Capitolo
Terzo
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L'APPROCCIO
DELLA
TEOLOGIA CONTEMPORANEA.
KARL
RAHNER
I.
IL SECOLO VENTESIMO
La teologia non si compie nella ripetizione
automatica e neutrale del kerygma, ma vive della corrente che, senza mai
cessare, dal dato della fede come custodito dalla Chiesa fluisce al contesto
culturale in cui l'annuncio deve essere nuovamente posto, attraverso la
mediazione del teologo che - vivendo la propria personale esperienza di fede
all'interno di una determinata comunità ecclesiale ed esercitando il proprio
ministero a servizio di essa - interpreta la memoria ufficiale
dell'evento-Cristo per tradurlo nelle categorie dell'ambiente cui è diretto. Si
realizza così fra i tre poli del dato di fede, dell'ermeneuta e del contesto
culturale un circolo, anzi un triangolo[1], che essendo sempre diverso negli ultimi due
poli, produce il pluralismo teologico, nelle sue varie espressioni. Non ci
stupiremo, pertanto, se anche ad una questione come il Cur Filius homo, apparentemente astratta, avvolta nel freddo
cristallo della speculazione, e dunque insensibile al corso della storia, siano
invece state date date risposte diverse nello svolgersi dei secoli.
Interpelleremo dunque
il XX secolo[2] sul quesito oggetto della nostra ricerca,
approfondendo in modo specifico la posizione di Karl Rahner. Preliminarmente
dobbiamo però notare che sulla trama complessiva della teologia odierna si
possono individuare due fili dal colore più decisamente marcato, due approcci
al discorso su Dio, che costituiscono altrettanti costanti paradigmi
metodologici.
Un primo approccio, che
potremmo definire "dall'alto", manifesta sfiducia verso il parlare
umano su Dio. Occorre lasciare che sia Dio a parlare di se stesso, rispettando
intatta la sua alterità, cioè in ultima analisi la sua divinità. È evidente
dunque che nel "triangolo" ermeneutico di cui si è detto all'inizio,
il primato assoluto venga conferito al dato, cioè alla Rivelazione,
all'evento-Cristo come custodito nella memoria vivente della Chiesa. Il metodo
ha uno stile piuttosto deduttivo, che
parte cioè dalle premesse della Scrittura o del Magistero e ne sviluppa tutte
le possibili implicazioni. Nel cammino dal noto al meno noto, resta tuttavia un
po' in ombra la ricchezza della storia col suo vivo travaglio e il pluralismo
di interpretazioni concorrenti che già nel dato normativo possono essere
rintracciate. Si annodano attorno a tale corrente -per fare alcuni nomi- Barth,
Bonhöffer, von Balthasar. Nel Magistero cattolico tale approccio viene
adoperato ad esempio dalla Lumen Gentium.
L'altro approccio è
invece "dal basso", sollecito di valorizzare tutti gli addentellati
che nella realtà umana sottolineano l'apertura all'assoluto e rappresentano in
qualche modo una predisposizione a riceverne l'irruzione. Nel
"triangolo" viene aumentata dunque la rilevanza dell'altro polo,
quello del contesto, dell'ambiente storico, culturalmente e geograficamente
caratterizzato, in cui il kerygma dev'essere incarnato. Nello stile induttivo di tale metodo prevale un
atteggiamento più ottimista nei confronti della cultura e dell'esperienza, una
disponibilità fiduciosa a coltivare il dialogo e a restare in contatto con la
realtà. Possiamo additare in Schleiermacher il primo anello moderno di una tale
linea, che poi si snoda ad esempio attraverso Gogarten e Theilard de Chardin,
per arrivare sino alla teologia della liberazione dei giorni nostri.
Nell'ambito magisteriale, è un bel campione la Gaudium et Spes[3]. A tale secondo approccio si può
complessivamente ricollegare, ma senza unilateralismi, anche l'opera teologica
di Karl Rahner.
II. KARL RAHNER
1. La figura e l'opera
Karl Rahner[4] nasce a Friburgo in Brisgovia il 5 marzo
1904. In gioventù partecipa al movimento del "Quickborn", di cui è
ispiratore Romano Guardini, e si stringe in amicizia con Pier Giorgio Frassati.
Dopo la maturità, conseguita nel 1922, entra nella Compagnia di Gesù, e nel
1932 viene ordinato sacerdote. Dal 1934 al 1936 prepara il dottorato in
filosofia a Friburgo, seguendo gli insegnamenti -tra gli altri- di M.
Heidegger.
Passa in seguito alla
teologia, conseguendo il dottorato e l'abilitazione ad Innsbruck nel 1937, ove
inizia anche l'insegnamento. Nel 1939 i nazisti sopprimono la Facoltà, e Rahner
si rifugia prima a Vienna, lavorando presso l'Istituto pastorale, e poi nella
Baviera, esercitandovi il ministero parrocchiale. Terminata la guerra, nel 1945
riprende l'attività di docenza a Pullach e due anni dopo a Innsbruck. Oltre che
sulla cattedra, l'attività rahneriana si sviluppa in una grande mole di
conferenze, specialmente presso la Görres-Gesellschaft
sui rapporti tra teologia e scienze naturali, e presso la Paulus-Gesellschaft in dialogo con i filosofi marxisti.
L'ostilità di certi
ambienti gli vale alla vigilia del Concilio la proibizione di scrivere, ma
presto ottiene una riabilitazione piena da Giovanni XXIII che lo nomina perito
conciliare, permettendogli così di offrire un contributo determinante
all'evento del Vaticano II. Nel 1964 succede a Guardini nella cattedra di fiolosofia
della religione a Monaco, e l'anno successivo fonda insieme a E. Schillebeeckx
la rivista Concilium. Passa quindi
nella Facoltà di Münster in Westfalia sino al 1971, allorché ritorna a Monaco
presso la Hochschule für Philosophie. Nel 1969 Paolo VI lo aveva eletto membro
della Commissione Teologica Internazionale. La morte ne spegne l'esistenza in
una clinica di Innsbruck il 30 marzo 1984.
Non vogliamo neppure
tentare una rassegna completa delle opere di K. Rahner, ricca di oltre tremila
voci[5]. Segnaliamo solo i riferimenti
imprenscindibili, cominciando dalla tesi di dottorato in filosofia, Geist im Welt[6], interpretazione dell'antropologia tomista
alla luce di Kant, degli idealisti e di Heidegger. Un ponte tra filosofia e
teologia è rappresentato dal celebre Hörer
des Wortes[7], in cui si tenta di fondare una filosofia
della religione che apra alla rivelazione senza però condizionarla o
predeterminarla.
Più che in opere dalla
grande mole, il talento di Rahner si è espresso in saggi di dimensioni mediamente
modeste, ma dalla ferrea coerenza sistematica e dalla enorme potenza
speculativa. Fondamentale è perciò la raccolta degli Schriften[8]. Nella costellazione del suo impegno trovano
però posto anche la direzione della collana Quaestiones
disputatae[9], la riedizione del Lexikon für Theologie und Kirche[10], la progettazione del cospicuo Handbuch per la teologia pastorale[11], la cura dell'enciclopedia divulgativa Sacramentum Mundi[12] e i fondamentali contributi nel Mysterium Salutis[13].
Vanno infine menzionati
il testo di cristologia nella duplice prospettiva filosofica ed esegetica[14], e il Grundkurs
che può essere considerato una ricapitolazione sintetica del suo pensiero, vera
e propria summa della teologia
rahneriana[15].
2. Il metodo trascendentale di Karl Rahner
Leggendo i testi del
gesuita tedesco, si ricava l'impressione di trovarsi dinanzi ad una di quelle
maestose composizioni musicali, ad esempio di Brahms, in cui un tema viene
annunciato al principio con poche sobrie e ben marcate battute, per essere di seguito
svolto in una serie di variazioni che lo sviluppano in una molteplice varietà
di sfumature sino a costruire un'architettura sonora stupefacente. Così nella
teologia di Rahner alcune primordiali e potentissime intuizioni -sempre uguali
nella sostanza e sempre diverse nel contesto- determinano una struttura
concettuale assolutamente unica per l'originalità delle proposizioni e per la
fecondità degli sviluppi possibili.
Dovremo perciò
sottrarci alla tentazione di esaminare l'intera serie delle "variazioni",
per trattare molto selettivamente il "tema", concentrandoci sugli
scritti in cui esso viene affrontato per la prima volta e più
significativamente esposto. Alcune proposizioni che esamineremo nei paragrafi
successivi, non risulterebbero però chiare se non premettessimo una
illustrazione sintetica del metodo rahneriano, se non chiarissimo cioè in che
cosa consiste il suo metodo
trascendentale.
