Indonesia
POPOLAZIONE:
199.544.000
RELIGIONE: islam 87.2%; cristianesimo
9.6%; induismo 1.9%; buddismo 1%
Cattolici: 5.581.446
Diocesi: Ende - 630.909; Denpasar -
22.748; Larantuka - 225.991; Ruteng - 522.123; Jakarta - 335.835; Bandung -
77.598; Bogor - 46.851; Kupang - 123.154; Atambua - 399.743; Weetebula - 92.223;
Medan - 442.824; Padang - 58.283; Palembang - 70.515; Pangkal-Pinang - 27.222;
Sibolga - 173.597; Tanjungkarang - 84.154; Merauke - 126.655; Agats - 41.483;
Jayapura - 105.314; Manokvari-Sorong - 38.782; Pontianak - 178.534; Banjarmasin
- 19.773; Ketapang - 70.195; Palangkaraya - 43.729; Samarinda - 100.869;
Sanggau - 211.347; Sintang - 105.359; Semarang - 484.463; Malang - 76.811;
Purwokerto - 67.889; Surabaya - 175.231; Ujung Pandang - 159.488; Amboina -
112.436; Manado - 129.318
Secondo la Costituzione del 1945,
in Indonesia la condizione richiesta alle religioni presenti nel Paese è il
monoteismo.
Il popolo deve essere devoto al suo
Dio in linea con la propria religione, cooperare con chi appartiene ad altre
confessioni per creare una vita armoniosa, rispettare la libertà, le funzioni e
non forzare nessuno a credere in un'altra religione.
La Costituzione prevede cinque
religioni, compreso il cristianesimo. Circa il 90 per cento della popolazione è
musulmano, e ci sono stati tentativi da parte di una minoranza di islamisti di
porre il Corano alla base della Costituzione, sebbene la maggioranza dei
musulmani sia intenzionata a mantenere l'ordinamento vigente.
A Giava l'islamismo è fortemente
influenzato dal pensiero induista, mentre all'esterno prevale la legge
islamica.
Le Chiese cristiane sono attive,
anche se si tratta di una minoranza, ostacolata di continuo dai musulmani fin
nelle piccole cose, come i rapporti di quartiere.
Due decreti del 1978 impediscono la
propaganda religiosa "per ottenere conversioni" e impongono
l'ottenimento del benestare del governo per gli aiuti dall'estero.
Inoltre si registrano difficoltà
nella concessione di autorizzazioni per la costruzione di chiese.
La situazione indonesiana è
giudicata preoccupante per diverse ragioni: la forte tensione politica che
attraversa il Paese si esplica sempre più di frequente in atti di violenza (la
campagna elettorale della primavera del 1997 è stata caratterizzata da scontri
e violenze che hanno causato più di 300 morti).
La situazione economica appare
compromessa dalle difficoltà delle Borse asiatiche, dall'aumento vertiginoso
del costo della vita, dalla inarrestabile svalutazione della rupia,
dall'aumento della disoccupazione.
Per fronteggiare tali problemi e il
crescente malcontento della popolazione il governo è ricorso a metodi di
repressione molto decisi, a volte brutali.
In un simile contesto di crisi e
nella situazione del passaggio di poteri dal dittatore Suharto al suo
"delfino", l'attuale presidente Bacharuddin Jussuf Habibie, vanno
inquadrati anche i crescenti episodi di violenza nei confronti dei cristiani e
dei luoghi di culto.
La pratica e l'insegnamento delle
religioni non musulmane riconosciute dal governo sono generalmente rispettate;
il governo promuove la tolleranza reciproca. In genere il proselitismo è
scoraggiato, in quanto potenziale causa di agitazioni o disordini; l'attività
di missionari stranieri è tollerata, anche se non sono infrequenti restrizioni
e ritardi nell'ottenere permessi di residenza o simili.
