Irina
Osipova, "Se il mondo vi odia..." Martiri per la fede nel regime
sovietico ed. La casa di matriona
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LA STORIA DELLE PERSECUZIONI
contro
i cattolici in URSS dalla rivoluzione alla seconda guerra mondiale, che
presentiamo in questo volume, è solo un primo passo per recuperare la memoria
dei martiri del nostro secolo:
La
Casa di Matriona ha in preparazione altri testi dedicati alle persecuzioni e
alla testimonianza di fede resa dalla Chiesa ortodossa, dalla Chiesa cattolica
ucraina di rito bizantino, dai credenti delle diverse confessioni, e un volume
sulla vita delle comunità cristiane nel lager delle Solovki, il primo campo di
concentramento sovietico che sarebbe divenuto il modello ispiratore del
nascente apparato repressivo.
Non
è facile ricostruire in modo lineare questa pagina della storia della Chiesa
cattolica nel nostro secolo, in cui si intersecano innumerevoli temi legati sia
alle travagliate vicende politiche che alla complessa situazione ecclesiale
(tanto nei rapporti tra le confessioni cristiane, quanto nelle tensioni interne
fra cattolici di rito bizantino e latino).
Il
testo scandisce le tappe fondamentali di questa storia nel primo capitolo,
prendendo in esame poi, nei capitoli successivi, le sorti delle comunità di
rito bizantino e latino, soprattutto nei centri principali di Mosca e
Pietroburgo; le persecuzioni contro i cattolici della Repubblica autonoma dei
Tedeschi del Volga; la vita e la testimonianza dei cattolici confluiti da tutta
l'Unione Sovietica nel lager delle Solovki; le tragiche vicissitudini dei
missionari preparati a Roma nel collegio Russicum, e giunti in URSS animati dal
desiderio di riPortare la fede nel paese dell' ateismo militante.
Che
cosa avvenne dei credenti in Unione Sovietica all'indomani della rivoluzione,
come si svolse la vita quotidiana della Chiesa in quegli anni, quale fu la
sorte di migliaia, milioni di credenti? A queste domande sono state offerte per
ora solo risposte parziali, gli «Atti dei martiri» del nostro secolo restano
ancora da scrivere, i nomi e le testimonianze che ci provengono dai «Colossei
del XX secolo» continuano a rimanere in gran parte sconosciuti.
Mancanza
di dati, inaccessibilità degli archivi sovietici (qui tra l' altro presentati
per la prima volta), certamente. Ma forse questo fenomeno ha una causa più
profonda, quella stessa che Cristo aveva previsto preannunciando ai discepoli
l' «odio del mondo» contro quanti l'avrebbero seguito e testimoniato presente.
Non
si può parlare delle persecuzioni contro la fede e del martirio riducendo li ad
una questione di lotte di potere, di contrapposizioni ideologiche, trattandoli
come un capitolo chiuso e legato semplicemente a una certa forma di regime.
Il
martirio infatti è intrinseco all'esperienza cristiana: è l'estrema
testimonianza resa a Cristo riconosciuto come il significato esauriente della
vita, come l'avvenimento che svela all'uomo se stesso e il proprio destino.
Ogni
potere, dall'impero romano agli artefici della rivoluzione francese, dai
comunisti e nazisti del nostro secolo fino alle strutture di potere odierne,
non può non «odiare» chi difende la libertà della persona fondandone il valore
sul suo nesso con il Destino ultimo, con Dio.
L'appello
di Giovanni Paolo II all'unità dei cristiani intorno ai martiri recupera
proprio questo livello dell' ontologia dell' avvenimento cristiano, perché nei
martiri Cristo è supremamente riaffermato e reso presente.
Recuperare
il martirio come fattore dell'unità e del cammino ecumenico significa oggi
riconoscere le riduzioni e le menzogne in cui l'umanità è sepolta a causa dell'
«odio del mondo» nei confronti di Cristo incarnato, e riPrendere la strada dell'
edificazione della Chiesa come unica speranza di salvezza per l'uomo.