Da Kant in poi si
definisce "trascendentale" la riflessione sulle condizioni di
possibilità di un oggetto di conoscenza, condizioni residenti nello stesso
soggetto conoscente. Anche Heidegger sottolinea che l'interrogativo
fondamentale della metafisica, quello sull'essere, è contemporaneamente anche
un interrogativo su colui che pone la domanda, e dunque sull'uomo.
Alla luce di tali
premesse, Rahner sostiene che gli enunciati fondamentali della fede non possono
essere presentate in un modo estraneo alla mentalità e alla cultura dell'uomo
contemporaneo, perché comunque nelle affermazioni di fede l'uomo viene co-affermato.
Ogni affermazione su Dio è infatti anche un'affermazione sull'uomo. Ad esempio
il mistero dell'incarnazione implica certamente una teologia del Verbo, ma
anzitutto del Verbo incarnato, del Verbo fatto uomo, così che non potrebbe
intendersene nulla se prima non si sia fino in fondo inteso chi sia l'uomo[16]. Analogamente il mistero della Trinità non
può essere descritto nella sua dimensione immanente se non innalzandovisi dalla
dimensione economica, a partire dall'autocomunicazione nella grazia, e dunque
ancora dall'uomo e dalla sua concreta esperienza del rapporto col Dio uni-trino[17]. Teocentrismo, cristocentrismo e
antropocentrismo sono sempre reciprocamente compenetrati.
Il metodo
trascendentale significa dunque tenere presenti le strutture antropologiche,
per rendere più comprensibili i contenuti teologici;
"significa
chiedersi di fronte a qualunque oggetto dommatico anche quali siano le
condizioni della sua conoscibilità nel soggetto; significa dimostrare
l'esistenza di tali condizioni apriori per la conoscenza dell'oggetto; indicare
come e perché esse implichino e affermino, già di per se stesse, alcunché
sull'oggetto, sul modo, metodo e limiti della sua conoscenza"[18].
Occorre però ribadire
che tale metodo intende mostrare meglio l'intelligibilità
e non coinvolgere la deducibilità dei
contenuti della fede dalla condizioni del soggetto conoscente. Ci si pone -per
così dire- con la Rivelazione alle spalle, e alla luce della Rivelazione stessa
-a posteriori dunque, e non a priori- si scoprono le corrispondenze tra la
Parola che Dio porta e la struttura di colui che è destinato ad esserne
l'uditore. Dall'analisi dell'uditore non si può dedurre la Parola, ma la Parola
si intende meglio se ci si accorge che l'uditore è strutturalmente predisposto
a riceverla. Accorgersi della corrispondenza tra il soggetto e l'oggetto della
teologia aiuta a intendere meglio entrambi.[19].
Così correttamente
inteso il metodo trascendentale, appaiono infondate le critiche di quanti
rimproverano una non adeguata tutela dell'assoluta novità
dell'autocomunicazione di Dio nella economia della rivelazione e specialmente
nella incarnazione, come vedremo meglio nelle pagine successive. Inoltre i
rischi della prospettiva che parte dal
basso cioè dall'esame del soggetto antropologico nella sua struttura
concreta e nella sua apertura ad un evento di salvezza, vengono riequilibrati
dalla compresenza nell'opera rahneriana anche di una prospettiva dall'alto,
più attenta cioè alle radici bibliche e alla persona storica di Gesù. A tale
approccio "discendente" appartiene appunto il primo testo che
esaminiamo.
3. L'incarnazione come disvelarsi della Trinità
Rahner si occupa
dell'argomento che forma l'oggetto della nostra ricerca in più passaggi dei
suoi testi. Scegliamo di concentrarci anzitutto sul saggio Zur Theologie der Menschwerdung[20], pubblicato nel 1960.
Il teologo gesuita
sviluppa una meditazione sugli elementi della proposizione di Gv 1,14 "o Logo sarx egeneto", esaminandoli ciascuno
nel suo valore e traendone ogni
necessaria conseguenza, a partire dal fatto che il mistero dell'incarnazione
sta al fondamento della fede cristiana e che solo in esso ci si schiude il
mistero della Trinità.
Egli osserva
preliminarmente come, secondo l'opinione comune, si ritenga normale che ognuna
delle tre divine persone si sarebbe potuta incarnare, se solo l'avesse voluto.
È un riferimento alla tesi medievale, e anche bonaventuriana, a cui abbiamo
dedicato il secondo capitolo. In tale prospettiva, non appare necessario
scoprire se abbia o meno un significato peculiare l'essere stato proprio il
Verbo protagonista dell'autocomunicazione immanente di Dio. Il soggetto della
proposizione giovannea rimane totalmente in ombra.
Ma Rahner si propone di
scavalcare tale tradizione, per tornare alla impostazione pre-agostiniana:
"Se
infatti è contenuto nel significato e nell'essenza propria del Verbo di Dio che
esso, e soltanto esso, è quello che
inizia e può iniziare una storia umana nel caso che Dio si assimili il mondo in
modo tale che questo divenga non soltanto opera sua e da lui staccata, bensì la
sua realtà (come la sua «natura» assimilata, oppure l'«ambiente» che
necessariamente è dato con lui), allora capiamo che cosa è l'Incarnazione
soltanto se sappiamo ciò che è propriamente il Verbo di Dio, e capiamo sufficientemente che cosa è il Verbo di Dio soltanto se sappiamo
che cosa è l'Incarnazione"[21].
Seguiamo dunque la
suggestiva meditazione nell'articolarsi dei suoi momenti, segnalando che però i
tre termini dell'enunciato giovanneo vengono esplorati in ordine opposto alla
disposizione del prologo.
1. L'uomo. Viene inteso non in senso astratto, ma specifico e
quotidiano: l'uomo come ciò che è ciascuno di noi, nel modo in cui ci
sperimentiamo a partire dalla nostra interiorità o dal contatto con gli altri.
Ora, l'uomo è definibile in molti degli elementi singoli da cui risulta
costituita la sua identità, e le scienze moderne hanno registrato progressi
vertiginosi nella scrutazione degli svariati aspetti particolari. Rimane però
indefinibile nella sua essenza, insuscettibile di essere circoscritto in ciò
che ne qualifica l'identità profonda. L'uomo è per essenza un mistero, non però
nella forma originaria di questo, ma in quanto orientato a questo. L'uomo è
dipendenza dal mistero nella sua pienezza, è orientamento al Dio
incomprensibile, e in tanto può comprendere se stesso, in quanto sviluppa tale
radicale dipendenza col "Santo Mistero" che è Dio. "La trascendenza
che noi siamo e facciamo avvicina l'esistenza nostra e di Dio ed entrambe come
mistero"[22].
Se
dunque la natura umana -per usare un
gioco di parole- è definibile come indefinibile, come dipendenza
radicale dal mistero di Dio, tanto più essa si realizza quanto più si sviluppa
nella propria apertura all'Incomprensibile. L'uomo tanto più diventa se stesso,
quanto più si apre a Dio.
"Ma
questo appunto accade e riesce in misura insuperabile e nel rigore più
radicale, quando questa natura donandosi al mistero della pienezza è così
privata di sé da divenire Dio stesso. L'incarnazione di Dio è perciò l'unico
caso supremo della realizzazione
essenziale della realtà umana, realizzazione consistente nel fatto che l'uomo
è, donando completamente se stesso"[23].
Per cui si può affermare
che l'uomo non tanto ha una potentia oboedientialis, facoltà accanto
alle altre facoltà, ma è tale potentia oboedientialis. La capacità di
ricevere Dio costituisce l'essenza dell'uomo e giunge ad esplicarsi nel grado
massimo nell'unione ipostatica, ove non soltanto l'uomo si apre a Dio, ma Dio
prende in sé l'uomo. D'altronde, occorre rilevare che nell'umanità del Verbo
incarnato non sussiste una vicinanza a Dio essenzialmente diversa da quella che
si può realizzare in ogni uomo. Tra l'unione ipostatica e l'auto-comunicazione
divina nella grazia e nella visione beatifica intercorre una differenza che
investe non il contenuto promesso, ma -seppure decisivamente- il latore e i
destinatari della promessa[24].
Rahner avverte a questo
punto l'insorgenza di due pericoli. Il primo è quello di ritenere che
l'incarnazione sia un qualcosa di deducibile a priori, indipendentemente dalla
Rivelazione. Il secondo pericolo è credere che l'unione ipostatica possa
realizzarsi in ogni uomo. Entrambe le tentazioni vanno respinte. Resta però
vero che l'uomo si colloca in attesa dell'avvenimento che in Dio stesso conduca
a compimento la propria natura. Egli scorge nella propria struttura una tale
profonda aspirazione, e resta in preghiera perché questa venga colmata. Così
che quando i suoi occhi incontrano Gesù di Nazareth, l'uomo scopre un evento
imprevedibile rispetto al 'come', al 'dove', al 'quando', ma non rispetto al
'che cosa'. Gesù Cristo sorprende l'uomo quando al 'das', non quanto al 'was'[25].