In alcuni casi si sono registrati
atti di intimidazione o violenze verso organi di informazione cristiani come il
giornale "Compass". I membri della minoranza cinese (pari a circa il
3,2 per cento della popolazione) sono in gran parte commercianti, anche per il
fatto che sono esclusi dall'impiego nell'amministrazione pubblica o
nell'esercito.
Il 10 ottobre 1996, nella città di
Situbondo, nella parte Est di Giava, una folla di circa 3.000 musulmani ha
assaltato e dato alle fiamme 30 chiese e ucciso sei persone. La folla era
inferocita per la sentenza troppo mite comminata a un giovane musulmano di nome
Saleh.
I rivoltosi, molto probabilmente
per istigazione di agitatori ben organizzati, si erano convinti che il giovane
Saleh fosse nascosto presso una delle chiese della città. Sulla base di questa
diceria hanno assaltato luoghi di culto, scuole, orfanotrofi e abitazioni
private, qualunque edificio fosse collegato ai cristiani. Un pastore della
Chiesa evangelica, sua moglie e i loro due bambini, insieme a una giovane e a
un aiutante, intrappolati nell'edificio, sono bruciati vivi.
Secondo i responsabili della
denominazione protestante (anche sulla base di testimonianze oculari e dei
rapporti della polizia) la sommossa sarebbe stata pianificata e ben organizzata
da agitatori appartenenti a gruppi di integralisti, e ciò sarebbe provato,
afferma l'agenzia di stampa "U.C.A. News" del 14-24 ottobre 1996,
dalla rapidità con cui gli assalti alle chiese sarebbero stati condotti, dalla
disponibilità immediata di ordigni incendiari e dalla coordinazione dimostrata
dai vari gruppi.
Nella parte occidentale dell'isola
di Giava, a Tasik Malaya, il 26 dicembre 1996 sono state distrutte 13 chiese e
una scuola cristiana.
"Idea Spektrum" riferisce
che gli attacchi sono avvenuti nel corso di una ribellione di estremisti
islamici che hanno colpito edifici del governo, scuole, fabbriche e banche.
Sarebbero state uccise anche due coppie nei loro mezzi di trasporto.
Un altro episodio è accaduto a
Manang (Giava centrale), dove circa 50 giovani musulmani hanno fatto irruzione
nel corso di una celebrazione religiosa della vigilia di Natale, hanno colpito
il prete fino a fargli perdere i sensi, hanno rubato i mobili e rotto il
soffitto della sala delle riunioni. Inoltre i giovani hanno spiegato che nel
loro villaggio in futuro non sarà permesso né essere cristiani né celebrare
funzioni religiose.
Il 30 gennaio 1997, gli
integralisti hanno distrutto molte chiese, un tempio cinese ed il negozio di un
cinese cristiano. Hanno fatto irruzione a Rengasdengklok, circa a 50 km da
Giakarta e hanno attaccato gli edifici con sassi e bastoni.
Secondo la polizia locale non c'è
stato nessun ferito: con l'arrivo di tre camionette di militari tutto è tornato
sotto controllo. Alla fine di dicembre nella città di Tasik Malaya, a Giava
Ovest, sono stati uccisi 4 uomini e 15 sono stati feriti.
Gravi danni a più di cento edifici
e a 12 chiese cristiane. A Situbondo sono morti 5 uomini, il pastore
protestante Isaac Christian, sua moglie e tre figli, e distrutte 25 chiese e un
tempio.
Gli indonesiani-cinesi e la
minoranza cristiana sono sempre nel mirino degli attentati musulmani,
organizzati anche per la loro misera situazione economica. Infatti l'80 per
cento del capitale privato è gestito dai cinesi.
Inoltre i militanti vogliono
rendere l'islam unica religione del Paese, obbligatoria per tutti.
Negli ultimi due anni 1300 edifici
della Chiesa cattolica sono stati gravemente danneggiati.