Una
presa di coscienza, questa, oggi derisa e combattuta senza esclusione di colpi
dalla cultura dominante, ma purtroppo disattesa anche da molti uomini di
Chiesa, che per non sPiacere al mondo riducono il cristianesimo a «valori
comuni» da insegnare al popolo, cioè ai valori stabiliti dagli stati, dalla
cosiddetta giustizia, ultimamente dai valori superbi ed effimeri del potere.
Oggi
è troppo diffusa, anche tra i credenti, l'abitudine di condannare le
persecuzioni semplicemente come un fenomeno di intolleranza, di violazione
della libertà di coscienza e dei diritti umani, e guardare al martirio senza
accorgersi della radicalità della proposta di vita da esso offerta anche alla
nostra quotidianità.
Scrivendo
la storia delle persecuzioni contro i credenti potrebbe esserci anche un' altra
tentazione, quella cioè di sostituire al silenzio della censura un' ennesima
ideologizzazione, il tentativo di delimitare i campi di battaglia con un confine
esteriore tra buoni e malvagi, senza ricordare che il confine passa sempre e
comunque all'interno del cuore di ogni uomo.
Si
potrebbe essere tentati di creare un ennesimo mito, il mito di martiri intesi
come eroi senza macchia e senza paura, senza incertezze e cadute.
Uno
dei pregi del testo di Irina Osipova, al contrario, è l'assoluta oggettività
con cui presenta i materiali degli archivi: non parte da intenti apologetici,
«edificanti», non si preoccupa quindi di celare limiti e cadute, ma si limita a
registrare obiettivamente i fatti.
Ne
emerge una «cronaca» dei martiri della nostra epoca che ripropone le identiche
paure, debolezze, cadute, ma anche le figure e gli episodi di autentica
sublimità che contraddistinguono in tutte le epoche la storia della Chiesa: una
storia incommensurabilmente Più grande di tutti i limiti in essa contenuti, che
fa risaltare come il suo protagonista non siano le virtù o le debolezze umane,
ma l'unico autentico Martire e Testimone, che nei martiri di ogni epoca rivive
la propria passione e testimonianza di amore all'umanità -Cristo.
I
martiri sono persone, o «momenti» di persone, che rendono trasparente la Sua
presenza: senza Cristo il martirio sarebbe una testimonianza di eroismo, ma
anche una sconfitta dell' umanità che vedrebbe soccombere alla violenza del
potere gli uomini migliori: senza la certezza nella fecondità della croce di
Cristo la decimazione del popolo russo nel nostro secolo, dalle prime vittime
del' 18 all' assassinio di padre Aleksandr Men', sarebbe un'ingiustizia troppo
grave, una perdita troppo crudele.
La
bellezza del martirio nasce dall'esperienza oggettiva di Cristo presente,
presente nell' altro fratello di prigionia, inquirente o addirittura fratello
che tradisce: è questa oggettività che fonda alcune tra le pagine Più luminose
della storia che presentiamo, come la richiesta dell' assoluzione fatta da
padre Pietro Leoni a padre Nicolas che l'aveva appena tradito davanti al
giudice istruttore, o la compassione che vibra nella lettera di alcune monache
a mons. Neveu, con il resoconto (peraltro lucido e realistico) del venir meno
di alcuni preti durante un processo.
Questa
oggettività tra l'altro è percepita anche dal potere, che non fa grandi
differenze tra «intransigenti» e «collaborazionisti», ma pur sfruttando i
secondi ai propri fini ne diffida come degli altri, e li condanna allo stesso
modo: una riprova paradossale che l'odio è rivolto a «Colui che è tra loro».
Questa
considerazione aiuta a rispondere a una domanda che sorge leggendo il libro:
fin dove si può parlare di martiri o non piuttosto di vittime?
