Capitolo Terzo

 

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L'APPROCCIO 

DELLA TEOLOGIA CONTEMPORANEA.

KARL RAHNER

 

 

 

 

 

 

 

 

I. IL SECOLO VENTESIMO

 

     La teologia non si compie nella ripetizione automatica e neutrale del kerygma, ma vive della corrente che, senza mai cessare, dal dato della fede come custodito dalla Chiesa fluisce al contesto culturale in cui l'annuncio deve essere nuovamente posto, attraverso la mediazione del teologo che - vivendo la propria personale esperienza di fede all'interno di una determinata comunità ecclesiale ed esercitando il proprio ministero a servizio di essa - interpreta la memoria ufficiale dell'evento-Cristo per tradurlo nelle categorie dell'ambiente cui è diretto. Si realizza così fra i tre poli del dato di fede, dell'ermeneuta e del contesto culturale un circolo, anzi un triangolo[1], che essendo sempre diverso negli ultimi due poli, produce il pluralismo teologico, nelle sue varie espressioni. Non ci stupiremo, pertanto, se anche ad una questione come il Cur Filius homo, apparentemente astratta, avvolta nel freddo cristallo della speculazione, e dunque insensibile al corso della storia, siano invece state date date risposte diverse nello svolgersi dei secoli.

     Interpelleremo dunque il XX secolo[2] sul quesito oggetto della nostra ricerca, approfondendo in modo specifico la posizione di Karl Rahner. Preliminarmente dobbiamo però notare che sulla trama complessiva della teologia odierna si possono individuare due fili dal colore più decisamente marcato, due approcci al discorso su Dio, che costituiscono altrettanti costanti paradigmi metodologici.

     Un primo approccio, che potremmo definire "dall'alto", manifesta sfiducia verso il parlare umano su Dio. Occorre lasciare che sia Dio a parlare di se stesso, rispettando intatta la sua alterità, cioè in ultima analisi la sua divinità. È evidente dunque che nel "triangolo" ermeneutico di cui si è detto all'inizio, il primato assoluto venga conferito al dato, cioè alla Rivelazione, all'evento-Cristo come custodito nella memoria vivente della Chiesa. Il metodo ha uno stile piuttosto deduttivo, che parte cioè dalle premesse della Scrittura o del Magistero e ne sviluppa tutte le possibili implicazioni. Nel cammino dal noto al meno noto, resta tuttavia un po' in ombra la ricchezza della storia col suo vivo travaglio e il pluralismo di interpretazioni concorrenti che già nel dato normativo possono essere rintracciate. Si annodano attorno a tale corrente -per fare alcuni nomi- Barth, Bonhöffer, von Balthasar. Nel Magistero cattolico tale approccio viene adoperato ad esempio dalla Lumen Gentium.

     L'altro approccio è invece "dal basso", sollecito di valorizzare tutti gli addentellati che nella realtà umana sottolineano l'apertura all'assoluto e rappresentano in qualche modo una predisposizione a riceverne l'irruzione. Nel "triangolo" viene aumentata dunque la rilevanza dell'altro polo, quello del contesto, dell'ambiente storico, culturalmente e geograficamente caratterizzato, in cui il kerygma dev'essere incarnato. Nello stile induttivo di tale metodo prevale un atteggiamento più ottimista nei confronti della cultura e dell'esperienza, una disponibilità fiduciosa a coltivare il dialogo e a restare in contatto con la realtà. Possiamo additare in Schleiermacher il primo anello moderno di una tale linea, che poi si snoda ad esempio attraverso Gogarten e Theilard de Chardin, per arrivare sino alla teologia della liberazione dei giorni nostri. Nell'ambito magisteriale, è un bel campione la Gaudium et Spes[3]. A tale secondo approccio si può complessivamente ricollegare, ma senza unilateralismi, anche l'opera teologica di Karl Rahner.

 

 

II. KARL RAHNER

 

 

1. La figura e l'opera

     Karl Rahner[4] nasce a Friburgo in Brisgovia il 5 marzo 1904. In gioventù partecipa al movimento del "Quickborn", di cui è ispiratore Romano Guardini, e si stringe in amicizia con Pier Giorgio Frassati. Dopo la maturità, conseguita nel 1922, entra nella Compagnia di Gesù, e nel 1932 viene ordinato sacerdote. Dal 1934 al 1936 prepara il dottorato in filosofia a Friburgo, seguendo gli insegnamenti -tra gli altri- di M. Heidegger.

     Passa in seguito alla teologia, conseguendo il dottorato e l'abilitazione ad Innsbruck nel 1937, ove inizia anche l'insegnamento. Nel 1939 i nazisti sopprimono la Facoltà, e Rahner si rifugia prima a Vienna, lavorando presso l'Istituto pastorale, e poi nella Baviera, esercitandovi il ministero parrocchiale. Terminata la guerra, nel 1945 riprende l'attività di docenza a Pullach e due anni dopo a Innsbruck. Oltre che sulla cattedra, l'attività rahneriana si sviluppa in una grande mole di conferenze, specialmente presso la Görres-Gesellschaft sui rapporti tra teologia e scienze naturali, e presso la Paulus-Gesellschaft in dialogo con i filosofi marxisti.

     L'ostilità di certi ambienti gli vale alla vigilia del Concilio la proibizione di scrivere, ma presto ottiene una riabilitazione piena da Giovanni XXIII che lo nomina perito conciliare, permettendogli così di offrire un contributo determinante all'evento del Vaticano II. Nel 1964 succede a Guardini nella cattedra di fiolosofia della religione a Monaco, e l'anno successivo fonda insieme a E. Schillebeeckx la rivista Concilium. Passa quindi nella Facoltà di Münster in Westfalia sino al 1971, allorché ritorna a Monaco presso la Hochschule für Philosophie. Nel 1969 Paolo VI lo aveva eletto membro della Commissione Teologica Internazionale. La morte ne spegne l'esistenza in una clinica di Innsbruck il 30 marzo 1984.

     Non vogliamo neppure tentare una rassegna completa delle opere di K. Rahner, ricca di oltre tremila voci[5]. Segnaliamo solo i riferimenti imprenscindibili, cominciando dalla tesi di dottorato in filosofia, Geist im Welt[6], interpretazione dell'antropologia tomista alla luce di Kant, degli idealisti e di Heidegger. Un ponte tra filosofia e teologia è rappresentato dal celebre Hörer des Wortes[7], in cui si tenta di fondare una filosofia della religione che apra alla rivelazione senza però condizionarla o predeterminarla.

     Più che in opere dalla grande mole, il talento di Rahner si è espresso in saggi di dimensioni mediamente modeste, ma dalla ferrea coerenza sistematica e dalla enorme potenza speculativa. Fondamentale è perciò la raccolta degli Schriften[8]. Nella costellazione del suo impegno trovano però posto anche la direzione della collana Quaestiones disputatae[9], la riedizione del Lexikon für Theologie und Kirche[10], la progettazione del cospicuo Handbuch per la teologia pastorale[11], la cura dell'enciclopedia divulgativa Sacramentum Mundi[12] e i fondamentali contributi nel Mysterium Salutis[13].

     Vanno infine menzionati il testo di cristologia nella duplice prospettiva filosofica ed esegetica[14], e il Grundkurs che può essere considerato una ricapitolazione sintetica del suo pensiero, vera e propria summa della teologia rahneriana[15].

 

 

2. Il metodo trascendentale di Karl Rahner

     Leggendo i testi del gesuita tedesco, si ricava l'impressione di trovarsi dinanzi ad una di quelle maestose composizioni musicali, ad esempio di Brahms, in cui un tema viene annunciato al principio con poche sobrie e ben marcate battute, per essere di seguito svolto in una serie di variazioni che lo sviluppano in una molteplice varietà di sfumature sino a costruire un'architettura sonora stupefacente. Così nella teologia di Rahner alcune primordiali e potentissime intuizioni -sempre uguali nella sostanza e sempre diverse nel contesto- determinano una struttura concettuale assolutamente unica per l'originalità delle proposizioni e per la fecondità degli sviluppi possibili.

     Dovremo perciò sottrarci alla tentazione di esaminare l'intera serie delle "variazioni", per trattare molto selettivamente il "tema", concentrandoci sugli scritti in cui esso viene affrontato per la prima volta e più significativamente esposto. Alcune proposizioni che esamineremo nei paragrafi successivi, non risulterebbero però chiare se non premettessimo una illustrazione sintetica del metodo rahneriano, se non chiarissimo cioè in che cosa consiste il suo metodo trascendentale.

