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                   Introduzione

 

Il rispetto della libertà religiosa è un criterio non solo della coerenza di un sistema giuridico, ma anche della maturità di una società di libertà.

                                                                  Giovanni Paolo II

Discorso al Corpo Diplomatico accreditato presso la Santa Sede

9 gennaio 1989

 

     Ogni individuo ha il diritto alla libertà di pensiero, coscienza e di religione; tale diritto include la libertà di cambiare religione o credo, e la libertà di manifestare, isolatamente o in comune, sia in pubblico che in privato, la propria religione o il proprio credo nell'insegnamento, nelle pratiche, nel culto e nell'osservanza dei riti.

 

Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo

10 dicembre 1948

                            articolo 18

  

Una tra le più odiose violazioni dei diritti umani - anzi, del primo tra questi, la libertà religiosa - in molti Paesi islamici impedisce a chi non è musulmano anche solo di pregare in pubblico, costringendo i cristiani, ma non solamente loro, a vivere in condizione di inferiorità sociale a causa della loro fede, in una condizione che viene definita di "cittadinanza imperfetta".

 

     La falsa e strumentale identificazione del cristianesimo con un Occidente senza storia, che trova facile accoglienza presso i musulmani, e non solo fra quelli incolti, ma certamente anche una prospettiva religiosa che non conosce il rispetto della dignità degli uomini, sono fattori che determinano per un numero considerevole di cristiani, quelli viventi in Paesi d'islam, una vera e propria diminuzione della partecipazione alla vita pubblica e della rilevanza sociale, proprio mentre, pur in assenza di qualsiasi reciprocità, si costruiscono moschee in quella che era un tempo la Cristianità.

 

     Eppure, ai primi di luglio del 1998, ad Aqaba, nella Giordania meridionale, sono venuti alla luce i resti di una chiesa cristiana che sarebbe stata seppellita nel 363 d. C. da un terremoto e potrebbe essere la più antica finora ritrovata al mondo.

     Il cristianesimo si espanse infatti dalla Palestina all'attuale Giordania proprio nel IV secolo dopo Cristo.

 

     L'identificazione della religione cristiana con l'Occidente si rivela perciò un errore, soprattutto quando è l'Occidente, in seguito al plurisecolare e costante processo di scristianizzazione subito, a non identificarsi più con il cristianesimo.

 

     Se l'islam considera l'Occidente una terra secolarizzata, ha tutte le ragioni per farlo, ma l'unica strada per avere di fronte una civiltà di credenti è quella di rispettare i diritti di ogni uomo o donna che professa una qualsiasi richiamano, "del libro".

 

     I rescritti del Profeta Maometto che assicurano pace al Monastero di Santa Caterina sul Sinai, suscettibili di un'interpretazione logicamente estensiva che giungerebbe a considerarli una garanzia per tutti i cristiani, sono dimenticati dall'esegesi coranica che attualmente va per la maggiore e tende piuttosto ad appiattirsi sul commento del giurista Ibn Taymyya (1263-1328) - considerato la fonte dottrinale dell'ideologia dei cosiddetti fondamentalisti - secondo il quale il musulmano ha il dovere di assumere l'autorità e nella cui dottrina sono esposti i benefici che deriverebbero dall'unione totale tra potere spirituale e temporale, sia per il governo che per i governati.

 

     Tutto ciò ad onta del fatto che, durante un convegno tenutosi a Kuala Lumpur nel 1998, uno dei più prestigiosi studiosi del mondo islamico, Sheikh Muhammad Sayyed Tanlawi, professore all'università Al-Azhar del Cairo, in Egitto, abbia affermato che l'islam non prevede sanzioni per gli apostati, se essi non insultano o minacciano la religione, sostenendo che "Ai tempi del profeta Mohammad, se qualcuno voleva lasciare l'Islam, il profeta lo permetteva", chiarendo poi che eventuali provvedimenti possono essere presi contro l'apostata solo se costui si scaglia contro l'islam o lo minaccia.

