ACNews,
002/98 - Il problema curdo,
un problema cerniera
fra i mondi slavo, turco, arabo e persiano nato dalla frantumazione dell'Impero
Ottomano a seguito dell'esito della prima guerra mondiale.
Roma,
16-11-1998.
Alla fine della prima
guerra mondiale, in seguito al crollo dell'impero ottomano, le potenze
occidentali attuano la divisione del Kurdistan - un territorio montagnoso a
forma di mezzaluna, delle dimensioni dell'Italia e oggi con una popolazione di
circa 25 milioni di abitanti -
fra
Turchia, Iraq e Siria, mentre l'area curda in Iran resta entro i confini di
questo Stato e quella armena "scompare" quasi immediatamente
nell'URSS.
Il popolo curdo oppone
una strenua resistenza all'emarginazione e al tentativo di etnocidio perpetrato
soprattutto dalla Turchia progressista di Mustafà Kemal Atatürk (1881-1938) e
dall'Iraq bathista, cioè nazionalsocialista.
Le ragioni
dell'interesse per il territorio del Kurdistan stanno nella ricchezza del suo
suolo e sottosuolo, cioè nelle sue risorse agricole, petrolifere e minerarie.
La politica di
decurdizzazione è di volta in volta politica di turchizzazione, di
persianizzazione e di arabizzazione, e le vicende del popolo curdo possono
venir paragonate a quelle del popolo armeno e di quello ebraico, mentre la
spartizione del Kurdistan richiama quella della Polonia alla fine del secolo XVIII.
Dopo una lunga presenza
feudale, quindi una lunga semi indipendenza soprattutto all'interno dell'Impero
Ottomano, il nazionalismo curdo prende forma all'inizio del secolo XIX.
Tutto l'Ottocento è
sostanzialmente conservatore, si realizza in opposizione alla politica di
centralizzazione del governo di Istanbul ed è guidato da capi feudali e
religiosi.
Dagli inizi del secolo
XX, cioè dalla rivoluzione dei Giovani Turchi nel 1908, il movimento nazionale
curdo s'inserisce nel quadro generale dei movimenti di liberazione che si
sviluppano in seno agli imperi multinazionali: dalla prospettiva dell'autonomia
si passa a quella dell'indipendenza.
Dopo la seconda guerra
mondiale il nazionalismo si coniuga con il comunismo e il riferimento analogico
si può spostare dalla Polonia all'Irlanda.
Prima
del 1989, quanto accade oggi - indipendentemente dalla realtà della
persecuzione dei curdi da parte dello Stato turco - sarebbe stato
interpretabile come un tentativo di mettere in cattiva luce, agli occhi della
cosiddetta opinione pubblica mondiale un membro della NATO, quindi di creare
problemi a questa alleanza nell'area sudorientale. http://web.tiscali.it/martiri
Dopo il 1989, è
verosimile dire almeno che - immaginando senza difficoltà di sorta relazioni
sopravviventi nell'area postcomunista, confermati dalle riunioni del
"parlamento curdo" in edifici statali italiani -
i profughi curdi
vengono trattati con un occhio di riguardo dal governo italiano e si offre loro
lo statuto di rifugiati politici,
statuto neppure
ipotizzato per i profughi albanesi, che pure spesso fuggono dal "ritorno
dei comunisti" di Fatos Nano e dell'ex capo di stato maggiore di Enver
Hoxa, Kiço Mustaqui, il costruttore dei 700 mila bunker per prevenire
un'eventuale invasione straniera in Albania.
Il trattamento
privilegiato assume caratteri emblematici nel caso di Abdullah Öcalan, segretario
generale del PKK, il Partito dei Lavoratori del Kurdistan, cioè il partito
comunista curdo, arrestato il 12 novembre 1998 al suo arrivo all'aeroporto di
Fiumicino in quanto colpito da mandati di cattura emessi sia dalle autorità
turche che da quelle tedesche.
Dal punto di vista
della politica interna l'attenzione si deve concentrare su questa disparità di
trattamento, senza trascurare una notazione "materiale": quella
relativa al diverso costo economico dell'immigrato e del rifugiato politico.
Dal punto di vista della politica
estera, si deve notare come i governi che si mostrano più comprensivi verso i
curdi sono quello italiano e quello francese, cioè due governi di
Centrosinistra, mentre difficoltà vengono ancora dalla Germania e dall'Olanda,
almeno perché si tratta dei paesi europei con la presenza percentuale curda
maggiore: nel 1990, quando in Italia tale presenza era stimata in 300 unità, in
Germania era valutata in 300.000 unità su circa 2 milioni di turchi presenti,
in Olanda in 20.000 su circa 200.000 turchi, in Austria in 30.000 e in
Danimarca in 10.000.