     Da Kant in poi si definisce "trascendentale" la riflessione sulle condizioni di possibilità di un oggetto di conoscenza, condizioni residenti nello stesso soggetto conoscente. Anche Heidegger sottolinea che l'interrogativo fondamentale della metafisica, quello sull'essere, è contemporaneamente anche un interrogativo su colui che pone la domanda, e dunque sull'uomo.

     Alla luce di tali premesse, Rahner sostiene che gli enunciati fondamentali della fede non possono essere presentate in un modo estraneo alla mentalità e alla cultura dell'uomo contemporaneo, perché comunque nelle affermazioni di fede l'uomo viene co-affermato. Ogni affermazione su Dio è infatti anche un'affermazione sull'uomo. Ad esempio il mistero dell'incarnazione implica certamente una teologia del Verbo, ma anzitutto del Verbo incarnato, del Verbo fatto uomo, così che non potrebbe intendersene nulla se prima non si sia fino in fondo inteso chi sia l'uomo[16]. Analogamente il mistero della Trinità non può essere descritto nella sua dimensione immanente se non innalzandovisi dalla dimensione economica, a partire dall'autocomunicazione nella grazia, e dunque ancora dall'uomo e dalla sua concreta esperienza del rapporto col Dio uni-trino[17]. Teocentrismo, cristocentrismo e antropocentrismo sono sempre reciprocamente compenetrati.

     Il metodo trascendentale significa dunque tenere presenti le strutture antropologiche, per rendere più comprensibili i contenuti teologici;

"significa chiedersi di fronte a qualunque oggetto dommatico anche quali siano le condizioni della sua conoscibilità nel soggetto; significa dimostrare l'esistenza di tali condizioni apriori per la conoscenza dell'oggetto; indicare come e perché esse implichino e affermino, già di per se stesse, alcunché sull'oggetto, sul modo, metodo e limiti della sua conoscenza"[18].

     Occorre però ribadire che tale metodo intende mostrare meglio l'intelligibilità e non coinvolgere la deducibilità dei contenuti della fede dalla condizioni del soggetto conoscente. Ci si pone -per così dire- con la Rivelazione alle spalle, e alla luce della Rivelazione stessa -a posteriori dunque, e non a priori- si scoprono le corrispondenze tra la Parola che Dio porta e la struttura di colui che è destinato ad esserne l'uditore. Dall'analisi dell'uditore non si può dedurre la Parola, ma la Parola si intende meglio se ci si accorge che l'uditore è strutturalmente predisposto a riceverla. Accorgersi della corrispondenza tra il soggetto e l'oggetto della teologia aiuta a intendere meglio entrambi.[19].

     Così correttamente inteso il metodo trascendentale, appaiono infondate le critiche di quanti rimproverano una non adeguata tutela dell'assoluta novità dell'autocomunicazione di Dio nella economia della rivelazione e specialmente nella incarnazione, come vedremo meglio nelle pagine successive. Inoltre i rischi della prospettiva che parte dal basso cioè dall'esame del soggetto antropologico nella sua struttura concreta e nella sua apertura ad un evento di salvezza, vengono riequilibrati dalla compresenza nell'opera rahneriana anche di una prospettiva  dall'alto, più attenta cioè alle radici bibliche e alla persona storica di Gesù. A tale approccio "discendente" appartiene appunto il primo testo che esaminiamo.

 

3. L'incarnazione come disvelarsi della Trinità

     Rahner si occupa dell'argomento che forma l'oggetto della nostra ricerca in più passaggi dei suoi testi. Scegliamo di concentrarci anzitutto sul saggio Zur Theologie der Menschwerdung[20], pubblicato nel 1960.

     Il teologo gesuita sviluppa una meditazione sugli elementi della proposizione di Gv 1,14  "o Logo sarx egeneto", esaminandoli ciascuno nel suo valore e traendone  ogni necessaria conseguenza, a partire dal fatto che il mistero dell'incarnazione sta al fondamento della fede cristiana e che solo in esso ci si schiude il mistero della Trinità.

     Egli osserva preliminarmente come, secondo l'opinione comune, si ritenga normale che ognuna delle tre divine persone si sarebbe potuta incarnare, se solo l'avesse voluto. È un riferimento alla tesi medievale, e anche bonaventuriana, a cui abbiamo dedicato il secondo capitolo. In tale prospettiva, non appare necessario scoprire se abbia o meno un significato peculiare l'essere stato proprio il Verbo protagonista dell'autocomunicazione immanente di Dio. Il soggetto della proposizione giovannea rimane totalmente in ombra.

     Ma Rahner si propone di scavalcare tale tradizione, per tornare alla impostazione pre-agostiniana:

"Se infatti è contenuto nel significato e nell'essenza propria del Verbo di Dio che esso, e soltanto esso, è quello che inizia e può iniziare una storia umana nel caso che Dio si assimili il mondo in modo tale che questo divenga non soltanto opera sua e da lui staccata, bensì la sua realtà (come la sua «natura» assimilata, oppure l'«ambiente» che necessariamente è dato con lui), allora capiamo che cosa è l'Incarnazione soltanto se sappiamo ciò che è propriamente il Verbo di Dio, e capiamo sufficientemente che cosa è  il Verbo di Dio soltanto se sappiamo che cosa è l'Incarnazione"[21].

     Seguiamo dunque la suggestiva meditazione nell'articolarsi dei suoi momenti, segnalando che però i tre termini dell'enunciato giovanneo vengono esplorati in ordine opposto alla disposizione del prologo.

     1. L'uomo. Viene inteso non in senso astratto, ma specifico e quotidiano: l'uomo come ciò che è ciascuno di noi, nel modo in cui ci sperimentiamo a partire dalla nostra interiorità o dal contatto con gli altri. Ora, l'uomo è definibile in molti degli elementi singoli da cui risulta costituita la sua identità, e le scienze moderne hanno registrato progressi vertiginosi nella scrutazione degli svariati aspetti particolari. Rimane però indefinibile nella sua essenza, insuscettibile di essere circoscritto in ciò che ne qualifica l'identità profonda. L'uomo è per essenza un mistero, non però nella forma originaria di questo, ma in quanto orientato a questo. L'uomo è dipendenza dal mistero nella sua pienezza, è orientamento al Dio incomprensibile, e in tanto può comprendere se stesso, in quanto sviluppa tale radicale dipendenza col "Santo Mistero" che è Dio. "La trascendenza che noi siamo e facciamo avvicina l'esistenza nostra e di Dio ed entrambe come mistero"[22].

     Se dunque la natura umana -per usare un  gioco di parole- è definibile come indefinibile, come dipendenza radicale dal mistero di Dio, tanto più essa si realizza quanto più si sviluppa nella propria apertura all'Incomprensibile. L'uomo tanto più diventa se stesso, quanto più si apre a Dio.

"Ma questo appunto accade e riesce in misura insuperabile e nel rigore più radicale, quando questa natura donandosi al mistero della pienezza è così privata di sé da divenire Dio stesso. L'incarnazione di Dio è perciò l'unico caso supremo della realizzazione essenziale della realtà umana, realizzazione consistente nel fatto che l'uomo è, donando completamente se stesso"[23].

     Per cui si può affermare che l'uomo non tanto ha una potentia oboedientialis, facoltà accanto alle altre facoltà, ma è tale potentia oboedientialis. La capacità di ricevere Dio costituisce l'essenza dell'uomo e giunge ad esplicarsi nel grado massimo nell'unione ipostatica, ove non soltanto l'uomo si apre a Dio, ma Dio prende in sé l'uomo. D'altronde, occorre rilevare che nell'umanità del Verbo incarnato non sussiste una vicinanza a Dio essenzialmente diversa da quella che si può realizzare in ogni uomo. Tra l'unione ipostatica e l'auto-comunicazione divina nella grazia e nella visione beatifica intercorre una differenza che investe non il contenuto promesso, ma -seppure decisivamente- il latore e i destinatari della promessa[24].

     Rahner avverte a questo punto l'insorgenza di due pericoli. Il primo è quello di ritenere che l'incarnazione sia un qualcosa di deducibile a priori, indipendentemente dalla Rivelazione. Il secondo pericolo è credere che l'unione ipostatica possa realizzarsi in ogni uomo. Entrambe le tentazioni vanno respinte. Resta però vero che l'uomo si colloca in attesa dell'avvenimento che in Dio stesso conduca a compimento la propria natura. Egli scorge nella propria struttura una tale profonda aspirazione, e resta in preghiera perché questa venga colmata. Così che quando i suoi occhi incontrano Gesù di Nazareth, l'uomo scopre un evento imprevedibile rispetto al 'come', al 'dove', al 'quando', ma non rispetto al 'che cosa'. Gesù Cristo sorprende l'uomo quando al 'das', non quanto al 'was'[25].

