PISAI:
Chiavi di lettura per l'incontro Islamo-Cristiano
di
Adriano Pedroni
In precedenza AFRICA ha proposto ai suoi lettori uno studio sui
fattori storici e attuali dei rapporti tra Cristiani e Musulmani.
Oggi
presenta una struttura -unica nella Chiesa - che prepara i cristiani al dialogo
con i musulmani e costituisce uno strumento d'incontro Islamo-Cristiano: è il
Pontificio Istituto di Studi Arabi e d'Islamistica di Roma (PISAI).
Parlano
studenti e professori impegnati a tenere vivo uno spirito che superi ogni
ostacolo alla reciproca e paziente ricerca del Dio unico.
Trastevere.
E' nell'omonimo rione di Roma che sono nate
le prime Comunità Cristiane romane.
Chiamato
il "rione del porto", perché la sua vita si snodava con tutte le
ricchezze e le contraddizioni di un porto, il Trastevere è sempre stato un
luogo privilegiato d'incontro tra persone di paesi, lingue e tradizioni
svariate.
La
situazione prosperosa ma solcata da disuguaglianze sociali ha ispirato Gregorio
Magno ad assegnare alla Basilica di S. Maria il brano evangelico del ricco
epulone e del povero Lazzaro, creando un clima di preghiera e accoglienza.
La presenza della Comunità di S. Egidio,
divenuta luogo di incontro e di dialogo per costruire la pace, assicura ancora
oggi questo spirito di apertura universale
In
questa prospettiva, e per dare più valore e credibilità al dialogo, si installa
nel 1990 il PISAI, già presente a Roma dal '64. Un istituto che dipende dalla
Congregazione dell'Educazione Cattolica con scopo di allacciare i contatti con
l'Islam in un clima fraterno e rispettoso, e favorire la ricerca religiosa tra
musulmani e cristiani.
Un
corso triennale presenta studi e ricerche sistematiche finalizzati a
raggiungere un bagaglio di conoscenze più esatte possibili del patrimonio
arabo-musulmano, culturale e religioso della comunità Islamica. Pur non essendo
un Istituto linguistico di tipo Orientale, il PISAI prevede lo studio della
lingua araba classica, per poter capire dall'interno cosa significa l'Islam.
Struttura
portante del triennio è l'insegnamento dell'islamistica e della visione
cristiana. Il primo, svolto a partire da testi arabi, religiosi, letterari
classici e moderni, e dalla stampa, orienta gli studenti verso le realtà
storiche, della civiltà e della cultura dei paesi musulmani. In essa rientrano
i corsi di legislatura, di teologia, d'Islam contemporaneo e di scrittura
coranica.
I
corsi sulla visione cristiana vertono sulla letteratura degli arabi cristiani,
la storia dell'incontro, la teologia, il diritto e le diverse espressioni
letterarie e culturali senza dimenticare le problematiche attuali del mondo
musulmano.
Una
stretta collaborazione con insegnanti musulmani e cristiani di cultura araba
assicurano una notevole testimonianza linguistica radicata nelle diverse
situazioni storiche e attuali.
Da "La Manuba" a Roma
L'interesse
del lavoro che studenti e professori svolgono ha radici profonde.
Nel
1926 i Missionari d'Africa (Padri Bianchi) fondarono a Tunisi un centro di
formazione linguistica e culturale per i giovani missionari, padri e suore,
destinati ai paesi musulmani.
Diventato Istituto Belle Lettere Arabe (IBLA)
nel 1931 aprì la strada a numerosi contatti.
Non
si parlava ancora di dialogo Islamo-Cristiano ma di relazioni amicali
Franco-Tunisine che avevano visto la nascita di un Centro Franco-Tunisino
conosciuto per aver promosso numerosi dibattiti e conferenze su temi di ordine
economico, sociale, sanitario, umano e religioso.
A
parteciparvi spesso era un pubblico numeroso e "scelto", membri del
governo tunisino, coloni e studiosi.
Le
iniziative del "Centro" sviluppavano conoscenze tra Occidente ed
Oriente mantenendo uno spirito di larghe intese libero da pregiudizi.
Solo dopo la guerra, nel 1947 i superiori dei
Missionari d'Africa decisero di distaccare dall'IBLA la sezione di tipo
formativa e pedagogica da quella puramente culturale. Erano maturati i tempi
per approfondire gli studi ed aprire una ricerca specializzata nel settore al
fine di formare nuovi docenti ed orientare l'istituto verso livelli
scientifici.