E
chi è caduto, si è compromesso, ha tradito?
I
lapsi (coloro che hanno rinnegato) furono uno scandalo nella Chiesa delle
origini, e certamente non potevano non esistere nei «Colossei» del nostro
secolo; ma la stessa oggettività con cui sono esposti fatti e documenti ci
aiuta ad immedesimarci con queste persone nella situazione in cui venivano a
trovarsi all'indomani dell'arresto, sottoposte a minacce, ricatti, violenze.
Sappiamo
con quali metodi venissero normalmente estorte confessioni, ritrattazioni,
delazioni: tra le righe si legge facilmente quanta parte di umiliazione,
rimorso e dolore contenga ogni cedimento, oltre alla debolezza umana.
Nella
quotidianità oppressiva avveniva per ciascuno il «vaglio della fede», e si
metteva in luce l'ultima sottile tentazione di molti che pure dedicavano
generosamente la vita a Cristo e alla sua Chiesa: la tentazione di voler
realizzare la diffusione del Vangelo, la conquista del mondo alla fede
cristiana attraverso un proprio progetto.
Un
progetto giustificabile, ma ultimamente non evangelico, che mostra il proprio
limite quando si finisce nel vicolo cieco della stanza degli interrogatori,
dell'aula del processo, quando gli inquirenti fanno abilmente intravedere una
possibile soluzione, uno spiraglio di libertà (per continuare il lavoro di
apostolato!) a prezzo del compromesso, della collaborazione con il potere, del
tradimento degli amici...
Era
un inganno crudele, da parte degli inquirenti, e alcuni vi rimasero impigliati.
Chi
può giudicare ciò che avvenne nell' animo di ciascuno di loro?
Come
non paragonare la tortura interiore di padre Sergij Solov'é'v -«Ho tradito
tutti...» -alle amare lacrime di Pietro la notte dell' arresto di Cristo?
Quello
stesso Pietro cui sarebbe stata affidata la Chiesa e che a nome della Chiesa
avrebbe fatto la sua professione di fede a Cristo: «Sì, tu lo sai che ti amo».
E
quella assoluzione chiestagli da padre Leoni sarà forse bruciata per tutta la
vita a padre Nicolas come il bacio dato da Cristo al Grande Inquisitore di
Dostoevskij.
Nella
storia della Chiesa il martirio non risplende come impeccabilità umana, ma come
Mistero di Cristo che si offre e si rende presente nei suoi testimoni, in una
storia di santità che non teme debolezze e limiti, ma che proprio attraverso
essi rende più limpida la coscienza che «non sono io che vivo, è Cristo che
vive in me».
Bisogna
obbedire più a Dio che agli uomini: i protagonisti di questo libro rendono
presente innanzi tutto il fascino, la bellezza della vita vissuta come incontro
con Cristo, sia pure tra le prove e le angosce: è un martirio – cioè una
testimonianza - quotidiano, prima ancora del battesimo di sangue, come quello
vissuto per anni dal vescovo Pie~Eugène Neveu, che in quanto cittadino francese
non venne mai condannato, ma assisté impotente alla persecuzione di migliaia di
credenti da lui conosciuti, sostenuti, e anche indirettamente messi in pericolo
mentre svolgeva un prezioso lavoro di contatto tra la Chiesa cattolica in Russia
e la Santa Sede.
Lettere
e testimonianze documentano più volte una letizia profonda, misteriosa,
l'esperienza della prossimità di Cristo, com'era avvenuto per i cristiani delle
catacombe.
È
racchiuso qui, nell' esperienza di questa prossimità, il culmine di una
fecondità che si palesa nei miracoli di umanità nuova che fioriscono ovunque,
nel carcere, nel lager, come vincoli di amicizia tenerissima, di paternità e di
figliolanza Più forti dei vincoli della carne e del sangue.