     2. Il divenire di Dio. La fede professa Dio come colui che è, tout-court, insuscettibile di divenire, perché non bisognoso di conseguire per mezzo del mutamento, nel passaggio dalla potenza all'atto, ciò che egli già eternamente è. Tale fede, ch'è anche una tesi di filosofia teista, si scontra però col dato biblico: o logo   sarx egeneto, il Verbo è diventato uomo. Come può dunque colui che è immutabile e perfetto diventare qualcosa? Né scioglie l'aporia la risposta tradizionale per cui nell'unione ipostatica il mutamento concerne la umanità creata e assunta e non il Logos divino che assume, il quale rimarrebbe così senza variazione. È proprio il Logos, secondo il prologo giovanneo, che diventa qualcosa, "la storia dello sviluppo di questa realtà umana diviene la sua storia, il nostro tempo il tempo dell'eterno, la nostra morte la morte dello stesso Dio immortale"[26]. La precomprensione filosofica di Dio, descritto da una metafisica di attributi astratti, deve piegarsi alla realtà che Dio stesso di sé rivela nella storia della salvezza.

     L'incarnazione manifesta dunque che "Dio può diventare qualcosa, colui che in se stesso è immutabile può essere  mutabile nell'altro"[27]. Ma il divenire di Dio non è da intendersi come un segno di finitudine o imperfezione. Esso si fonda sulla capacità di amare e di autodonarsi, di farsi finito senza cessare di essere Dio. Il divenire di Dio dimostra anzi che la perfezione somma è diventare più di ciò ch'egli eternamente è. L'infinitamente non-relativo ha la possibilità di auto-alienare se stesso, di donare se stesso, assumendo l'altro nella propria realtà. Precisamente in ciò sta l'amore di Dio, il quale "poiché vuole avere l'altro veramente come suo, lo costituisce nella sua vera realtà"[28]. Anzi la stessa  facoltà creatrice di Dio, cioè la capacità di costituire l'altro dal nulla, si colloca su un piano ulteriore rispetto al piano originario a cui appartiene il suo poter entrare nella storia, non per hegeliana necessità ma per amore e liberamente.

     3. È il Logos che si è incarnato. A partire da tale volontà di relazione, Rahner afferma che Dio, nel porre la creatura, la forma come "la grammatica di una possibile autodichiarazione"[29]. E con ciò si tocca il cuore della nostra ricerca, perché sulla base di tale postulato ci viene offerta una risposta alla domanda sul motivo per cui

"proprio il Logos di Dio si fece uomo ed egli soltanto lo può diventare. L'immanente auto-asserzione di Dio nella sua eterna pienezza è la condizione dell'auto-asserzione di Dio fuori di sé e questa continua quella. Per quanto la pura posizione dell'altro, diverso da Dio, sia opera di Dio in modo assoluto, senza differenza di persone, la possibilità della creazione può bensì avere il suo prius ontologico e il suo fondamento nel fatto che Dio, l'ingenito, esprime se stesso in sé e per sé e pone così la distinzione originaria divina in Dio stesso. E quando questo Dio esprime se stesso nel vuoto, questa espresssione è espressione di questa sua Parola immanente, e non una qualsiasi che potrebbe convenire pure ad un'altra persona divina"[30].

     Il Cur Filius homo trova qui la spiegazione più adeguata: l'immanente auto-asserzione di Dio è la condizione dell'auto-asserzione di Dio fuori di sé. Se Dio vuole esprimere se stesso nel vuoto del non Dio, non può che farlo sttraverso colui che già nell'ambito immanente è la sua auto-espressione, cioè attraverso il Verbo. Fra Trinità economica e Trinità ontologica v'è una corrispondenza, e il disvelarsi di quella nella storia della salvezza corrisponde e rispecchia la vita intima di questa, trovandovi il fondamento ineliminabile e perenne. Il Verbo si è fatto carne, e non il Padre o lo Spirito, perché la Trinità economica è la Trinità immanente, potremmo affermare in modo sintetico. E con ciò l'obbiettivo in senso stretto della nostra ricerca potrebbe già dirsi raggiunto, e la ricerca stessa conclusa.

      Ma v'è un obbiettivo in senso ampio,  che racchiude quello in senso stretto, in un rapporto di illuminazione reciproca. Abbiamo dunque bisogno di completarne l'esplicitazione, sviluppando dal principio posto tutti i corollari conseguenti. Seguiamo perciò ancora un poco Rahner nel suo itinerario.

     4. L'uomo come cifra di Dio. Ebbene, per il teologo gesuita poiché la creatura è la grammatica di una possibile autodichiarazione di Dio, l'incarnazione del Logos dimostra che -per quanto ci sarebbero potuti essere degli uomini anche senza l'evento fattuale dell'incarnazione- essi non esisterebbero però senza almeno la possibilità dell'incarnazione. Pare di cogliere l'eco venerabile della tradizione patristica migliore e più antica, ad esempio di Ireneo di Lione: "poiché preesisteva il Salvatore, doveva venire all'esistenza anche ciò che doveva essere salvato"[31]. Di più: la rivelazione del Verbo, prima ancora che nella predicazione, nei miracoli, nella croce e nella risurrezione, inizia nella stessa umanità di Gesù, in quanto automanifestazione di Dio nella sua autoespressione[32].

"Di qui -sospingendo l'uomo nel suo mistero supremo e più oscuro- si potrebbe definire l'uomo come ciò che sorge allorché l'autoespressione di Dio, la sua Parola, viene lanciata per amore nel vuoto del nulla senza -dio; si è chiamato il Logos incarnato il verbo abbreviato di Dio. L'abbreviazione, la cifra di Dio è l'uomo, vale a dire il Figlio dell'uomo e gli uomini che in fondo sono perché diveva esserci il Figlio dell'uomo. Se Dio vuol essere non-dio, sorge l'uomo, proprio lui e null'altro"[33].

     Giunge così a felice compimento il proposito rahneriano di mostrare che il cristianesimo non solo non contrappone Dio all'uomo, ma annuncia Dio come il fondamento e il compimento assoluto dell'uomo. La fede nel Verbo incarnato aiuta -e costringe al tempo stesso- a tenere lo sguardo rivolto insieme su Dio e su l'uomo. L'uomo Gesù è infatti l'uomo più perfetto, più libero, più autonomo, più aperto agli altri proprio perché è l'uomo più unito a Dio e a cui Dio si è donato con maggiore completezza. In lui scopriamo che nella creatura il rapporto tra la radicalizzazione della  disponibilità e lo sviluppo dell'autonomia non è inversamente, ma direttamente proporzionale. Cristo, che rimane il frutto più libero della iniziativa divina, ci rivela Dio e contemporaneamente ciò che l'uomo può diventare quando si abbandona senza limitazioni a Dio. "La cristologia è l'inizio e il fine dell'antropologia e questa antropologia nella sua più radicale realizzazione, cioè la cristologia, è in eterno teologia"[34].

     Ricapitolando, si è fatto uomo il Verbo perché - considerando il tema, in un certo senso, dal basso - tra l'uomo ed il Verbo c'è una connessione strettissima, essendo la natura umana la grammatica attraverso la quale Dio può pronunciare il Verbo al di fuori di sé. La grammatica stessa viene posta nella prospettiva della pronuncia del Verbo, così che la possibilità della creazione si appoggia sulla possibilità dell'incarnazione, anche se dalla effettività di quella non si può in alcun modo dedurre la necessità di questa. Inoltre - considerando il tema dall'alto - si è fatto uomo il Verbo perché l'autoespressione divina nella carne dipende proprio dalla particolarità della seconda persona, dalla posizione del Logos nella Trinità immanente. Il fondamento profondo del Cur Filius homo si trova nel nodo fra economia e vita intima di Dio. Tale fondamento dobbiamo perciò osservare più da vicino.

 

 

4. Il rapporto fra Trinità economica e Trinità immanente

     Nel 1960 il teologo gesuita pubblica il saggio Bemerkungen zum dogmatischen Traktat «De Trinitate»[35], un'autentica pietra miliare nella dottrina trinitaria del XX secolo, riferimento imprescindibile per tutti coloro che si impegnano in tale problematica.