Nell'ottobre
del '49 sorge un centro a "La Manuba" vicino a Tunisi , al quale,
undici anni dopo, la Congregazione per i Seminari e Università conferisce lo
statuto di "Istituto Pontificio di Studi Orientali".
Destinato
ad aprirsi agli istituti religiosi presenti ed ai laici cristiani impegnati in
attività sociali della Chiesa nel mondo musulmano, l'Isti-tuto si affacciava
solo sulla realtà maghrebina con due anni di studio in lingua francese.
L'installazione
a Roma nel '64, per alcuni casuale per altri significativa e nella linea del
Concilio (Nostra Aetate) e del desiderio di Paolo VI di creare un
"Segretariato per le relazioni con i non cristiani" segna il
passaggio alla dimensione universale e all'odierno titolo di"Pontificio
Istituto di Studi Arabi e d'Islamistica".
Roma
favorisce contatti con realtà religiose che fino allora l'Istituto non aveva
conosciuto e segna l'apertura sui paesi del mondo islamico, oltre quelli della
area maghrebina, i paesi sub-sahariani, del Medio-Oriente e quelli dell'Asia.
Emergono nuove necessità, come la creazione della sezione di lingua inglese per
i corsi d'islamistica e l'orientamento allargato a forme universali di
relazione e contatto islamo-cristiano.
"Presto
siamo stati coinvolti come consultori nel Pontificio Consiglio per il Dialogo
Interreligioso", afferma p. Maurice Borrmans, "... e a poco a poco
siamo stati sempre più chiamati al servizio delle Chiese locali italiane",
dando inizio ad una fase di informazione e invito a conoscere il mondo
musulmano in diverse diocesi italiane.
Studio e visite alla base
Abbiamo
incontrato alcuni professori e studenti che hanno prospettive di lavoro diverse
ma orientate a conoscere scientificamente l'Islam e valutare secondo un'ottica
cristiana l'esperienza religiosa dei musulmani. Perché?
"Affrontare
l'Islam nell'ignoranza porta diritto all'intolleranza...", sostiene p.
Andrew Lane, giovane professore canadese, prima di dare inizio alle lezioni di
grammatica araba "... amare il vicino di casa vuol dire rispettarlo, non è
certamente l'indifferenza la via migliore per arrivarci, ma una seria ricerca
dei suoi valori culturali e religiosi".
Non
pochi pensano che solo alcune letture attente bastano per tenersi aggiornati.
Una riflessione di p. Etienne Renaud, Preside dell'Istituto, fa capire che
anche la lettura di un "buon" libro sull'Islam non basta per capirlo.
"Per
me rispetto significa che i musulmani si riconoscano nella presentazione che
noi facciamo del loro Islam. Vuol dire saper presentare l'Islam come è capito
dai musulmani".
I
75 anni di vita del PISAI, costellati da una fitta rete di contatti con
studiosi e dignitari musulmani, danno prova dello sforzo centrato sul lavoro
intellettuale e nelle scienze islamiche.
"Ma
questo non basta - sostiene p. Andrew - la conoscenza dell'Islam non si
esaurisce sui banchi di scuola, anche perché c'è il rischio di rappresentare
solo poche sfaccettature".
Il
metodo da sempre seguito e che sostiene lo studio scientifico al PISAI è
rappresentato dalle innumerevoli e regolari visite alla base, nei contesti
rurali e popolari, e in contatto con gli studenti e professori delle scuole e
oggi delle università, come la Zituna di Tunisi.
PISAI e la Chiesa italiana
Incontro
individuale e tramite le comunità cristiane e musulmane sono due vie essenziali
del dialogo. Per fare questo servono, "dei moltiplicatori - afferma Mons.
Fitzgerald (Segretario del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso)
- cioè persone che accettino di contribuire al dialogo e che il PISAI si
incarica di formarle".
Resta
da precisare anche il luogo dell'incontro. Se restringiamo il campo all'Italia,
la Chiesa inizia una presa di coscienza della nuova realtà che investe le
comunità cristiane confrontate a gruppi d'immigrati musulmani e ai loro centri
di preghiera.
Nasce
di conseguenza il bisogno di capire e formare propri esperti al servizio dei
cristiani.
"Riceviamo
numerose richieste di aiuto per chiarimenti, informazioni e consigli da parte
delle Parrocchie. Senza tirarci indietro, il nostro Istituto vuole però
finalizzare la sua azione alla formazione di coloro che agiranno all'interno
delle chiese locali".
I
corsi d'islamistica svolti nelle lingue inglese e francese limitano il numero
degli iscritti tra laici, preti e religiosi italiani.
