indice
LA VERA ESSENZA DELLA DEMOCRAZIA
I DIRITTI DELL'UOMO E LA LEGGE NATURALE
La società degli uomini liberi è:
Il cammino dell'umanità nel tempo
IL PROGRESSO INTERNO DELLA VITA UMANA
UNA STRADA CHE PORTA GLI UOMINI A DIO.
DISTACCO FRA NATURA ED ARTIFICIO
L'UOMO E LA SUA POSIZIONE NELLA REALTA'
Ancora clamorosomante attuale è il discorso pronunciato a
Trento
Per la nostra gioia i maestri
sono tantissimi, non pochi di noi possono vantare di avere avuto un parente
santo e ammirevole, per saggio ed equilibrato.
Questa elenco é solo una semplice
indicazione:
R. Guardini, Pensatori Religiosi,
Brescia 1977 p. 121-135
Note – LIBERAMENTE COMMENTATE -
per una immagine del pensiero platonico
Platone stigmatizza il filosofo
fissandogli delle doti e delle capacità, rivenienti da una rigorosa formazione
morale e intellettuale.
Dote principale è la capacità
costante di verifica proveniente da una volontà ferrea messa a disposizione del
bene.
Platone è entrato in conflitto
sia con i cosiddetti filosofi dell’immaginazione che si regolano secondo
l’istinto e il sentimento senza che vi sia un lavoro di analisi coscienziosa e
di fatica critica.
Ma è entrato in conflitto anche
con i sofisti, anche essi mancano di serietà e quindi di autentica ricerca,
sono strumentalizzatori della verità per i propri comodi, influenzando i propri
simili per aggiogarli al loro egoismo.
E’ l’incontro con Socrate che fa
radicare in Platone il suo pensiero perché vede in lui l’esempio da seguire e
al contempo l’attualizzatore delle sue teorie.
Il mondo platonico ha due
orientamenti, il primo è l’essere del pensiero che deve sfocare nella conoscenza,
il secondo orientamento è sia
l’educazione del singolo che l’educazione della società.
Per Platone il vero essere
filosofico, grande, nobile e divino è accessibile solo a pochi eletti, cioè a
coloro che amano la verità e il bene più della stessa vita.
Il pensiero filosofico inoltre
non è frutto di elucubrazione o elaborazione mentale, ma è suscitato dalla
risoluzione dei problemi reali, frutto della tensione tra maestro e discepolo o
tra correnti filosofiche diverse.
La verità è potenza assoluta, il
filosofo che è a servizio della verità ne è anche il dispensatore. Dispensatore
di una potenza che è vita, tutto il contrario di quello che avviene oggi con i
filosofi nichilisti.
Il filosofo a servizio della
verità e della vita usa il suo enorme potere per la formazione di una società
sempre più giusta politicamente.
Il bene segue la verità e la
verità è imperniata nel valore, solo grazie al bene l’ente è, contrariamente
l’ente si dissolve.
A questo punto il pensiero si fa
metafisico. Infatti la staticità paralizzante nasce dal puntare sull’ente come
fine a se stesso, mentre la dinamicità che è vita è puntare sul valore, come il
bene è un “essere mosso” il bene infatti non è forma ma pienezza di valore.
L’elevatura morale e
intellettuale di un uomo nasce dalla vera conoscenza e questa si basa
sull’essenza. L’impulso del bene che tende all’essenza è dinamico, da questo
scaturisce una luce che fa intendere la forza spirituale che viene ordinata
dall’idea.
Platone quindi richiama all’amore
e al dono di se come fondamento del’esistere. E’ il bene che tocca l’uomo,
infatti l’ente è buono ed è essente nella misura in cui è buono. Se l’essere
raggiunge l’idea, raggiunge la verità che è giustizia intesa come perfezione
dell’essere. A base della conoscenza c’è l’idea, l’idea valida è anche eterna.
Il concetto del bene come
dell’essenza non sono concetti limitati e finiti, quindi chi ha orecchi per
intendere, intenda: BUONA RICERCA!
-UN UOMO NELLA
CULTURA DELLA CRISI-
MARITAIN universalmente
ammirato dovette ricevere l'intimo tormento di constatare la deriva del genere
umano nonostante le conclusioni del suo lavoro fossero a disposizione di tutti.
Gli uomini di cultura lo applaudivano e lo relegavano negli scaffali polverosi
di tutte le biblioteche del mondo, ma si allontanarono dal suo insegnamento: i
tempi del riscatto umano ed universale assumeranno ritmi molto lenti, non
quella accelerazione che era richiesta. A tradire il suo lucido pensiero furono
molti intellettuali cattolici, i quali innescarono un processo corruttivo del
cristianesimo quale la storia non ha mai conosciuto. Il cristianesimo fu
ridotto al livello ideologico, dall’esperienza viva e personale della divinità
si passerà a un moralismo ipocrita o a una “teoria” fra le altre. Si doveva
costruire su quegli errori filosofici e morali che avrebbero posto i
presupposti alle carneficine immani delle guerre mondiali. Tutti coloro che cercheranno i fondamenti
scientifici e culturali per un approfondimento alle tematiche qui trattate,
potranno notevoli difficoltà, perche due secoli di positivismo hanno portato ad
una distorsione ideologica e iterpretativa. Chi vuole fare un serio lavoro di
ricerca deve risalire alle fonti del pensiero. L’epoca moderna ha
sostanzialmente tradito le esigenza della verità del pensiero, proprio mentre
richiede in noi una fede cieca nel suo metodo scientifico. La nostra epoca
passerà alla storia come un’epoca confusa e distorta da ipoteche ideologiche.
L’ostracismo culturale operato è tale che tanti in buona fede hanno dovuto dare
credito al materiale predigerito da altri. Gli intellettuali del XIX sec. non
optarono per un sistema definitivo e stabile nella costruzione permanente della
dignità umana (come era naturale che fosse), ma posero le premesse di una
pseudo civiltà fondata sul nichilismo e l’individualismo relativista, che
portava in se già dal suo sorgere i semi della crisi. - Jacques Maritain,
filosofo francese, nato a Parigi il 1882, seguì dapprima l’indirizzo
scientifico-materialista, ma ben presto l’intima insoddisfazione derivante
dalla mancanza di una fede determinò in lui una crisi profonda che lo spinse,
con la sua compagna, sull’orlo del suicidio. Dopo un cammino interiore che
passò attraverso l’insegnamento di Bergson, approdò al Cristianesimo ed in
particolare al pensiero di S.Tommaso, al suo realismo metafisico, infatti la
prima evidenza della coscienza è data dalla percezione dell’Essere,
indispensabile per la comprensione dell’identità di ogni uomo. Tale è il
significato del realismo critico di M. che concepisce l’atto conoscitivo del
pensiero come un atto -non creativo ma
intenzionale- una Verità sovrasoggettiva. La conoscenza razionale e metafisica
ha tuttavia dei limiti che possono essere spostati solo dall’amore. Solo l’amore può condurci e conquistarci
all’esperienza mistica, la conoscenza sperimentale del Dio nascosto. La
dottrina sociale si impernia sui concetti di persona e di libertà. L’uomo non è
soltanto individuo, ma soprattutto
persona, materia e spirito a un tempo. L’umano consorzio non è una comunità di
individui, ma una società di persone; in essa trova realizzazione quell’umanesimo
integrale che vede l’uomo nella sua figura bipolare appunto di
individuo-persona. Maritain rivaluta la natura perché punta sulla concretezza
esistenziale dell’uomo, senza nulla togliere alla sua spiritualità, che lo
eleva verso il centro d’attrazione e di provenienza dell’intero universo e di
tutti gli esseri spirituali. Il suo personalismo teocentrico affida alla
società soprattutto il compito di aiutare l’uomo a realizzare i suoi fini
superiori, creando, nell’ordine
temporale, condizioni idonee ad assicurargli l’esercizio di quella indipendenza
o autonomia che, pur avendo per presupposto il libero arbitrio, si supera nella
realizzazione concreta della sua essenza spirituale. Perciò la società mira
alla realizzazione del bene comune, senza però mai trascurare o menomare la
dignità della persona. Ciò sarà possibile attraverso un sistema economico che
miri alla redistribuzione dei beni, sostituendo la comproprietà alla proprietà
e concedendo ai lavoratori la compartecipazione agli utili e alla gestione
dell’azienda; che miri ad un ordinamento politico basato su una democrazia
laica, ma permeata di spirito cristiano, in cui il governo della cosa pubblica
sia affidato agli eletti del popolo, il quale partecipa loro quel potere
sovrano che, a sua volta, ha ricevuto per partecipazione da Dio. L’estetica del
M. è una manifestazione del bello e dell’arte che emananti dall’Essere è
impressa e fissata nella materia sensibile.(rielaborazione libera di: UTET,
terza edizione, Torino) M. non è un filosofo da tavolino, o un professore di
filosofia che conduce un discorso teorico, ma un testimone: che partecipa
appassionatamente alla battaglia ideologica, che prende precise posizioni sui
problemi contemporanei, suscitando
consensi e dissensi, come dimostrano le polemiche internazionali intorno alle
sue due opere più conosciute, Humanisme
integral del 1935 e Le paysan de la
Garonne del 1969. Maritain è deliberatamente tomista. Il tomismo, non è un
sistema chiuso, ma un metodo di ricerca, fondato sull’evidenza reale e
strutturato secondo la rigorosità della logica formale, ed avente valore
scientifico. Lo stesso Maritain in “De la
verité” precisa così il significato del tomismo nella filosofia
contemporanea: “Il tomismo autentico è
sempre in stato di attesa di nuove verità da scoprire, da riconoscere, da
integrare. Le chiavi che forgia non sono fatte per chiudere le porte ma per
aprirle. Non è un sistema chiuso, è una saggezza essenzialmente aperta e senza
confini, per il fatto stesso che è una dottrina in divenire e in sviluppo
vitale. E’ aperto alle nuove questioni e alle nuove verità che l’evoluzione
della cultura e della scienza gli propone. Il tomismo autentico è aperto alle
diverse problematiche, al diverso modo di organizzare i problemi, sia che le
susciti lui stesso, sia che si trovi in altri universi di pensiero, come la
filosofia orientale, l’Islamismo, l’Induismo, il Taoismo, ecc... (Approches sans entraves, Paris, Fleurus, 1973, pp.
68-69). Partendo da questa
impostazione, Maritain ha affrontato i problemi culturali più diversi, da
quelli morali e politici a quelli pedagogici ed estetici, toccando anche
problemi teologici, ma sempre da un punto di vista rigorosamente filosofico e
laico. Ma soprattutto, e per tutta la vita, Maritain si è impegnato
nell'indagine epistemologica, studiando le diverse articolazioni del discorso
filosofico, cercando di individuare le distinzioni e le correlazioni tra
filosofia e scienza, tra morale e arte, tra azione e contemplazione, tra
religione e politica, tra conoscenza umana e rivelazione divina. Da questa
ricerca è nata l'opera che si può considerare il capolavoro del filosofo
francese, Distinguer pour unir: ou les
degrés du savoir. Nacque a Parigi nel 1882 da una famiglia protestante e
venne educato nello spirito della tradizione liberal-borghese. Studiò alla
Sorbona filosofia, e durante gli anni universitari fece amicizia con un'ebrea
russa, Raissa Oumancoff, che diventerà la compagna della sua vita e della sua
avventura spirituale. Subì l'influenza del positivismo di Felix Le Dantec e del
socialismo radicale di Charles Péguy; ma il suo spirito inquieto non poteva
essere soddisfatto dal materialismo e dal relativismo, come il suo senso della
giustizia dall'egualitarismo socialista. I due giovani nella loro ansia di
sapere erano al limite della disperazione e del suicidio, quando incontrarono
Bergson che al Collége de France spiegava Plotino. Lo spiritualismo di Bergson
segna un primo passo verso la liberazione dal dubbio e dall'angoscia, e
l'incontro con Léon Bloy un avvicinamento al cattolicesimo. Nel 1905 Maritain
si laurea in filosofia e per due anni studia biologia e scienze naturali a
Heidelberg. In questo periodo i coniugi Maritain, riscontrata la impossibilità
di conciliare il bergsonismo con il cristianesimo, a cui avevano aderito con la
conversione conclusasi con il battesimo nella fede cattolica, iniziano a
studiare la filosofia di S. Tommaso. Nel 1913 Maritain diventa professore di
filosofia presso il liceo Stanislas e l'anno seguente raccoglie nel volume La philosophie bergsonnienne i suoi
studi sul confronto fra lo spiritualismo ed il realismo. Nasceranno diverse
opere che insieme costituiscono una esposizione critica e sistematica della
filosofia tomista a proposito dell'essere, del conoscere e dell'agire. Dal 1923
al 1939 i coniugi Maritain abitano a Meudon, un sobborgo di Parigi, e la loro
casa diventa un centro di incontri spirituali e di dibattiti culturali: oltre
ai filosofi, ai teologi, letterati, romanzieri, pittori, scultori, musicisti.