     Osservazione iniziale è la pratica irrilevanza totale della Trinità nella pietà dei cristiani. Nonostante sia esistita un'autentica mistica trinitaria, e nonostante gli sforzi di alcuni teologi per introdurre tale mistero nella quotidianità della fede, nei fatti la maggioranza dei cristiani vive un monoteismo pratico, tanto che non ci sarebbero mutamenti significativi nella letteratura religiosa, se dalle sue pagine dovessero stralciarsi i riferimenti alla Trinità. La più vistosa conseguenza di tale situazione riguarda immediatamente il cur Filius homo.

"Infatti oggi, parlando dell'incarnazione di Dio, lo sguardo mira teologicamente e religiosamente soltanto al fatto che "Dio" si è fatto uomo, che "una" persona (della Trinità) si è incarnata e non al fatto che questa persona è proprio quella del Logos (...). Di fatto il cristiano medio non comprende di più di una cristologia moderna, scientifica e completa, nella quale rimane in secondo piano quale sia con esattezza la divina ipostasi che ha assunto la natura umana. La comune dottrina attuale che vige nelle scuole (...) si chiede che cosa significhi che Dio si è fatto uomo, non però che cosa significhi in particolare che il Logos, proprio in quanto tale, distinto dalle altre divine persone, si sia incarnato. Ciò non desta meraviglia. Da Agostino in poi (contro la tradizione a lui precedente) è cosa più o meno pacifica tra i teologi, che ognuna delle divine persone (se fosse liberamente voluto da Dio) potrebbe incarnarsi e che perciò l'incarnazione di questa determinata persona non esprima nulla circa l'intima particolarità divina propria di questa persona"[36].

     La "neutralità" della teologia dell'incarnazione trascina con sé altre conseguenze. Abbiamo già accennato alla assenza del mistero trinitario dalla pietà privata dei fedeli. Ma si registrano altri influssi ad esempio nella teologia liturgica, che insegna come la Preghiera del Signore e l'Eucarestia si rivolgano -a dispetto delle parole che vi compaiono e del tenore letterale- ugualmente e direttamente alle tre divine persone. Anche la teologia della redenzione concepisce il sacrificio di Cristo come diretto senza differenze alla Trinità, mettendo del tutto in ombra che a rendere  soddisfazione fu precisamente uno dei Tre fattosi uomo. La stessa dottrina della grazia è neutra e non del Verbo incarnato, di fatto monoteistica perché non articolata triadicamente. Il Cristo di cui si dice che ha meritato la grazia è genericamente il Dio-uomo, e la grazia è gratia Dei, non gratia Verbi incarnandi. Effetti analoghi si producono nella dottrina su sacramenti, sulla protologia, sull'escatologia. Il mondo creato non recherebbe in sé alcuna traccia della vita trinitaria intima, e l'insegnamento medievale sui vestigia e sulla imago non sarebbe che una speculazione superflua. D'altronde perfino nel magistero si è talvolta infiltrato un linguaggio che parla di una divina essentia come oggetto della visione di beati [37].

     Dopo aver descritto il panorama a lui contemporaneo, Rahner svolge alcune osservazioni sulla collocazione del De Trinitate  all'interno della dommatica e la necessità di una costante pericoresi fra tutti i trattati e di una completa lettura in termini trinitari di essi[38]. Poste tali premesse, la sua speculazione affonda nel cuore del problema.

     La Trinità è il mistero per eccellenza, ma reca in sé una dimensione salvifica, che per l'uomo è determinante. Se infatti la Trinità non avesse alcun rilievo per noi non ci sarebbe stata neppure rivelata. Tutto ciò, afferma il teologo gesuita, si può condensare in una proposizione fondamentale: "La Trinità "economica" è la Trinità immanente, e viceversa"[39]. Ora, esiste un caso in cui l'identità dell'assioma è una verità di fede definita, ed è il caso dell'unione ipostatica. Colui che si è fatto uomo, infatti, non è genericamente uno della Trinità ma precisamente il Verbo. Dunque siamo di fronte ad una missione, cioè ad un'attribuzione nella dimensione economica che non è solo appropriata ma propria della seconda persona. Infatti

"qui fuori della vita divina immanente, proprio nel mondo, succede qualcosa che non è semplicemente avvenimento del Dio tripersonale in quanto uno, il quale agisce nel mondo in causalità efficiente, ma che conviene soltanto al Logos, che è storia di una persona divina distinta dalle altre divine persone"[40].

     Ma quanto accade in questo caso può con piena legittimità essere assunto come paradigma di un apporto più ampio. Sono infatti da respingere sia (a) la tesi secondo cui quanto concerne la dimensione economica, può applicarsi alla Trinità considerata nel suo insieme e ad ognuna persona considerata per sé; sia (b) la tesi per la quale nella dottrina trinitaria possono formularsi proposizioni soltanto riguardo alla dimensione economica. Invece, secondo (c) la tesi di Rahner, fra il Dio in se e il Dio extra se non sussiste una differenza reale[41]. L'asserto viene confermato ricavando da tre obiezioni altrettanti positivi postulati. Li esamineremo, avvertendo il lettore che ne abbiamo lievemente riordinato la distribuzione rispetto all'originale, per semplificarne la comprensione.

 

a. L'incarnazione come paradigma di un rapporto generale

     Si obietta che l'unione ipostatica non potrebbe essere presa a paradigma di un rapporto più ampio, perché in Deo omnia sunt unum ubi non obviat relationis oppositio (DS 1330). Ogni relazione propria di una persona al mondo potrebbe avvenire solo attraverso un'unione ipostatica, perché solo così ciò che è proprio alla persona -cioè appunto l'essere persona- si realizzerebbe nell'ambito extra-trinitario. Ma essendoci  di fatto l'incarnazione del solo Logos, questa non può dir nulla sulle altre persone, se non che anche esse potrebbero incarnarsi.

     Rahner considera questa tesi  tout court come non dimostrata nei suoi presupposti. Non si tratta del resto di dedurre in modo automatico dal semplice fatto dell'incarnazione la possibilità di altri casi di identità fra Trinità immanente e Trinità economica, come potrebbe essere l'incarnazione delle altre due persone. Infatti "solamente con motivi teologici, dal fatto che esistono altri casi di una tale compenetrazione di Trinità economica ed immanente, si dimostra che l'incarnazione può valere come caso di tale identità"[42].

 

b. L'Incarnazione e le relazioni intratrinitarie

     Una seconda possibile obiezione nega che l'incarnazione del Logos riveli alcunché sul suo intrinseco essere divino. Nel presupposto che ogni persona divina potrebbe incarnarsi, il fatto che a farsi uomo sia stata esattamente la seconda persona divina ci fa fare esperienza di Dio in generale, di Dio in senso neutro. L'umanità di Gesù non ci avrebbe comunicato niente di diverso, se soggetto dell'unione ipostatica fosse stato il Padre o lo Spirito Santo. L'incarnazione non reca in sé -in ultima analisi- una rivelazione trinitaria, e nella immanenza non ci viene comunicato nulla di specifico sulla vita intima dei Tre.

     A tal punto, il teologo gesuita affronta direttamente la tesi della possibilità dell'incarnazione di ogni persona e la confuta, riallacciandosi alla tradizione pre-agostiniana, sviluppando alcuni punti in successione.

     1. La funzione di auto-espressione del Padre viene svolta nel tempo e nello spazio dal Verbo, perché egli è l'auto-espressione del Padre nell'eternità.

"Il Padre, in quanto senza principio, è per definizione colui che è invisibile, che si rivela ed appare proprio dicendo il suo Verbo nel mondo; questi [il Verbo] è per definizione intratrinitariamente ed economicamente la rivelazione del Padre, così che una rivelazione del Padre senza il Logos e senza la sua incarnazione equivarrebbe ad un discorso senza parola"[43].

