Ven 22 Novembre 2002
S.
Cecilia
Sei un nuovo utente di
CulturaCattolica.it?
Vuoi
accedere a tutti i servizi, ricevere le newsletter, colloquiare con i nostri
esperti?
Non
c'è problema! Registrati subito (è gratuito!) ed avrai accesso a tutti questi
servizi, e tanti altri!
America 1
Autore: Alessandro Degli
Occhi {BOXPDF}
Curatore: Nerella Buggio
Fonte: Tempi 08/11/01
A piedi e a cavallo contro l'infedele
Dove
nasce il fondamentalismo islamico?
Quella
che si è scatenata dopo gli attentati dell'11 settembre negli Usa è solo la
caccia a un pugno di terroristi oppure siamo di fronte a una sfida ben più
rischiosa, in cui si gioca la pace e il controllo delle aree più strategiche
del mondo? abbiamo interrogato Valeria F. Piacentini, docente di storia e
istituzioni del mondo musulmano presso l'Università Cattolica di Milano.
È
ormai un luogo comune dire che la civiltà islamica è sempre stata storicamente
"schiacciata e colonizzata dalla civiltà occidentale". È solo
disinformazione oppure si tratta di propaganda ideologica?
Penso
l'una e l'altra cosa. O meglio: si tratta di propaganda ideologica che gioca
largamente sulla disinformazione. I Turchi hanno dato all'islam una grossa
spinta espansionistica e hanno avuto una netta connotazione militare e
guerriera. Gli Arabi al grido di "Allah è grande" hanno portato
l'islam fuori della Penisola Arabica, nel VII secolo, sulla punta delle loro
spade e delle loro lance. Nel giro di cento anni hanno conquistato larga parte
del mondo allora conosciuto, spingendosi fino all'India, all'Asia Centrale,
sconfiggendo anche i cinesi nel 754. Pensi che la Cina rientrerà in quella
regione solo più di un millennio dopo, nel 1880 circa. A Occidente hanno
varcato i Pirenei addentrandosi nel cuore della Francia, conquistando parte
della Spagna. Nel giro di cento anni hanno conquistato manu militari un'immensa
estensione di territori e popolazioni.
Come nasce l'attuale fondamentalismo islamico?
Il
termine fondamentalismo è ormai di uso comune. Io preferisco usare il termine
di militanza islamica. Cioè il passaggio da un fenomeno culturale a un fenomeno
militante. Questo fenomeno nasce con la disintegrazione dell'impero Ottomano,
tra la prima e la seconda guerra mondiale, negli Anni '30, e il cuore di tutto
questo risveglio è la Palestina. Da notare che la nuova militanza islamica non
è basata su nazionalismi a base etnica, ma è articolata su base religiosa,
transfrontaliera.
Per
esempio in Egitto i "Fratelli Musulmani" si coagulano intorno ai loro
maestri, al di là dei confini imposti ai neonati Stati islamici dall'Occidente.
Questo processo continuerà e si radicherà ancor di più dopo la seconda guerra
mondiale.
La
"Guerra Fredda" darà il via a un gioco a tutto campo: le leadership
dei vari Stati islamici si schiereranno ora dalla parte sovietica, ora dalla
parte occidentale. Là dove le leadership sono permeabili alle lusinghe
dell'Urss e la appoggiano, gli Stati Uniti e in generale gli occidentali
cercheranno di muovere il malcontento delle popolazioni contro i governi e
viceversa. Si gioca in sostanza a destabilizzare il fronte avversario, senza
esclusione di colpi.
Il
comunismo s'infiltra nei movimenti nazionalistici; fa ricorso alle
organizzazioni internazionali di massa operanti sotto il suo controllo. Dà vita
e riorganizza università e istituti per accogliervi e istruirvi africani e
asiatici provenienti dall'area islamica, creando così una classe di tecnici e
uomini di governo legati a Mosca.
Da
questi avvenimenti nascono il socialismo islamico di Nasser in Egitto e,
sull'altro fronte, i governi filo occidentali dell'Arabia Saudita, o si
sviluppano guerre civili come quella tra Yemen del Sud e del Nord.
E in questo contesto come si sviluppa la "militanza
islamica"?
Bisogna
dire che gli Stati islamici moderni si sono trovati ben presto di fronte a una realtà
sociale in rapidissima trasformazione che ha creato vere e proprie spaccature
tra classi sociali e generazioni.
Le
classi dirigenti tradizionali hanno quindi dovuto affrontare sia l'emergere di
una borghesia dotata delle conoscenze tecniche per governare, ma esclusa dal
potere, sia la sfida di una leadership militare medio-alta (i cosiddetti
colonnelli) anch'essa con forti aspirazioni politiche. Non basta: ci sono poi
anche le masse a irrompere sulla scena.