Da questi incontri con l'arte contemporanea, ed in particolare con l'amicizia
con Rounault, nasce la prima opera di estetica dei Maritain. Questa collaborazione
dei coniugi Maritain durerà tutta la vita, ed alcune opere verranno pubblicate
in comune. Maritain partecipa, sia pure indirettamente, al dibattito politico
contemporaneo; inizialmente si avvicina al movimento "Action
francaise" di Maurras, un movimento di destra, e collabora alla rivista
"La revue universelle". In seguito partecipa con Mounier alla
fondazione della rivista "Esprit" e collabora alla rivista
"Vendredi", periodici ispirati a posizioni ideologiche di sinistra,
senza peraltro iscriversi ad alcun movimento politico, volendo conservare la
sua indipendenza di filosofo, ma con una responsabilità che non significa
indifferenza, ma che conferma il primato dello spirituale sull'azione immediata
dei partiti politici. Maritain infatti non rimane indifferente ai problemi del
suo tempo, e firma numerosi manifesti prendendo posizione contro il sopruso e
la sopraffazione..., che provocheranno le reazioni rabbiose della destra
francese e internazionale. Di notevole interesse, dal punto di vista della filosofia
politica, le sei conferenze del 1934, che costituiscono l'opera più conosciuta
e più tradotta, Umanesimo integrale,
nella quale presenta il suo ideale storico concreto di un nuovo umanesimo,
capace di conciliare l'umanesimo con il cristianesimo, la democrazia con il
vangelo, superando ogni forma di clericalismo e di laicismo. Per le sue
posizioni politiche viene fatto oggetto di una campagna denigratoria,
soprattutto in Sudamerica, mentre in Europa viene criticata la sua difesa degli
Ebrei. Ma alcune importanti riviste filosofiche incominciano a riconoscere la
validità del suo discorso culturale e politico. La seconda guerra mondiale
sorprende i Maritain a Toronto, ove Jacques è incaricato di un corso di
filosofia presso il Medioeval Institut; di fronte all'invasione nazista e al
formarsi di un governo collaborazionista i Maritain decidono di stabilirsi a
New York, e la loro casa diventa un punto d'incontro per intellettuali ed
artisti francesi in esilio. Segue la tragedia del suo popolo, pubblicando
numerosi articoli sulle riviste americane e tenendo una serie di conversazioni
alla radio trasmesse verso la Francia. Scrive altre opere politiche, nelle
quali contrappone allo storicismo hegeliano una visione cristiana della storia.
Con il ritorno in Europa si apre un terzo periodo di attività culturale e, dopo
la morte di Raissa (1960), Maritain si ritira a Tolosa nella fraternità dei
"Piccoli Fratelli di Gesù" e vive nel loro spirito di povertà e di
preghiera, sempre attento, però, al dibattito culturale a cui porta il suo
contributo con vivacità e non senza polemica. La sua attenzione non è più
attratta dai problemi politici od estetici, ma da quelli teologici ed
ecclesiali, che esplora con acuto spirito filosofico. A più di ottant'anni
scrive alcune delle sue opere più valide e raccoglie in antologie scritti non
ancora pubblicati, rispondendo con chiarezza di pensiero e coerenza morale a
coloro che lo attaccano e lo accusano di incoerenza. Intanto anche la Francia
ufficiale riconosce i suoi meriti, il suo pensiero si diffonde nel mondo. Maritain
muore a Tolosa nel 1973 lasciando un'eredità di più di sessanta opere, di
centinaia di articoli sparsi in riviste europee, nord e sud americane, di
numerosissime lettere inedite che documentano non solo la sua presenza
culturale, ma soprattutto una spiritualità profonda, una amicizia cordiale, una
fedeltà rigorosa all'ispirazione filosofica, perché tutti i suoi scritti, tutte
le sue prese di posizione hanno una giustificazione teoretica ed una fondazione
metafisica. L'estetica come la politica, l'epistemologia come il diritto, la
mistica come la teologia sono per Maritain una riflessione sull'essere
considerato nella analogia della conoscenza, dell'azione e della poesia.(J.
Maritain, La conquista della libertà, Antologia del pensiero etico-politico,
ed. La Scuola -Brescia 1977)
MARITAIN
“Due cose esistono in
cui la nostra natura non ha la forza di credere: la morte che vediamo e la
felicità che non vediamo”. “Il santo cristiano non è un super uomo fatto dalla
mano dell’uomo, un Ercole della virtù morale; è un’amico di Dio che vive della
carità soprannaturale ed è fatto dalla mano divina che apre la debolezza umana
alla pienezza divina discendente in lui, la superbia dell’uomo è spodestata e
l’umiltà, in cui abita la forza di Dio, esaltata.” (MARITAIN)
(Maritain,
Cristianesimo e democrazia Ed. di Comunità - Milano 1950) "La tragedia
delle democrazie moderne consiste nel fatto che esse non sono ancora riuscite a
realizzare la democrazia. Molte sono le cause di questo fallimento... Nel
momento in cui tutti gli artefici dell'intimidazione intellettuale, del
prestigio pseudo-scientifico, o pseudo-letterario, e della calunnia portavano
questa falsa ideologia alla massima efficienza. Un'altra grande causa di
fallimento è data dall'esigenza di un compimento sia nell'ordine sociale che
nell'ordine politico." Queste cose Maritain esprimeva durante la seconda
guerra mondiale, quando l'esito del conflitto non era scontato e di fronte al
grande scenario dei totalitarismi: L'egoismo delle classi abbienti e l’adesione
del proletariato al marxismo eretto a principio mitico della rivoluzione, hanno
impedito alle dottrine democratiche di
passare nella vita sociale. L'impotenza delle società moderne davanti alla
miseria e davanti alla disumanizzazione del lavoro, la loro impossibilità a
superare lo sfruttamento dell'uomo da parte dell'uomo sono state per esse un
amaro fallimento. Ma la causa principale è d'ordine spirituale: essa risiede
nella contraddizione interna e nel malinteso tragico di cui sono state vittime
le democrazie moderne, particolarmente in Europa. Nel suo principio essenziale
questo ideale di vita comune che si chiama democrazia deriva dall'ispirazione
evangelica, senza la quale non può sussistere: a causa della cieca logica dei
conflitti storici e dei meccanismi della memoria sociale, che non ha niente a
che vedere con la logica del pensiero, si sono viste le forze direttrici delle
democrazie moderne rinnegare per tutto un secolo il Vangelo ed il
Cristianesimo, in nome della libertà umana, e le forze direttrici delle
correnti sociali cristiane combattere per tutto un secolo le aspirazioni
democratiche in nome della religione. Alla fine dell'ottocento il grande
scandalo di cui parlò Pio XI sembrava consumato: le classi operaie cercavano la
salvezza rinnegando il cristianesimo, gli ambienti conservatori cristiani
cercavano la propria salvezza rinnegando le esigenze temporali della giustizia
e dell'amore... Ben presto in tutta l'Europa l'assurdo dilemma che capi
impazziti ponevano agli uomini -pretendendo di costringerli a scegliere tra il
comunismo che voleva scacciare Dio e il fascismo che voleva asservirlo e
irregimentarlo- corrompere la religione nelle anime, scristianizzare la Chiesa
(vedi segreti di Fatima). La guerra è stata un tragico risveglio per gli
uomini. Se le democrazie vinceranno la pace dopo aver vinto la guerra, sarà
soltanto a condizione che l'ispirazione cristiana e l'ispirazione democratica
si riconoscano e si riconcilino". Questo discorso è oggi di spaventosa
attualità, anche se a distanza di cinquant'anni i problemi sono cambiati, ma le
motivazioni che sottendono sono le stesse. La crisi irrisolvibile delle ormai
pseudo democrazie che, scrollate dai principi religiosi, vivono il loro
disfacimento in un crescendo precipitare morale e di conseguenza sociale ed
economico. "Non si possono cambiare a piacere i nomi per i quali hanno
sofferto e sperato intere generazioni di uomini. Non si tratta di trovare un nome nuovo per la democrazia,
ma di scoprire la sua vera essenza e di realizzarla. Passare dalla democrazia
borghese inaridita dall'ipocrisia e dalla mancanza di linfa evangelica a una democrazia integralmente umana, dalla
democrazia fallita alla vera democrazia". Si può essere veri credenti,
anche se si milita in un qualsiasi regime politico a condizione, tuttavia, che
questo non sia contrario alla legge naturale e alla legge di Dio. Anche un
regime monarchico può essere democratico se si accorda a questa filosofia e a
questa conseguente concezione dell'uomo". Lo spirito cristiano e religioso
dell'uomo oggi è minacciato insieme alla democrazia, che si va trasformando
sempre più in anarchia. Al centro di questa prova dai contorni mondiali si deve
formare un rinnovamento religioso dalla coscienza universale che l'Associazione
Giustizia e Verità intende realizzare. E' necessario riportare la democrazia
alla sua vera essenza, uscire da questo stato cronico di crisi, per purificarne
i principi. Le forze in campo sono quelle di sempre: l'impero pagano che gioca
il tutto per tutto per liquidare insieme sia il cristianesimo che la
democrazia, attraverso il ritorno alla paura (ed alla perdita dello Stato di
diritto reale) dove vincono le varie mafie economiche-politiche-consociative e
dove trionfa sempre la legge del più forte contro il più debole, ovvero la
sopraffazione dell'uomo bruto sull'uomo spirituale. Questo è oggi il trionfo
del crimine e dell'immoralità, intere generazioni sono portate alla corruzione.
Il medioevo aveva tentato di costruire sulla terra, attraverso il Sacro Romano
Impero, una roccaforte di Dio. Molti poveri e oppressi sono sfiduciati ed
atterriti, non osano più sperare, si vendono, si prostituiscono come possono.
"Ora i poveri e gli oppressi si mettono in cammino verso una città di
giustizia e di fratellanza. L'aver risvegliato e deluso simile speranza rivela
l'entità del fallimento del mondo moderno. Ma sarebbe maggior fallimento
rinunciare a questa speranza, e volerla sradicare dal cuore degli uomini".
Quello che purtroppo temeva Maritain, oggi a distanza di cinquant'anni si sta
tragicamente compiendo, la morte della speranza perché si è uccisa la fede.
"La dura lezione ci ha insegnato che il regno di Dio non è fatto per la
storia terrena; ma (personalmente non tiro le stesse conclusioni, ritengo
infatti che sia possibile una realizzazione politica-storicizzata del Regno di
Dio sulla terra) nello stesso tempo, tuttavia, ci siamo resi conto di una
cruciale verità: che attraverso i dolori della storia terrena esso deve
misteriosamente prepararsi". Il monoteismo ha annunciato agli uomini il
regno di Dio, e la vita futura, ha insegnato loro l'unità del genere umano,
l'uguaglianza naturale di tutti gli uomini, creature dello stesso Dio, tutte
ugualmente stimate ed amate. Il monoteismo ha insegnato la dignità inalienabile
di ogni anima creata ad immagine di Dio, la dignità del lavoro e la dignità dei
poveri, la superiorità dei valori interiori su quelli esteriori,
l'inviolabilità delle coscienze, l'attenta vigilanza della giustizia e della
provvidenza di Dio sui grandi e sui piccoli, l'obbligo fatto a coloro che
comandano di agire come rappresentanti di Dio e di amministrare i beni loro
affidati per il vantaggio comune. La sottomissione verso la santità della Giustizia
e della Verità per poter vivere nella libertà dei figli di Dio. La potenza
dello Spirito, la comunione dei santi, la divina supremazia dell'amore che
salva anche coloro che ci sono nemici (stravincendoli) nel trasformarli in
carissimi amici. Il perdono diventa così un atto di intelligenza prima ancora
che un atto di bontà. Tutti gli uomini, di qualunque gruppo sociale, a
qualunque razza, a qualunque nazione, sono membri della famiglia di Dio e
nostri fratelli adottivi. Cristo ha maledetto i ricchi e i farisei(ipocriti),
ha promesso ai poveri, ai perseguitati per amore della giustizia che il regno
dei cieli è loro, ai mansueti che erediteranno la terra, a coloro che piangono
che saranno consolati, a coloro che hanno fame e sete di giustizia che saranno
saziati, ai misericordiosi che troveranno misericordia, ai puri di cuore che
vedranno Dio, ai pacifici che saranno chiamati figli di Dio. Ha dichiarato che
tutto ciò che è fatto al più piccolo è fatto a Lui stesso, ha dato ai discepoli
un nuovo comandamento di amarsi tra loro come egli stesso li ha amati.
"Quali sono dunque i pensieri e le aspirazioni che il messaggio cristiano
ha a poco a poco risvegliato nella profondità della coscienza dei popoli, e che
hanno camminato per secoli sotto terra prima di manifestarsi nella democrazia e
nell'idea stessa di civiltà? "Il progresso non tende a far ricuperare domani il paradiso attraverso la
Rivoluzione, ma tende a trasformare in meglio le strutture della coscienza e
della vita umana, e ciò avviene per tutta la durata della storia , fino
all'avvento del regno di Dio, e della terra dei risorti, che è oltre la storia.
Crediate o no in questo avvento, è verso esso che vi volgete se credete nella
marcia in avanti dell'umanità. E' ciò appunto che in ogni caso è ammesso dalla
coscienza profana, se essa non devia verso la barbarie, è la fede nella marcia
in avanti della umanità. Grazie all'ispirazione evangelica, spesso
misconosciuta ma pure attiva, la coscienza profana ha compreso la dignità della
persona umana, e ha compreso che la persona, pur facendo parte dello Stato,
trascende lo Stato per il mistero inviolabile della sua libertà spirituale e
per la sua aspirazione a beni assoluti. La ragione d'essere dello Stato è
nell'aiutarla nella conquista di quei beni spirituali e di una vita veramente
umana. Ciò che è ammesso dalla coscienza profana, se essa non devia verso la
barbarie, è la fede nei diritti della persona umana, in quanto persona umana,
in quanto persona lavoratrice, ed è la fede nella giustizia come fondamento
necessario della vita comune e proprietà essenziale della legge, che non è
legge se è ingiusta. La sete di giustizia è stata scavata nell'anima dei secoli
cristiani dal Vangelo, ed è proprio così che abbiamo imparato ad obbedire solo
a ciò che è giusto. Il popolo è il corpo della comune umanità lentamente
preparatosi e formatosi, il patrimonio vivo dei comuni doni e delle comuni
promesse fatte alla creatura da Dio. Fatto cosciente di sé, grazie al procedere
della civiltà, l'uomo della comune umanità sa oggi che la sua èra è venuta, se
soltanto saprà trionfare della corruzione totalitaria, e non si lascerà
divorare da essa; e che l'idea di una casta, di una classe o d'una razza
costituita come padrona e dominatrice deve far posto all'idea di una comunità di
uomini liberi, uguali nei diritti e uguali nella fatica, e a quella di un'elite
dello spirito e del lavoro che procede dal popolo senza isolarsene, che sia
veramente il fiore della sue energie vitali. Obbedire alle prescrizioni
dell'autorità è un obbligo di coscienza, perché l'autorità ha in Dio la sua
sorgente; ma per il fatto stesso che l'autorità ha la sua sorgente in Dio, non
nell'uomo, nessun uomo e nessun gruppo speciale d'uomini ha per se stesso
diritto di comandare sugli altri. Membri della stessa specie, tutti uguali
d'avanti a Dio e davanti alla morte, è contrario alla natura che gli uomini
siano semplici strumenti del potere politico, strumenti di un dittatore, sola
persona di fronte a un gregge di schiavi organizzati, o strumento di un potere paternalistico,
solo adulto di fronte ad un reggimento di fanciulli. Una volta che l'uomo della
comune umanità ha compreso che egli nasce con il diritto di dirigere da se
stesso la propria vita, in quanto responsabile dei propri atti d'avanti a Dio e
davanti alla legge dello stato, come si può pretendere che il popolo obbedisca
a coloro che governano (a meno che essi non abbiano ricevuto dal popolo stesso
la cura del bene comune)? Grazie al lavoro oscuro dell'ispirazione evangelica,
la coscienza profana ha compreso che il dominio politico e il carico di carne e
sangue delle cose che sono di Cesare devono essere comunque sottoposti a Dio e
alla Sua giustizia; ha compreso pure che l'arte di dominare e tutti i delitti a
cui ricorrono i principi e i capi di stato per conquistare e consolidare il
proprio potere, possono si conferire loro il potere, ma volgono fatalmente
all'infelicità dei popoli. Il cristianesimo gettò la rete del Vangelo sopra
l'Impero pagano e questo ne morì, poiché tra la legge evangelica del figlio di
Dio e la legge dell'Impero che si fa Dio non esiste compromesso possibile.