2. Il divenire di Dio. La fede professa Dio come colui che è, tout-court, insuscettibile di divenire,
perché non bisognoso di conseguire per mezzo del mutamento, nel passaggio dalla
potenza all'atto, ciò che egli già eternamente è. Tale fede, ch'è anche una
tesi di filosofia teista, si scontra però col dato biblico: o logo sarx egeneto,
il Verbo è diventato uomo. Come può
dunque colui che è immutabile e perfetto diventare qualcosa? Né scioglie
l'aporia la risposta tradizionale per cui nell'unione ipostatica il mutamento
concerne la umanità creata e assunta e non il Logos divino che assume, il quale
rimarrebbe così senza variazione. È proprio il Logos, secondo il prologo
giovanneo, che diventa qualcosa, "la storia dello sviluppo di questa
realtà umana diviene la sua storia,
il nostro tempo il tempo dell'eterno, la nostra morte la morte dello stesso Dio
immortale"[26]. La precomprensione filosofica di Dio,
descritto da una metafisica di attributi astratti, deve piegarsi alla realtà
che Dio stesso di sé rivela nella storia della salvezza.
L'incarnazione
manifesta dunque che "Dio può diventare qualcosa, colui che in se stesso è
immutabile può essere mutabile nell'altro"[27]. Ma il divenire di Dio non è da intendersi
come un segno di finitudine o imperfezione. Esso si fonda sulla capacità di
amare e di autodonarsi, di farsi finito senza cessare di essere Dio. Il
divenire di Dio dimostra anzi che la perfezione somma è diventare più di ciò
ch'egli eternamente è. L'infinitamente non-relativo ha la possibilità di
auto-alienare se stesso, di donare se stesso, assumendo l'altro nella propria
realtà. Precisamente in ciò sta l'amore di Dio, il quale "poiché vuole
avere l'altro veramente come suo, lo costituisce nella sua vera realtà"[28]. Anzi la stessa facoltà creatrice di Dio, cioè la capacità di costituire
l'altro dal nulla, si colloca su un piano ulteriore rispetto al piano
originario a cui appartiene il suo poter entrare nella storia, non per
hegeliana necessità ma per amore e liberamente.
3. È il Logos che si è incarnato. A partire da tale volontà di
relazione, Rahner afferma che Dio, nel porre la creatura, la forma come
"la grammatica di una possibile autodichiarazione"[29]. E con ciò si tocca il cuore della nostra
ricerca, perché sulla base di tale postulato ci viene offerta una risposta alla
domanda sul motivo per cui
"proprio
il Logos di Dio si fece uomo ed egli soltanto lo può diventare. L'immanente
auto-asserzione di Dio nella sua eterna pienezza è la condizione
dell'auto-asserzione di Dio fuori di sé e questa continua quella. Per quanto la
pura posizione dell'altro, diverso da Dio, sia opera di Dio in modo assoluto,
senza differenza di persone, la possibilità della creazione può bensì avere il
suo prius ontologico e il suo fondamento nel fatto che Dio, l'ingenito, esprime
se stesso in sé e per sé e pone così la distinzione originaria divina in Dio
stesso. E quando questo Dio esprime se stesso nel vuoto, questa espresssione è
espressione di questa sua Parola immanente, e non una qualsiasi che potrebbe
convenire pure ad un'altra persona divina"[30].
Il Cur Filius homo trova qui la spiegazione più adeguata: l'immanente auto-asserzione di Dio è la
condizione dell'auto-asserzione di Dio fuori di sé. Se Dio vuole esprimere
se stesso nel vuoto del non Dio, non può che farlo sttraverso colui che già
nell'ambito immanente è la sua auto-espressione, cioè attraverso il Verbo. Fra
Trinità economica e Trinità ontologica v'è una corrispondenza, e il disvelarsi
di quella nella storia della salvezza corrisponde e rispecchia la vita intima
di questa, trovandovi il fondamento ineliminabile e perenne. Il Verbo si è
fatto carne, e non il Padre o lo Spirito, perché la Trinità economica è la
Trinità immanente, potremmo affermare in modo sintetico. E con ciò l'obbiettivo
in senso stretto della nostra ricerca potrebbe già dirsi raggiunto, e la
ricerca stessa conclusa.
Ma v'è un obbiettivo in senso
ampio, che racchiude quello in
senso stretto, in un rapporto di illuminazione reciproca. Abbiamo dunque
bisogno di completarne l'esplicitazione, sviluppando dal principio posto tutti
i corollari conseguenti. Seguiamo perciò ancora un poco Rahner nel suo
itinerario.
4. L'uomo come cifra di Dio. Ebbene, per il teologo gesuita poiché la
creatura è la grammatica di una possibile autodichiarazione di Dio, l'incarnazione
del Logos dimostra che -per quanto ci sarebbero potuti essere degli uomini
anche senza l'evento fattuale dell'incarnazione- essi non esisterebbero però
senza almeno la possibilità dell'incarnazione. Pare di cogliere l'eco
venerabile della tradizione patristica migliore e più antica, ad esempio di
Ireneo di Lione: "poiché preesisteva il Salvatore, doveva venire
all'esistenza anche ciò che doveva essere salvato"[31]. Di più: la rivelazione del Verbo, prima
ancora che nella predicazione, nei miracoli, nella croce e nella risurrezione,
inizia nella stessa umanità di Gesù, in quanto automanifestazione di Dio nella
sua autoespressione[32].
"Di
qui -sospingendo l'uomo nel suo mistero supremo e più oscuro- si potrebbe
definire l'uomo come ciò che sorge allorché l'autoespressione di Dio, la sua
Parola, viene lanciata per amore nel vuoto del nulla senza -dio; si è chiamato
il Logos incarnato il verbo abbreviato di Dio. L'abbreviazione, la cifra di Dio
è l'uomo, vale a dire il Figlio dell'uomo e gli uomini che in fondo sono perché
diveva esserci il Figlio dell'uomo. Se Dio vuol essere non-dio, sorge l'uomo,
proprio lui e null'altro"[33].
Giunge così a felice
compimento il proposito rahneriano di mostrare che il cristianesimo non solo
non contrappone Dio all'uomo, ma annuncia Dio come il fondamento e il
compimento assoluto dell'uomo. La fede nel Verbo incarnato aiuta -e costringe
al tempo stesso- a tenere lo sguardo rivolto insieme su Dio e su l'uomo. L'uomo
Gesù è infatti l'uomo più perfetto, più libero, più autonomo, più aperto agli
altri proprio perché è l'uomo più unito a Dio e a cui Dio si è donato con
maggiore completezza. In lui scopriamo che nella creatura il rapporto tra la
radicalizzazione della
disponibilità e lo sviluppo dell'autonomia non è inversamente, ma direttamente
proporzionale. Cristo, che rimane il frutto più libero della iniziativa divina,
ci rivela Dio e contemporaneamente ciò che l'uomo può diventare quando si
abbandona senza limitazioni a Dio. "La cristologia è l'inizio e il fine
dell'antropologia e questa antropologia nella sua più radicale realizzazione,
cioè la cristologia, è in eterno teologia"[34].
Ricapitolando, si è
fatto uomo il Verbo perché - considerando il tema, in un certo senso, dal basso - tra l'uomo ed il Verbo c'è
una connessione strettissima, essendo la natura umana la grammatica attraverso
la quale Dio può pronunciare il Verbo al di fuori di sé. La grammatica stessa
viene posta nella prospettiva della pronuncia del Verbo, così che la
possibilità della creazione si appoggia sulla possibilità dell'incarnazione,
anche se dalla effettività di quella non si può in alcun modo dedurre la
necessità di questa. Inoltre - considerando il tema dall'alto - si è fatto uomo il Verbo perché l'autoespressione
divina nella carne dipende proprio dalla particolarità della seconda persona,
dalla posizione del Logos nella Trinità immanente. Il fondamento profondo del Cur Filius homo si trova nel nodo fra
economia e vita intima di Dio. Tale fondamento dobbiamo perciò osservare più da
vicino.
4. Il rapporto fra Trinità economica e Trinità immanente
Nel 1960 il teologo
gesuita pubblica il saggio Bemerkungen
zum dogmatischen Traktat «De Trinitate»[35], un'autentica pietra miliare nella dottrina
trinitaria del XX secolo, riferimento imprescindibile per tutti coloro che si
impegnano in tale problematica.