Si
può veramente vivere così: il miracolo di questa unità, di questa umanità
vibrante e trasfigurata è ciò di cui il mondo oggi ha disperatamente bisogno.
Per
capire meglio le vicende presentate nel libro è necessario conoscere alcuni
aspetti specifici di tipo giuridico e amministrativo della storia dell'Unione
Sovietica.
Innanzitutto
il sistema giudiziario: con la rivoluzione erano nati molteplici strutture giudiziarie
«di battaglia», che non erano codificate in una legge precisa.
Si
moltiplicavano così vari Tribunali: rivoluzionari, militari, ferroviari o altri
ancora; esistevano anche Reparti di spedizione dei vari Tribunali che andavano
a «fare giustizia» sul campo.
Il
21 febbraio 1918 il Consiglio dei commissari del popolo emanò un decreto nel
quale, al grido: «la patria socialista è in pericolo», si reintegrava la pena
di morte e si affidava l'applicazione del decreto sulla sicurezza dello Stato
non agli organi giudiziari, ma a una «Commissione straordinaria panrussa per la
lotta contro la controrivoluzione, il sabotaggio e la speculazione», in sigla
VCK, poi chiamata semplicemente CK (Cekà), da cui tra l'altro viene anche il
termine cekista.
Il
22 marzo 1918 la VCK ordinava la creazione di «commissioni straordinarie» a
livello locale in tutto il paese: si formava così la rete capillare degli
Organi.
Queste
commissioni avevano potere su tutti gli altri organi statali locali, compresi i
soviet. La VCK era in pratica uno Stato nello Stato.
Nel
febbraio 1919 il Comitato esecutivo centrale (in sigla VCIK) votava una
risoluzione che dava il diritto alla VCK di emettere condanne extragiudiziarie
al lager o alla fucilazione.
Nel
1922 veniva promulgato il nuovo Codice penale sovietico, che metteva ordine nel
caos dei vari enti giudiziali.
Benché il nuovo Codice penale restringesse il
diritto di infliggere una pena ai soli organi giudiziari, nello stesso momento
veniva concessa alla VCK la facoltà di applicare qualsiasi tipo di sanzione.
Si
creavano in questo modo due strutture parallele e indipendenti, aventi le
stesse facoltà: la VCK con tutte le sue vastissime prerogative, e il normale
sistema giudiziario costituito dalle varie Corti e Tribunali.
L'unica
differenza era che per emettere una sentenza i tribunali avevano bisogno di
prove di colpevolezza, mentre la VCK poteva applicare qualsiasi misura prevista
dalla legge in base a semplici denunce, rapporti di informatori, eccetera.
Si
trattava in pratica di un organo di giustizia sommaria ed extragiudiziaria.
Al
di sopra della VCK stava solo il Comitato Centrale del partito.
Il 6 febbraio 1922 un decreto del Comitato
esecutivo centrale (VCIK) aboliva la VCK e i suoi organi locali, trasferendone
le funzioni alla Direzione politica statale (in sigla GPU oppure OGPU).
Ai
due sistemi paralleli di procedura penale corrispondevano due sistemi di luoghi
di pena: uno controllato dalla GPU, uno controllato dal Commissariato del
popolo agli Interni.
In
pratica numerosi lager sovietici erano una specie di istituzione privata di
proprietà esclusiva della GPU; ad esempio il famigerato lager delle Isole
Solovki (in sigla USLON).
Ma
dal 1929 tutti i lager saranno sottoposti al controllo della GPU.
Nell'attività extragiudiziaria della GPU le
condanne venivano pronunciate senza processo dalla cosiddetta Trojka, composta
da tre funzionari.
Le misure punitive potevano essere:
la deportazione o confino: l'allontanamento
dal proprio luogo di residenza e l'obbligo di vivere in una località imposta
dalle autorità;
l'esilio:
allontanamento dal luogo di residenza con la proibizione di vivere in
determinate regioni o città (il cosiddetto minus, che poteva comprendere sei o
dodici città maggiori, fino a minus trentotto);
la
prigione d'isolamento;
il
lager;
la
fucilazione .