L'uomo, una volta compreso che la politica dipende in realtà dalla morale,
poiché il suo scopo è il bene umano della comunità, una volta compreso che la
vita politica deve formarsi al diritto naturale, e, secondo le condizioni
proprie del suo oggetto temporale, alla legge evangelica stessa, si rende conto
nello stesso tempo che volere la giustizia e il diritto in politica è volere
una grande rivoluzione che sostituirà alla politica del potere dei padroni,
siano essi uomini, Stati o nazioni, la politica del bene comune a cui deve
vegliare il popolo stesso quale principale interessato. Una comunità di uomini
liberi non può vivere se il diritto non è la sua unica base spirituale. Il
machiavellismo e la politica di dominio, secondo cui la giustizia e il diritto
sono mezzi sicuri per perdere ogni cosa, sono i naturali nemici di una comunità
di uomini liberi. Dal momento che sappiamo di essere fatti per la beatitudine,
non abbiamo più paura della morte, non possiamo rassegnarci all'oppressione e
alla schiavitù dei nostri fratelli, e aspiriamo, anche per la stessa vita
terrena, a uno stato d'emancipazione conforme alla sua dignità. Infine, grazie
all'ispirazione evangelica operante nella storia, la coscienza profana ha
compreso che nelle sventure e nei dolori della nostra esistenza, oppressa dalle
leggi ferree delle necessità biologiche e dal fardello dell'orgoglio,
dell'ingiustizia, della malvagità umana, un solo principio di pace può
sollevare la massa di servitù e di iniquità e trionfarne, poiché questo
principio discende in noi dalla fonte creatrice del mondo, più forte del mondo:
l'amore fraterno la cui legge è stata promulgata dal Vangelo per lo scandalo
dei potenti, e che, il cristiano lo sa bene, è la carità stessa di Dio diffusa
nei cuori. Una volta gustata la freschezza di questa terribile speranza, il
cuore umano resta turbato per sempre. Ma guai a noi se la disprezzassimo in se
stessa e riuscissimo a togliere alla razza umana la speranza della fraternità.
Questa speranza è santa in se stessa, e risponde ai desideri più profondi e più
radicati nella natura umana; crea nelle anime una comunione di dolore e di
rivolta con tutti gli oppressi ed i perseguitati; chiama l'eroismo, ed ha una
forza divina tale da trasformare la storia dell'uomo. Ciò che è ammesso dalla
coscienza profana, se essa non devia verso la barbarie, è la fede nella
fratellanza umana, il senso del dovere sociale per cui l'uomo compatisce il
debole. Il convincimento che il compito eccellente della politica è di rendere
migliore e più fraterna la vita comune, e di far si che l'architettura di
leggi, d'istruzione e di usanza di questa vita comune diventi una casa per
tanti fratelli. (rielaborato: Maritain, Cristianesimo e democrazia Ed. di
Comunità-Mi-1950)
LA VERA
ESSENZA DELLA DEMOCRAZIA
In conseguenza della
più assurda contraddizione storica, le concezioni cristiane, durante il XIX
secolo e soprattutto in Europa, sono state incorporate in una sedicente
filosofia dell'emancipazione del pensiero che le svuotava di ogni sostanza, le
negava e le disgregava pretendendo di "spegnere le stelle" in nome
della scienza, e riducendo l'uomo ad una scimmia senz'anima, punto d'arrivo di
causali trasformazioni zoologiche. In se stesse, tuttavia, queste idee e queste
aspirazioni restavano e sempre resteranno essenzialmente legate al messaggio
cristiano e all'azione di stimolo segreto che esso esercita nelle profondità
della coscienza profana e del mondo. Per questo motivo ho detto nelle pagine
precedenti che la democrazia è sorta nella storia quale manifestazione
temporale dell'ispirazione evangelica. Gli uomini di Stato ben lo sanno, e non
è senza ragione che difendendo la democrazia essi oggi invocano il "Discorso
della Montagna". Nel messaggio del 4 gennaio 1939, di cui si disse che
"esso è un abbozzo di quella ricostruzione della filosofia morale che le
democrazie dovranno intraprendere se vorranno sopravvivere", il Presidente
Roosevelt insisteva sul fatto che nella democrazia, il rispetto della persona
umana, la libertà, la buona fede internazionale hanno nella religione la loro
più solida base e offrono alla religione la migliore delle garanzie. Egli
affermava che "le Nazioni Unite vogliono lavorare all'instaurazione d'un
ordine internazionale nel quale lo spirito di Cristo guiderà i cuori degli
uomini e delle nazioni". In un importante discorso pronunciato l'8 maggio
1942, il Vice presidente degli Stati Uniti, Henry A. Wallace, dichiarava da
parte sua: " L'idea di libertà deriva dalla Bibbia e dal suo straordinario
insistere sulla dignità della persona. La democrazia è la sola vera espressione
politica del cristianesimo". Chateaubriand, al termine della sua vita,
aveva espresso lo stesso pensiero. Henri Bergson, nel libro Les Deux Sources de
la Morale et de la Religion, affermava egli pure che, "essendo la
fratellanza elemento fondamentale", secondo il motto repubblicano, si deve
dedurre che "l'essenza della democrazia è evangelica". Per la
sventura del mondo moderno e per confondere le idee, Rousseau e Kant la hanno
rivestita delle loro forme sentimentali e filosofiche. Ma le origini
dell'ideale democratico debbono essere ricercate parecchi secoli prima di loro.
Lo stato d'animo democratico non solo deriva dalla ispirazione evangelica, ma
non può sussistere senza questa. Per conservare la fede nel progresso
dell'umanità, nonostante tutte le tentazioni che ci porterebbero a disperare
dell'uomo, offerteci dalla storia, e particolarmente dalla storia
contemporanea; per aver fede nella dignità della persona e nella comune
umanità, nei diritti umani e nella giustizia, cioè in valori essenzialmente
spirituali; per avere, non solo in teoria ma anche in pratica, la nozione ed il
rispetto della dignità del popolo,... per credere alla santità del diritto e
alla virtù sicura (ma a lunga scadenza della giustizia politica), di fronte ai
trionfi scandalosi della menzogna e della violenza; per avere fede nella
libertà e nella fratellanza, per tutto ciò sono necessarie un'ispirazione
eroica e una fede eroica che fortifichino e vivifichino la ragione .
Consideriamo inoltre l'immenso fardello d'animalità, d’egoismo e di barbarie
latente che gli uomini portano in loro, e per cui la vita sociale è ancora
terribilmente lontana dai suoi fini più veri e più alti; teniamo conto del
fatto che la parte dell'istinto e delle forze irrazionali è ancora più grande
nell'esistenza collettiva che in quella individuale, e che nel momento in cui
il popolo entra nella storia rivendicando la sua maggiore età politica e sociale,
larghi strati d'umanità sono ancora in stato d'immaturità o soffrono di
complessi morbosi accumulatisi nel corso del tempo, sono ancora soltanto
l'embrione o il primo abbozzo di quel frutto della civiltà che chiamiamo un
popolo... La democrazia deve avere anche un ruolo sussidiario di protezione
contro possibili ritorsioni dell'istinto di dominio, di sfruttamento o
d’egoismo anarchico; e soprattutto comprenderemo che, se si vuol diminuire e
eliminare a poco a poco queste funzioni sussidiarie della forza, la democrazia
ha più che mai bisogno del lievito evangelico per realizzarsi e per sussistere
e per sottomettere l'irrazionale alla ragione, per compenetrare l'esistenza
profana e s'incorpori al dinamismo vitale delle tendenze e degli istinti della natura
per formare e fissare nelle profondità dell'inconscio i riflessi, le
consuetudini e le virtù senza le quali l'intelligenza che dirige l'azione
oscilla ad ogni vento e l'egoismo distruttore prevale sull'uomo. Ma ciò che
voglio dire è che senza la bontà, l'amore e la carità, quel che vi è di
migliore in noi -e la stessa fede divina, ma ancor più le passioni e la
ragione- diventa nelle nostre mani uno strumento di sventura; e che una retta
esperienza politica può svilupparsi nei popoli solo a condizione che passioni e
ragione siano alimentate da un solido fondo di virtù collettive, dalla fede,
dall'onore e dalla sete di giustizia; e che senza l'istinto evangelico ed il
potenziale spirituale di un cristianesimo operante, il giudizio politico e la
esperienza politica mal si difendono dalle illusioni dell'egoismo e della
paura; che senza il coraggio, la comprensione per l'uomo e lo spirito di
sacrificio, non si può concepire la marcia, in ogni istante ostacolata, verso
un ideale di generosità e di fratellanza. Come Bergson ha dimostrato nelle sue
profonde analisi, è stato lo slancio di un amore infinitamente più forte della
filantropia dei filosofi in quanto esso è la manifestazione in noi dell'amore
creatore degli esseri e rende veramente ogni essere umano nostro fratello.
Senza spezzare i vincoli di carne e di sangue, d'interesse, di tradizione e di
fierezza, necessari al corpo politico, e senza distruggere le leggi severe
della sua esistenza e della sua conservazione, un tale amore esteso a tutti gli
uomini, trascende e contemporaneamente trasforma dall'interno la vita politica
del gruppo, e tende a riunire l'intera umanità in una comunità di nazioni e di
popoli in cui gli uomini siano riconciliati. Dio vuole che la comunione si
diffonda e si rifranga al di fuori dei limiti del Suo regno, sotto forme
imperfette, in quell'universo di conflitti, di malizia e di amara fatica che è
il dominio temporale. Bergson scrive: "la democrazia è di essenza
evangelica e ha l'amore come motivo determinante. Da ciò appare evidente che
l'ideale democratico va in direzione opposta alla natura, la cui legge non è
l'amore evangelico. La democrazia è un paradosso e una sfida alla natura, alla
natura umana ingrata e ferita, dalle cui aspirazioni originali e risorse di
grandezza essa però attinge. Il suo progredire è legato alla spiritualizzazione
dell'esistenza profana. Questo idealismo sarà in continuo pericolo se la sua
sorgente non sarà posta abbastanza in alto; e se dimenticherà le dure realtà
naturali in mezzo alle quali deve lavorare, perché, in questo caso, esso non
oserà affrontare l'esistenza e la potenza del male, non sentendosi abbastanza
forte da vincerle. Ma se saprà veramente che cos'è la dignità e la vocazione
dell'uomo, se sarà cosciente della potenza della verità e della potenza
dell'amore, se rispetterà l'anima conoscendone la grandezza, se porrà le
attività dello spirito e della libertà alla sommità della scala dei valori, se
saprà che la ricerca della felicità è misteriosamente legata al sacrificio di
se stessi, perché essa è innanzitutto la ricerca del compimento dell'essere
umano nell'amore, e perché i beni materiali e l'abbondanza della vita comune
sono da desiderare innanzitutto in quanto condizione e mezzo ad un tal fine:
allora soltanto potrà affrontare la ferocia delle leggi, della natura
materiale, la debolezza e la perversità dell'uomo e la realtà del male nel
mondo, perché si sarà reso conto che nell'uomo e al di sopra dell'uomo c'è
qualcosa capace di superare tutto questo. Prove che potranno essere superate in
mezzo a molte imparità e manchevolezze, ed è proprio per questo che dobbiamo
con maggior forza volerle
superare." La filosofia democratica vive dell'incessante lavoro
d'invenzione, di critica e di rivendicazione della coscienza individuale -e ne
vive e ne morrebbe se essa non vivesse anche dell'incessante dono di sé che
deve accompagnarvisi- in contrasto con la naturale tendenza dell'immaginazione
umana, essa si oppone a che i dirigenti si ritengano e vengano ritenuti una
razza superiore; e vuole tuttavia che la loro autorità sia rispettata, su base
giuridica. L'errore del liberalismo individualistico era stato di negare per
principio, col pretesto che ciascuno deve obbedire solo a se stesso, 1.-ogni
diritto di comando agli eletti del popolo. Un altro errore era di ridurre 2.-la
comunità ad un pulviscolo di individui di fronte ad uno stato onnipotente nel
quale si presumeva che la volontà di ognuno si annientasse e resuscitasse
misticamente sotto forma di volontà generale, 3.-di escludere l'esistenza e l'autonomia,
l'iniziativa e i diritti propri di ogni gruppo o comunità di rango inferiore a
quello dello stato, e infine 4.-di sopprimere perfino la nozione di bene comune
e di opera comune. Questi concetti hanno preparato il totalitarismo, così come
lo hanno preparato la condiscendenza alla mediocrità e l'egemonia dei partiti,
elementi che non sono essenziali alla democrazia, ma che sono piuttosto la
tentazione permanente di ogni democrazia senza vigore spirituale. Liberandosi
da questi errori, una democrazia nuova potrà ritornare ai principi autentici
della filosofia democratica. L'operazione interessa, in profondità, tutte le
strutture della civiltà, in estensione il mondo intero. "Una volta
abbattuto l'Impero pagano, la sua putredine fatta di 1.-nichilismo morale,
2.-di brutalità sadica e 3.-di idee da delirio non sarà spezzata d'un sol colpo,
né 4.-gli odi implacabili che esso avrà risvegliato, né 5.-le grandi illusioni
vergognose che i suoi servi in fuga avranno abbandonato su tutte le strade.