In un'intervista alla
"KNA", suor Rosa Damai Rahayu elenca i maggiori problemi che
incontrano i missionari in questo Stato, che vanno dalla vastità del territorio
e dalla mancanza di trasporti e comunicazioni efficienti, all'opposizione del
movimento islamista che esercita pressione sugli abitanti dei villaggi per
allontanare i missionari, a cui si aggiunge l'esperienza del dominio coloniale
e quindi la scarsa sensibilità della popolazione locale.
La "KNA" del 1°/3 gennaio
1998 testimonia dei crescenti attacchi contro la Chiesa e i cristiani che
vanno, secondo "Fides", di pari passo con la successione al
Presidente Suharto: l'organo di informazione si riferisce a una dichiarazione
del comandante musulmano Abduiraham Wahid, capo del movimento Nahidatul-Ulama,
secondo il quale sono stati stanziati 210 milioni di marchi per portare
scompiglio religioso e sociale.
"Fides" afferma che
dietro gli attentati si nasconde un'oscura regia che persegue obiettivi
politici, economici e religiosi. Sembra che alcuni nuovi movimenti religiosi
cristiani cerchino di prendere piede nel Paese con finanziamenti americani.
"Idea Spektrum" riferisce
di tumulti di estremisti islamici sviluppatisi a Giava est, ovest e centro;
colpite anche la Kalimantan del sud e dell'ovest. Negli ultimi mesi sono state
distrutte 64 chiese e centri cristiani.
A volte gli islamisti assoldano
bande per compiere atti vandalici. All'inizio del febbraio 1998 ci sono stati
attacchi a cinesi cristiani nel sud e centro di Sulawesi.
Il 26 gennaio 1998 a Kregan, Giava
centrale, sono stati distrutti negozi e case di cristiani.
Duemila attivisti hanno cacciato
gli abitanti dei villaggi circostanti. Il 25 novembre 1997, 350 musulmani hanno
attaccato la parrocchia del villaggio Karya Tani e hanno cercato di intimidire
il parroco e i praticanti dell'Istituto della Bibbia di Batu.
Sembra che le bande abbiano
ottenuto denaro anche per questo assalto.
Padre Ignatius Sandyawan Sumardi,
un sacerdote cattolico che aveva dato asilo a tre attivisti del principale
partito di opposizione, ricercati dalla polizia, ha subito un processo a
Giakarta nell'ottobre del 1997.
I latitanti erano ospitati presso
l'abitazione del fratello di padre Sumardi, anch'egli posto sotto accusa. Padre
Sumardi dirige un centro per bambini di strada e senza tetto, e alla fine del
1996 ha ricevuto il premio indonesiano per i diritti dell'uomo.
Nell'aprile 1997, informa la "KNA" del 16 luglio
1997, ha ricevuto il divieto di espatriare.
In ottobre e dicembre 1997 il centro
turistico Villa Syngra a Bogar è stato obiettivo di incursioni: 70 giovani sono
stati bastonati e la parrocchia distrutta. È proibita qualsiasi pubblica
manifestazione cattolica nel corso del ramadan.
Nella città di Clegon, nella parte
occidentale di Giava, a partire dalla Pasqua 1997 sono stati vietati riti e
manifestazioni cristiane. A Garut Selatan sono state interdette le attività
evangelizzazione e a Ketapong è stato rifiutato alla Chiesa il permesso di
costruire un edificio per il servizio religioso, benché la maggior parte dei
cittadini sia cristiana.
Otto suore del Povero Bambino Gesù
arrivate a Cileduk, sobborgo di Giava, e prese a sassate dai musulmani, hanno
reagito costruendo un centro di assistenza per bambini, un asilo e una scuola. A
Flores c'è suor Ugolina che raccoglie tutti i bambini malati abbandonati dalle
famiglie.
Secondo "Human rights without
frontiers" del 6 marzo 1998, non sono escluse nemmeno le proprietà private
e, oltre alle chiese, sono state distrutte e bruciate anche case di cristiani.
Ottenere informazioni è difficile a
causa della vastità del territorio e della molteplicità delle isole assai
distanti tra loro.