     2. Non si può dedurre dal fatto dell'incarnazione di una delle tre persone la stessa possibilità anche per le altre. Per affermare ciò occorrerebbe supporre:

     a) che il concetto di ipostasi sia univoco riguardo alle tre persone. Ma ciò, afferma Rahner, è falso, e sconvolgerebbe l'intero sistema teologico. Non potremmo infatti affermare più alcuna corrispondenza tra le missioni e le relazioni, e per conseguenza non potremmo radicare la nostra figliolanza per grazia nella figliolanza ontologica del Verbo fatto uomo. "Da ciò che è Dio per noi non potremmo sapere in nessun caso ciò che egli - trinitario - è in se stesso"[44].

     b) Bisognerebbe altresì supporre che la differenza dell'essere-persona di ognuno dei tre non impedisca alla prima e alla terza persona di entrare in relazione con una realtà creata, nella guisa medesima della seconda, cioè attraverso un'unione ipostatica. Se così non fosse, affermano i sostenitori di tale tesi, dovremmo escludere nel Padre e nello Spirito una perfezione,  che possiederebbe soltanto il Figlio. La possibilità di una relazione ipostatica con la realtà creata sarebbe una perfezione da riconoscere indistintamente a ognuno dei Tre. Tuttavia così non è, spiega Rahner, in quanto il riconoscimento di una perfezione deve pur sempre fare i conti col senso interno del mistero trinitario. Non avrebbe ad esempio senso sostenere che, poiché il Figlio possiede la perfezione di procedere dal Padre, si dovrebbe riconoscere la stessa perfezione anche a Colui che è per definizione l'Ingenerato. Se dunque astrattamente non è in sé contraddittorio che una delle tre sussistenze divine possa incarnarsi, concretamente "poiché la funzione ipostatica «ad extra» è la divina ipostasi corrispondente, dalla funzione di questa ipostasi non può essere dedotto nulla per un'altra"[45].

 

c. Identità tra Logos immanente e Logos economico

     La difficoltà ora affrontata nasce da una concezione in cui è molto blando il legame tra la natura umana assunta dal Logos e il Logos stesso. Si tratta di una difficoltà tanto diffusa quanto non pienamente emergente nello strato della consapevolezza, e parallela ad una non approfondita assimilazione del dogma di Calcedonia.

     Se infatti la natura umana è qualcosa di per così dire estraneo rispetto alla seconda persona, se essa è una realtà autonoma in se stessa, in quanto creata secondo un piano che con il Logos in particolare non ha nulla ha che fare, allora si potrà bensì affermare che il Logos opera nella natura umana dell'uomo Gesù di Nazareth, ma senza che tale umanità debba rivelare qualcosa di specifico sul Logos, più di quanto non ci dica sulle altre due persone. Non si potrebbe dire che in Gesù noi incontriamo in senso non soltanto formale una realtà trinitaria immanente, perché non ci sarebbe tra la natura umana assunta ed il Logos altro rapporto che quello tra creatore ed una qualunque altra creatura. Secondo Rahner, invece, e l'abbiamo già appreso, la relazione è molto più intensa.

"La natura umana è oggetto possibile della conoscenza e della forza creativa di Dio, perché e in quanto il Logos è per sua essenza colui che può venir espresso, anche nel non-divino, perché e in quanto egli è appunto la parola del Padre nella quale il Padre può esprimersi e - liberamente - manifestarsi anche nel non-divino e perché, quando ciò avviene egli diviene ciò che noi chiamiamo natura umana. La natura umana, in altre aprole, non è la maschera presa dall'esterno (il proswpon), la livrea nella quale il Logos nascosto gesticola nel mondo, bensì fin dall'inizio il simbolo reale costitutivo del Logos, cosicché dobbiamo e possiamo dire: l'uomo è possibile in quanto è possibile l'automanifestazione del Logos"[46].

     Occorre perciò riconoscere che la seconda persona della Trinità rivela ed esprime se stessa nelle parole, nei gesti, nelle vicende di Gesù, non solo secondo una soggettività formale ma proprio per mezzo della umanità. Il Logos non dimora soltanto in Gesù, ma è l'ipostasi in cui l'umanità di Gesù sussiste. Il Logos è dunque lo stesso nell'economia e nell'immanenza.

     Rahner rafforza qui il suo ragionamento con una breve trattazione della sua dottrina della grazia. L'auto-comunicazione delle tre divine persone avviene in modo corrispondente alla particolarità personali di ciascuna e dunque in conformità alle relazioni reciproche tra il Padre, il Logos e lo Spirito. Se si nega che l'autocomunicazione avviene in base al mutuo stato di relazioni, per affermare che ogni persona ha una relazione propria con l'uomo giustificato, si dovrebbe sostenere anche che ogni persona è nella sua individualità qualcosa di assoluto, e non invece una relazione sussistente, col rischio di sfociare nel triteismo. Al contrario,

"Dio si comporta verso di noi triplicemente e appunto questo triplice atteggiamento (libero e gratuito) verso di noi non è soltanto un'immagine o un'analogia della Trinità immanente, ma è questa stessa anche se in quanto partecipata liberamente e gratuitamente"[47].

 

 

5. Il dibattito sul Grundaxiom

     L'assioma fondamentale su Trinità economica e Trinità immanente funziona dunque da base ultima per un'adeguata risposta al Cur Filius homo. A seconda del grado di sensibilità verso la corrispondenza tra la vita intima di Dio e il ritmo della sua autorivelazione nella storia e nella carne, ogni sistema teologico fornirà una spiegazione del motivo per cui è stata precisamente la seconda persona a farsi uomo.

     L'assioma ha suscitato una discussione ricca di molteplici contributi. Di fatto ogni teologo che abbia affrontato il tema della Trinità negli ultimi trent'anni, ha dovuto prendere posizione sull'enunciato rahneriano. Per meglio puntualizzare quest'ultimo e più robustamente fondare le acquisizioni della nostra ricerca, prenderemo in esame i contributi degni di maggiore attenzione.

     Il primo anello della catena -a quanto ci consta- è il contributo di Ghislain Lafont[48]. In un'opera pubblicata non molti anni dopo i Bemerkungen, l'Autore benedettino espone ed esamina la teologia trinitaria di Rahner e ricapitola la propria posizione in un'analisi critica del Grundaxiom. Questo gli sembra accettabile nella sua prima parte

"mais à une condition: celle de donner une définition de l'économie du salut qui part de la Révélation que nous en fait la Parole de Dieu, et qui n'englobe pas, du moins sans précisions, l'anthropologie transcendantale: l'envoi du Verbe dans la chair et la mission de l'Esprit peuvent effectivement nous faire connaître la vie intime de Dieu, Père, Fils et Esprit si nous recevons dans la foi la Parole qui nous annonce ce salut. Mais cette Parole ne s'identifie pas à l'attente qui, sans doute, en est inscrite au profond de notre être d'homme"[49].

     Dunque, si tratta di salvare a tutti i costi l'assoluta originalità e novità della Parola nel suo rivelarsi attraverso l'incarnazione, senza che dalla struttura dell'uomo in quanto destinato ad essere uditore della Parola stessa possa dedursi alcunché su di essa, non solo cioè quanto al das ma anche quanto al was. Ma le riserve di Lafont si dirigono soprattutto verso la seconda parte dell'assioma, contro il "viceversa". Infatti

"on ne peut pas partir tout uniment de la Trinité immanente pour déduire l'économie du salut; il faut d'abord respecter ce que l'on pourrait appele le Mystère de l'en-soi divin, irréductible à une super-ontologie, et que nous n'atteignons que sur l'autorité de la Parole de Dieu(...) Il faut égalment respecter dans la construction théologique (et pas seulement dans l'affirmation de la foi) la liberté de Dieu aussi bien pour la Création que pour le Salut"[50].

     Nel medesimo filone si inserisce l'apporto di Y. Congar[51], che riconosce nelle tesi di Rahner il contributo più originale alla teologia trinitaria, e accoglie senz'altro la prima parte del Grundaxiom, suggerendo però un temperamento alla seconda parte in quanto in esso sia implicato un trasferimento dal piano conoscitivo a quello ontologico. La preoccupazione del teologo domenicano è in primo luogo quella di non identificare puramente e semplicemente la Trinità economica con la Trinità immanente, nella misura in cui la prima si svolge come mistero libero, mentre la seconda è un mistero necessario:

"come dicono i Padri che hanno combattuto l'arianesimo, le creature potrebbero non esistere, ma Dio sarebbe ugualmente Trinità - Padre, Figlio e Spirito - perché la creazione è un atto di libera volontà, mentre la processione delle persone avviene secondo la natura, katà physin"[52].

     Inoltre, si domanda Congar, può realmente dirsi che nella auto-comunicazione storico-salvifica Dio si coinvolga e disveli integralmente? Non deve piuttosto affermarsi che tale auto-comunicazione sarà piena solo nell'ambito escatologico, mentre al presente essa si compie in uno stile di kenosi, secondo la cifra della condiscendenza? La stessa incarnazione stabilisce dei limiti al carattere esauriente a parte Dei della Rivelazione, limiti che coincidono con i confini stessi della creaturalità. Certamente è davvero Dio che si comunica nella storia della salvezza, ma il fatto che Egli si riveli nel nascondimento e sub contrario, "impone il riconoscimento di una distanza tra la Trinità rivelata economicamente e la Trinità eterna"[53].