Tra questi c'è Don Valentino Cottini della
Diocesi di Verona. Dopo aver ottenuto un dottorato in Sacra scrittura a
Gerusalemme e insegnato per un certo periodo nella sua diocesi, oggi, su
proposta del suo Vescovo studia la lingua araba e l'Islamistica.
"La
presenza musulmana nel Veronese si fa più forte - dice Don Valentino - penso
che dobbiamo preparare le nostre Comunità ad accoglierla prima ancora di
costruire un dialogo".
Vale
forse la pena di chiarire la parola "accoglienza", ancora ristretta
ai bisogni materiali e di prima necessità degli immigrati in Italia.
Essi
hanno grandi tradizioni di accoglienza nei loro rispettivi paesi, ma nella
nostra mente c'è molta confusione, oltre ai pregiudizi e agli stereotipi
sull'islam, "... eppure siamo alla prima fase d'incontro, non
dimentichiamo che ogni persona fuori dal suo paese risente il bisogno di essere
accolta e che siano rispettate la sua religione e la sua cultura".
Il
rischio di vedere le nostre comunità cristiane in difesa delle proprie
tradizioni religiose trova un terreno fertile nell'indifferenza, la quale fa
tabula rasa anche dei valori evangelici, tra questi l'accoglienza civile e
cristiana.
Ruffino,
un giovane della Diocesi di Fermo (A.P.), dopo una licenza in Scienze delle
religioni ha scelto di allargare le sue conoscenze sull'Islam.
"Lo
studio dell'arabo mi permette di entrare nell'area dell'Islamistica
direttamente a contatto con testi arabi sacri, classici e moderni senza passare
dalla traduzione. Per noi laici, questo è una grande servizio che il PISAI
offre e credo che non sia molto valutato in Italia. La presenza di laici, preti
e religiosi italiani al PISAI è veramente bassa.
Non
ci poniamo ancora il problema del dialogo con le religioni monoteistiche,
l'Islam in particolare".
E'
forse banale chiederci perché un cristiano spende tempo ed energie per
confrontarsi con un credente di una religione monoteista ed universale come
l'Islam? Paolo è Benedettino della comunità di Camaldoli.
Sin
dal Concilio VAT II la comunità benedettina ha sviluppato l'interesse per il
dialogo Ecumenico e Interreligioso. "Sono interessato allo studio della
Mistica islamica e della Spiritualità,- afferma Paolo - e la conoscenza
dell'arabo è capitale.
Nel
confronto ricevo stimoli per capire la mia identità cristiana, in particolare
quella Benedettina. Mi preparo a collaborare nel progetto di Camaldoli che è
quello di fornire spazi di incontri e formazione reciproca tra cristiani e
musulmani".
Pedro,
un giovane spagnolo, lavora da 10 anni in Turchia presso la Caritas.
Ogni
giorno vive il dialogo e il confronto a contatto con i rifugiati cristiani in
gran parte iracheni. Viene dal movimento dei Focolarini, la sua scelta
spirituale è di aiuto ai cristiani più preoccupati a difendere le proprie
tradizioni religiose che a trasmettere la loro fede.
"Dopo
50 anni di esperienza laica, molti Turchi ricercano una profondità spirituale.
La lotta contro la religione ha provocato l'effetto contrario e cioè la corsa
in massa ai partiti fondamentalisti. I cristiani si sentono minoranza ferita e
non sono disposti al dialogo. Al PISAI cerco di capire i fattori culturali del
dialogo islamo-cristiano".
La porta su Dio e il peso della storia
La
continua presentazione dell'islamismo radicale da parte dei media accentua le
incomprensioni, intensifica le paure e il disprezzo anche in Italia.
Passano
inosservate le problematiche più importanti che vanno oltre la questione sulla
ricerca della verità religiosa. Una breccia si apre se analizziamo da vicino i
contesti del dialogo islamo-cristiano lontano dall'uso ormai rituale delle
false immagini di fanatismo, intolleranza, aggressività e integrismo.
"Sul
piano socio-religioso il PISAI può portare delle chiavi di lettura cristiana.
L'islam
non conosce distinzione tra religione e società, a differenza della nostra
esperienza cristiana".
Secondo
p. Renaud, l'Istituto, nella sua continua ricerca scientifica in materia di
relazioni islamo-cristiane, mette a fuoco quegli aspetti socio-religiosi che
sono sottoposti ad interpretazioni personali e contrastanti da ambo le parti.
"La
storia porta il peso di enormi contrapposizioni destinate a restare per sempre.
Siamo di fronte all'incompatibilità delle due visioni di Dio e del suo rapporto
con gli uomini.