La caduta del mercato asiatico e la
conseguente povertà dell'Indonesia hanno portato la popolazione a sfogare la
rabbia contro la Chiesa, facendo diventare queste aggressioni quasi uno sport
nazionale. I cristiani in Indonesia sono circa 20 milioni contro circa 170
milioni di musulmani.
Le maggiori violenze si registrano
a Giava, poi a Sulawesi, Kalimantan, Giakarta. Alcuni degli ultimi attacchi
sono stati appoggiati dai fondamentalisti, ma altri sembrano nati da gente
povera e aizzata dal mito di una nazione musulmana.
Musulmani locali hanno, in alcuni
casi, aiutato a sedare le rivolte anti-cristiane.
Il cardinale Julius Darmaatmadja,
arcivescovo di Giakarta, ha espresso grande preoccupazione per la violenza
scoppiata nella capitale Giakarta tra l'11 e il 14 novembre 1998, quando 17
persone sono morte e centinaia sono state ferite: migliaia di studenti, che
protestavano pacificamente contro la sessione speciale della più alta assemblea
dello Stato, si sono scontrati con la polizia e l'esercito.
Lo scontro più duro è avvenuto il
13 novembre di fronte all'Università Cattolica Atmajaya, sita nel centro di
Giakarta, vicino al palazzo dell'assemblea: i soldati hanno brutalmente aperto
il fuoco sugli studenti e sulla popolazione.
Il giorno dopo la protesta si è
trasformata in disordini in alcuni distretti commerciali, mentre la gente
incendiava e saccheggiava alcuni negozi.
In molte cittàdi provincia gli
studenti hanno continuato a manifestare per le strade fino a lunedì 16, in
segno di solidarietà v erso gli amici uccisi. Il 14 novembre a Medan, nel nord
di Sumatra, oltre 10.000 studenti hanno occupato l'aeroporto per l'intero
pomeriggio, facendo cancellare alcuni voli.
Lo stesso giorno, nella parrocchia
Fiore del Carmelo, nella parte ovest di Giakarta, il cardinale ha celebrato la
cerimonia funebre di Bernardine Realino Norman Irawan, studente all'Università
Cattolica Atmajaya ucciso negli incidenti di venerdì 13.
C'era commozione tra i presenti,
poiché la vittima era conosciuta tra i volontari dell'équipe medica, avviata
dal gesuita p. Sandyawan Sumardi, dopo i tumulti di maggio, in seguito ai quali
Suharto fu rovesciato dalla presidenza.
Dopo le esequie Frans Seda, noto
cattolico ed ex ministro delle finanze, ha chiesto emozionato ai giornalisti se
e perché il movimento riformatore deve esser ripagato con violenza, sangue e
morte: "Se è così, noi siamo pronti, ma è l'unica risposta? Questa
tragedia non deve ripetersi.
Se accade ancora, significa che
vogliono far del male al Paese", ha detto a "Fides". Molti
cattolici provano grande simpatia verso gli studenti, poiché essi interpretano
le aspirazioni della popolazione.
I cancelli dell'Università
Cattolica Atmajaya erano adornati di corone funebri. Abitanti di Giakarta,
spontaneamente, hanno aiutato gli studenti fornendo cibo e medicine.
Negli scontri avvenuti nella
capitale tra l'11 e il 13 novembre durante la sessione speciale della più alta
Assemblea consultiva dello Stato sono state uccise 17 persone e almeno 456 sono
state ferite. Lo ha comunicato il gesuita p. Sandyawan Sumardi, che è a capo
del gruppo Volontari per l'Umanità.
I dati sono stati raccolti dai
volontari che hanno lavorato durante le manifestazioni.
I 17 uccisi sono: 6 studenti
provenienti da collegi differenti, 2 studenti universitari, 2 ufficiali di
polizia, un agente di vigilanza di un supermercato, 4 attivisti musulmani; 2
dei morti non sono stati ancora identificati.
Tra le vittime uno dei membri dello
staff di volontari, Bernardine Realino Norma Irawan, studente di economia
all'Università cattolica Atmajaya, è stato ucciso con una pallottola al cuore,
nel pomeriggio del 13 novembre.