     Anello ulteriore della catena è il contributo di W. Kasper[54], che si riallaccia alla riflessione precedente, ed evidenzia le radici dell'assioma rahneriano in affermazioni analoghe di K. Barth e la convergenza con le conclusioni di autori orientali moderni, come J. Meyendorff. Il teologo di Tubinga sottolinea la legittimità e la necessità, ma suggerisce una formulazione della sua seconda parte in modo tale da bloccarne ogni interpretazione illegittima. Tale sarebbe ad esempio quella di chi non valorizzasse sino in fondo la novità che l'incarnazione rappresenta anche per la vita intima della Trinità. O - all'opposto - quella di chi distinguesse i Tre fra di loro secondo categorie esclusivamente modali nella immanenza e secondo categorie invece personali nell'economia, per cui la distinzione avrebbe realtà solo nella storia. Ma come non è ammissibile ridurre la Trinità immanente a quella storico-salvifica, così non si può emarginare la dottrina della Trinità immanente, col pretesto di una sua non significatività. Al contrario, il Grundaxiom dimostra proprio che la nostra salvezza si compie solo se si fonda in Dio stesso, nell'in-sé di Dio. Ebbene, afferma Kasper, l'intuizione rahneriana merita di essere meglio così formulata:

"nell'auto-comunicazione storico-salvifica l'auto-comunicazione intratrinitaria è presente nel mondo in modo nuovo, nelle parole, segni ed opere prodotti nella storia, in definitiva nella figura dell'uomo Gesù di Nazareth. Si deve quindi salvare il carattere di libertà-gratuità e di kenosis  della Trinità immanente rispetto alla Trinità economica se si vuol cogliere il mistero immanente di Dio nella (e non: dietro la !) rivelazione che egli fa di se stesso"[55].

     La rassegna degli autori che nel nostro secolo hanno dovuto misurarsi con la dottrina rahneriana potrebbe comprendere ancora altri nomi come quelli di H. U. von Balthasar[56], J. Moltmann[57], L. Boff[58], B. Forte[59]. Ma non ne risulterebbe una variazione decisiva del quadro sinora delineato, che ci sembra sufficientemente chiaro  da permetterci di tracciare alcune conclusioni, al termine del nostro itinerario.

 

 

6. Conclusioni

     Abbiamo in questo terzo capitolo interpellato il secolo XX sul Cur Filius homo, constatando come la risposta offerta sia molto diversa da quella del secolo XIII, nell'esempio di san Bonaventura. La teologia medievale percorreva bensì la via maestra, ma si smarriva lungo il cammino, mancando - per così dire - delle coordinate che nella mappa geografica del sistema speculativo possono condurre alla meta di una soluzione soddisfacente. San Bonaventura era riuscito a spiegare che spettava alla seconda persona incarnarsi, a partire dal suo essere Immagine, Parola e Figlio di Dio il Padre e tuttavia non aveva saputo dedurre da tali premesse altro che delle ragioni di congruenza. Essendo la seconda persona Immagine, Parola e Figlio, si veniva spinti a pensare che l'incarnazione della prima o della terza persona non sarebbe stat dotata d'alcun senso. Questa però era una possibilità che non veniva affatto esclusa ed era anzi a chiare lettere affermata: per il dottore francescano, come per tutti da sant'Agostino in poi, anche il Padre e lo Spirito santo si sarebbero potuti incarnare. Quale la ragione di una soluzione tanto stridente con la pur ammirevole profondità sviluppata dagli argomenti di convenienza? Ci è sembrato di doverla individuare soprattutto nella scarsa connessione fra Trinità dell'economia e Trinità dell'immanenza.

     Affatto diversa, invece, la risposta del XX secolo, illustrato attraverso Karl Rahner, il teologo che più di tutti ha segnato col suo contributo la situazione attuale della problematica trinitaria. Domandando "perché è stata proprio la seconda persona ad incarnarsi e non il Padre o lo Spirito Santo?", abbiamo appreso che vi è una corrispondenza tra il modo in cui Dio si partecipa all'umanità e la sua vita intima, tra l'auto-comunicazione delle persone divine e le loro particolarità personali. Affermare che anche il Padre o lo Spirito si sarebbero potuti auto-comunicare immanentemente attraverso l'unione ipostatica con la natura umana, analogamente al Figlio, significherebbe dimenticare che tra le missioni e le relazioni v'è una corrispondenza strettissima. La missione del Figlio attraverso l'incarnazione nello spazio e nel tempo ha come fondamento l'origine eterna del Figlio dal Padre. Essa è dunque per così dire il prolungamento della processione del Figlio, il rispecchiarsi nella carne umana dell'eterna generazione divina.  Ora, se il Figlio è la Parola del Padre, è colui che rappresenta l'auto-espressione di Dio nell'immanenza, risulta evidente che quando Dio intende liberamente auto-esprimersi nel non-Dio, deve farlo attraverso appunto Colui che è la sua parola, attraverso Colui che sussiste come persona in quanto è generato eternamente come Figlio al modo del verbum interiore nell'atto del conoscere. "Il Padre, in quanto senza principio, è per definizione colui che è invisibile, che si rivela ed appare proprio dicendo il suo Verbo nel mondo; questi per definizione è intratrinitariamente e economicamente la rivelazione del Padre, così che una rivelazione del Padre senza il Logos e senza la sua incarnazione equivarrebbe ad un discorso senza parola"[60].

     Né si deve temere con ciò di sottrarre qualcosa alla prima e alla terza persona, escludendo la "perfezione" che sarebbe rappresentata dall'attitudine all'incarnazione. Infatti, come non avrebbe senso voler attribuire ad esempio al Padre la perfezione - che è esclusiva del Figlio - di procedere appunto dalla prima persona, così non si sottrae nulla al Padre ed allo Spirito, mettendo in rilievo che l'auto-comunicazione immanente attraverso l'unione ipostatica può competere solo alla seconda persona in quanto è l'auto-espressione innanzitutto immanente di Dio. "Il Logos è per sua essenza colui che può venir espresso, anche nel non-divino, perché e in quanto egli è la parola del Padre nella quale il Padre può esprimersi e - liberamente - manifestarsi anche nel non-divino"[61].

     Non possiamo tuttavia con ciò ritenerci appagati. Riceviamo dalla teologia del XX secolo un'altra, più soddisfacente risposta al motivo per cui proprio il Figlio si è incarnato, ma la nostra ricerca sarebbe servita a ben poco se non mettesse ben in evidenza il presupposto in virtù del quale una tale soluzione è divenuta possibile. Tale presupposto è quello lapidariamente scolpito nel Grundaxiom rahneriano della corrispondenza fra Trinità immanente e Trinità economica. Per giustificare la soluzione del Cur Filius homo dobbiamo dunque giustificare fino in fondo anche il Grundaxiom.

     S'è visto infatti che esso viene generalmente accettato nella sua prima parte ("la Trinità economica è la Trinità immanente"). Se ne aumenta anzi la validità, rafforzando gli argomenti originali con nuovi modi di svilupparli, e illustrandone l'utilità in ambiti a cui Rahner non accenna[62]. Alla seconda parte della formulazione ("la Trinità immanente è la Trinità economica") si dirigono tuttavie molte riserve, che abbiamo citato nelle pagine precedenti. Ma vogliamo adesso chiederci: tali riserve intaccano effettivamente l'assioma del teologo gesuita? Ci sembra di no.

     Non lo intaccano quanto alla sostanza, perché -per ammissione degli stessi critici- nelle obiezioni non v'è racchiuso nulla che contraddica il suo intimo enunciato[63]. Questo viene anzi ripreso ed esplicato in tutte le sue migliori conseguenze.   Inoltre bisogna registrare un importante documento[64] pubblicato in anni recenti dalla Commissione teologica internazionale, in cui si adotta l'insegnamento rahneriano laddove s'afferma che:

"quali sono i tre nomi divini che intervengono nell'economia della salvezza, tali sono pure nella «teologia», cioè - secondo la concezione dei padri greci - nella scienza che noi abbiamo della vita eterna di Dio. Per noi, quest'economia della salvezza è la sorgente unica e definitiva di ogni conoscenza circa il mistero della Trinità. L'elaborazione trinitaria ha il suo punto di partenza nell'economia della salvezza. A sua volta, la Trinità eterna e immanente è il presupposto necessario della Trinità economica. La teologia e la catechesi devono rendere conto di quest'affermazione della fede primitiva"[65].

