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Libano

 

POPOLAZIONE: (stima '97) 3.000.000

RELIGIONE: islam 52,9%; cristiani 42,9%; drusi 4%

Cattolici: 1.976.341

Arcieparchia: Antélias dei Maroniti - 192.980; Bairut dei Maroniti - 280.000; Tripoli del Libano, Tarabulus dei Maroniti - 91.158; Tyr, Tiro, Sur dei Maroniti - 46.000; Diocesi: Baalbek-Deir El-Ahmar dei Maroniti - 35.000; Jbeil, Byblos dei Maroniti - 300.000; Eparchia patriarcale: Joubbe, Batrun e Sarba dei Maroniti - 315.545; Diocesi: Jounieh dei Maroniti - 200.728; Saida, Sidone dei Maroniti - 60.000; Zahleh dei Maroniti - 49.000; Metropoli: Bairut degli Armeni - 12.000; Eparchia di Bairut dei Caldei - 10.000; Metropoli di Bairut e Gibail dei Greco-Melkiti - 150.000; Tyr, Tiro, Sur dei Greco-Melkiti - 8.330; Arcieparchia: Baniyas, Cesarea di Filippo, Paneade dei Greco-Melkiti - 3.600; SaÔda, Sidone dei Greco-Melkiti - 20.000; Tripoli del Libano, Tarabulus dei Greco Melkiti - 6.000; Baalbek, Ba'lbek, Eliopoli dei Greco-Melkiti - 25.000; Zahleh e Furzol dei Greco-Melkiti - 126.000; Vicariato apostolico: Bairut dei Latini - 20.000; Eparchia patriarcale di Bairut dei Siri - 25.000

 

 

Gli ultimi cinquant'anni della storia libanese sono caratterizzati dal progressivo disgregarsi dell'unità politica e sociale, fino allo scoppio di una vera e propria guerra civile tra cristiano-maroniti e musulmani alla metà degli anni Settanta.

 

Gli anni successivi vedono il Libano sempre più esposto alle mire dei paesi confinanti (Siria e Israele innanzitutto), dilaniato all'interno da una conflittualità endemica e da forti tensioni con la numerosa comunità palestinese, infine teatro di una duplice occupazione territoriale: a sud da parte di Israele, nella cosiddetta "fascia di sicurezza", nella valle della Beka'a da parte dei Siriani.

 

Nel 1982 Israele procede all'invasione generale del Libano con l'operazione "pace in Galilea" allo scopo di eliminare la minaccia palestinese dai suoi confini; il relativo successo militare finisce tuttavia per consegnare il Libano alla Siria, che attualmente vi esercita una sorta di protettorato e per sostituire alla guerriglia dell'OLP quella del fondamentalismo islamico.

 

La guerra che ha insanguinato il Libano ha in effetti messo in crisi il modello di convivenza interreligiosa sul quale il Libano aveva prosperato.

Dopo la creazione dello Stato nel 1920, fu soprattutto il cosiddetto "Patto Nazionale" stipulato nel 1943 dalle principali comunità religiose libanesi, a permettere alle comunità cristiano maronita e islamica di vivere insieme pacificamente per molti anni.

 

Il Patto nazionale prevedeva una ripartizione dei poteri politici e pubblici proporzionale all'importanza delle comunità: si tratta di un sistema di garanzie reciproche volto a impedire il predominio di una comunità sull'altra.

Sebbene il Patto sia ancora in vigore, la sconfitta dei maroniti nella guerra civile, l'occupazione militare siriana, l'esodo di moltissimi cristiani dalle loro terre ha portato a una situazione preoccupante.

 

Con la sconfitta della fazione cristiana nel 1983 la situazione per i cristiani del Libano è andata via via peggiorando, soprattutto per l'abbandono da parte dell'Occidente.

 

Più dei tre quarti delle vittime dalla guerra - ha scritto Didier Rance - sono cristiani.

 

Tra essi bisogna contare non solo le vittime dei bombardamenti, degli attentati terroristici, ma anche quelli che sono stati consapevolmente uccisi per la loro fede cristiana.

 

Tra questi caduti si contano diversi sacerdoti, più di trenta religiosi e religiose, laici e ragazzi.

Riportiamo qui solo alcuni casi, tra quelli citati da Didier Rance in Chrétiens du Moyen-Orient. Témoins de la croix:

 

Tra la fine di agosto e il 2 ottobre 1983 più di 1.200 cristiani sono stati massacrati nella regione montagnosa dello Chouf e circa un migliaio sono scomparsi senza lasciare traccia.