È morto con alcuni compagni quando
la polizia ha aperto il fuoco sulla folla dei manifestanti.
Domenica 22 novembre 1998, durante
incidenti provocati da musulmani, sono state arse 13 chiese e uccise 13
persone, probabilmente con il falso pretesto che alcuni cristiani ambonesi (ex
tagliatori di teste), avevano saccheggiato tre moschee durante la notte
precedente.
Secondo altri,
all'origine degli scontri vi sarebbe una rissa tra cristiani ambonesi e
musulmani nel quartiere cinese di Giakarta. La responsabilità delle
distruzioni, comunque, secondo "Compass Direct", va attribuita al
Fronte per la Difesa dell'Islam (PFI), che ha iniziato un lancio di pietre
contro una chiesa protestante di Giakarta, al quale sono seguiti atti
sanguinari, resi noti anche da giornalisti stranieri, che hanno assistito a
mutilazioni sulla pubblica via. Mentre la folla inferocita urlava "Siamo
gentiluomini musulmani e loro porci cristiani" o "Uccidere tutti i
pagani", uno dei leader che guidavano i musulmani avrebbe gridato, a un
ufficiale dell'esercito che stava proteggendo alcuni cristiani ambonesi, di
farsi da parte per lasciar prevalere la giustizia islamica. Sui muri di una
chiesa bruciata è stata trovata la scritta "Bantai Ambon" (Uccidere
gli ambonesi), dipinta in grandi dimensioni.
I leader cristiani indonesiani
hanno messo in guardia le proprie congregazioni affinché dissuadano i fedeli
dalla vendetta, conoscendone le usanze violente e la cultura, spesso ancora
permeata di elementi tribali, come il codice di sangue.
"Fides" del 27 novembre
1998, riporta che, dopo i disordini di domenica 22 novembre i leader religiosi,
politici e religiosi invitano alla calma e condannano i pochi rivoltosi
responsabili dei massacri. Il 24 novembre A. B. Susanto, responsabile del Forum
delle Associazioni cattoliche d'Indonesia, ha lanciato un appello generale ai
cittadini della capitale perché torni a regnare la pace fra la gente.
Anche due leader di partiti
d'opposizione al governo hanno condiviso e rilanciato l'appello, condannando la
violenza e l'intolleranza. Secondo Abdurrahman Wahid, capo del Nahdlatul Ulama,
la più grande organizzazione musulmana del Paese che conta 35mila aderenti, e
Megawati Sukarnoputri, rappresentante del Partito Democratico Indonesiano, il
fenomeno dell'intolleranza ha dimensioni ridotte ed è minoritario.
"I disordini testimoniano
ancora una volta come una banda di delinquenti possa essere facilmente
strumentalizzata da alcune fazioni politiche per fini d'interesse
particolare" hanno dichiarato il 24 novembre i due leader.
Le autorità locali sospettano che
la violenza sia stata organizzata da un'élite islamica conservatrice per
accrescere la pressione sul governo. Fonti locali confermano che responsabili
degli attacchi sono fazioni islamiche integraliste che approfittano del
malcontento e della miseria della gente per scatenare odio e violenza contro il
gruppo etnico cinese (di fede cristiana o buddista) e contro i simboli delle
sue religioni.
In una dichiarazione ufficiale del
23 novembre la Santa Sede ha espresso preoccupazione per la situazione e
deprecato i fatti accaduti, "lesivi dei tradizionali principi di
tolleranza in vigore in Indonesia secondo la Costituzione del Paese".
Eppure, non sono mancate ritorsioni
violente da parte di cristiani, durante le quali, tra il 30 novembre e il 1°
dicembre, sono state assaltate, saccheggiate e date alle fiamme quindici
moschee, oltre a un mercato, una scuola islamica e un ostello per pellegrini
musulmani nella zona di Kupang (Timor Ovest), città a maggioranza cristiana.