 

     Il presente "Rapporto" non ha il fine di soffermarsi sulle dottrine che stanno alla radice dei fatti riportati, né vuole indicare relazioni di causa ed effetto, sia per l'estrema varietà ed estensione geografica delle situazioni presentate sia per la loro dinamicità, che consente soltanto a posteriori di trarre conclusioni di tipo storico, politico e ideologico.

    

     Si tratta perciò esclusivamente di un monitoraggio, con un taglio di tipo cronistico, dei Paesi in cui la maggioranza degli abitanti è formalmente di religione islamica, per cogliere quali siano i pericoli per la libertà religiosa, per i cristiani e per gli appartenenti ad altre religioni, sociologicamente minoritarie, non esclusa, in alcuni casi, qualche tendenza dell'islam stesso, laddove vi siano Stati che hanno fatto della lotta al "fondamentalismo" uno dei propri obbiettivi principali.

 

     Allo scopo, sono state utilizzate fonti giornalistiche e di agenzia, resoconti e testimonianze diretti, limitandosi agli episodi più illuminanti per ogni singolo Paese. Le notizie sono state lette e interpretate alla luce di studi compiuti da esperti orientalisti, al fine di comprendere la portata religiosa e politico-culturale degli avvenimenti e del clima che si vive in quei Paesi, tenendo conto anche delle tendenze che si manifestano, in una prospettiva di alcuni anni, e facendo riscontri con il passato.

 

     Dunque, si ritrovano nel mondo islamico diverse tipologie di mancato rispetto del diritto alla libertà religiosa, a seconda che la persecuzione venga dalle istituzioni in nome della laicità dello Stato (la Turchia), oppure in nome della shari'a (il Sudan), o per ragioni di politica interna (l'Egitto) o internazionale.

 

     Infine, vi è il pericolo proveniente dai gruppi islamisti, che mettono a repentaglio la libertà e la vita di tutti quanti, musulmani e non-musulmani, non si attengano all'interpretazione coranica propria dei gruppi islamisti.

 

     Ciò che si ritrova più comunemente è la proibizione, di tipo giuridico e non soltanto dovuta a una comprensibile pressione sociale, della conversione al cristianesimo per i musulmani e l'impedimento alla pratica pubblica della fede cristiana nei Paesi islamici, quindi, a fortiori, della missione.

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     Si tratta di uno dei tanti segni di un processo di dimensioni e portata mondiali che vede la progressiva etnicizzazione delle culture, incapaci di assumere elementi dall'esterno.

 

     Il rifiuto di apporti culturali esogeni, tuttavia, lungi dall'essere una causa di sopravvivenza, provoca più spesso l'implosione, cioè la decadenza da parte delle culture in questione.

 

     Un criterio di giudizio, che consenta di interpretare e integrare altri mondi nella propria tradizione, arricchendola, è necessario per ogni cultura che avverte la minaccia dell'omologazione e della globalizzazione, ma questo non può venire dall'esclusione dell'"altro da sé", quanto dalla considerazione che ogni uomo è figlio di Dio e ogni offesa fatta a un uomo è fatta anche a suo Padre. Inoltre, ed è l'aspetto decisivo, le culture sono strumenti dell'uomo e per l'uomo, la cui possibilità di convertirsi non deve trovare ostacoli né culturali né istituzionali.

                                                                  Andrea Morigi

 

 

                            "In effetti, come spesso ho avuto occasione di dichiarare, la libertà religiosa costituisce il cuore stesso dei diritti umani.

 

     Nel professare la sua religione la persona esprime le sue aspirazioni più profonde e sviluppa ciò che in lui è più intimo: la sua interiorità, il santuario dell'essere che nessuno può infrangere.

 

     Così è indispensabile che ciascuno possa seguire la sua coscienza in ogni circostanza e che nessuno lo costringa ad agire contro di lei. D'altra parte, il diritto alla libertà religiosa, oggi riconosciuto dalla maggioranza degli Stati, 'include quello di manifestare il proprio credo, da soli o con altri, in pubblico o in privato'".