Osservazione iniziale è
la pratica irrilevanza totale della Trinità nella pietà dei cristiani.
Nonostante sia esistita un'autentica mistica trinitaria, e nonostante gli sforzi
di alcuni teologi per introdurre tale mistero nella quotidianità della fede,
nei fatti la maggioranza dei cristiani vive un monoteismo pratico, tanto che
non ci sarebbero mutamenti significativi nella letteratura religiosa, se dalle
sue pagine dovessero stralciarsi i riferimenti alla Trinità. La più vistosa
conseguenza di tale situazione riguarda immediatamente il cur Filius homo.
"Infatti
oggi, parlando dell'incarnazione di Dio, lo sguardo mira teologicamente e
religiosamente soltanto al fatto che "Dio" si è fatto uomo, che
"una" persona (della Trinità) si è incarnata e non al fatto che
questa persona è proprio quella del Logos (...). Di fatto il cristiano medio
non comprende di più di una cristologia moderna, scientifica e completa, nella
quale rimane in secondo piano quale
sia con esattezza la divina ipostasi che ha assunto la natura umana. La comune
dottrina attuale che vige nelle scuole (...) si chiede che cosa significhi che
Dio si è fatto uomo, non però che cosa significhi in particolare che il Logos,
proprio in quanto tale, distinto dalle altre divine persone, si sia incarnato.
Ciò non desta meraviglia. Da Agostino in poi (contro la tradizione a lui
precedente) è cosa più o meno pacifica tra i teologi, che ognuna delle divine
persone (se fosse liberamente voluto da Dio) potrebbe incarnarsi e che perciò
l'incarnazione di questa determinata persona non esprima nulla circa l'intima
particolarità divina propria di questa
persona"[36].
La
"neutralità" della teologia dell'incarnazione trascina con sé altre
conseguenze. Abbiamo già accennato alla assenza del mistero trinitario dalla
pietà privata dei fedeli. Ma si registrano altri influssi ad esempio nella
teologia liturgica, che insegna come la Preghiera del Signore e l'Eucarestia si
rivolgano -a dispetto delle parole che vi compaiono e del tenore letterale-
ugualmente e direttamente alle tre divine persone. Anche la teologia della
redenzione concepisce il sacrificio di Cristo come diretto senza differenze
alla Trinità, mettendo del tutto in ombra che a rendere soddisfazione fu precisamente uno dei
Tre fattosi uomo. La stessa dottrina della grazia è neutra e non del Verbo
incarnato, di fatto monoteistica perché non articolata triadicamente. Il Cristo
di cui si dice che ha meritato la grazia è genericamente il Dio-uomo, e la
grazia è gratia Dei, non gratia Verbi incarnandi. Effetti
analoghi si producono nella dottrina su sacramenti, sulla protologia,
sull'escatologia. Il mondo creato non recherebbe in sé alcuna traccia della
vita trinitaria intima, e l'insegnamento medievale sui vestigia e sulla imago
non sarebbe che una speculazione superflua. D'altronde perfino nel magistero si
è talvolta infiltrato un linguaggio che parla di una divina essentia come oggetto della visione di beati [37].
Dopo aver descritto il
panorama a lui contemporaneo, Rahner svolge alcune osservazioni sulla
collocazione del De Trinitate all'interno della dommatica e la
necessità di una costante pericoresi fra tutti i trattati e di una completa
lettura in termini trinitari di essi[38]. Poste tali premesse, la sua speculazione
affonda nel cuore del problema.
La Trinità è il mistero
per eccellenza, ma reca in sé una dimensione salvifica, che per l'uomo è
determinante. Se infatti la Trinità non avesse alcun rilievo per noi non ci
sarebbe stata neppure rivelata. Tutto ciò, afferma il teologo gesuita, si può
condensare in una proposizione fondamentale: "La Trinità
"economica" è la Trinità
immanente, e viceversa"[39]. Ora, esiste un caso in cui l'identità
dell'assioma è una verità di fede definita, ed è il caso dell'unione
ipostatica. Colui che si è fatto uomo, infatti, non è genericamente uno della
Trinità ma precisamente il Verbo. Dunque siamo di fronte ad una missione, cioè
ad un'attribuzione nella dimensione economica che non è solo appropriata ma propria
della seconda persona. Infatti
"qui
fuori della vita divina immanente, proprio nel mondo, succede qualcosa che non
è semplicemente avvenimento del Dio tripersonale in quanto uno, il quale agisce
nel mondo in causalità efficiente, ma che conviene soltanto al Logos, che è
storia di una persona divina distinta dalle altre divine persone"[40].
Ma quanto accade in
questo caso può con piena legittimità essere assunto come paradigma di un
apporto più ampio. Sono infatti da respingere sia (a) la tesi secondo cui
quanto concerne la dimensione economica, può applicarsi alla Trinità
considerata nel suo insieme e ad ognuna persona considerata per sé; sia (b) la
tesi per la quale nella dottrina trinitaria possono formularsi proposizioni
soltanto riguardo alla dimensione economica. Invece, secondo (c) la tesi di
Rahner, fra il Dio in se e il Dio extra se non sussiste una differenza
reale[41]. L'asserto viene confermato ricavando da tre
obiezioni altrettanti positivi postulati. Li esamineremo, avvertendo il lettore
che ne abbiamo lievemente riordinato la distribuzione rispetto all'originale,
per semplificarne la comprensione.
a. L'incarnazione come paradigma di un rapporto generale
Si obietta che l'unione
ipostatica non potrebbe essere presa a paradigma di un rapporto più ampio,
perché in Deo omnia sunt unum ubi non
obviat relationis oppositio (DS 1330). Ogni relazione propria di una
persona al mondo potrebbe avvenire solo attraverso un'unione ipostatica, perché
solo così ciò che è proprio alla persona -cioè appunto l'essere persona- si
realizzerebbe nell'ambito extra-trinitario. Ma essendoci di fatto l'incarnazione del solo Logos,
questa non può dir nulla sulle altre persone, se non che anche esse potrebbero
incarnarsi.
Rahner considera questa
tesi tout court come non dimostrata nei suoi presupposti. Non si tratta
del resto di dedurre in modo automatico dal semplice fatto dell'incarnazione la
possibilità di altri casi di identità fra Trinità immanente e Trinità
economica, come potrebbe essere l'incarnazione delle altre due persone. Infatti
"solamente con motivi teologici,
dal fatto che esistono altri casi di una tale compenetrazione di Trinità
economica ed immanente, si dimostra che l'incarnazione può valere come caso di
tale identità"[42].
b. L'Incarnazione e le relazioni intratrinitarie
Una seconda possibile
obiezione nega che l'incarnazione del Logos riveli alcunché sul suo intrinseco
essere divino. Nel presupposto che ogni persona divina potrebbe incarnarsi, il
fatto che a farsi uomo sia stata esattamente la seconda persona divina ci fa
fare esperienza di Dio in generale, di Dio in senso neutro. L'umanità di Gesù
non ci avrebbe comunicato niente di diverso, se soggetto dell'unione ipostatica
fosse stato il Padre o lo Spirito Santo. L'incarnazione non reca in sé -in ultima
analisi- una rivelazione trinitaria, e nella immanenza non ci viene comunicato
nulla di specifico sulla vita intima dei Tre.
A tal punto, il teologo
gesuita affronta direttamente la tesi della possibilità dell'incarnazione di
ogni persona e la confuta, riallacciandosi alla tradizione pre-agostiniana,
sviluppando alcuni punti in successione.
1. La
funzione di auto-espressione del Padre viene svolta nel tempo e nello spazio
dal Verbo, perché egli è l'auto-espressione del Padre nell'eternità.
"Il
Padre, in quanto senza principio, è per definizione colui che è invisibile, che
si rivela ed appare proprio dicendo il suo Verbo nel mondo; questi [il Verbo] è
per definizione intratrinitariamente ed economicamente la rivelazione del
Padre, così che una rivelazione del Padre senza il Logos e senza la sua
incarnazione equivarrebbe ad un discorso senza parola"[43].