     Come non leggere in controluce la dottrina del teologo gesuita, ripresa quasi nella sua formulazione testuale? Non diversamente si deve concludere a proposito dei passaggi in cui il documento lamenta la separazione tra la cristologia e la dottrina trinitaria, e denuncia  la presentazione in termini neutrali -  cioè non-trinitari - che la neoscolastica ha offerto dell'incarnazione o della deificazione dell'uomo, e in genere la irrilevanza del mistero del Dio uni-trino nell'insieme delle verità di fede[66]. Le obiezioni all'asserto rahneriano non ne sminuiscono dunque il contenuto.

     Lo intaccano però nella sua formulazione? Un rischio di equivocità sussiste in effetti per ogni definizione, tanto più alto quanto più essa è breve. Ora, bisogna riconoscere che l'estrema concisione del Grundaxiom, specialmente nella seconda parte, corre il rischio di non rendere giustizia al cuore dell'asserto. Preso isolatamente, se ne potrebbero far derivare conseguenze senza dubbio contrastanti con la dottrina del teologo gesuita. Ad esempio l'aspetto della libertà nell'autocomunicazione divina, della indeducibilità e della non-necessità dell'incarnazione è da Rahner costantemente mantenuto ben fermo[67]; ma la lapidarietà della definizione potrebbe metterlo in ombra. Dall'affermazione per la quale il ritmo trinitario dell'automanifestazione di Dio nella storia della salvezza avviene in conformità all'essere intimo di Dio, così che quella è come un prolungamento di quella, si potrebbe far scaturire l'affermazione (inaccettabile) che il mistero di Dio dipende dall'automanifestazione, la tesi cioè secondo cui Dio ha hegelianamente bisogno del mondo e diviene trinitario solo nella storia.

     Stabilito dunque che le correzioni investono piuttosto la lettera anziché il contenuto, e che esse non dicono nulla di veramente ulteriore rispetto a quanto affermato da Rahner, possiamo di buon grado accettare che il Grundaxiom  venga così con maggiore chiarezza rienunciato: "La Trinità che si manifesta nell'economia della salvezza è la Trinità immanente; è la Trinità immanente che si comunica liberamente e a titolo gratuito nell'economia della salvezza"[68]; o anche, più brevemente: "La Trinità economica è la Trinità immanente, in autocomunicazione libera"[69]. Si mantiene in tal modo intatto il nucleo profondo dell'insegnamento rahneriano e si schiude il suo altissimo potenziale ad alcune feconde applicazioni. Le esponiamo nel capitolo conclusivo.

 

 

 

 

 



[1] L'espressione è in J. Dupuis, Introduzione alla cristologia, Casale Monferrato 1993, 17.

 

[2] Riguardo al panorama teologico del secolo ventesimo segnaliamo, nell'abbondante bibliografia, R. V. Gucht - H. Vorgrimler (edd.), Bilancio della teologia del XX secolo, Roma 1972; A. Marranzini (ed.), Correnti teologiche post-conciliari, Roma 1974; D. Ford (ed.), The Modern Theologians. An Introduction to Christian Theology in the Twentieth Century, Oxford - New York 1989; C.E.R.I.T. (ed.), I Cristiani e le loro dottrine, Brescia 1990; R. Gibellini, La teologia del XX secolo, Brescia 1992. Per lo sfondo culturale e filosofico, N. Abbagnano - G. Fornero,  Storia della filosofia, IV: La filosofia contemporanea, Torino 1991.

 

[3] Cf. le considerazioni sul metodo in J. Dupuis, Introduzione alla cristologia, cit., spec. 12-16.

 

[4] Cf. per una biografia soprattutto intellettuale H. Vorgrimler, Comprendere Karl Rahner. Introduzione alla sua vita e al suo pensiero, Brescia 1987. Interessante è anche l'intervista a sfondo biografico a cura di M. Krauss, La fatica di credere, Roma 1986.

 

[5] Vedi R. Bleistein - P. Imhof - E. Klinger - A. Raffelt - H. Treziak (edd.), Bibliographie Karl Rahner 1924-1979, Freiburg -Basel - Wien 1979. Da integrare con  P. Imhof - K. Wittstadt (edd.),  Bibliographie Karl Rahner 1979-1984, in: E. Klinger - K. Wittstadt (edd.), Glaube im Prozess. Christsein nach dem II. Vaticanum (für Karl Rahner), Freiburg - Basel - Wien 1984, 854-871. Anche la bibliografia su Rahner è sterminata. Cf. H. Vorgrimler (ed.), in: Wagnis Theologie, Freiburg - Basel - Wien 1979, 598-622; A. Raffelt (ed.), Bibliographie der Sekundärliteratur und Nachträge, in: Glaube im Prozess, cit., 872-885.

 

[6] K. Rahner, Geist im Welt. Zur Metaphysik der endlichen Erkenntnis bei Thomas von Aquin, Innsbruck 1939 [trad. it. Spirito nel mondo, Milano 1989].

 

[7] K. Rahner, Hörer des Wortes. Zur Grundlegung einer Religionsphilosophie, Monaco 1941 [trad. it. Uditori della parola, Torino 1967].

 

[8] K. Rahner, Schriften zur Theologie, 16 voll.,  Einsiedeln 1954-1984 [trad. it. in 17 voll., Roma 1964-1985, con una disposizione che ridistribuisce però in sei volumi i primi cinque dell'edizione tedesca, e poi riprende l'ordine originale].

 

[9] Pubblicata a Freiburg i.B. dal 1959, ha superato fino ad oggi i 120 volumi.

 

[10] Lexikon für Theologie und Kirche, Freiburg i.B. 1957-1967, 11 voll.

 

[11] Handbuch der Pastoraltheologie. Praktische Theologie der Kirche in ihrer Gegenwart, Freiburg 1964-1969 [trad. it. parziale Studi di teologia pastorale, Brescia 1969-1971].

 

[12] Sacramentum Mundi. Theologisches Lexikon für die Praxis, Freiburg i.B. 1967-1969, 4 voll. [ed. it. Brescia 1974-1977, 8 voll.].

 

[13] J. Feiner - M Löhrer, Mysterium Salutis. Grundriss heilsgeschichtlicher Dogmatik, Einsiedeln 1965-1976, 11 voll. [ed. it. cit.].

 

[14] K. Rahner - W. Thüsing, Christologie - Systematisch und exegetisch. Arbeitsgrundlagen für eine interdisciplinäre Vorlesung, Freiburg i.B. 1972 [trad. it. Cristologia. Prospettiva sistematica ed esegetica, Brescia 1974].

 

[15] K. Rahner, Grundkurs des Glaubens. Einführung in den Begriff des Christentums, Freiburg i.B. 1976 [trad. it. Corso fondamentale sulla fede, Roma 1977].

 

[16] Cf. K. Rahner, Problemi della cristologia d'oggi, in: Saggi di cristologia e di mariologia, Roma 1965, 3-91, spec. 32-33.

 

[17] Cf. K. Rahner, Rapporto tra natura e grazia, in: Saggi di antropologia soprannaturale, Roma 1965, 43-77; nonché Natura e grazia, ivi, 79-122.

 

[18] K. Rahner, Teologia e antropologia, in: Nuovi Saggi III, Roma 1969, 47.

 

[19] Cf. i chiarimenti in rapporto alla cristologia, ma generalizzabili all'intera opera rahneriana in J. Dupuis, Introduzione alla cristologia, cit., 41. Cf. anche K.-H. Weger, Karl Rahner. Eine Einführung in sein theologisches Denken, Freiburg-Basel-Wien 1978, spec. 24-28.

 

[20] Trad. it.  Teologia dell'incarnazione, in: K. Rahner, Saggi di cristologia e di mariologia, Roma 1965, 93-122. Gli stessi contenuti troviamo anche sviluppati nel Corso fondamentale sulla fede, cit., 278-297. V. anche, del medesimo Autore, Teologia della festa del Natale, in: Saggi di cristologia e mariologia, cit., 316-333; La cristologia nel quadro di una concezione evolutiva del mondo, ivi, 123-197; Il significato perenne dell'umanità di Gesù nel nostro rapporto con Dio, ivi, 239-258; Problemi della cristologia d'oggi, cit.; in collaborazione con W. Thüsing, Cristologia. Prospettiva sistematica ed esegetica, cit.; e la voce Incarnazione, in: Sacramentum Mundi, IV, Brescia 1975, 482-500.