Bisognerà anche affrontare 6.- i vecchi interessi e i vecchi privilegi
economici, decisi dovunque alla difesa più accanita, le vecchie ambizioni ed 7.-i
vecchi errori smaniosi di pungere ancora da parassiti delle democrazie, e,
inoltre, i nuovi pericoli originati dall'irrigidimento degli 8.-istituti
nazionalistici e dalle cieche rivendicazioni di prestigio, o dal 9.-desiderio
di utilizzare le sventure degli uomini per una cuccagna di profitti, 10.-per
l'egemonia del grande commercio o delle chimere degli ignoranti che vorrebbero
organizzare razionalmente l'universo
senza rendersi conto che l'uomo ha un'anima. Di fronte ad una civiltà da
ricostruire, a un nuovo ordine internazionale da instaurare e che sarà creata
soltanto se prevarrà il senso della responsabilità morale verso le popolazioni,
nel rispetto della loro anima e dei loro desideri, e di una vera solidarietà
umana, di fronte a tutto questo l'intelligenza dei migliori architetti è
insufficiente". Lasciamo cadere molti pregiudizi e molte cattive volontà,
per un nuovo impulso politico e spirituale. (rielaborato da: Maritain,
Cristianesimo e democrazia Ed. di Comunità - Milano 1950)
"I ministri di Dio hanno perso la
santità, preghiamo, preghiamo per la loro santità". (DOMENICA 28 APRILE
-4° DOMENICA DI PASQUA: IL BUON PASTORE don Vito Raimondo - Radio Speranza ore
8:30.Palo del Colle -BA-) "In tutte le nazioni oggi prostrate, le classi
dirigenti hanno fatto moralmente bancarotta. Il fallimento del nostro mondo è
il loro fallimento. E' venuto il momento di far appello alle riserve morali e
spirituali del popolo, della comune umanità, -le ultime riserve della civiltà
prima di un nuovo olocausto- per la vittoria e per la ricostruzione. Queste
riserve morali e spirituali non sono uno strumento nelle mani dei detentori
dell'autorità; sono il potere stesso e la fonte di iniziativa, di uomini
coscienti della loro dignità personale e della loro responsabilità. Hanno
strumentalizzato la parola popolo come ogni altra parola del linguaggio. Il
popolo non è quella massa di materia umana spersonalizzata e fusa in una sola
entità fisica, ne una energia spirituale delle potenze della terra, quale l'ha
immaginata l'abominevole mitologia razzistica, (e che essi tentano di realizzare
a forza di asservimento, e nel nome della quale commettono tutti i loro
delitti). Il popolo, essi lo odiano, lo disprezzano e lo temono; non vogliono
soltanto opprimerlo ma cancellare dalla faccia della terra la sua stessa
realtà. Popolo vuol dire anime, vuol dire persone umane unite dai comuni doveri
umani e dalla coscienza comune del lavoro che ciascuno deve compiere per avere
il proprio posto al sole con la famiglia e gli amici. Da una lunga esperienza
di pene e di gioie di una vita senza gloria, da un comune patrimonio di
ereditaria saggezza accumulata nello spirito di gente operosa, da sentimenti e
tradizioni umane, armonia di volontà, di ragione e di libertà. Quello che io
chiamo uomo della comune umanità non è il buon selvaggio né l'uomo astratto,
l'individuo solitario privo di qualsiasi patrimonio sociale. Se qualche cosa
corrisponde a quest'idea nell'esistenza concreta, sono certo quei rifiuti
sociali che costituiscono gli strati più instabili e più miseri del
proletariato, o delle classi in processo di proletarizzazione. Non è in questo
uomo che ripongo la mia fiducia, poiché è esso che fornisce ai dittatori le
loro truppe e i loro carnefici. Quello che o chiamo uomo dell'umanità comune,
l'uomo in cui io ripongo la mia fiducia, e la grande moltitudine di coloro che,
impegnati nelle strutture morali e sociali, per umili che siano, dell'esistenza
civile, e dei raggruppamenti in cui si desta la coscienza collettiva, assolvono
compiti comuni, la grande opera elementare e anonima della vita umana e non
sono tentati di credersi una razza superiore,
perché il loro lavoro è anonimo e perché essi appartengono proprio a
quel popolo di cui ho parlato or ora, il popolo comune. Non condivido
l'ottimismo romantico che attribuiva al popolo un giudizio sempre giusto e
istinti sempre retti; so anche che esso ha bisogno di essere organizzato per
potersi esprimere e agire. Ma affermo che il tragico sofisma dei reazionari
consiste nel confondere il comportamento di un popolo libero, che agisce
nell'ambito delle sue legittime istituzioni, con la violenza sanguinaria delle
folle accecate dalle passioni collettive, di quelle passioni collettive che la
propaganda totalitaria fomenta diabolicamente. L'uomo dell'umanità comune è
meno tentato delle sedicenti élites di persone bene informate, e competenti, e
ricche e bennate, e altamente istruite o altamente scaltrite, che si sono
staccate dal popolo e la cui imbecillità politica, bassezza d'animo corruzione
stupiscono il mondo. Affermo che l'élite ispiratrice di cui il popolo ha
bisogno deve sempre vivere in comunione con questo stesso popolo, che offre
infaticabilmente il suo lavoro ed il suo sangue. Ora, si voglia o no, bisognerà
bene che come conseguenza di un postulato essenziale del pensiero democratico,
sorgano dalle profondità delle nazioni; esse saranno costituite da élites
operaie e rurali unitamente ad elementi
delle classi un tempo dirigenti che si saranno decise a lavorare col popolo. Il
problema essenziale della ricostruzione non è un problema di pianificazione, è
un problema di uomini, il problema delle future élite dirigenti. Non è certo
pretendendo di autoreclutarsi che esse si qualificherebbero. Possano esse venir
designate dall'eroismo e dall'abnegazione! Le nuove guide e le nuove
istituzioni sorgeranno dalla comune esperienza e fede di tutti coloro che non
hanno disperato del popolo e della patria, e saranno il risultato del processo
di selezione e di preparazione umana che questi anni lugubri avranno operato. Il
lavoro da compiersi per il rinnovamento delle strutture, richiedono innanzi
tutto un ritorno alla semplicità di considerazione (Riduzione, semplificazione
ed efficacia immediata delle norme). Una volta trovata la giusta prospettiva
con un semplice moto del cuore, con una semplice intuizione dell'intelligenza,
il resto è questione di buon senso e di coraggio, di esperienza e di bontà.
Tutto dipende dalle nuove élites, ed è proprio di esse che il mondo ha
disperatamente bisogno.
Mentre vedo nel
nazismo l'ultima tappa di una reazione implacabile contro il principio
democratico e contro il principio cristiano, vedo nel comunismo l'ultima tappa
della distruzione interna del principio democratico dovuta al rinnegamento del
principio cristiano. La sua dottrina non si può riformare ed è logicamente
legata all'ateismo. Il comunismo è una filosofia deviata fondata sulla
negazione coerente e assoluta della trascendente divina, un'ascesi e una
mistica del materialismo rivoluzionario integrale. Pio XI, raccomandava ai
cristiani piangendo di dolore e di compassione. Diceva egli ai vescovi di
Francia, nel dicembre 1937: "Si parla molto ai cattolici di Francia della
mano tesa... Possiamo noi prenderla questa mano che ci è tesa? Vorrei che fosse
così: non si rifiuta una mano tesa, purché ciò non sia a detrimento della
verità. La verità è Dio e Dio non può essere sacrificato. Ora, coloro che
parlano di mano tesa non si spiegano chiaramente in proposito. Ci sono, nel
loro linguaggio, confusioni e oscurità che bisognerebbe dissipare". “La predicazione
della verità non ha procurato a Cristo molte conquiste: essa l'ha condotto alla
croce. E' con la carità che Egli guadagnava le anime e le trascinava al suo
seguito. Voi convertirete quelli che sono sedotti dalle dottrine comuniste,
dimostrando loro che la fede in Cristo ispirano abnegazione e bontà,
dimostrando che non è possibile trovare altrove un'uguale sorgente di carità”.
Ciò che il Papa raccomandava nel campo religioso vale anche in quello civile,
ma sarà possibile solo se la carità di cui egli parlava arderà veramente nei
cuori. Bisogna fare la propria scelta, bisogna rischiare tutto sull'odio, o
sulla viltà, o sull'amore. (Maritain, Cristianesimo e democrazia Ed. di
Comunità - Milano 1950)
La vera guerra,
quella contro la confusione e l’anarchia sarà realmente vinta quando l'abbozzo
concreto di un nuovo mondo spirituale e sociale si profilerà nella storia. Se
la forza del suo istinto politico e del suo spirito rinnovandosi durante la
oscura notte sarà pari alla violenza del suo disgusto e della sua collera, esso
potrà trovare e scoprire le cose nuove di cui ha bisogno. Riconquistiamo l'integrità
morale e restituiamo alla loro vocazione storica le nazioni per una
testimonianza di portata universale e per una rinnovata missione spirituale e
morale. Non ho l'ingenuità di credere che tutto questo sarà facilmente
realizzato, tuttavia le ragioni che alimentano la speranza esistono. La
necessità di una radicale trasformazione del regime economico e sociale è
riconosciuta dovunque, mentre nello stesso tempo nasce una nuova mistica
repubblicana, un desiderio di semplicità in una comune vita di lavoro, e una
volontà responsabile di liberazione reale della persona e dei gruppi in cui
essa è impegnata. "La giovinezza(purezza) cattolica milita intrepida per
la libertà; essa vuole una società vitalmente, realmente, e non decorativamente
cristiana, senza l'ombra di quel clericalismo che la Chiesa disapprova e di cui
non vogliamo assolutamente sentir parlare". Come disse qualche mese fa
l'arcivescovo di Tolosa, l'opinione pubblica ha compreso che per sfuggire
all'ignobile leggerezza e all'indegna debolezza dei politicanti, non tutti
uomini malvagi, ma la cui vita interiore non era che polvere, bisogna esigere
nei capi la consistenza morale, la forza di chi agisce secondo un principio, e
non soltanto l'onestà ma anche la virtù. Se è vero che lo Stato dovrà
controllare molte cose, è vero anche che abbiamo imparato ad avere orrore della
tirannia statale. Lo spirito che dirigerà l'opera di rinnovamento tenderà verso
forme di vita politica e sociale nelle quali un pluralismo organico metterà
fine nella nazione all'onnipotenza dello Stato, mentre le istituzioni che fanno
prevalere la cooperazione, in Europa e nel mondo, metteranno fine, nella comunità
dei popoli, alla sovranità assoluta degli Stati nazionali. Vi è una cosa che il
mondo sa bene, anche troppo bene; è
il significato tragico della vita. Da mille dolorosi anni essa ha la missione
di scoprire un po di più che cos'è l'uomo e a quale prezzo si compie il più
piccolo progresso. L'esperienza che ha acquistato è un tesoro di lacrime, e gli
fa correre il rischio terribile dello scetticismo. Ma il senso tragico della
vita apre al senso dell'eroismo che solo può superare la tragedia. Vi è una cosa
che l'America sa bene, e che essa insegna come una grande e preziosa lezione a
coloro che prendono contatto con la sua stupefacente avventura; è il valore e
la dignità dell'uomo della comune umanità, il valore e la dignità del popolo.
La dignità di ciascuno nell'esistenza di ogni giorno è la forza della civiltà
americana. L'America sa che l'uomo della comune umanità ha diritto a perseguire la felicità: formula che,
ben compresa, significa la ricerca delle condizioni elementari e dei beni
elementari che sono i presupposti di una vita libera, e la cui mancanza,
sofferta da intere moltitudini è un'atroce ferita al fianco dell'umanità, 1- la
ricerca dei beni superiori della cultura e dello spirito, 2- la ricerca della
liberazione dalla miseria, dal timore e dalla servitù, 3- la ricerca di quella
libertà e di quella pienezza umana legata alla padronanza di sé, che
nell'ordine imperfetto della vita temporale è la meta più alta della civiltà, e
che, in un ordine superiore, chiede di realizzarsi perfettamente attraverso la
trasformazione spirituale dell'essere umano, e che l'uomo non può conquistare,
se non con molto amore e con l'incessante dono di sé. L'eroismo è qui
richiesto, non per superare una tragedia, ma per condurre a buon fine un'avventura
formidabile, iniziatasi per questo paese al tempo dei Pilgrim Fathers e dei
pionieri, e nei giorni gloriosi della dichiarazione d'indipendenza e della
guerra d'indipendenza. Chiamare tutti gli uomini alla ricerca di una tale
felicità, a condizione che essi la pongano abbastanza in alto e sappiano quel
che essa costa, è intraprendere la più grande delle rivoluzioni temporali.
Tutto questo ha un significato solo se l'appello alla ricerca della felicità è
contemporaneamente un appello all'eroismo. Abbiamo il diritto di fare appello
all'eroismo dell'uomo comune, non per un dispendio di eroismo collettivo, ma
perché tutti accettino un ideale di vita eroico. La prova, sublime o mostruosa
che sia, l'abbiamo oggi sotto gli occhi. Milioni di uomini accettano di morire
per una causa giusta o ingiusta, per un ideale nobile o per un ideale abietto,
al quale hanno dato il cuore e al quale sacrificano ciò che hanno di più caro.
