-2001 CulturaCattolica.it
Srl - P.za San Marco 2 - 20122 Milano - Tutti i diritti riservati
Informazioni:
Privacy | Redazione
DWT ASP VERS 1.05 16/04/01