2. Non
si può dedurre dal fatto dell'incarnazione di una delle tre persone la stessa
possibilità anche per le altre. Per affermare ciò occorrerebbe supporre:
a) che il concetto di
ipostasi sia univoco riguardo alle tre persone. Ma ciò, afferma Rahner, è
falso, e sconvolgerebbe l'intero sistema teologico. Non potremmo infatti
affermare più alcuna corrispondenza tra le missioni e le relazioni, e per
conseguenza non potremmo radicare la nostra figliolanza per grazia nella
figliolanza ontologica del Verbo fatto uomo. "Da ciò che è Dio per noi non
potremmo sapere in nessun caso ciò che egli - trinitario - è in se stesso"[44].
b) Bisognerebbe altresì
supporre che la differenza dell'essere-persona di ognuno dei tre non impedisca
alla prima e alla terza persona di entrare in relazione con una realtà creata,
nella guisa medesima della seconda, cioè attraverso un'unione ipostatica. Se
così non fosse, affermano i sostenitori di tale tesi, dovremmo escludere nel
Padre e nello Spirito una perfezione,
che possiederebbe soltanto il Figlio. La possibilità di una relazione
ipostatica con la realtà creata sarebbe una perfezione da riconoscere
indistintamente a ognuno dei Tre. Tuttavia così non è, spiega Rahner, in quanto
il riconoscimento di una perfezione deve pur sempre fare i conti col senso
interno del mistero trinitario. Non avrebbe ad esempio senso sostenere che,
poiché il Figlio possiede la perfezione di procedere dal Padre, si dovrebbe
riconoscere la stessa perfezione anche a Colui che è per definizione
l'Ingenerato. Se dunque astrattamente non è in sé contraddittorio che una delle
tre sussistenze divine possa incarnarsi, concretamente "poiché la funzione
ipostatica «ad extra» è la divina
ipostasi corrispondente, dalla funzione di questa
ipostasi non può essere dedotto nulla per un'altra"[45].
c. Identità tra Logos immanente e Logos economico
La difficoltà ora affrontata nasce da una
concezione in cui è molto blando il legame tra la natura umana assunta dal
Logos e il Logos stesso. Si tratta di una difficoltà tanto diffusa quanto non
pienamente emergente nello strato della consapevolezza, e parallela ad una non
approfondita assimilazione del dogma di Calcedonia.
Se infatti la natura
umana è qualcosa di per così dire estraneo rispetto alla seconda persona, se
essa è una realtà autonoma in se stessa, in quanto creata secondo un piano che
con il Logos in particolare non ha nulla ha che fare, allora si potrà bensì
affermare che il Logos opera nella natura umana dell'uomo Gesù di Nazareth, ma
senza che tale umanità debba rivelare qualcosa di specifico sul Logos, più di
quanto non ci dica sulle altre due persone. Non si potrebbe dire che in Gesù
noi incontriamo in senso non soltanto formale una realtà trinitaria immanente,
perché non ci sarebbe tra la natura umana assunta ed il Logos altro rapporto
che quello tra creatore ed una qualunque altra creatura. Secondo Rahner,
invece, e l'abbiamo già appreso, la relazione è molto più intensa.
"La
natura umana è oggetto possibile della conoscenza e della forza creativa di
Dio, perché e in quanto il Logos è per sua essenza colui che può venir
espresso, anche nel non-divino, perché e in quanto egli è appunto la parola del
Padre nella quale il Padre può esprimersi e - liberamente - manifestarsi anche
nel non-divino e perché, quando ciò avviene egli diviene ciò che noi chiamiamo
natura umana. La natura umana, in altre aprole, non è la maschera presa
dall'esterno (il proswpon), la livrea nella quale il Logos nascosto gesticola
nel mondo, bensì fin dall'inizio il simbolo reale costitutivo del Logos,
cosicché dobbiamo e possiamo dire: l'uomo è possibile in quanto è possibile
l'automanifestazione del Logos"[46].
Occorre perciò
riconoscere che la seconda persona della Trinità rivela ed esprime se stessa
nelle parole, nei gesti, nelle vicende di Gesù, non solo secondo una
soggettività formale ma proprio per mezzo della umanità. Il Logos non dimora
soltanto in Gesù, ma è l'ipostasi in cui l'umanità di Gesù sussiste. Il Logos è
dunque lo stesso nell'economia e nell'immanenza.
Rahner rafforza qui il
suo ragionamento con una breve trattazione della sua dottrina della grazia.
L'auto-comunicazione delle tre divine persone avviene in modo corrispondente
alla particolarità personali di ciascuna e dunque in conformità alle relazioni
reciproche tra il Padre, il Logos e lo Spirito. Se si nega che
l'autocomunicazione avviene in base al mutuo stato di relazioni, per affermare
che ogni persona ha una relazione propria con l'uomo giustificato, si dovrebbe
sostenere anche che ogni persona è nella sua individualità qualcosa di
assoluto, e non invece una relazione sussistente, col rischio di sfociare nel
triteismo. Al contrario,
"Dio
si comporta verso di noi triplicemente e appunto questo triplice atteggiamento
(libero e gratuito) verso di noi non è soltanto un'immagine o un'analogia della
Trinità immanente, ma è questa stessa anche se in quanto partecipata
liberamente e gratuitamente"[47].
5. Il dibattito sul Grundaxiom
L'assioma fondamentale
su Trinità economica e Trinità immanente funziona dunque da base ultima per
un'adeguata risposta al Cur Filius homo.
A seconda del grado di sensibilità verso la corrispondenza tra la vita intima
di Dio e il ritmo della sua autorivelazione nella storia e nella carne, ogni
sistema teologico fornirà una spiegazione del motivo per cui è stata
precisamente la seconda persona a farsi uomo.
L'assioma ha suscitato
una discussione ricca di molteplici contributi. Di fatto ogni teologo che abbia
affrontato il tema della Trinità negli ultimi trent'anni, ha dovuto prendere
posizione sull'enunciato rahneriano. Per meglio puntualizzare quest'ultimo e
più robustamente fondare le acquisizioni della nostra ricerca, prenderemo in
esame i contributi degni di maggiore attenzione.
Il primo anello della
catena -a quanto ci consta- è il contributo di Ghislain Lafont[48]. In un'opera pubblicata non molti anni dopo
i Bemerkungen, l'Autore benedettino
espone ed esamina la teologia trinitaria di Rahner e ricapitola la propria
posizione in un'analisi critica del Grundaxiom.
Questo gli sembra accettabile nella sua prima parte
"mais à une condition:
celle de donner une définition de l'économie du salut qui part de la Révélation
que nous en fait la Parole de Dieu, et qui n'englobe pas, du moins sans
précisions, l'anthropologie transcendantale: l'envoi du Verbe dans la chair et
la mission de l'Esprit peuvent effectivement nous faire connaître la vie intime
de Dieu, Père, Fils et Esprit si nous recevons dans la foi la Parole qui nous
annonce ce salut. Mais cette Parole ne s'identifie pas à l'attente qui, sans
doute, en est inscrite au profond de notre être d'homme"[49].
Dunque, si tratta di
salvare a tutti i costi l'assoluta originalità e novità della Parola nel suo
rivelarsi attraverso l'incarnazione, senza che dalla struttura dell'uomo in
quanto destinato ad essere uditore della Parola stessa possa dedursi alcunché
su di essa, non solo cioè quanto al das
ma anche quanto al was. Ma le riserve
di Lafont si dirigono soprattutto verso la seconda parte dell'assioma, contro
il "viceversa". Infatti
"on ne peut pas partir
tout uniment de la Trinité immanente pour déduire l'économie du salut; il faut
d'abord respecter ce que l'on pourrait appele le Mystère de l'en-soi divin,
irréductible à une super-ontologie, et que nous n'atteignons que sur l'autorité
de la Parole de Dieu(...) Il faut égalment respecter dans la construction
théologique (et pas seulement dans l'affirmation de la foi) la liberté de Dieu
aussi bien pour la Création que pour le Salut"[50].
Nel medesimo filone si
inserisce l'apporto di Y. Congar[51], che riconosce nelle tesi di Rahner il
contributo più originale alla teologia trinitaria, e accoglie senz'altro la
prima parte del Grundaxiom,
suggerendo però un temperamento alla seconda parte in quanto in esso sia
implicato un trasferimento dal piano conoscitivo a quello ontologico. La
preoccupazione del teologo domenicano è in primo luogo quella di non
identificare puramente e semplicemente la Trinità economica con la Trinità
immanente, nella misura in cui la prima si svolge come mistero libero, mentre
la seconda è un mistero necessario:
"come
dicono i Padri che hanno combattuto l'arianesimo, le creature potrebbero non
esistere, ma Dio sarebbe ugualmente Trinità - Padre, Figlio e Spirito - perché
la creazione è un atto di libera volontà, mentre la processione delle persone
avviene secondo la natura, katà physin"[52].
Inoltre, si domanda
Congar, può realmente dirsi che nella auto-comunicazione storico-salvifica Dio
si coinvolga e disveli integralmente? Non deve piuttosto affermarsi che tale
auto-comunicazione sarà piena solo nell'ambito escatologico, mentre al presente
essa si compie in uno stile di kenosi, secondo la cifra della condiscendenza?