Nel
luglio 1934 il VCIK emetteva un decreto che creava un unico Commissariato del
popolo per gli affari interni in cui veniva assorbita anche la GPU: si trattava
dell'NKVD, con la sua Direzione centrale (UNKVD).
Anche
i campi di lavoro passarono nella sua giurisdizione. Nacque allora la temibile
OSO (Seduta Speciale) del Collegio giudicante, che agiva in via
extraprocessuale e non era soggetta alle restrizioni della legge.
Nel 1946 l'NKVD sarà sostituita dal
Ministero degli affari Interni (MVB) e quindi dal Ministero della sicurezza di
Stato (MGB), con le stesse prerogative.
Le
ultime variazioni saranno la nascita del KGB (Comitato per la sicurezza di
Stato) nel 1954, e della FSB (Servizio federale di sicurezza) dopo la caduta
del comunismo.
Il
sistema dei lager era organizzato burocraticamente da un ente che in sigla
suonava GULag: Glavnoe Upravlenie Lagerej, ossia Amministrazione Generale dei
campi d'internamento.
I campi di concentramento comparvero già
nell'estate del 1918, solo sei mesi dopo la rivoluzione, per espressa volontà
di Lenin.
Erano
organizzati in grossi complessi, che portavano il nome in sigla della zona
geografica o di un particolare cantiere di lavori, e potevano comprendere fino
a 350 campi singoli. Ogni campo singolo, poi, aveva dei distaccamenti(lagpunkt)
costruiti in prossimità dell' obiettivo di lavoro.
I
principali raggruppamenti di lager nominati nel presente libro sono: Bamlag:
gruppo di campi che servivano il cantiere per la costruzione della
linea
ferroviaria Bajkal~Amur.
Belbaltlag: complesso di camPi addetti alla
costruzione del canale che
doveva unire il Mar Bianco al Mar Baltico.
Dal'stroj: complesso di lager occupati nei
cantieri dell' estremo Nord.
Dubrovlag: comprendeva i campi disseminati
nella Mordovia, lungo la
direttiva
Temnikov~Pot'ma. Erano detti «campi della morte» per le terribili condizioni di
vita.
Karlag o Steplag: complesso di campi
attorno a Karaganda, nel Kazachstan (Asia centrale). I prigionieri erano impegnati
nell' estrazione del carbone.
Reciag: complesso di lager situati nella
Repubblica autonoma dei Komi. In questa regione si trovava il famoso campo di
Vorkutà.
Sevvostoklag: comprendeva una vastissima
regione di circa 1 000 chilometri di raggio a nord-est, con i celebri camPi
della Kolyma (miniere d'oro).
Siblag: raggruppamento di lager dislocati
nella Siberia centrale.
Svir'stroj: camPi a regime duro della
regione di Leningrado, lungo le rive del fiume Svir'; servivano alla
costruzione del tratto del canale Mar Bianco Mar Baltico che collegava il lago
Ladoga con l'Onega.
Tajsetlag: complesso di campi della regione
di Irkutsk, nelle vicinanze della città di Tajset, da cui partivano le
direttive ferroviarie Bajkal-Amur (vedi Bamlag) e, a sud, quella
Tajset-Vladivostok.
Temlag:
camPi di lavoro della zona a sud di Temnikov, nella Repubblica autonoma di
Mordovia.
I
prigionieri erano impiegati nella costruzione di strade e ferrovie.
Uchtizemlag:
gruppo di campi costruiti a partire dal 1926 attorno alla città di Ust' Uchta,
al centro della Repubblica dei Komi.
I detenuti erano impiegati nell'industria
petrolifera.
Uchtpeciag: serie di campi nella Repubblica
dei Komi tra Uchta e il fiume Pecora. Era uno dei complessi col maggior numero
di camPi.