Non
semplicemente come forza d'urto indisciplinata, bensì come forza politica
educata e addestrata dal contatto con la classe religiosa, cioè degli studiosi
di teologia, esperti di Corano, che a parte il caso iraniano e afghano, non
hanno di norma una diretta partecipazione al potere, ma sono custodi e
interpreti della legge islamica e che, di volta in volta, si schierano in
appoggio o all'opposizione del potere politico.
Il
fondamentalismo islamico si colloca in questa contrapposizione tra diverse
generazioni e gruppi sociali.
Nasce,
in prima battuta, come volontà di andare al potere. Il ritorno all'islam
originario finisce dunque per essere una sorta di copertura ideologica per la
conquista del potere.
L'islam,
con i suoi principi universali, permette insomma di plasmare un'ideologia che
legittima, a posteriori, delle realtà.
Dove si colloca una figura come Bin Laden in questo scenario?
Le
dirò una cosa che forse farà rabbrividire. Ma intenda bene: Bin Laden è una
personalità geniale. Ha una capacità di percezione chiara degli umori
dell'opinione pubblica.
Sa
parlare al momento giusto, sa come utilizzare i mezzi di comunicazione. Un uomo
di sottile cultura, anche occidentale.
Perché
ci conosce come raramente noi occidentali conosciamo noi stessi e sa entrare
nei gangli di dibattiti che lacerano i musulmani.
Bin
Laden si pone ideologicamente contro una parte della famiglia regnante saudita
perché, a suo parere, sarebbero venuti meno ai principi fondatori dello stesso
Stato saudita. Stato, si noti bene, che si attiene ancora ai principi più
rigorosi dell'islam.
Tanto
che se lei chiedesse a un saudita qual è la sua Costituzione, questi le farebbe
senz'altro vedere il Corano.
Lo
scopo primario di Bin Laden è quindi quello di prendere il potere in Arabia
Saudita…
Sì,
accusa la casa regnante saudita e altri regimi islamici di essere degli
eretici, di essersi allontanati dalla vera fede.
Per
lanciare questa sua battaglia bin Laden ha usato una espressione tratta
direttamente dal Corano che è estremamente sottile: tutti gli uomini hanno il
dovere collettivo di combattere queste leadership corrotte "a piedi o a
cavallo".
Il
che vuol dire, visto che all'epoca il cavallo era segno distintivo dei ricchi e
l'andare a piedi dei poveri, che tutti - ricchi e poveri - sono chiamati al
combattimento.
Questo
richiamo diretto al Corano ha messo in grande imbarazzo tutte le leadership
islamiche (che non possono contraddire Bin Laden su questo piano), e hanno dato
vigore alla sua strategia pan islamica militante.
Per
estensione poi la lotta contro questi regimi islamici, che lui ritiene
corrotti, finisce per comprendere anche coloro che li sostengono e da qui nasce
la lotta contro l'Occidente e gli Stati Uniti.
Alcuni
osservatori sostengono che se una leadership fondamentalista s'impadronisse
dell'Arabia Saudita o del Pakistan si aprirebbe una grave minaccia sia sul
piano energetico che nucleare.
È
solo fantapolitica?
No,
il rischio esiste.
È
una minaccia che coinvolgerebbe l'Occidente, la Russia, che ormai ne fa parte,
e naturalmente Cina e India.
Un
black out energetico non colpirebbe tanto l'Europa, ma soprattutto la Cina, il
Giappone, l'Australia e la Nuova Zelanda che dipendono in gran parte dal
petrolio del Golfo.
Lo
stesso vale per l'India, che importa largamente petrolio dalla stessa area.
Il
Golfo è in sostanza il grande pozzo di rifornimento dell'Asia e dell'Oceania e
in qualche misura anche degli Stati Uniti che non vogliono intaccare le loro
riserve.
Per
quanto riguarda il rischio nucleare non lo vedo tanto in termini di armi
quanto, semmai, di attacchi portati alle centrali nucleari.
Su
questo punto sono in stato di massima allerta i servizi segreti francesi, che
vedono questa eventualità come molto pericolosa e stanno adottando misure di
sicurezza rigidissime.
Sarei
anche preoccupata per la minaccia batteriologica. Con l'invio delle lettere
all'Antrace si è visto che si può colpire ad personam identificando in modo
chiaro l'obbiettivo.
In
che misura pensa che i totalitarismi del '900 abbiano influito sull'immaginario
del fondamentalismo islamico?
Certamente
hanno favorito la ripresa di coscienza dell'islam e ridato spinta organizzativa
alla militanza.
Quest'ultima
non tanto come guerra di eserciti, ma soprattutto come guerra per bande, la
guerra di guerriglia di Che Guevara.
I
musulmani sono stati addestrati a questo tipo di intervento armato, già durante
la seconda guerra mondiale da inglesi e americani per combattere i giapponesi
(Malesia, India, Filippine, ecc.).