A questa volontà di massacri si aggiunge la sistematica distruzione di ogni traccia di presenza cristiana.

 

Walid Joumblatt, capo delle milizie druse e allora vice presidente dell'Internazionale Socialista si vantava di aver fatto massacrare 4mila cristiani; a coloro che lo visitavano mostrava il bottino delle razzie dei suoi uomini, tra cui le campane delle chiese saccheggiate.

 

Nel dicembre 1984 viene assassinato Ghasibé Kayrouz, un seminarista libanese; in precedenza tre amici di Ghasibé con i quali il giovane aveva partecipato a un ritiro spirituale erano stati assassinati.

 

     Ghasibé fu assassinato mentre rientrava al suo villaggio di Nabha il 22 dicembre.

Pochi mesi dopo è la volta di padre Nicolas Kluiters, che aveva accompagnato Ghasibé lungo il suo percorso spirituale.

 

Il 14 marzo del 1985, mentre rientrava da Beirut, dove si era recato per il rinnovo del proprio passaporto, padre Kluiters, della Compagnia di Gesù, viene rapito; il suo corpo fu trovato privo di vita il 1° aprile in una gola naturale profonda 97 metri, vicino il villaggio di Nabha.

 

La situazione peggiora con l'abbandono del Paese da parte del presidente Michel Aoun e la vittoria militare della Siria, che impone, con gli accordi di Taif alla fine della guerra, nell'ottobre 1989, il proprio dominio sul Libano e lo costringe ad adottare un criterio puramente quantitativo nel sistema politico, senza tenere conto del contributo storico di civiltà dato dai cristiani alla costruzione della nazione.

Il partito islamista degli Hezbollah, inoltre, reclama l'istituzione di uno Stato islamico e l'applicazione del diritto musulmano a cristiani ed ebrei.

 

Una successiva crisi si registra dopo l'attentato dinamitardo in una chiesa di Zouk Mosbeh, presso Jounieh, il 27 febbraio 1994, che causa la morte di 9 persone e il ferimento di altre 55.

A questo seguì lo scioglimento del Partito delle Forze Libanesi e la condanna all'ergastolo del suo leader Samir Geagea, avvenuta il 25 giugno 1995.

 

Decine di cristiani sono stati arrestati nel dicembre 1996 durante il periodo di Natale con l'accusa di essere agenti al servizio di Israele; gli arresti sono avvenuti in conseguenza di alcuni attacchi terroristici contro lavoratori siriani presenti in Libano al seguito dei 35.000 soldati dell'esercito siriano.

 

Molti dei 60 arrestati appartengono alla comunità maronita e sono impegnati in movimenti politici nazionalisti che chiedono il ritiro della Siria dal Libano.

Molti degli arrestati sono stati in seguito rilasciati, sebbene alcuni siano in stato di accusa da parte del tribunale militare; uno di questi, il giornalista Pierre Atallah, è accusato di aver intrattenuto contatti con Israele e di aver distribuito opuscoli in alcune cittadine a predominanza cristiana incitanti le truppe libanesi a disobbedire agli ordini.

Un altro cristiano, Ghassan Bardawil, è stato accusato di aver "disturbato le relazioni del Libano con paesi amici", anche se senza fare esplicito riferimento alla Siria.

 

Il cardinale Nashrallah Sfeir, patriarca della Chiesa Maronita del Libano, ha espresso seri dubbi sulla legalità di tali detenzioni e in genere sul comportamento delle forze di sicurezza.

 

Violazioni dei diritti umani da parte del Libano sono state denunciate dall'International Federation of Human Rights Leagues.

Nel luglio 1998 la situazione dei profughi della guerra civile è ancora di grave difficoltà.

 

Gli sfollati della guerra libanese, circa 400mila persone, per la maggior parte cristiani, hanno visto rinviata ancora una volta la possibilità di fare ritorno alle proprie case a causa delle rivalità che dividono Walid Joumblatt, socialista e capo della comunità drusa, ministro per gli affari degli sfollati, e Rafic Hariri, responsabile della "Cassa centrale degli sfollati".

Nella lotta politica, la ferita dei profughi è destinata a rimanere ancora aperta. Secondo le stime più accreditate, solo il 15 per cento degli sfollati è tornato ai paesi di origine.