Soltanto in parte sono costretti a ciò dal terrore o dalle leggi senza pietà
della disciplina militare o della disciplina civile. Per affrontare tutto ciò è
stato necessario che sorgenti sgorgassero dal più profondo del loro essere,
sorgenti di generosità che conferiscono al bene uno splendore più forte e al
male un colore umano. E' dunque impossibile dirigere queste immense riserve di
coraggio e di forza di resistenza, e d'oscuro spirito di sacrificio, verso
un'aspra e difficile opera di edificazione umana e di fratellanza? Poiché in
ogni caso bisogna dare la propria vita, è meglio darla per i propri fratelli
che riservarla al massacro. Se la vita comune a cui partecipo è fondata
sull'ingiustizia, un giorno o l'altro bisognerà che sopporti con coraggio che
le “belve” sbraniamo me e i miei figli. Se essa è tesa verso la giustizia,
dovrò forse dare il mio sangue e il resto per la causa della giustizia, ma
almeno avrò la speranza che i miei figli saranno felici, ed anche coraggiosi.
E' meglio fiaccarsi per raggiungere il bene che essere fiaccati dal male.
Queste sono verità semplicissime, e verrà un tempo in cui esse saranno comprese
dalla coscienza comune. Non si tratta di esigere che tutti gli uomini siano
pronti al martirio, per tutta la vita. Dalle nuove élites, si, dagli uomini che
svolgeranno per i popoli moderni una missione analoga a quella degli antichi
ordini cristiani che riscattano i prigionieri e difendono la vedova e l'orfano,
all'occorrenza, da quelli si esigerà che siano martiri della giustizia e
dell'amicizia fraterna. Ma è assurdo esigere dalle moltitudini un eroismo
costante. Le moltitudini conoscono il duro lavoro e il coraggio quotidiano, li
conoscono da secoli. Ciò che si chiede loro è che in una comunità civile in cui
la disciplina sociale sarà senza dubbio severa, questo duro lavoro e questo
coraggio quotidiano siano impiegati a rendere migliore e più degna la vita
stessa delle moltitudini, e che il clima della vita comune sia un clima di
speranza eroica, e che la generosità sia la sua forza ispiratrice. Dipende
dallo sforzo supremo della libertà umana, nella lotta mortale in cui oggi è
impegnata, che l'era in cui stiamo per entrare non sia l'era delle masse e
delle moltitudini informi, nutrite, asservite e condotte al macello da semidei
infami, ma l'era del popolo e dell'uomo della comune umanità, -cittadino e
coerede della comunità civile- cosciente della dignità della persona umana che
è in lui, costruttore di un mondo più umano, proteso verso un ideale storico di
fratellanza umana. Per raggiungere questo, è necessario che il senso del
tragico della vita e il senso della grande avventura umana si incontrino e si
completino scambievolmente, che lo spirito dell'Europa e lo spirito
dell'America cooperino in un'unica volontà: (porti all'unità il mondo). Non crediamo che questo paradiso sarà
realizzato domani. Ma l'opera alla quale siamo chiamati, l'opera che dovremo
compiere, con coraggio speranza tanto più grandi se consideriamo che ad ogni
istante sarà tradita dalla debolezza umana, dovrà avere per obbiettivo, se
vogliamo che la civiltà sopravviva, un mondo di uomini liberi, la cui sostanza
profana sia penetrata da un cristianesimo vivo e reale, un mondo in cui
l'ispirazione evangelica orienti la vita comune verso un umanesimo eroico.
(rielaborato da: Maritain, Cristianesimo e democrazia Ed. di Comunità - Milano
1950)
I
DIRITTI DELL'UOMO E LA LEGGE NATURALE
LA SOCIETÀ DELLE
PERSONE UMANE. Questo libro è un saggio di filosofia politica, in un momento in
cui sono in gioco le sorti della civiltà. La questione fondamentale della
filosofia politica è quella che concerne le relazioni tra la persona e la
società, e i diritti della persona umana.
Due aspetti
metafisici: individualità e personalità sono
distinti e creano, in ciascuno di noi, due attrazioni l'una con l'altra in
conflitto. (Cf. Du Regime Temporel et de la Liberté, e il capitolo " The
Human Person and Society" in Scholasticism and Politics) Tuttavia è
indispensabile mettere in luce la nozione di persona, per caratterizzare
brevemente le relazioni tra la persona umana e la società. L'umana personalità
è un grande mistero che risiede in ciascuno di noi. Sappiamo che tratto
essenziale di una civiltà che meriti questo nome, è il senso e il rispetto
della dignità della persona umana, sappiamo che per difendere i diritti della
persona umana, come per difendere la libertà, conviene esser pronti a dare la
propria vita. Qual'è dunque -per meritare un tale sacrificio- il valore
racchiuso nella personalità dell'uomo? Quando diciamo che un uomo è una
persona, vogliamo dire che egli non è solamente un pezzo di materia, un elemento
individuale nella natura, così come sono elementi individuali nella natura
un atomo o un elefante. Dove è la
libertà, la dignità, dove sono i diritti individuali? L'uomo è un individuo che
si guida da sé mediante l'intelligenza e la volontà; esiste non soltanto
fisicamente, c'è in lui un esistere più ricco e più elevato, una sopraesistenza
spirituale nella conoscenza e nell'amore. E' così, in qualche modo, un tutto, e
non soltanto in parte, un universo a sé. Mediante l'amore può darsi liberamente
ad altri esseri che per lui sono come altri se stesso, relazione questa, di cui
non è possibile trovare l'equivalente in tutto l'universo fisico. In termini
filosofici ciò vuol dire che nella carne e nelle ossa umane c'è un'anima, che è
uno spirito e che vale più che l'intero universo materiale. La persona umana,
per dipendente che sia dalla materia, esiste per l'esistenza della sua anima
che domina il tempo e la morte. E' lo spirito che è la radice della
personalità. La nozione di personalità implica così quella di totalità e di
indipendenza; per povera ed oppressa ch'essa possa essere, una persona è, come
tale, un tutto e, in quanto persona, sussiste in maniera indipendente. E'
questo il mistero della nostra natura che il pensiero religioso designa quando dice
che la persona umana è l'immagine di Dio. Il valore della persona, la sua
libertà, i suoi diritti, dipendono dall'ordine delle cose naturalmente sacre
che portano l'impronta del Padre degli esseri e che hanno in lui il termine del
loro movimento. La persona umana ha una dignità assoluta perché è in una
relazione diretta con l'assoluto nel quale solo può trovare il suo pieno
compimento; sua patria spirituale è tutto l'universo dei beni aventi valore
assoluto, che riflettono in qualche modo un Assoluto superiore al mondo e che
la attraggono a lui. Non dimentico che uomini, stranieri alla filosofia
cristiana, possono avere un senso profondo ed autentico della persona umana e
della sua dignità, e a volte mostrare anche nella loro condotta un rispetto
pratico di tale dignità che ben pochi saprebbero eguagliare. Questa descrizione
non è monopolio della filosofia cristiana (benché la filosofia cristiana la
porti a un punto di compiutezza superiore). Essa è comune a tutte le filosofie
che, in una maniera o nell'altra, riconoscono l'esistenza di un Assoluto
superiore all'ordine intero dell'universo, e il valore sopratemporale
dell'anima umana. (Maritain, Cristianesimo e democrazia Ed. di Comunità -
Milano 1950)
La persona tende per
natura alla vita sociale e alla comunione. Così è non solo a causa della
necessità, ma anche a causa della generosità insita nella persona, a causa di
quella attitudine alle comunicazioni dell'intelligenza e dell'amore, propria
dello spirito, che esige di mettersi in relazione con altre persone. Parlando
in senso assoluto, la persona umana non può essere sola.
Ciò che essa sa, vuol
dirlo; vuol dire di sé: a chi se non ad altre persone? Si può, con Rousseau,
dire che il respiro dell'uomo è mortale all'uomo; e con Seneca, "ogni
volta che sono andato tra gli uomini, ne son ritornato un uomo diminuito".
Ciò è vero, e tuttavia, per un paradosso fondamentale, noi non possiamo essere
uomini e divenire uomini senza andare in mezzo agli uomini; non possiamo
accrescere in noi la vita e l'attività senza respirare coi nostri simili. Così
la società si forma come cosa che la natura esige e (poiché questa è la natura
umana) come un'opera compiuta da un lavoro di ragione e di volontà e
liberamente consentita. L'uomo è un animale politico! La società è civile in
quanto è umana. Essa è un tutto di tutti, poiché, come tale, la persona è un
tutto. Un tutto di libertà poiché, come tale, la persona significa dominio di
sé o indipendenza (non dico indipendenza assoluta, che è la caratteristica di
Dio). La società è un tutto in cui le
parti sono ciascuna un tutto; un organismo fatto di libertà, non di semplici
cellule vegetative. Ha un suo proprio bene, una sua propria opera da compiere,
distinti dal bene e dall'opera degli individui che la compongono. Ma questo
bene e quest'opera sono e devono essere essenzialmente umani, e per conseguenza
si pervertono se non contribuiscono allo sviluppo e al miglioramento delle
persone umane.
Niente anarchia e
niente statalismo. Il fine della società è il bene comune, il bene del corpo
sociale. La vecchia concezione anarchica mascherata di materialismo borghese
secondo cui tutto l'ufficio della civitas è di vegliare sul rispetto della
libertà di ciascuno, ufficio mediante il quale i forti opprimono liberamente i
deboli. Il bene comune è il fondamento dell'autorità, perché, bisogna che
alcuni s'incarichino di prendere delle decisioni come espressione ed
interpretazione della volontà comune, per il bene comune. Il bene comune
domanda lo sviluppo delle virtù nella massa dei cittadini, è per questo che
ogni atto politico ingiusto e immorale è per se stesso ingiurioso del bene
comune e politicamente cattivo. Una legge ingiusta, quindi non è una legge.
(Maritain, Cristianesimo e democrazia Ed. di Comunità - Milano 1950)
Il tutto come tale
vale meglio delle parti: è un principio che Aristotele si compiaceva di
sottolineare e che ogni filosofia più o meno anarchica si compiace di
disconoscere. C'è un altro principio che il cristianesimo ha messo in luce e
che ogni filosofia politica assolutistica e totalitaria rigetta nell'ombra.
Veramente se la società umana fosse una società di pure persone, il bene della
società e il bene di ciascuna persona non sarebbero che un solo e medesimo
bene. Ma l'uomo è assai lungi dall'essere una pura persona; la persona umana è
quella di un povero individuo materiale, di un animale che nasce più sprovvisto
di tutti gli altri animali. Se la persona come tale è un tutto indipendente e
quel che vi è di più elevato in tutta la natura, la persona umana è il più
basso scalino di personalità, è spoglia di tutto e miserabile; è una persona
povera e piena di bisogni. Così si trova protetta dalla società, tuttavia in
relazione con l'assoluto e secondo che è chiamata ad una vita e a un destino
superiori al tempo; in altri termini, secondo le esigenze più elevate della
personalità come tale - la persona umana oltrepassa tutte le società temporali
ed è superiore a queste. Una sola anima
umana vale più che l'universo intero dei corpi e dei beni materiali. Non vi è
nulla al di sopra dell'anima umana - se non Dio. Riguardo al valore eterno ed
alla dignità assoluta dell'anima, la società esiste per ogni persona ed è
subordinata a questa. "L'uomo e il gruppo sono dunque avviluppati l'uno
nell'altro, e si superano l'un l'altro secondo differenti rapporti. L'uomo
trova se stesso subordinandosi al gruppo e questo non persegue il suo fine se
non servendo l'uomo e sapendo che l'uomo ha dei segreti i quali sfuggono al
gruppo e una vocazione che nel gruppo non si contiene. Il fine ultimo delle
persone non è la società, ma Dio. Così la persona reclama la società e tende
sempre a sorpassarla finché entra nella società di Dio. Al di sopra della
società civile la persona entra, varcando la soglia di un regno che non è di
questo mondo, in una società sopranazionale, soprarazziale, sopratemporale, che
richiama la Chiesa, e che concerne le cose che sono di Cesare.
La società degli
uomini liberi è: Personalistica,
Comunitaria, Pluralistica e Teistica.
Per la libertà spirituale, per l'arricchimento
della comunione, nel rispetto delle identità e delle culture, come delle
autonomie locali ed infine fondare in maniera trascendente le esigenze di
Giustizia e di Verità, di concordia e solidarietà di cui necessitano tutti gli
uomini. " Coloro che
non credono in Dio o non professano il
cristianesimo, se tuttavia credono alla dignità della persona umana, alla
giustizia, alla libertà, all'amore del prossimo, possono essi pure cooperare al
bene comune, anche se non sanno risalire fino ai primi principi delle loro
convinzioni pratiche, o se cercano di fondarle su principi insufficienti. In
tale concezione la società civile è organicamente legata alla religione e non
fa che volgersi coscientemente verso la fonte del suo essere invocando
l'assistenza divina e il nome divino secondo che i suoi membri lo conoscono. La
società civile deve cooperare con la religione, non per nessuna specie di
teocrazia o di clericalismo, né esercitando alcuna pressione in materia
religiosa, ma rispettando e facilitando - sulla base dei diritti e delle
libertà di ciascuno - l'attività spirituale delle diverse famiglie religiose
che si trovano di fatto raggruppate nel seno della comunità temporale.
(Maritain, Cristianesimo e democrazia Ed. di Comunità - Milano 1950)
La
società degli uomini liberi è:
Personalistica, Comunitaria, Pluralistica e
Teistica.