Durante una trasmissione
radiofonica, il vescovo di Kupang, Petrus Turang ha chiesto perdono per gli
incidenti.
I giornali indonesiani, riferisce
l'agenzia "MISNA" del 2 dicembre 1998, confermano l'ipotesi di
"manovre occulte" dietro i disordini di piazza, nel tentativo di
scatenare uno scontro "orizzontale" tra i vari gruppi etnici e
religiosi, allo scopo di far passare in secondo piano il processo contro
Suharto e i problemi autentici del Paese.
Nonostante la legislazione, in
Indonesia esiste una vera e propria persecuzione nei confronti del
cristianesimo. Da trent'anni a questa parte sono state distrutte 385 chiese, di
cui 118 dal 1996 a oggi, e uccisi trentatré uomini. Le esplosioni di violenza
hanno radici politico-economiche oltre che religiose.
L'economia indonesiana è in gran
parte in mano ad indonesiani-cinesi, quasi tutti cattolici, che possiedono l'80
per cento dell'industria privata.
Nel febbraio 1998 molti negozi di
proprietà di questi ultimi sono stati assaltati da teppisti.
Durante sommosse che hanno avuto
luogo nel maggio 1998, sono stati uccisi 1.200 cinesi.
Alcuni gruppi fondamentalisti
islamici sono insofferenti nei confronti di nuovi movimenti religiosi che
cercano di penetrare nel Paese col supporto statunitense. Vi è un acuto
contrasto tra due organizzazioni islamiche: la prima, guidata da Wahid e la
seconda da Amien Rais.
Quest'ultima probabilmente avrà la
meglio con la salita al potere di Habibie, sostenitore ed amico di Rais,
avvenuta alla fine maggio 1998, dopo trentadue anni di governo di Suharto.
La "Frankfurter Allgemeine
Zeitung", nell'aprile 1998, forniva un quadro ancora più sconfortante delle
persecuzioni religiose in atto da decenni: dal 1969 sarebbero stati distrutti
in Indonesia circa 440 edifici religiosi, solo nel febbraio 1998 ben 40 chiese
avrebbero subito atti vandalici.
In controtendenza, affermano
"Asia News" e "UCAN", il piccolo centro di Bawen, dove la
capo-villaggio, una donna musulmana, ha difeso Mateus Dato, ex docente
universitario cattolico e presidente di un'associazione locale, dall'assalto di
decine di musulmani che ne volevano distruggere l'abitazione.
Nel Paese, le famiglie cristiane
sono venti, il doppio di quelle musulmane, ma la convivenza è stata pacifica
fino a quando Dato ha rifiutato di dare parere positivo alla costruzione di una
musholla (cappella islamica).
I cristiani, pur essendo la
maggioranza, non dispongono ancora di una chiesa, mentre a soli duecento metri
dal complesso abitativo sorge una grande moschea con annessa una musholla.
La maggiore repressione religiosa
si registra a Timor Est, colonia portoghese fino al 1975 e invasa dall'esercito
indonesiano che ne ha fatto una sua provincia nel 1976. La popolazione non ha
accettato l'annessione e solo nei primi mesi del 1997 si sono contati 35 morti,
81 feriti, 633 arresti e 134 sparizioni.
Qui, la popolazione è cattolica
all'85 per cento. L'unica speranza è che con il nuovo governo qualcosa cambi.
Ma monsignor Belo, Premio Nobel per
la Pace 1996 e Vescovo di Dili (Timor Est), ha denunciato la conversione
forzata degli orfani di famiglie cattoliche all'islam.
Tra i quindici e i venti bambini
orfani e cattolici vengono portati via ogni anno da Timor Est in istituti
indonesiani di Giava dove viene cambiato loro il nome e vengono educati
all'islam. Dal 1997 Timor Est ha due diocesi, quella di Kili e quella di
Baucau, la prima con 520.000 fedeli, 66 sacerdoti e 280 religiose; la seconda
conta poco più di 200.000 fedeli e 22 sacerdoti.