                                                        Giovanni Paolo II

 

              Discorso in occasione della presentazione delle Lettere Credenziali del nuovo ambasciatore di Kuwait

              25 maggio 2000

 

     L'immensa schiera dei martiri del XX secolo, così efficacemente descritta dal cardinale Angelo Sodano a Fatima il 13 maggio 2000 come "l'interminabile Via Crucis guidata dai Papi del ventesimo secolo", ha scosso le coscienze non solo dei credenti, ma anche degli "uomini di buona volontà".

    

     Il titolo e il contenuto dell'articolo di fondo apparso sul "Corriere della Sera" del 14 maggio 2000 a firma del professor Ernesto Galli Della Loggia, Un secolo contro Dio, esprime bene e sinteticamente il giudizio complessivo sul secolo che si è appena concluso.

 

     Il rispetto del diritto alla libertà religiosa, anche grazie al Magistero sul tema di Giovanni Paolo II, va acquisendo nella coscienza dell'opinione pubblica il valore del parametro principale di giudizio circa il rispetto dei diritti umani garantiti dalle numerose dichiarazioni nel tempo sottoscritte dai governi o emanate da organismi internazionali.

 

     Il Rapporto che l'"Aiuto alla Chiesa che Soffre" mette a disposizione del pubblico vuole fornire un quadro generale del problema abbracciando nel suo esame praticamente tutti i Paesi del mondo.

 

     Il criterio seguito non è quello "confessionale".

 

Infatti è in gioco un diritto naturale che precede la confessione religiosa.

     Il diritto cioè alla ricerca della verità, che nella sua concretezza si estrinseca attraverso tre condizioni: libertà di conversione, cioè di libera scelta della verità a cui in coscienza si ritiene di aderire, libertà di pratica pubblica del culto, libertà di rapporti internazionali con coloro che condividono la stessa fede.

 

 

     Ogni tentativo di separare queste componenti, coartandone qualcuna, produce una lesione alla libertà religiosa nel suo complesso.

Un aspetto che riguarda anche Paesi da lungo tempo dotati di istituzioni democratiche mi pare vada evidenziato.

 

     La tendenza che mette a rischio la libertà religiosa attraverso l'istituzione di forme di "inquisizione laica".

 

     Cioè l'attribuzione impropria a organi di polizia o dello Stato della funzione di definire che cosa o quale sia la forma di religione ammissibile.

 

     Il pericolo quindi di un atteggiamento che definisca ogni esperienza religiosa "forte" quale "settaria".

 

     Il pericolo di un "relativismo obbligatorio" del quale in alcuni Paesi si avvertono i preoccupanti sintomi.

 

     L'"Aiuto alla Chiesa che Soffre", che da 53 anni si preoccupa di sostenere la Chiesa perseguitata o in difficoltà, ritiene che con questo rapporto annuale adempia a uno dei suoi compiti istituzionali. La denuncia pubblica, infatti, delle situazioni di impedimento dell'esercizio della libertàreligiosa dà coraggio alle vittime e intimorisce gli aguzzini.

                                                                      Roma, maggio 2000

Attilio Tamburrini

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È possibile richiedere il testo originale del Rapporto all'Aiuto alla Chiesa che Soffre, Segretariato Italiano - piazza san Calisto 16 - 00153 Roma - tel +39-06-5814841 - fax +39-06-5899136 - acs.it@tin.it

 

La libertà religiosa nei Paesi a maggioranza Islamica

Rapporto 1998

 

Introduzione

 

Il pericolo quindi di un atteggiamento che definisca ogni esperienza religiosa "forte" quale "settaria". Il pericolo di un "relativismo obbligatorio" del quale in alcuni Paesi si avvertono i preoccupanti sintomi.

L'"Aiuto alla Chiesa che Soffre", che da 53 anni si preoccupa di sostenere la Chiesa perseguitata o in difficoltà, ritiene che con questo rapporto annuale adempia a uno dei suoi compiti istituzionali. La denuncia pubblica, infatti, delle situazioni di impedimento dell'esercizio della libertà religiosa dà coraggio alle vittime e intimorisce gli aguzzini.

Roma, maggio 2000

 

Attilio Tamburrini Direttore del Segretariato Italiano