La stessa incarnazione stabilisce dei limiti al carattere esauriente a parte Dei della Rivelazione, limiti
che coincidono con i confini stessi della creaturalità. Certamente è davvero
Dio che si comunica nella storia della salvezza, ma il fatto che Egli si riveli
nel nascondimento e sub contrario,
"impone il riconoscimento di una distanza tra la Trinità rivelata
economicamente e la Trinità eterna"[53].
Anello ulteriore della
catena è il contributo di W. Kasper[54], che si riallaccia alla riflessione precedente,
ed evidenzia le radici dell'assioma rahneriano in affermazioni analoghe di K.
Barth e la convergenza con le conclusioni di autori orientali moderni, come J.
Meyendorff. Il teologo di Tubinga sottolinea la legittimità e la necessità, ma
suggerisce una formulazione della sua seconda parte in modo tale da bloccarne
ogni interpretazione illegittima. Tale sarebbe ad esempio quella di chi non
valorizzasse sino in fondo la novità che l'incarnazione rappresenta anche per
la vita intima della Trinità. O - all'opposto - quella di chi distinguesse i
Tre fra di loro secondo categorie esclusivamente modali nella immanenza e
secondo categorie invece personali nell'economia, per cui la distinzione
avrebbe realtà solo nella storia. Ma come non è ammissibile ridurre la Trinità
immanente a quella storico-salvifica, così non si può emarginare la dottrina
della Trinità immanente, col pretesto di una sua non significatività. Al
contrario, il Grundaxiom dimostra
proprio che la nostra salvezza si compie solo se si fonda in Dio stesso, nell'in-sé di Dio. Ebbene, afferma Kasper,
l'intuizione rahneriana merita di essere meglio così formulata:
"nell'auto-comunicazione
storico-salvifica l'auto-comunicazione intratrinitaria è presente nel mondo in
modo nuovo, nelle parole, segni ed opere prodotti nella storia, in definitiva
nella figura dell'uomo Gesù di Nazareth. Si deve quindi salvare il carattere di
libertà-gratuità e di kenosis della Trinità immanente rispetto alla
Trinità economica se si vuol cogliere il mistero immanente di Dio nella (e non:
dietro la !) rivelazione che egli fa di se stesso"[55].
La rassegna degli
autori che nel nostro secolo hanno dovuto misurarsi con la dottrina rahneriana
potrebbe comprendere ancora altri nomi come quelli di H. U. von Balthasar[56], J. Moltmann[57], L. Boff[58], B. Forte[59]. Ma non ne risulterebbe una variazione
decisiva del quadro sinora delineato, che ci sembra sufficientemente
chiaro da permetterci di tracciare
alcune conclusioni, al termine del nostro itinerario.
6. Conclusioni
Abbiamo in questo terzo
capitolo interpellato il secolo XX sul Cur
Filius homo, constatando come la risposta offerta sia molto diversa da
quella del secolo XIII, nell'esempio di san Bonaventura. La teologia medievale
percorreva bensì la via maestra, ma si smarriva lungo il cammino, mancando -
per così dire - delle coordinate che nella mappa geografica del sistema
speculativo possono condurre alla meta di una soluzione soddisfacente. San
Bonaventura era riuscito a spiegare che spettava alla seconda persona
incarnarsi, a partire dal suo essere Immagine, Parola e Figlio di Dio il Padre
e tuttavia non aveva saputo dedurre da tali premesse altro che delle ragioni di
congruenza. Essendo la seconda persona Immagine, Parola e Figlio, si veniva
spinti a pensare che l'incarnazione della prima o della terza persona non
sarebbe stat dotata d'alcun senso. Questa però era una possibilità che non
veniva affatto esclusa ed era anzi a chiare lettere affermata: per il dottore
francescano, come per tutti da sant'Agostino in poi, anche il Padre e lo
Spirito santo si sarebbero potuti incarnare. Quale la ragione di una soluzione
tanto stridente con la pur ammirevole profondità sviluppata dagli argomenti di
convenienza? Ci è sembrato di doverla individuare soprattutto nella scarsa
connessione fra Trinità dell'economia e Trinità dell'immanenza.
Affatto diversa,
invece, la risposta del XX secolo, illustrato attraverso Karl Rahner, il
teologo che più di tutti ha segnato col suo contributo la situazione attuale
della problematica trinitaria. Domandando "perché è stata proprio la
seconda persona ad incarnarsi e non il Padre o lo Spirito Santo?", abbiamo
appreso che vi è una corrispondenza tra il modo in cui Dio si partecipa
all'umanità e la sua vita intima, tra l'auto-comunicazione delle persone divine
e le loro particolarità personali. Affermare che anche il Padre o lo Spirito si
sarebbero potuti auto-comunicare immanentemente attraverso l'unione ipostatica
con la natura umana, analogamente al Figlio, significherebbe dimenticare che
tra le missioni e le relazioni v'è una corrispondenza strettissima. La missione
del Figlio attraverso l'incarnazione nello spazio e nel tempo ha come
fondamento l'origine eterna del Figlio dal Padre. Essa è dunque per così dire
il prolungamento della processione del Figlio, il rispecchiarsi nella carne
umana dell'eterna generazione divina.
Ora, se il Figlio è la Parola del Padre, è colui che rappresenta
l'auto-espressione di Dio nell'immanenza, risulta evidente che quando Dio intende
liberamente auto-esprimersi nel non-Dio, deve farlo attraverso appunto Colui
che è la sua parola, attraverso Colui che sussiste come persona in quanto è
generato eternamente come Figlio al modo del verbum interiore nell'atto del conoscere. "Il Padre, in quanto
senza principio, è per definizione colui che è invisibile, che si rivela ed
appare proprio dicendo il suo Verbo nel mondo; questi per definizione è intratrinitariamente e economicamente la
rivelazione del Padre, così che una rivelazione del Padre senza il Logos e
senza la sua incarnazione equivarrebbe ad un discorso senza parola"[60].
Né si deve temere con
ciò di sottrarre qualcosa alla prima e alla terza persona, escludendo la
"perfezione" che sarebbe rappresentata dall'attitudine
all'incarnazione. Infatti, come non avrebbe senso voler attribuire ad esempio
al Padre la perfezione - che è esclusiva del Figlio - di procedere appunto
dalla prima persona, così non si sottrae nulla al Padre ed allo Spirito,
mettendo in rilievo che l'auto-comunicazione immanente attraverso l'unione
ipostatica può competere solo alla seconda persona in quanto è
l'auto-espressione innanzitutto immanente di Dio. "Il Logos è per sua
essenza colui che può venir espresso, anche nel non-divino, perché e in quanto
egli è la parola del Padre nella quale il Padre può esprimersi e - liberamente
- manifestarsi anche nel non-divino"[61].
Non possiamo tuttavia
con ciò ritenerci appagati. Riceviamo dalla teologia del XX secolo un'altra,
più soddisfacente risposta al motivo per cui proprio il Figlio si è incarnato,
ma la nostra ricerca sarebbe servita a ben poco se non mettesse ben in evidenza
il presupposto in virtù del quale una tale soluzione è divenuta possibile. Tale
presupposto è quello lapidariamente scolpito nel Grundaxiom rahneriano della corrispondenza fra Trinità immanente e
Trinità economica. Per giustificare la soluzione del Cur Filius homo dobbiamo dunque giustificare fino in fondo anche il
Grundaxiom.
S'è visto infatti che
esso viene generalmente accettato nella sua prima parte ("la Trinità
economica è la Trinità immanente"). Se ne aumenta anzi la validità,
rafforzando gli argomenti originali con nuovi modi di svilupparli, e
illustrandone l'utilità in ambiti a cui Rahner non accenna[62]. Alla seconda parte della formulazione
("la Trinità immanente è la Trinità economica") si dirigono tuttavie
molte riserve, che abbiamo citato nelle pagine precedenti. Ma vogliamo adesso
chiederci: tali riserve intaccano effettivamente l'assioma del teologo gesuita?
Ci sembra di no.
Non lo intaccano quanto
alla sostanza, perché -per ammissione degli stessi critici- nelle obiezioni non
v'è racchiuso nulla che contraddica il suo intimo enunciato[63]. Questo viene anzi ripreso ed esplicato in
tutte le sue migliori conseguenze. Inoltre
bisogna registrare un importante documento[64] pubblicato in anni recenti dalla Commissione
teologica internazionale, in cui si adotta l'insegnamento rahneriano laddove
s'afferma che:
"quali
sono i tre nomi divini che intervengono nell'economia della salvezza, tali sono
pure nella «teologia», cioè - secondo la concezione dei padri greci - nella
scienza che noi abbiamo della vita eterna di Dio. Per noi, quest'economia della
salvezza è la sorgente unica e definitiva di ogni conoscenza circa il mistero
della Trinità. L'elaborazione trinitaria ha il suo punto di partenza nell'economia
della salvezza. A sua volta, la Trinità eterna e immanente è il presupposto
necessario della Trinità economica. La teologia e la catechesi devono rendere
conto di quest'affermazione della fede primitiva"[65].