Per la libertà
spirituale, per l'arricchimento della comunione, nel rispetto delle identità e
delle culture, come delle autonomie locali ed infine fondare in maniera
trascendente le esigenze di Giustizia e di Verità, di concordia e solidarietà
di cui necessitano tutti gli uomini. " Coloro che non credono in Dio o
non professano il cristianesimo, se
tuttavia credono alla dignità della persona umana, alla giustizia, alla
libertà, all'amore del prossimo, possono essi pure cooperare al bene comune,
anche se non sanno risalire fino ai primi principi delle loro convinzioni
pratiche, o se cercano di fondarle su principi insufficienti. In tale
concezione la società civile è organicamente legata alla religione e non fa che
volgersi coscientemente verso la fonte del suo essere invocando l'assistenza
divina e il nome divino secondo che i suoi membri lo conoscono. La società
civile deve cooperare con la religione, non per nessuna specie di teocrazia o
di clericalismo, né esercitando alcuna pressione in materia religiosa, ma
rispettando e facilitando - sulla base dei diritti e delle libertà di ciascuno
- l'attività spirituale delle diverse famiglie religiose che si trovano di
fatto raggruppate nel seno della comunità temporale. (Maritain, Cristianesimo e
democrazia Ed. di Comunità - Milano 1950)
Nella società di tipo
individualistico borghese non vi è alcuna opera comune da fare, e non vi è
nemmeno comunione. Ciascuno domanda soltanto allo Stato di proteggere la sua
libertà individuale e di reprimere le eventuali usurpazioni della libertà da
parte altrui. Nella comunità di tipo raziale non v'è più un oggetto dell'opera
da compiere in comune, ma al contrario, vi è una passione di comunione, vi è il
piacere soggettivo di essere insieme o di zusammenmarschieren. La nozione
germanica di comunità riposa sulla nostalgia di essere insieme, sul bisogno
affettivo della comunione per se stessa. Non essendo definita da una opera da
compiere essa non potrà definirsi che per mezzo della sua opposizione ad altri
gruppi umani; essa avrà bisogno essenzialmente di un nemico contro il quale
dovrà andare; solo così potrà realizzare la propria coscienza comune: il
dominio politico sugli altri uomini.
Nella concezione totalitaria-comunistica l'opera essenziale è il dominio
industriale della natura. In queste concezione la persona umana è sacrificata.
Il cammino
dell'umanità nel tempo
In una conferenza
scientifica tenutasi a Pechino dal celebre paleontologo Teilhard de Chardin;
egli nota che "l'Umanità, per vecchia che ai nostri occhi sembri farla la
preistoria, è ancora molto giovane", ed egli mostra che la evoluzione
dell'Umanità deve essere prevista come la continuazione della evoluzione della
vita intera, in cui progresso significa ascesa della coscienza e dove la ascesa
della coscienza è legata ad un grado superiore di organizzazione. "Il
Progresso, se deve continuare, non si farà da solo; l'Evoluzione, per mezzo del
meccanismo stesso delle sue sintesi, si preoccupa sempre più della
libertà". Uno sguardo più vasto, che abbracci tutta la storia
dell'umanità, ci fa comprendere l'inarrestabile progresso sociale e la sua
evoluzione verso una comunità umana sempre più civilizzata. E' inevitabile
l'unificazione progressiva del genere umano, impossibile con la coercizione,
fattibile solo con l'amore. In definitiva, è nella attrazione comune esercitata
da un centro trascendente, che è Spirito e Persona, e nel quale gli uomini
possono realmente amarsi gli uni gli altri, che lo sviluppo della umanità così
animato e sollevato nell'ordine stesso della storia temporale, trova la sua
legge suprema. E' triste vedere uomini religiosi che hanno perduto la loro
ispirazione, si sono attaccati alla loro religione ma la lasciano da parte
quando si tratta di giudicare le cose umane e si tratta di incidere nell'azione
politica. S.Tommaso d'Aquino così si esprime commentando Aristotele:
"L'amicizia suppone che gli esseri siano vicini gli uni agli altri e siano
giunti all'uguaglianza fra di loro. Spetta all'amicizia di usare in modo eguale
dell'uguaglianza che già esiste tra gli uomini. Ed è alla giustizia che spetta
di condurre all'uguaglianza coloro che sono diseguali: quando questa
uguaglianza è raggiunta l'opera della giustizia è compiuta". (Commento
sull'etica, libro VIII, lezione 7.)
Questa concezione afferma il movimento progressivo dell'umanità, non come un
movimento automatico o necessario, ma come un movimento contrastato, acquistato
a prezzo di una tensione eroica di energie spirituali e di energie fisiche.
Essa riconosce la giustizia e l'amicizia civile come i fondamenti essenziali di
questa comunità di persone umane che è la società politica; e di conseguenza
essa insiste così sulla parte fondamentale dell'uguaglianza, non soltanto
dell'uguaglianza di natura, che è alla radice, ma dell'uguaglianza da
conquistare come frutto della giustizia e come un frutto del bene comune riversato
per tutti.
IL
PROGRESSO INTERNO DELLA VITA UMANA
La libertà di
ciascuno deve essere protetta, l'uomo deve lavorare a sottomettere a sé la
natura materiale, la città deve essere forte e difendersi efficacemente contro
le azioni dissolventi e contro i suoi nemici eventuali. Ma l'opera politica
verso cui tutto questo deve tendere è la buona vita umana della moltitudine, il
miglioramento delle condizioni della vita umana stessa e di procurare il bene
comune della moltitudine in tal maniera che la persona concreta, non soltanto
in una categoria di privilegiati, ma nella massa tutta intera, acceda realmente
alla misura d'indipendenza che conviene
alla vita civile, e che volta a volta le garanzie economiche del lavoro e della
proprietà, i diritti politici, le virtù civili e la cultura dello spirito
assicurano. In breve, l'opera politica
è essenzialmente un'opera di civiltà e di cultura. La libertà dello sviluppo
consiste prima di tutto nella fioritura della vita morale e razionale e di
quelle attività interiori che sono le virtù intellettuali e morali. Liberazione
ed emancipazione permanente da ogni forma di schiavitù ed asservimento. Ciò è
possibile solo se essa conosce queste esigenze e se è sospesa ad un ideale
storico difficile ed elevato, capace di
sollevare tutte le energie di bontà e di progresso nascoste nelle profondità
dell'uomo e oggi abominevolmente represse o pervertite. Lottiamo insieme per
l'instaurazione di una città fraterna in cui l'uomo sia liberato dalla miseria
e dalla servitù. Vi è una speranza più grande che deve essere portata agli
uomini, per il quale si può domandare agli uomini di lavorare, di combattere e
di morire: la verità dell'immagine di Dio in noi, la libertà e la fraternità
universale. Se la nostra società agonizza è perché non osa abbastanza, perché
agli uomini non abbastanza propone. Una nuova civiltà vivrà a condizione di
sperare, di volere e di amare veramente ed eroicamente la verità, la libertà e
la fraternità.
CONCLUSIONE. La sana
società umana è fondata quindi: bene comune riservato sulle persone; moralità
intrinseca del bene comune e della vita politica. Ispirazione personalistica,
comunitaria e personalistica della organizzazione sociale, legame organico
della società civile con la religione, senza costrizione religiosa né
clericalismo, in altri termini società realmente, non decorativamente,
cristiana. - Il diritto e la giustizia, l'amicizia civica e l'uguaglianza che
essa comporta, come principi essenziali della struttura, della vita e della
pace della società. - Opera comune ispirata dall'ideale di libertà e di
fraternità tendente come a suo limite superiore alla instaurazione di una città
fraterna in cui l'essere umano sia liberato dalla servitù e dalla miseria.
Sarebbe facile mostrare che tutti questi caratteri di una sana società politica
sono negati o misconosciuti, da punti di vista opposti, sia dall'antico
individualismo borghese, sia dai totalitarismi di oggi, dei quali la forma
peggiore è il razzismo nazista. E' qualcosa di nuovo che gli uomini dovranno costruire
dopo questa guerra, in mezzo alle rovine, se l'intelligenza, la buona volontà e
le energie creatrici prevalgono in essi. (Maritain, Cristianesimo e democrazia
Ed. di Comunità - Milano 1950)
L'uomo è un animale
dotato di ragione, ma è immensa la parte di animalità in tale misura. La parte
degli istinti, dei sentimenti, dell'irrazionale è più grande ancora nella vita
sociale e politica che nella vita individuale. Ne consegue che un lavoro di
educazione, che sottomette l'irrazionale alla ragione e sviluppa le virtù
morali. Purtroppo c'è chi conta, per raggiungere i propri fini sulla potenza
apparentemente senza limiti del male e della corruzione. Questo è fare la
rovina degli uomini e mettersi al servizio del demonio. Infine, noi emergiamo
ancor si poco dall'animalità e così grande è in noi la parte della malvagità e della perversione
che è troppo vero dire che le condizioni storiche e lo stadio ancora inferiore
dello sviluppo dell'umanità rendono difficile alla vita sociale di attingere
pienamente il suo fine. Ma la filosofia politica che si fonda sulla realtà deve
lottare volta a volta contro due errori opposti: da una parte uno pseudo
idealismo ottimistico, che va da
Rousseau a Lenin, e che alimenta gli uomini di false speranze,
pretendendo stimolare e snaturando l'emancipazione alla quale essi aspirano, -
d' altra parte uno pseudo-realismo pessimistico che va da Machiavelli a Hitler,
e che piega l'uomo sotto la violenza, non ritenendo di lui che la animalità che
lo rende schiavo. (Maritain, Cristianesimo e democrazia Ed. di Comunità -
Milano 1950)
(J. Maritain, La
conquista della libertà, Antologia del pensiero etico politico, ed. La Scuola -
Brescia) L'umanesimo integrale significa in primo luogo il riconoscimento che
l'uomo è un'essenza mista, interamente animale ed interamente spirituale.
Contro il dualismo cartesiano che separa l'anima dal corpo, il realismo di
Maritain sottolinea l'unità strutturale della realtà umana, estrinsecamente
condizionata dal suo corpo ma intrinsecamente libera dalla sua spiritualità
(Cfr. Tre riformatori: Lutero, Cartesio, Rousseau, tr. it., Brescia,
Morcelliana, 1967). "L'uomo è una persona che si tiene in mano per mezzo
della sua intelligenza e della sua volontà. Egli non esiste soltanto come un
essere fisico; c'è in lui un'esistenza più nobile e più ricca: la
sovraesistenza spirituale propria della conoscenza e dell'amore". Ma
"quest'uomo stesso è anche, in un altro senso, un individuo materiale, un
frammento di una specie, una particella dell'universo fisico, un solo punto
nell'immensa trama delle forze e delle influenze d'ordine cosmico, etnico,
storico ..., alle cui leggi egli è sottomesso"(L'educazione al bivio, tr.
it., Brescia, La Scuola 1975, pp. 20 e 22). Maritain distingue nell'uomo, senza
separarle, l'individualità materiale e la
personalità spirituale, come due punti di vista per considerare l'unità
dell'uomo che è "persona" anche nella sua carne, come è
"individuo" anche nella sua anima, ed è quindi oggetto delle conoscenze
scientifiche, filosofiche e spirituali. Ma l'unità dell'uomo è un'unità
gerarchica, perché è lo spirito che anima ed unifica la carne, per cui bisogna
affermare il primato dello spirituale, ed il diritto alla vita su tutti i
condizionamenti fisiopsichici e socio-ambientali. L'uomo ha dei diritti in
quanto è concepito, non in quanto gli altri glieli riconoscono; è un soggetto
di diritto, un protagonista del suo divenire, una persona che si fa
personalità. "Il bene è dovuto a me
perché io sono un "io". Per
poter disporre dei suoi propri fini e rivelarsi capace di autodeterminazione,
il mio io deve essere un microcosmo che mi appartiene, di cui io sono il
padrone(un povero padrone, perché la mia libertà cavalca il determinismo dei
miei istinti e del mio inconscio), ma pur sempre un padrone"(Neuf lecons
sur les notions premieres de la philosophie morale, Paris. Téqui, 1951, p.164).
L'uomo, come personalità, è superiore alla natura fisica, e uguale in dignità a
tutti gli uomini nella comunità sociale, è inferiore a Dio nella cui
soggettività si realizza pienamente la personalità. Si trova, quindi, al centro
di numerose relazioni, "condizionato" dal basso ad opera della natura
istintiva, delle condizioni sociali e del divenire storico, "influenzato"
dall'alto ad opera dell'educazione, della cultura, della poesia, della
religione. L'uomo non è quindi una parte della natura e della società, ma è un
tutto che supera la natura, entra in un rapporto dinamico di interrelazione
nella società e si apre a Dio; per questo motivo non può essere considerato un
mezzo per lo sviluppo industriale o per il miglioramento sociale, perché è un
"fine" in se steso. L'uomo nasce "sociabile" e diventa
"sociale" tramite l'educazione; la socialità gli è connaturata, è un
"animale politico", anzi una persona sociale che entra in società non
solo per bisogno, come gli animali, ma anche per generosità e dedizione, con
l'unico scopo di arricchire la società. Vi sono due movimenti nella storia, uno
orizzontale , verso un costume
democratico all'interno e all'esterno della vita di tutti i popoli, ed uno verticale verso la salvezza personale
nella beatitudine eterna; ed una spirituale, morale: tra i due processi di liberazione vi è una naturale correlazione,
perché l'uomo non raggiunge la propria salvezza personale se non impegnandosi
nella comunità per la liberazione di tutto l'uomo. L'umanesimo integrale
consiste proprio nella perfetta relazione tra umanesimo e cristianesimo,
islamismo, ecc... Le aspirazioni
connaturali sono proprie dell'uomo in quanto uomo, della persona umana in
quanto persona umana; le aspirazioni
trasnaturali sono proprie della persona in quanto persona e si realizzano solo in Dio, in cui la persona trova la più
compiuta espressione. L'umanesimo liberal-borghese e l'umanesimo
social-marxista non possono soddisfare le aspirazioni dell'uomo, perché si
fermano alla natura e alla società, la liberazione dal bisogno e
dall'oppressione non bastano, l'uomo ha bisogno di una liberazione morale e di
una redenzione religiosa per liberarsi dalla "pena di vivere", dalla
miseria esistenziale, dalla sofferenza e dalla morte. La condizione umana è
quella che è, propria di una creatura, fatta ad immagine di Dio, ma decaduta
dal suo ruolo, ferita nel suo essere, ed in condizione di pena; rifiutare
questa condizione è impossibile, si è liberi "in" questa condizione e
non "da" questa condizione; accettarla semplicemente non basta,
perché è umanamente inspiegabile, bisogna superarla in un umanesimo eroico che
solo il cristianesimo può alimentare e sostenere con il realismo della
crocifissione e della speranza della resurrezione. E' questo l'esistenzialismo
di S. Tommaso, che riconosce l'esistenza senza negare l'essenza, attribuisce
alla persona una dignità assoluta, ma insieme sottolinea i suoi limiti, e la
pone in un rapporto di redenzione con l'Assoluto, senza disperazione e senza
presunzione. La perfezione non è nel successo o nel possesso, ma nell'amore,
che accetta di esistere e si pone in un rapporto di servizio verso gli altri e
di riconoscenza verso Dio, che soffre con l'umanità per liberarla dal male.