 

[21] K. Rahner, Teologia dell'incarnazione, cit., 96.

 

[22]  K. Rahner, op. cit., 99. Il mistero non va qui inteso come un enigma in attesa di soluzione, ma come un dato che esiste proprio in qualità di impenetrabile, e da accettare nell'amore. Cf. K. Rahner, Sul concetto di mistero nella teologia cattolica, in Saggi teologici, Roma 1965, 391-465.

 

[23] K. Rahner, Teologia dell'incarnazione, cit., 101-102.

 

[24] K. Rahner, La cristologia nel quadro di una concezione evolutiva del mondo, cit., 178: "l'Unione Ipostatica (...) non si differenzia dalla nostra grazia per via di quanto in essa è espresso, che è in entrambi i casi (anche in Gesù) la stessa identica grazia, ma proprio per il fatto che Gesù costituisce la profferta fatta a nostro vantaggio; e noi a nostra volta, non siamo tale profferta, bensì i beneficiari della profferta di Dio".

 

[25] Cf. K. Rahner, Teologia dell'incarnazione, cit., 104. Cogliamo qui un'eco del concetto del 'Salvatore assoluto', "quella personalità storica la quale -entrando nello spazio e nel tempo- segna l'inizio dell'autocomunicazione divina assoluta che perviene al suo scopo, quell'inizio che mostra l'autocomunicazione destinata a tutti come verificantesi irrevocabilmente, come inaugurata in maniera vittoriosa": K. Rahner, Corso fondamentale sulla fede, cit. 256.

 

[26] K. Rahner, Teologia dell'incarnazione, cit., 108. Il corsivo è nel testo.

 

[27] K. Rahner, op. cit., 108. Il corsivo è nel testo. L'assioma necessita però di essere così rettificato: "Dio, che è immutabile, può diventare al di fuori di se steeso ma personalmente ciò che non è da se stesso". Attingiamo tale apporto dai nostri appunti privati del corso di J. Dupuis, Il Dio di Gesù Cristo: dalla cristologia alla Trinità, svoltosi a Roma, presso la Facoltà di Teologia dell'Università Gregoriana nel secondo semestre dell'a. a. 1991-1992.

 

[28] K. Rahner, op. cit., 111.

 

[29] K. Rahner, op. cit., 111.

 

[30] K. Rahner, op. cit., 112.

 

[31] Cf. il cap. I di questa dissertazione.

 

[32] Intraducibile il gioco di parole nell'originale tra Selbstässerung e  Selbstentäusserung.

 

[33] K. Rahner, op. cit., 114.

 

[34] K. Rahner, op. cit., 115.

 

[35] Trad. it. Osservazioni sul trattato dogmatico "De Trinitate", in: K. Rahner, Saggi teologici, cit., 587-634. Le medesime riflessioni confluiscono, con qualche aggiornamento bibliografico ed una più articolata intelaiatura, ma senza mutamenti sostanziali, nella prima sezione del contributo rahneriano intitolato Il Dio trino come fondamento originario e trascendente della storia della salvezza, in: J. Feiner - M. Löhrer (edd.), Mysterium Salutis, III, Brescia 1972³, 401-502. Utile  è anche la consultazione di A proposito del mistero della Trinità, in: Teologia dall'esperienza dello Spirito. Nuovi Saggi VI, Roma 1978, 391-398; e delle voci Trinità e Trinità (teologia della) in: Sacramentum Mundi, Brescia 1977, 440-470. Solo qualche pagina nel Corso fondamentale sulla fede, cit., 183-188.

 

[36] K. Rahner, Osservazioni sul trattato dommatico "De Trinitate", cit., 591-592.

 

[37] Cf. K. Rahner, op. cit., 593-595. Il teologo gesuita -per ciò che concerne la creazione- si riallaccia qui alla dottrina bonaventuriana, alcuni aspetti della quale abbiamo illustrato nel cap. II. Il riferimento magisteriale è alla Costituzione Benedictus Deus di Benedetto XII del 23.1.1336 (DS, 1000).

 

[38] Toccheremo l'argomento nel cap. conclusivo.

 

[39] K. Rahner, op. cit., 606. Non è facile però rendere fedelmente l'«und umgekehert» del  testo tedesco.

 

[40] K. Rahner, op. cit., 607.

 

[41] Cf. anche K. Rahner, Dottrina di Dio nella dommatica cattolica, in: Nuovi Saggi III, cit., 191-216, spec. 214ss.

 

[42] K. Rahner, op. cit., 610, nota 18.

 

[43] K. Rahner, op. cit., 612.

 

[44] K. Rahner, op. cit., 613s.

 

[45] K. Rahner, op. cit., 613, nota 19. I corsivi sono nel testo.

 

[46] K. Rahner, op. cit., 617.

 

[47] K. Rahner, op. cit., 621. Rimandiamo per una più diffusa argomentazione agli articoli già cit. Rapporto tra natura e grazia e Natura e grazia.

 

[48] G. Lafont, Peut-on connaître Dieu en Jésus-Christ?, Paris 1969.

 

[49] G. Lafont, op. cit., 226.

 

[50] G. Lafont, op. cit., 227.

 

[51] Y. Congar, Credo nello Spirito Santo, III: Il fiume di vita scorre in Oriente ed in Occidente, Brescia 1987².

 

[52] Y. Congar, op. cit., 25. Cf. la citazione di Atanasio, Contra Arianos, II, 31: "anche se Dio non avesse deciso di creare, egli avrebbe avuto ugualmente il Figlio suo".

 

[53] Y. Congar, op. cit., 29. Il domenicano francese è sollecito soprattutto di prevenire le deduzioni indebite che dalle premesse rahneriane ha tratto ad es. P. Schoonenberg, per il quale  -semplificando molto il suo discorso - la tripersonalità in Dio è un frutto della storia della salvezza. Ma Rahner sapeva chiaramente che l'autocomunicazione tri-personale di Dio riveste carattere salvifico soltanto se è radicta nell'immanenza. Cf. Y. Congar, op. cit., 28.

 

[54] W. Kasper, Il Dio di Gesù Cristo, Brescia 1985².

 

[55] W. Kasper, op. cit., 368.

 

[56] H. U. von Balthasar, Teodrammatica, IV: L'azione, Milano 1986, 297-304, spec. 298s.

 

[57] J. Moltmann, Il Dio crocifisso, Brescia 1973, 276-291, spec. 281; Trinità e Regno di Dio, Brescia 1983, 172-174.

 

[58] L. Boff, A Trinidade e a sociedade, Petropolis 1987, 260-263.

 

[59] B. Forte, Trinità come storia. Saggio sul Dio cristiano, Cinisello Balsamo 1988, 18-24.

 

[60] K. Rahner, Osservazioni sul trattato dommatico "De Trinitate", cit., 612.

 

[61] K. Rahner, op. cit., 617; Cf. ancora 613 nota 19.

 

[62] Cf. ad esempio W. Kasper, Il Dio di Gesù Cristo, cit., 367, che inquadra il tema nella controversia tra Hegel e Schleiermacher.

 

[63] V. quanto riconosce Y. Congar, op. cit., 30.

 

[64] Commissio theologica internationalis, Desiderium et cognitio Dei. Theologia-Christologia-Anthropologia, 1982, in: Enchiridion Vaticanum, VIII, Bologna 1984, 356-399.

 

[65] Commissio theologica internationalis, op. cit., 366-367.

 

[66] Commissio theologica internationalis, op. loc. cit.

 

[67] Cf. ad es. dichiarazioni come queste: "Il Logos (...) è la Parola del Padre nella quale il Padre può esprimersi e -liberamente-manifestarsi anche nel non-divino" (da: Osservazioni sul Trattato dommatico "De Trinitate", cit., 617); "[la triplice autocomunicazione di Dio] non è soltanto un'immagine o un'analogia della Trinità immanente, ma è questa stessa anche se in quanto partecipata liberamente e gratuitamente" (da: op. cit., 621). Le citazioni potrebbero anche essere più numerose. (I corsivi nel testo sono nostri).

 

[68] Commissio theologica internationalis, op. cit., 367.

 

[69] Attingiamo tale formulazione ancora dagli appunti privati del già citato corso di J. Dupuis, Il Dio di Gesù Cristo: dalla cristologia alla Trinità.