Come non leggere in
controluce la dottrina del teologo gesuita, ripresa quasi nella sua
formulazione testuale? Non diversamente si deve concludere a proposito dei
passaggi in cui il documento lamenta la separazione tra la cristologia e la
dottrina trinitaria, e denuncia la
presentazione in termini neutrali -
cioè non-trinitari - che la neoscolastica ha offerto dell'incarnazione o
della deificazione dell'uomo, e in genere la irrilevanza del mistero del Dio
uni-trino nell'insieme delle verità di fede[66]. Le obiezioni all'asserto rahneriano non ne
sminuiscono dunque il contenuto.
Lo intaccano però nella
sua formulazione? Un rischio di equivocità sussiste in effetti per ogni
definizione, tanto più alto quanto più essa è breve. Ora, bisogna riconoscere
che l'estrema concisione del Grundaxiom,
specialmente nella seconda parte, corre il rischio di non rendere giustizia al
cuore dell'asserto. Preso isolatamente, se ne potrebbero far derivare
conseguenze senza dubbio contrastanti con la dottrina del teologo gesuita. Ad
esempio l'aspetto della libertà nell'autocomunicazione divina, della
indeducibilità e della non-necessità dell'incarnazione è da Rahner
costantemente mantenuto ben fermo[67]; ma la lapidarietà della definizione
potrebbe metterlo in ombra. Dall'affermazione per la quale il ritmo trinitario
dell'automanifestazione di Dio nella storia della salvezza avviene in
conformità all'essere intimo di Dio, così che quella è come un prolungamento di
quella, si potrebbe far scaturire l'affermazione (inaccettabile) che il mistero
di Dio dipende dall'automanifestazione, la tesi cioè secondo cui Dio ha
hegelianamente bisogno del mondo e diviene trinitario solo nella storia.
Stabilito dunque che le
correzioni investono piuttosto la lettera anziché il contenuto, e che esse non
dicono nulla di veramente ulteriore rispetto a quanto affermato da Rahner,
possiamo di buon grado accettare che il Grundaxiom
venga così con maggiore
chiarezza rienunciato: "La Trinità che si manifesta nell'economia della
salvezza è la Trinità immanente; è la Trinità immanente che si comunica liberamente
e a titolo gratuito nell'economia della salvezza"[68]; o anche, più brevemente: "La Trinità
economica è la Trinità immanente, in autocomunicazione libera"[69]. Si mantiene in tal modo intatto il nucleo
profondo dell'insegnamento rahneriano e si schiude il suo altissimo potenziale
ad alcune feconde applicazioni. Le esponiamo nel capitolo conclusivo.
[1] L'espressione è in J.
Dupuis, Introduzione alla
cristologia, Casale Monferrato 1993, 17.
[2] Riguardo al panorama teologico del secolo ventesimo
segnaliamo, nell'abbondante bibliografia, R.
V. Gucht - H. Vorgrimler
(edd.), Bilancio della teologia del XX
secolo, Roma 1972; A. Marranzini (ed.),
Correnti teologiche post-conciliari,
Roma 1974; D. Ford (ed.), The Modern Theologians. An Introduction to
Christian Theology in the Twentieth Century, Oxford - New York 1989;
C.E.R.I.T. (ed.), I Cristiani e le loro
dottrine, Brescia 1990; R. Gibellini,
La teologia del XX secolo, Brescia
1992. Per lo sfondo culturale e filosofico, N.
Abbagnano - G. Fornero, Storia della filosofia, IV: La filosofia contemporanea, Torino 1991.
[3] Cf. le considerazioni sul metodo in J. Dupuis, Introduzione alla cristologia, cit., spec. 12-16.
[4] Cf. per una biografia soprattutto intellettuale H. Vorgrimler, Comprendere Karl Rahner. Introduzione alla sua vita e al suo pensiero,
Brescia 1987. Interessante è anche l'intervista a sfondo biografico a cura di M. Krauss, La fatica di credere, Roma 1986.
[5] Vedi R.
Bleistein - P. Imhof - E. Klinger - A. Raffelt - H. Treziak (edd.), Bibliographie Karl Rahner 1924-1979,
Freiburg -Basel - Wien 1979. Da integrare con P. Imhof - K. Wittstadt (edd.), Bibliographie Karl Rahner 1979-1984, in: E. Klinger - K. Wittstadt (edd.), Glaube im Prozess. Christsein nach dem II.
Vaticanum (für Karl Rahner), Freiburg - Basel - Wien 1984, 854-871. Anche
la bibliografia su Rahner è sterminata. Cf. H.
Vorgrimler (ed.), in: Wagnis
Theologie, Freiburg - Basel - Wien 1979, 598-622; A. Raffelt (ed.), Bibliographie
der Sekundärliteratur und Nachträge,
in: Glaube im Prozess, cit., 872-885.
[6] K. Rahner,
Geist im Welt. Zur Metaphysik der
endlichen Erkenntnis bei Thomas von Aquin, Innsbruck 1939 [trad. it. Spirito nel mondo, Milano 1989].
[7] K. Rahner,
Hörer des Wortes. Zur Grundlegung einer
Religionsphilosophie, Monaco 1941 [trad. it. Uditori della parola, Torino 1967].
[8] K. Rahner,
Schriften zur Theologie, 16
voll., Einsiedeln 1954-1984 [trad.
it. in 17 voll., Roma 1964-1985, con una disposizione che ridistribuisce però
in sei volumi i primi cinque dell'edizione tedesca, e poi riprende l'ordine
originale].
[9] Pubblicata a Freiburg i.B. dal 1959, ha superato fino
ad oggi i 120 volumi.
[10] Lexikon für
Theologie und Kirche, Freiburg i.B. 1957-1967, 11 voll.
[11] Handbuch der
Pastoraltheologie. Praktische Theologie der Kirche in ihrer Gegenwart,
Freiburg 1964-1969 [trad. it. parziale Studi
di teologia pastorale, Brescia 1969-1971].
[12] Sacramentum
Mundi. Theologisches Lexikon für die Praxis, Freiburg i.B. 1967-1969, 4
voll. [ed. it. Brescia 1974-1977, 8 voll.].
[13] J. Feiner - M
Löhrer, Mysterium Salutis.
Grundriss heilsgeschichtlicher Dogmatik, Einsiedeln 1965-1976, 11 voll.
[ed. it. cit.].
[14] K. Rahner -
W. Thüsing, Christologie - Systematisch und exegetisch. Arbeitsgrundlagen für eine
interdisciplinäre Vorlesung, Freiburg i.B. 1972 [trad. it. Cristologia. Prospettiva sistematica ed
esegetica, Brescia 1974].
[15] K. Rahner,
Grundkurs des Glaubens. Einführung in den
Begriff des Christentums, Freiburg i.B. 1976 [trad. it. Corso fondamentale sulla fede, Roma
1977].
[16] Cf. K. Rahner,
Problemi della cristologia d'oggi,
in: Saggi di cristologia e di mariologia,
Roma 1965, 3-91, spec. 32-33.
[17] Cf. K. Rahner,
Rapporto tra natura e grazia, in: Saggi di antropologia soprannaturale,
Roma 1965, 43-77; nonché Natura e grazia,
ivi, 79-122.
[18] K. Rahner,
Teologia e antropologia, in: Nuovi Saggi III, Roma 1969, 47.
[19] Cf. i chiarimenti in rapporto alla cristologia, ma
generalizzabili all'intera opera rahneriana in J. Dupuis, Introduzione alla cristologia, cit., 41.
Cf. anche K.-H. Weger, Karl Rahner. Eine Einführung in sein
theologisches Denken, Freiburg-Basel-Wien 1978, spec. 24-28.
[20] Trad. it.
Teologia dell'incarnazione,
in: K. Rahner, Saggi di cristologia e di mariologia,
Roma 1965, 93-122. Gli stessi contenuti troviamo anche sviluppati nel Corso fondamentale sulla fede, cit.,
278-297. V. anche, del medesimo Autore, Teologia della festa del Natale, in: Saggi di cristologia e mariologia, cit.,
316-333; La cristologia nel quadro di una
concezione evolutiva del mondo, ivi, 123-197; Il significato perenne dell'umanità di Gesù nel nostro rapporto con Dio,
ivi, 239-258; Problemi della cristologia
d'oggi, cit.; in collaborazione con W.