Poi
con la Guerra Fredda, l'Unione Sovietica per destabilizzare l'Occidente ha
organizzato e armato largamente questo tipo di guerriglia.
In
tutti gli Stati islamici gli scritti di Che Guevara e la letteratura su di lui
sono stati e sono tuttora largamente tradotti e hanno lasciato una grossa
impronta nella costruzione delle tecniche più sofisticate di guerra per bande e
di destabilizzazione dal basso.
La
questione palestinese quanto pesa in questa crisi? È il fattore chiave o è solo
uno degli elementi in gioco?
È
uno degli strumenti del gioco.
Come
la crisi determinata dal Fronte di Salvezza Islamico (Fis) in Algeria, come
oggi l'Afghanistan o come l'Indonesia. A questo proposito abbiamo forse
dimenticato troppo in fretta i massacri dei cristiani a Timor Est.
E
abbiamo smesso di parlare anche delle Filippine, scordandoci che in quel Paese
ci sono ancora ostaggi europei a guardia dei quali i terroristi islamici hanno
messo dei bambini armati.
Dunque che cosa dobbiamo prepararci a fronteggiare?
Un
movimento pan islamico, militante e transfrontaliero. Un movimento non più
massificato, ma altamente sofisticato da un punto di vista tecnologico. Le armi
ci sono. Gli uomini le sanno usare, c'è una grande capacità di muoversi sui
territori di tutto il mondo, c'è una grossa disponibilità di denaro.
Questa
è la grande differenza con il periodo della Guerra Fredda: abbiamo questi
legami ideologico-religiosi che superano le frontiere, le etnie, abbiamo la
guida di queste élites multinazionali e, in particolare, c'è questa notevole
capacità di autofinanziarsi soprattutto attraverso il narcotraffico, il
petrolio, metalli preziosi...
Perché
la maggior parte dei Paesi islamici risulta fin qui impermeabile allo sviluppo
di regimi democratici?
È
un fatto culturale. Infatti nell'islam originario arabo e nelle popolazioni non
arabe che poi vi hanno aderito, manca il concetto di struttura statuale in
senso istituzionale. Questo tipo di struttura statuale è un concetto tipico
dell'Occidente o meglio dell'Europa che poi lo ha esportato.
Nell'islam
il potere è semplicemente un contratto tra la comunità dei credenti e quindi
tra i teologi interpreti del Corano, e colui che si propone di guidare la
comunità stessa, di difenderla e di fare applicare la legge religiosa.
Questa
diversità con l'Occidente si vede bene quando muore un capo di Stato islamico:
allora nella maggior parte dei casi abbiamo un profondo rimescolamento delle
carte, che sfocia anche in fatti traumatici: colpi di Stato, rivolte, intrighi
di potere.
In
sostanza: non esiste nell'islam quella continuità che le nostre istituzioni, il
nostro diritto, garantiscono sia pure in un periodo di transizione.
Esiste
un filone riformista all'interno del mondo islamico che tende a separare il
potere politico da quello religioso oppure ci sono solo posizioni isolate?
Ci
sono alcune posizioni significative.
Il Pakistan del presidente Musharraf stava
andando in questa direzione almeno fino agli eventi di settembre. Si era cioè
proposto di riunificare i diversi filoni del diritto presenti in Pakistan dove
convivono il diritto tradizionale, il diritto islamico e il diritto civile
ereditato dall'amministrazione britannica.
Musharraf
aveva dunque messo in piedi un consiglio dei giudici, tra cui un magistrato
donna, che cercava di condurre questi tre sistemi di amministrazione della
giustizia verso un'integrazione graduale in un'ottica moderata. Cosa ne sia
ora, non saprei.
Un
altro esempio in questa direzione è quanto sta avvenendo in Iran con
l'affermarsi della politica riformista del presidente Khatami che mette in
discussione nei fatti la "Guida suprema", l'autorità dell'ayatollah
Ali Khamenei.
La
libertà dei cristiani, degli ebrei e anche di altre religioni negli Stati
islamici è soggetta a diverse limitazioni…
È
una grave questione. Se il Corano è la vera e propria Costituzione degli Stati
islamici, ecco che qualsiasi legge costituzionale od ordinaria che ne deriva si
modella rigorosamente sui principi religiosi contenuti nel Corano stesso.
Sono dunque regole immodificabili.
L'esatto
contrario di quanto avviene in Occidente, dove la Costituzione può essere
modificata. Quello che comunque dobbiamo chiedere, per noi cristiani come per
le altre fedi, è una reciprocità nel trattamento che, ad oggi, negli Stati
islamici non esiste.
Copyright (C) 1995-2001 CulturaCattolica.it
Srl - P.za San Marco 2 - 20122 Milano - Tutti i diritti riservati
Informazioni:
Privacy | Redazione
DWT ASP VERS 1.05 16/04/01