Ma
non cercherei di cancellare il tutto scegliendo vie superficiali di
avvicinamento, penso che dobbiamo considerarli come due momenti di una
dialettica".
Giungiamo
al punto cruciale. Quale via scegliere? L'intesa a scapito delle differenze sociali,
culturali e religiose o il coraggioso anche se sofferto annuncio della propria
ricerca di Dio?
"E'
qui che trae origine l'apertura personale sul mistero di Dio.
Il dialogo non chiede nè al cristiano nè al
musulmano di tradire le rispettive tradizioni religiose.
Se
contrapposizioni vi sono devono essere assunte da ognuno".
Cristiani poco interessati
Come
assumere queste divergenze se alla base non c'è una solida preparazione.
Conoscenza della lingua e della cultura araba sono, secondo p. Michel Lagarde,
"la porta attraverso la quale accedere alla comprensione di tutto il campo
religioso. Non si può parlare di rispetto reciproco se manca una medesima
volontà di conoscere l'altro.
Il
PISAI ha organizzato tutti i suoi corsi di approfondimento e studio in funzione
di questo, ovvero conoscere chi è il credente musulmano, quale è il suo cammino
per arrivare al mistero di Dio e cosa rappresenta per lui".
Studenti
e professori sono d'accordo nel dire che l'ideale è seguire l'intero corso di
tipo accademico, ma per rispondere ad una più vasta gamma di attese dei diversi
Istituti religiosi e diocesani il PISAI propone un'altra via, chiamata Anno di
Pastorale.
Sotto
la direzione di p. Josef Stamer, il corso si rivolge a coloro che hanno solo un
anno a disposizione e che lavorano nei paesi dove la lingua araba non è parlata
ma resta fondamentale per lavorare e capire l'ambiente dell'Islam.
"A
queste persone serve sapere quali sono i problemi religiosi e sociali e quali
sono i movimenti politici e spirituali che hanno spinto l'espansione dell'
Islam", precisa p. Andrew.
Purtroppo,
un dato inquietante viene dal numero degli studenti che frequentano questo
corso, "troppo basso - secondo p. Josef. E' segno che i cristiani, sia in
Africa che in Europa, non sono molto interessati ai musulmani, come se non
facessero parte della realtà sociale delle Comunità Cristiane".
L'interesse
per conoscere più a fondo l'Islam trova poco spazio anche nei piani pastorali
delle diocesi africane.
"Al
Sinodo '94, il Cardinal Arinze ha proposto la creazione di un Istituto analogo
al nostro nell'Africa Sub-Sahariana.
I
tempi non sembrano maturi.
Occorre
dapprima riuscire ad integrare, nella formazione dei sacerdoti, alcuni studi
sull'Islam, per questo credo che il PISAI è qui per richiamare questa urgenza.
Si
studia molto, a livello teologico, attorno alle religioni tradizionali, mentre
viene lasciato da parte la religione dei musulmani".
Infatti
la totale assenza di preti africani in queste discipline, fatta eccezione di
pochi religiosi, non rispecchia la lunga tradizione di convivenza tra cristiani
e musulmani in Africa.
"Eppure,
- spiega Raymond, domenicano del Benin - la nostra esperienza può relativizzare
i timori e le paure scatenate all'interno delle società cristiane in Europa.
Inoltre, l'Africa ha bisogno di riscoprire la volontà di dialogo, il desiderio
di ricerca nella conoscenza reciproca che le Congregazioni Missionarie hanno
sempre testimoniato".
Al passo con la Storia
Rammarico,
ma profonda convinzione che la diversità delle espressioni religiose vanno
vissute nel rispetto reciproco affinchè siano vera ricerca di Dio.
"Ogni
mio piccolo sforzo di riconciliazione interreligiosa fa emergere nel credente
musulmano il desiderio di raggiungere la luce ultima di Dio. Talvolta la sua
pratica religiosa è anche una sfida per me ad essere migliore nel mio
cristianesimo".
Parole
semplici ma dense di significato quelle del p. Borrmans, rassicurano coloro che
fino ad oggi non hanno percepito il lavoro apostolico del PISAI e traducono
quello di molti testimoni del Vangelo in terra d'Islam.
In
viale di Trastevere non si dimentica che Gesù è l'Alfa e l'Omega, si impara
anche che in mezzo c'è un'arte, quella di: "presentare con chiarezza,
correttezza e carità il messaggio cristiano al musulmano tenendo conto delle
sue obiezioni,...".
E'
questa la realtà storica del momento, e contro la realtà non si può andare.
http://www.missionaridafrica.org/archivio_rivista/1996_3_3.htm