(JACQUES MARITAIN, AZIONE E CONTEMPLAZIONE , ed. Borla.) Abbiamo urgentemente
bisogno di un'azione che nasca dalla contemplazione, e questa è dono di Grazia.
Ecco, il mondo chiede dei santi, cioè uomini puri nei loro pensieri, nelle loro
azioni trasparenti. Se i credenti non gli danno ciò che comanda, tanto peggio
per essi e per tutti; egli si vendicherà su di loro, e cercherà la sua
consolazione presso il diavolo. Comunque come dicono S. Paolo, Maometto ed
altri uomini di Dio: noi non abbiamo ricevuto per missione di far trionfare la
verità, ma di combattere per essa. Qual'è l'origine del disordine moderno? La
naturalizzazione del cristianesimo! Rousseau ha snaturato il Vangelo
strappandolo all'ordine soprannaturale, trasportando alcuni aspetti
fondamentali del cristianesimo sul piano della semplice natura. Una cosa
assolutamente essenziale per la fede è la soprannaturalità della Grazia.
Togliete questa soprannaturalità e la fede si corrompe. Godimento inverosimile
per tutti i filosofi da strapazzo. Ecco perché si trovano ovunque, nel mondo
moderno, analogie depravate della mistica cattolica e brani di cristianesimo
laicizzato. Dal falso dogma della bontà naturale, Rousseau non è il primo che
ne abbia cavato pazzie. Duemila anni fa, nel 213 a.C., l'imperatore
Tsin-Sceu-Hoang-ti diede ordine di bruciare tutti i libri e fece crudelmente
suppliziare i letterati che tentarono di opporsi a quella distruzione; egli
aveva letto, stando a certi commentatori, in Confucio e in Mencio quella
veneranda verità che all'origine l'uomo era buono, e ne aveva dedotto, da
despota evoluto alla Rousseau, che le lettere e la civiltà sono causa della
corruzione del popolo. Ma Rousseau aveva dietro di se tutta la sapienza cristiana,
e la caduta è stata di conseguenza tanto più rovinosa e pesante. Eliminato il
riferimento trascendente: la natura è buona e va assecondata in tutti i suoi
istinti, perché non ci sono in noi fomiti di concupiscenza e inclinazioni
guaste che ci piegano al male; l'uguaglianza diviene il pretesto per
disprezzare le gerarchie naturali e razionali. La rivoluzione divine un mito
falso e accecante, quando si presumono i risultati ottenibili solo per Grazia,
di ottenerli dall'intervento, così si sono attuate immani carneficine e
dittature orribili di stampo marxista. Cosa dire poi della legge dell'amore?
Esso viene ridotto al rango più sciocco e più vile, un vago umanitarismo. UN
GRANDE RITORNO VERSO LO SPIRITO. Osserviamo l'atteggiamento delle tre filosofie
politiche moderne nei riguardi del cristianesimo. L'individualismo borghese è
delle tre, il più religioso. Praticamente ateo e decorativamente cristiano,
troppo scettico per perseguitare, se non quando era in causa un profitto
materiale, non rivolgeva una sfida alla religione, ma la credeva inventata dai
preti e progressivamente spodestata dalla ragione e si serviva di essa come una
forza di polizia che facesse da guardia alla proprietà privata nei confronti
degli sfruttati e oppressi o comunque come una banca dove -dopo tutto- mentre
si arricchiva in questo mondo, poteva assicurarsi ad ogni buon fine contro i
rischi inconoscibili dell'al di là. Le altre due hanno sfidato il
cristianesimo. Gli Stati totalitari-nazionali (la loro ideologia non è
scomparsa con loro), eredi del vecchio antagonismo dell'Impero pagano contro il
Vangelo, hanno perseguito spudoratamente la divinizzazione totalizzante del
potere politico trasformato in potenza che asservisce, inebria, succhia e
stritola. Il comunismo, che si situa nella linea storica del razionalismo
moderno, dell'umanesimo antropocentrico e delle aspirazioni democratiche
passate sotto l'obbedienza immanentistica (e in lotta ideologica con le proprie
fonti cristiane) di cui è la suprema peripezia, deve in realtà essere
considerato come un'eresia cristiana - l'ultima e del tutto radicale eresia
cristiana. Esso è universalista come la Chiesa. Sono energie d'origine
cristiana interamente laicizzate ch'esso mette in opera nei suoi militanti. La
trasformazione dell'uomo, che il cristianesimo domanda alla grazia interiore,
in funzione anche della vita eterna, il comunismo la domanda alla rivoluzione
collettiva, che rinnova la storia e la società per la sola vita di questo
mondo. Il suo ateismo è un risentimento morale e religioso contro la
trascendenza divina. E' proprio dall'interno della civiltà cristiana, che il
comunismo conduce la propria battaglia; ed essa vuol essere più un processo di
sostituzione o di soppiantamento che di aggressione, come se, nel giudizio
segreto che il comunismo da di se stesso, i soli veri cristiani -per la terra e
liberati dal Dio trascendente- fossero i comunisti. Donde consegue che
comunisti e cristiani hanno cattiva coscienza gli uni verso gli altri. Anche
quando tendono sinceramente la mano ai cattolici, i comunisti sentono
oscuramente che la loro vocazione e di soppiantarli nell'ordine della vita
politica o della civiltà. Le concezioni del mondo e della vita di tipo
materialistico, le filosofie che non riconoscono l'elemento spirituale, l'elemento
eterno nell'uomo, sono incapaci di evitare l'errore nella costruzione di una
società veramente umana, perché sono incapaci di riconoscere tutti i diritti
della persona e proprio per questo di comprendere la natura stessa della
società. Tutti gli uomini del mondo devono sentirsi impegnati alla costruzione
di un progetto spirituale e al contempo politico per il compimento della vita
personale, come espressione di tutte le potenzialità intrinseche, che
completano il processo di umanizzazione. Quello che vi è di più profondo nella
persona, la sua vocazione sovratemporale, a questo la società e la sua opera
devono essere indirettamente subordinate, cosa che presuppone una
trasformazione radicale ed un grande ritorno verso lo spirito. Gli uomini
d'oggi hanno bisogno di segni: vedere concretizzato un nuovo stile di santità,
perché ogni rinnovamento sociale è opera di santità.
UNA
STRADA CHE PORTA GLI UOMINI A DIO.
La strada
dell'esempio e della testimonianza quotidiana non eclatante. Leggendo il
percorso spirituale dei grandi taumaturghi, ovvero di uomini dotati da Dio di
carismi straordinari, cioè di possibilità concesse oltre le leggi naturali,
condizioni proprie degli angeli, ovvero di creature non divine ma superiori sul
piano della creazione. Mi sono spesso guardato dentro, intuendo a volte tali
possibilità inespresse. Questo portava a colpevolizzarmi, perché in fondo
poteva essere la mancata coerenza della mia adesione alla volontà di Dio. Ma mi
sbagliavo, i carismi straordinari sono concessi, (per fortuna raramente)
ad uomini designati, non
necessariamente in funzione della loro santità, per lo svolgimento di missioni
straordinarie, sempre e comunque per essere "a servizio" di necessità
spirituali particolari. Quindi, solo nella logica divina, si realizzano queste
possibilità soprannaturali di potenza, come la bilocazione, ecc... Il
predestinato non si percepisce privilegiato, tutt'altro, sarebbe ben lieto se
dipendesse da lui, di starne fuori. Certo Dio non forza mai la libertà delle
sue creature, che si assoggettano a questa condizione straordinaria solo per il
fine di salvare anime. Questi uomini sono umili, poveri, disinteressati,
benevoli e misericordiosi, tutti nell'avvicinarli si sentono a proprio agio.
Così non è certo per chi gestisce in proprio "un potere" ottenuto
dalle tenebre. Ora Jacques, torniamo sul tuo libro, dici che la nostra
ordinaria vita morale è tanto fragile, a motivo dei condizionamenti del nostro
ambiente, come del regno sotterraneo del nostro carattere incosciente che ci
dirigiamo spontaneamente a quegli uomini che Bergson chiamava gli
"eroi" della vita spirituale. Più conosciamo la santità dei santi, e
la vita morale di coloro che hanno corso l'avventura di dare tutto per entrare
in ciò che essi descrivono come l'unione divina e l'esperienza delle cose di
Dio, più sentiamo che la verità sola può dare tali frutti e che la certezza che
sostiene tutto in questi uomini non può mentire. Un atto, il minimo atto di
vera bontà, è, per dire il vero, la migliore prova dell'esistenza di Dio. Ma la
nostra intelligenza è troppo ingombra di nozioni per vederlo; allora noi lo
crediamo sulla testimonianza di coloro nei quali la vera bontà risplende in
modo da stupirci. Questa non è una prova dell'esistenza di Dio. E' un argomento
basato soltanto sulla testimonianza. Rimane indispensabile una qualche forma di
esperienza personale della Sua presenza, che si rivela in fondo all'anima, di
quello stesso Dio di cui noi sentiamo parlare dai suoi amici. Questa intuizione
e percezione personali, aprono la strada ad un rapporto reale che se avviene
sul piano dello spirito non manca di manifestare subito i suoi frutti
materialmente. Questa è la logica e la razionalità della fede, che operando una
sintesi, si volge affascinata al bene più grande e compie la sua opzione
fondamentale, vero matrimonio dell'uomo con Dio, vero gaudio e gioia e pace e
dolcezza intima ed esterna dei sensi. L'uomo ha finalmente trovato se stesso è
giunto alla sua casa.
La neutralità non ha
più spazio nel mondo. Tutti sono costretti, anche gli stati a scegliere di
essere pro o contro Dio, pro o contro il Vangelo. Tuttavia uno stato clericale
o ipocritamente religioso è funzionale alla logica del potere fine a se stessa.
E' la missione spirituale della Chiesa che deve essere aiutata, non la potenza
politica o i vantaggi temporali che
questi o quelli tra i suoi membri potrebbero prendere in suo nome. Una società
politicamente e realmente cristiana sarebbe cristiana in virtù dello spirito
stesso che l'anima e che informa le sue strutture. E poiché l'oggetto immediato
della civitas temporale è la vita umana con le sue attività, le sue virtù
naturali e il bene comune umano, non la vita divina e i misteri della grazia,
una tale società politica non richiederebbe dai suoi membri un credo religioso
comune e non metterebbe in una situazione di inferiorità o di diminuzione
politica coloro che sono stranieri alla fede politica che l'anima, e tutti,
cattolici e non cattolici, cristiani e non cristiano, dall'istante che essi
riconoscono, ciascuno nella propria prospettiva, i valori umani di cui il
Vangelo ci ha fatto prendere coscienza, la dignità e i diritti della persona,
il carattere d'obbligazione morale inerente all'autorità, la legge dell'amore
fraterno e la santità del diritto naturale, si troverebbero perciò stesso
attratti nel suo dinamismo e sarebbero capaci di cooperare al bene comune. Ma
le altre confessioni religiose potrebbero pure aver parte in tale espressione
pubblica e sarebbero ugualmente rappresentate per difendere i loro diritti e le
loro libertà e per aiutare l'opera comune, nei consigli della nazione. Non vi è
che un bene comune temporale; quello della società politica; come non vi è che
un bene comune soprannaturale: quello del
regno di Dio, che è sovrapolitico. Introdurre nella società politica un
bene comune particolare che sarebbe il bene comune temporale dei fedeli di una
religione, fosse anche della vera religione,
la quale reclamasse per essi una situazione privilegiata nello Stato,
sarebbe introdurre un principio di divisione nella società politica e venir
meno pertanto al bene comune temporale. Non è accordando alla Chiesa un
trattamento di favore e cercando di agganciarsela con vantaggi temporali pagati
col prezzo della sua libertà, che lo Stato l'aiuterebbe maggiormente nella sua
missione spirituale, ma domandandole di più - domandando ai suoi preti di
andare verso le masse e di congiungersi alla loro vita e diffondere fra esse il
fermento del Vangelo, di chiedere ai suoi militanti laici e a tutte le sue
organizzazioni di aiutare il lavoro morale della nazione e di sviluppare nella
vita sociale il senso della libertà e della fraternità.
Ogni bellezza
racchiude un canto / e il poeta che lo comprende con devozione lo vuol narrare
/ Per quali strade tu giungi al cuore melodia-lieve delirio / Tu che dirigi i
cori degli angeli e fai suonare la loro lode / Di quale abisso creatore / Sei
tu la voce, sublime musica / E di qual voce tu sei il sonno / Che ha / nel
ritmo l'armonia. / Di qual mistero tu sei il richiamo / Il palpito l'accento
vero / Il fascino la casta parola. / Che armonizza nei suoi discorsi / La
tristezza dell'ecclesiaste / E l'esultanza dell'amore / Che cela più di quanto
sveli. La realtà nella sua essenza / Al di la di ogni sentimento. E d'una
patria fa sognare / in armonia col nostro essere / E d'uno spazio senza
fine. RAISSA MARITAIN per Arthur
Louris
Si sono santificati
non malgrado il loro matrimonio, ma attraverso il loro matrimonio, anche quando
liberamente ad un certo momento della loro vita hanno voto di castità. Jaques
nel '63 ha scritto: "Amore ed Amicizia” pubblicata come capitolo di
“Ricordi e appunti" nella quale distingue l'amore di cupidigia e l'amore
di dilezione fino a trasfigurare nell'amore folle per Dio l'amore coniugale. In
questa prospettiva religiosa i coniugi si amano ancora, ma non più per se
stessi, bensì nell'amore di carità che tutto comprende, il desiderio come il
possesso, la gioia come il dolore, l'amicizia come l'amore, perchè gli sposi
cristiani sono tutt'uno nel sacramento che li unisce a Dio. Non si tratta di
negare l'amore romantico, l'amore umano, ma di evitare che decada nell'amore di
cupidigia per elevarsi nell'amore di dilezione (secondo me la castità coniugale
è sufficiente ad esprimere tutto questo). "Insomma, la verità è questa,
secondo me: anzitutto l'amore come desiderio o passione, e l'amore romantico, o
quanto meno un elemento di esso, dovrebbero per quanto possibile, essere
presenti nel matrimonio come un primo incentivo, come punto d'avvio.
