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      MARTIRI DI IERI E DI OGGI A CONFRONTO

                        di ENZO BIANCHI

  

 

      Il tema del martirio è una costante in Missione Oggi perché riteniamo che il martirio sia l'indicazione più chiara e genuina di ciò che è l'annuncio cristiano. Enzo Bianchi, priore di Bose, ci presenta il significato teologico ed ecumenico dei martiri di ieri e di oggi.

 

      Tra gli articoli di Missione sul martirio ricordiamo: "Testimoni a caro prezzo, lettura degli Atti degli apostoli" (nov. '95, dic. '95, gen. '96) e il Dossier "Preghiera, martirio e pace" (gen. '97) di Massimo Toschi.

  

      Se c'è nel Nuovo Testamento una necessità divina e umana attorno alla quale sono narrate e testimoniate le parole e le azioni di Gesù, e di conseguenza quelle degli apostoli della chiesa nata dalla Pentecoste, questa necessità è quella della passione-morte. "È necessario", dei paradodemai (Mc 8,31 = Lc 24,7); polla pathein (Lc 9,22); ypsothenai dei (Gv 3,14).

  

      Necessitas passionis di Gesù Cristo, del Kyrios, necessitas passionis del cristiano, del servo:

                             "Dove sono io, là voglio che sia anche il mio servo" (Gv 12,26).

     

      Se quindi Gesù ha conosciuto la croce - luogo di infamia, di maledizione, di peccato scomunicante, ma luogo anche di gloria (doxa, doxesein, cf. l'Evangelo di Giovanni) - anche il discepolo deve conoscerla nel martirio, nella morte violenta.

  

      Per questo la chiesa nata dalla croce e dalla Pentecoste conosce, all'inizio stesso della sua testimonianza

                  - "Voi sarete miei testimoni" (ymeis martyres, Lc 24,48) - le sofferenze, le persecuzioni in Pietro e Giovanni e la morte violenta, il martirio, in Stefano e poi in Giacomo.

  

      In tal modo il testimone, martys, lo è fino alla morte, espressione suprema della violenza radicale accolta a causa di Cristo e dell'Evangelo.

 

Già all'interno della Scrittura il termine martys, inizialmente usato per designare chi dà testimonianza con la parola e la vita, en ergo kai logo, diventa l'appellativo di quelli che hanno versato il sangue (Ap 17,6) per Gesù, quindi dei testimoni per eccellenza.

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      Origene, nel suo commento a Giovanni, descrive bene il concetto di martire: "Chi rende testimonianza alla verità, difendendola con le parole, con gli atti o in altri modi, può a giusto titolo essere chiamato testimone (martys).

     

      Ma secondo la consuetudine dei fratelli colpiti dai comportamenti di quelli che hanno combattuto fino alla morte per la verità o la purità, non si dice martire (martys), in tutta la forza di questo termine, se non per quelli che nell'effusione del loro sangue hanno reso testimonianza al mistero della pietà, mentre il Salvatore chiama testimone chiunque rende testimonianza a ciò che è stato annunciato riguardo a lui.

  

      Secondo questa definizione, la chiesa precostantiniana fu dunque ecclesia martyrum, narrando con la vita che unico era il destino della chiesa e del suo Signore, il "testimone vero e fedele" (Ap 1,5; 3,14) che diede la sua testimonianza di fronte a Ponzio Pilato.