Thüsing, Cristologia. Prospettiva
sistematica ed esegetica, cit.; e la voce Incarnazione, in: Sacramentum
Mundi, IV, Brescia 1975, 482-500.
[21] K. Rahner,
Teologia dell'incarnazione, cit., 96.
[22] K. Rahner, op. cit., 99. Il mistero non va qui inteso come un enigma in attesa
di soluzione, ma come un dato che esiste proprio in qualità di impenetrabile, e
da accettare nell'amore. Cf. K. Rahner,
Sul concetto di mistero nella teologia
cattolica, in Saggi teologici,
Roma 1965, 391-465.
[23] K. Rahner,
Teologia dell'incarnazione, cit.,
101-102.
[24] K. Rahner,
La cristologia nel quadro di una
concezione evolutiva del mondo, cit., 178: "l'Unione Ipostatica (...)
non si differenzia dalla nostra grazia per via di quanto in essa è espresso,
che è in entrambi i casi (anche in Gesù) la stessa identica grazia, ma proprio
per il fatto che Gesù costituisce la profferta fatta a nostro vantaggio; e noi
a nostra volta, non siamo tale profferta, bensì i beneficiari della profferta
di Dio".
[25] Cf. K. Rahner, Teologia dell'incarnazione, cit., 104. Cogliamo qui un'eco del
concetto del 'Salvatore assoluto', "quella personalità storica la quale
-entrando nello spazio e nel tempo- segna l'inizio dell'autocomunicazione
divina assoluta che perviene al suo scopo, quell'inizio che mostra
l'autocomunicazione destinata a tutti come verificantesi irrevocabilmente, come
inaugurata in maniera vittoriosa": K.
Rahner, Corso fondamentale sulla
fede, cit. 256.
[26] K. Rahner,
Teologia dell'incarnazione, cit.,
108. Il corsivo è nel testo.
[27] K. Rahner,
op. cit., 108. Il corsivo è nel
testo. L'assioma necessita però di essere così rettificato: "Dio, che è
immutabile, può diventare al di fuori di se steeso ma personalmente ciò che non è da se stesso". Attingiamo tale
apporto dai nostri appunti privati del corso di J. Dupuis, Il Dio di
Gesù Cristo: dalla cristologia alla Trinità, svoltosi a Roma, presso la
Facoltà di Teologia dell'Università Gregoriana nel secondo semestre dell'a. a.
1991-1992.
[28] K. Rahner,
op. cit., 111.
[29] K. Rahner,
op. cit., 111.
[30] K. Rahner,
op. cit., 112.
[31] Cf. il cap. I di questa dissertazione.
[32] Intraducibile il gioco di parole nell'originale tra Selbstässerung e Selbstentäusserung.
[33] K. Rahner,
op. cit., 114.
[34] K. Rahner,
op. cit., 115.
[35] Trad. it. Osservazioni
sul trattato dogmatico "De Trinitate", in: K. Rahner, Saggi teologici, cit., 587-634. Le medesime riflessioni
confluiscono, con qualche aggiornamento bibliografico ed una più articolata
intelaiatura, ma senza mutamenti sostanziali, nella prima sezione del
contributo rahneriano intitolato Il Dio
trino come fondamento originario e trascendente della storia della salvezza,
in: J. Feiner - M. Löhrer (edd.),
Mysterium Salutis, III, Brescia
1972³, 401-502. Utile è anche la
consultazione di A proposito del mistero
della Trinità, in: Teologia
dall'esperienza dello Spirito. Nuovi Saggi VI, Roma 1978, 391-398; e delle
voci Trinità e Trinità (teologia della) in: Sacramentum
Mundi, Brescia 1977, 440-470. Solo qualche pagina nel Corso fondamentale sulla fede, cit., 183-188.
[36] K. Rahner,
Osservazioni sul trattato dommatico
"De Trinitate", cit., 591-592.
[37] Cf. K. Rahner,
op. cit., 593-595. Il teologo gesuita
-per ciò che concerne la creazione- si riallaccia qui alla dottrina
bonaventuriana, alcuni aspetti della quale abbiamo illustrato nel cap. II. Il
riferimento magisteriale è alla Costituzione Benedictus Deus di Benedetto
XII del 23.1.1336 (DS, 1000).
[38] Toccheremo l'argomento nel cap. conclusivo.
[39] K. Rahner,
op. cit., 606. Non è facile però
rendere fedelmente l'«und umgekehert»
del testo tedesco.
[40] K. Rahner,
op. cit., 607.
[41] Cf. anche K.
Rahner, Dottrina di Dio nella
dommatica cattolica, in: Nuovi Saggi
III, cit., 191-216, spec. 214ss.
[42] K. Rahner,
op. cit., 610, nota 18.
[43] K. Rahner,
op. cit., 612.
[44] K. Rahner,
op. cit., 613s.
[45] K. Rahner,
op. cit., 613, nota 19. I corsivi
sono nel testo.
[46] K. Rahner,
op. cit., 617.
[47] K. Rahner,
op. cit., 621. Rimandiamo per una più
diffusa argomentazione agli articoli già cit. Rapporto tra natura e grazia e Natura
e grazia.
[48] G. Lafont,
Peut-on connaître Dieu en Jésus-Christ?,
Paris 1969.
[49] G. Lafont,
op. cit., 226.
[50] G. Lafont,
op. cit., 227.
[51] Y. Congar,
Credo nello Spirito Santo, III: Il fiume di vita scorre in Oriente ed in
Occidente, Brescia 1987².
[52] Y. Congar,
op. cit., 25. Cf. la citazione di Atanasio, Contra Arianos, II, 31: "anche se Dio non avesse deciso di
creare, egli avrebbe avuto ugualmente il Figlio suo".
[53] Y. Congar,
op. cit., 29. Il domenicano francese
è sollecito soprattutto di prevenire le deduzioni indebite che dalle premesse
rahneriane ha tratto ad es. P.
Schoonenberg, per il quale -semplificando molto il suo
discorso - la tripersonalità in Dio è un frutto della storia della salvezza. Ma
Rahner sapeva chiaramente che l'autocomunicazione tri-personale di Dio riveste
carattere salvifico soltanto se è radicta nell'immanenza. Cf. Y. Congar, op. cit., 28.
[54] W. Kasper,
Il Dio di Gesù Cristo, Brescia 1985².
[55] W. Kasper,
op. cit., 368.
[56] H. U. von
Balthasar, Teodrammatica, IV: L'azione, Milano 1986, 297-304, spec.
298s.
[57] J. Moltmann,
Il Dio crocifisso, Brescia 1973,
276-291, spec. 281; Trinità e Regno di
Dio, Brescia 1983, 172-174.
[58] L. Boff,
A Trinidade e a sociedade, Petropolis
1987, 260-263.
[59] B. Forte,
Trinità come storia. Saggio sul Dio
cristiano, Cinisello Balsamo 1988, 18-24.
[60] K. Rahner,
Osservazioni sul trattato dommatico
"De Trinitate", cit., 612.
[61] K. Rahner,
op. cit., 617; Cf. ancora 613 nota
19.
[62] Cf. ad esempio W.
Kasper, Il Dio di Gesù Cristo,
cit., 367, che inquadra il tema nella controversia tra Hegel e Schleiermacher.
[63] V. quanto riconosce Y.
Congar, op. cit., 30.
[64] Commissio
theologica internationalis, Desiderium
et cognitio Dei. Theologia-Christologia-Anthropologia, 1982, in: Enchiridion Vaticanum, VIII, Bologna
1984, 356-399.
[65] Commissio
theologica internationalis, op.
cit., 366-367.
[66] Commissio
theologica internationalis, op.
loc. cit.
[67] Cf. ad es. dichiarazioni come queste: "Il Logos
(...) è la Parola del Padre nella quale il Padre può esprimersi e -liberamente-manifestarsi anche nel
non-divino" (da: Osservazioni sul
Trattato dommatico "De Trinitate", cit., 617); "[la triplice
autocomunicazione di Dio] non è soltanto un'immagine o un'analogia della
Trinità immanente, ma è questa stessa anche se in quanto partecipata liberamente e gratuitamente" (da: op. cit., 621). Le citazioni potrebbero
anche essere più numerose. (I corsivi nel testo sono nostri).
[68] Commissio
theologica internationalis, op. cit.,
367.
[69]
Attingiamo tale formulazione ancora dagli appunti privati del già citato corso
di J. Dupuis, Il Dio di Gesù Cristo: dalla cristologia
alla Trinità.