Il perdurare del dramma ha ormai costretto molte famiglie a sistemarsi all'estero, ingrossando così le file degli emigrati libanesi, secondo un reportage dell'agenzia "Fides" del 24 luglio 1998.

Il Vescovo maronita Bechara Raï, di Byblos, in un'intervista rilasciata alla "KNA" il 13 maggio 1998, definisce la visita di Giovanni Paolo II in Libano nel 1997 e la pubblicazione e la divulgazione del documento "Nuove Speranze in Libano", motivo di grande impressione nella Chiesa e nel Paese, dando vita a una nuova era.

 

Il popolo libanese ha avuto la possibilità di dimostrare tutto il suo affetto al Pontefice che, a sua volta, ha fatto sentire la sua vicinanza religiosa e la sua solidarietà umana.

 

Tra tutti i fraintendimenti e le avversità, si è rivelato amico del Paese, affermando che il Libano è un "messaggio" per l'Oriente e l'Occidente. Ha risvegliato il ricordo di un grande passato e dato ai giovani una speranza per il futuro.

Sul piano pastorale la Chiesa si trova ad affrontare le conseguenze morali e religiose degli anni della guerra e una forte ondata di secolarizzazione; tuttavia accompagna e promuove instancabilmente il risveglio religioso in molte famiglie e tra la gioventù, con un accrescimento dell'apostolato anche laico.

 

Le università, gli ospedali, i centri religiosi, le scuole sono molto attive.

 

La situazione è tale che i cristiani nella loro minoranza vivono uno sradicamento generale, che porta all'impoverimento o all'emigrazione.

 

 Cristiani e musulmani soffrono le conseguenze della crisi economica e politica in seguito alla guerra, all'occupazione del Libano del sud e alla rafforzata presenza di forze armate non libanesi.

 

I cristiani si sentono politicamente al margine, trovano resistenza alla loro speranza di un sistema politico e sociale corretto, per non parlare delle libertà democratiche.

 

Si teme che il Libano perda la sua identità e un'ondata d'islamismo che minaccia la vita in comune di cristiani e musulmani, anche se in passato costituiva il modello di una società pluralistica.

 

 I cristiani si interrogano impensieriti sul destino dello Stato libanese nel contesto delle nazioni e si chiedono quando si fermerà la violazione dell'integrità nazionale, della sovranità e dell'indipendenza. Conseguenza di questo stato sono corruzione, violazione dei diritti umani e neutralizzazione degli organi costituzionali. Il dialogo tra cristiani e musulmani è un'esperienza di vita in comune, si esprime su tre livelli, nell'esistenza di tutti i giorni, nella cultura e nella vita nazionale.

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La struttura della società libanese è molto stratiforme: la cultura araba è alla base dell'eredità comune, il patto nazionale provvede al comune interesse di cristiani e musulmani nel potere politico e nella pubblica amministrazione.

 

Questo dialogo, che è normale a livello del popolo, diventa più difficile nei confronti dei politici perché non sono liberi nelle decisioni che riguardano il bene della nazione.

 

Con l'elezione, pur sempre guidata dalla Siria, avvenuta nell'ottobre del 1998, del generale Emile Lahoud a presidente della Repubblica, i vescovi maroniti hanno espresso la speranza che il Paese si rinnovi, auspicando che il nuovo Capo dello Stato "possa guidare questo popolo che ha tanto bisogno di una riconciliazione nazionale a tutti i livelli, mettendo fine alla corruzione del sistema amministrativo e favorendo il ritorno dei dislocati e il rimpatrio degli emigrati".

 

Con il fenomeno dell'emigrazione, in gran parte cristiana, infatti, almeno a partire dal 1978, è diminuito sensibilmente il numero delle scuole, degli studenti medi e universitari cristiani ma anche delle competenze, dei capitali e della forza lavoro giovane.

 

Contestualmente, si affermano istituzioni educative e sociali islamiche, che prendono il posto di quelle cristiane, chiuse anche a causa dei trasferimenti coatti all'interno dei confini libanesi, che hanno interessato, dal 1975 al 1986, un numero stimato in 670.000 cristiani e solo 157.500 musulmani.

 

Un segnale di speranza proviene dalla riapertura al culto, nel novembre 1998, della chiesa di San Michele, a Beirut, in uno dei punti più caldi della linea verde che divideva in due settori la capitale libanese.