D'altronde, sarebbe troppo difficile per l'essere umano, se e quando
un'occasione invitante all'amore romantico si presentasse più tardi fuori del
matrimonio, resistere alla tentazione; già quel che rende più infelice l'omo
non è dato tanto dalla perdita di quanto posseduto, quando dal mancato
possesso, dalla mancata reale CONOSCENZA. In secondo luogo, il matrimonio,
lungi dall'avere come suo scopo precipuo quello di portare a compimento
perfetto l'amore romantico, ha da compiere nei cuori ben altra opera: una
infinitamente più profonda opera di alchimia: trasformare l'amore romantico in
amore umano, reale ed indistruttibile, in amore veramente disinteressato, che
non esclude il sesso, si capisce, ma che diviene sempre più indipendente dal
sesso, e può persino essere, nelle sue forme più elevate, completamente libero
dall'interferenza sessuale, in quanto di natura essenzialmente spirituale: una
completa ed irrevocabile donazione dell'uno all'altro, per amore dell'altro e
non per quello che l’altro può dare. Così è che il matrimonio può essere una
autentica comunità d'amore tra uomo e donna: qualcosa di costruito non sulla
sabbia, ma sulla roccia, perchè poggia su un amore genuinamente umano e
spirituale, genuinamente personale. Attraverso l'ardua disciplina
dell'autosacrificio ed a forza di rinunce e purificazioni. Allora, in un libero
ed incessante fluire e rifluire di emozioni, in un continuo interscambio di
sentimenti e di pensieri, ciascuno partecipa realmente in virtù dell'amore, di
quella vita personale, dell'altro che appunto costituisce per natura,
l'incomunicabile possessione dell’altro: preparato e pronto come un angelo
custode deve essere, a molto perdonare all'altro: infatti la legge evangelica
del reciproco perdono bene esprime, mi pare, un'esigenza fondamentale, che è
valida non soltanto nell'ordine soprannaturale, ma anche nell'ordine terreno e
temporale. Ciascuno, in altre parole può allora rendersi realmente dedito al
bene e alla salvezza dell'altro. "A questa pienezza di amore, umana e
divina, nella quale l'amore di Dio si riflette nella creatura amata” non si
arriva ordinariamente che dopo una certa maturazione nell'esperienza della vita
e nella sofferenza: è l'amore in cui uno dona realmente all'altro non soltanto
ciò che ha ma ciò che è, la sua stessa persona. Raissa aveva ben compreso il
significato di questo amore coniugale, tanto che in una poesia "LA LODE
DELLA SPOSA" del'35 così ritrae
Maritain: “il tuo viso è così dolce nelle mie mani / è fresco, delicato e
fragile / Caro viso sensibile, si turba, freme come l'erba dei prati / sia
l'amore mistico della Chisa per il suo Dio, come nel Cantico dei Cantici,/ Il
Dio dei cuori / cancella degli anni la polvere e le tracce del tempo / E ti
porta senza ruga e senza macchia, / dall'amore all'Amore senza tramonto.”
E Jacques così
descrive la sua sposa: “Bontà, Purezza. Raissa va sempre fino in fondo nelle
sue azioni, con un'intenzione ben dritta e una volontà integra: il suo coraggio
è senza calcolo e la sua pietà senza difesa. Dove non c'è bellezza ella si
sente soffocare, non può vivere. Raissa è sempre vissuta per la verità, non ha
mai resistito alla verità. Il suo spirito non ha mai fatto una grinza e il suo
dolore non è stato mai mentito. Ella dona tutto, senza tenere nulla per se; per
il suo cuore come per il suo intelletto è la realtà essenziale che conta:
nessun elemento accessorio riuscirebbe a farla esitare. Il suo pensiero e la
sua natura sono per inclinazione intuitivi; siccome è una creatura tutta
interiore, è tutta libera / la sua ragione si appaga con il reale, la sua anima
con l'Assoluto.”
IL SAPERE DISCORSIVO
DI MARITAIN E L'INTUIZIONE POETICA DI RAISSA SI COMPLETANO A VICENDA NELLA LORO
UNIONE CONIUGALE, IN CUI L'AMORE DIVENTA AMICIZIA, E L'AFFETTIVITA' RECIPROCA
SI SUBLIMA NELLA CONTEMPLAZIONE DI DIO, SENZA NULLA TOGLIERE ALL'AMORE UMANO,
PUR NELLA SOLITUDINE INTERIORE CHE L'AMORE DI DIO ESIGE PERCHE' E' UN AMORE
SENZA RISERVE E SENZA CONFINI. L’amore coniugale quando esprime veramente la
realtà del sacramento, apre alla mistica e perfeziona l’unione sempre più,
puruficandola ed elevandola a maggiori pienezze, in un crescendo che può essere
vertiginoso (e per noi “piccolini” solo intuibile) dalle facoltà dell’anima.
Dopo la conversione
al cattolicesimo(1906), di Raissa dall'ebraismo e di Jacques dal
protestantesimo, il loro impegno pressante fu quello dell'apostolato culturale
(liberamente integrato da Raissa e Jacques Maritain di Piero Viotto Milano, 7/3/91).
- PASCAL -
(liberamente tratto
da Romano Guardini, PASCAL; ed Morcelliana, Brescia 1972) Più essenziale è che
Pascal appartenga a quegli uomini che non possono essere definiti! Ciò che è
propriamente di ogni vero uomo, ovvero il suo mistero! Pascal è sempre venuto a
conflitto con ciò che, più o meno da vicino, lo circondava. Egli rappresenta
l’erompere di forze sottoposte a violenta pressione e senza la possibilità di
potersi mai esprimere in maniera totalmente compiuta. Più che di fronte ad un
essere ci troviamo di fronte ad un volere, ad un lottare e a un divenire. La
volontà mira senz’altro alla chiarezza e alla precisione, una potente energia
costruttiva è all’opera. Lotta violenta, fino agli ultimi mesi della sua vita,
in cui abbandona -finalmente- tutti i suoi problemi e da il suo cuore nelle
mani di Dio. La conclusione della sua vita non l’ha tratta attraverso una
dimostrazione e una definizione (come avrebbe voluto la sua attitudine di
scienziato), ma attraverso un’intuizione che gli giunge dal silenzio, un silenzio
che è il premio trasfigurante ed illuminante di una intera vita che si svolta
in profondissima pena e in sempre nuova lotta. L’uomo nella serietà della sua
decisione esistenziale, deve raccogliersi in se stesso, levarsi fuori di se e
lanciarsi al di la. Allora egli guadagna quota -passando come da uno stadio ad
un altro- e diventa capace di una forma di esistenza più elevata; gli si apre
un nuovo orizzonte ed egli è in grado di vedere cose più alte; una facoltà
nuova di valutazione si risveglia in lui ed egli è capace di valutare ed amare
a un livello più alto. La vita di Pascal si attuò nel pensiero, ricerca e
conoscenza furono tutta la sua vita. Blaise Pascal nacque a Clermont il 19
giugno del 1623. Il primo stadio di conoscenza fu la natura nel quale Pascal
divenne grande matematico, fisico ed ingegnere. Dopo un intensissimo lavoro
durato due anni, inventò una macchina calcolatrice capace di grandi
prestazioni. Pascal ripetè e sviluppò nella sua forma divenuta classica
l’esperimento di Torricelli, giungendo così a dimostrare la possibilità dello
spazio vuoto. Ridusse tale principio ad una legge generale, trattò aria e
fluidi come sostanze mobili e giunse così alla teoria dell’equilibrio
idrodinamico e alla progettazione di “una nuova macchina per la moltiplicazione
delle forze” e cioè al torchio idraulico o elevatore. Conoscenza non
significava per lui, soltanto constatazione, scoperta, o sia pure apertura
spirituale, ma sempre, al tempo stesso, presa di posizione. Continuamente per
quella volontà di conoscenza si trovava gettato in lotte interne ed esterne
talvolta molto gravi, e non soltanto d’ordine spirituale, ma anche politico:
negli ultimi anni si trattò per lui nientemeno che del carcere. Le fatiche
intellettuali scossero la sua salute a tal punto, che a partire dal 1647, cioè
all’età di 24 anni, gli divenne impossibile un regolare e continuato lavoro
intellettuale. Ora Pascal è pronto per capire cosa sia propriamente l’uomo, ben
diverso dal mondo della fisica e della matematica; l’uomo quale mondo
particolare pieno di originali valori, valori che si assommano (ma non si
esauriscono) nell’uomo di alta cultura(di ampie vedute), aperto alla pienezza
della vita, capace di giudizio e benevolo. Se dal Pascal degli studi matematici
e fisico-tecnici si passa a quello che sta dietro il “Discours sur les passions
de l’amour” o dietro la prima parte delle “Pensèes”, ci si meraviglia della
forza e della purezza di questo “salto”. Pascal crea i concetti imperituri, che
sebbene già esistenti nella coscienza generale dell’uomo nobile, ricevono però
da lui una valenza razionale del dato spirituale. Tutto non sul piano
discorsivo delle idee, ma concretamente legato alla realtà dell’uomo, tanto che
si da una logica del cuore, dei motivi e dei valori efficaci. Questo periodo di
ricerca non doveva durare a lungo, P. brucia le tappe dello spazio e del tempo
nella sete d’amore e di verità che il suo grande animo continuamente esige. La
sua esistenza cadde nuovamente in una crisi, di recente rivelataglisi, la crisi
religiosa o, più esattamente cristiana.
Si sente attratto verso il divino. Ha inizio un periodo di dura lotta;
un periodo penoso perchè ciò che urge per affermarsi è ancora oscuro ed
impreciso. La situazione si fa sempre più profonda e, al tempo stesso, più
difficile. La crisi raggiunge il punto culminante e si risolve, al tempo
stesso, nell’avvenimento della sera
del 23 novembre del 1654, nella quale Iddio s’innalza, per Pascal, a Realtà
delle realtà, per il fatto che a Lui si fa chiaro chi sia il Dio vivo, distinto
dall’uomo e dalla natura. E’ l’avvenimento che trova la sua espressione nel Memoriale. Il suo pensiero si trova,
ancora una volta, di fronte ad una nuova realtà. Ed ancora una volta egli è
così grande, da non lasciarsi tentare, nemmeno un attimo, di volerla
comprendere con i concetti, le misure, i metodi della realtà precedentemente
conosciuta. Il nuovo piano si stacca nettamente: fondato com’è da un nuovo
oggetto, conquistato ed affermato in virtù di un atto specifico. Sorge così il
compito di trovare i punti di avvicinamento, i mezzi logici, i metodi, che a
quello spettano. La storia è il terreno di appuntamento con Dio! La distanza
infinita che corre tra il corpo e l’intelletto simboleggia la distanza
infinitivamente più infinita che corre tra l’intelletto e la carità, poichè
questa è soprannaturale. La grandezza delle persone che vivono la vita
dell’intelletto è invisibile ai re, ai ricchi e a tutti i grandi della carne.
Come la grandezza della sapienza che viene solo da Dio, è invisibile agli uomini
di pensiero. Sono tre odini di diverso genere. “Tutti i corpi, il firmamento,
le stelle, la terra e i suoi regni, non valgono il più piccolo degli
intelletti; poichè l’intelletto conosce tutte queste cose, e se stesso; e i
corpi. Tutti i corpi e tutti gli intelletti insieme e tutte le loro produzioni,
non valgono il più piccolo moto di carità. Questo è di un ordine
infinitivamente più alto. Da tutti i corpi insieme non si potrebbe far uscire
un piccolo pensiero: è impossibile, è di un’altro ordine. Da tutti i corpi e da
tutti gli intelletti insieme non si potrebbe trarre un solo moto di vera
carità: è impossibile; è di un’altro ordine, soprannaturale”. “La prima cosa
che Dio inspira nell’anima che si degna di toccare veramente è una conoscenza e
un modo di vedere del tutto straordinario, in forza del quale l’anima considera
le cose e se stessa in maniera completamente nuova. Questa nuova luce le
cagiona un timore, e le porta una inquietudine che ostacola il riposo ch’essa
trovava nelle cose che formavano la sua delizia. Essa non può più gustare le cose che l’incantavano”. La nuova e
la vecchia forma di coscienza e di giudizio si compenetrano a vicenda e lottano
fra loro. E tutto il mondo entra in questa tensione. Il mondo non è più il finito che viene inteso in riferimento a
un Assoluto, come nella filosofia
pura, ma è il mondo del Dio vivo; materia della sua Provvidenza, spazio nel
quale Egli viene. Esso è campo delle infinite azioni e degli infiniti
avvenimenti, sul quale Egli incontra l’uomo. Quando Pascal visse l’esperienza
della quale ci da notizia nel Memoriale
non cessò di essere matematico, fisico, ingegnere, psicologo e filosofo. Ma una
nuova realtà, quella del Dio vivente, gli si era dischiusa oltre l’antica;
realtà che non poteva tralasciare e nemmeno isolare o separare secondo, per
esempio, il modello idealistico della doppia verità. Essa esigeva un
ripensamento di tutto il reale, dalla prospettiva che veniva ponendo. Se a un
fisico che aveva visto dapprima nel corpo umano soltanto la statica e la dinamica
di determinate strutture e forze, un giorno comprendesse finalmente cos’è la
vita, egli non potrebbe allora fare due scompartimenti, uno per la struttura
fisica dell’uomo e l’altro per la sua vitalità. Egli si sentirebbe sollecitato
pittosto a porsi il problema della “fisica della vita”, e così i fenomeni
fisici finirebbero necessariamente col ricevere, alla luce di quelli più alti
della vitalità, una nuova sistemazione. I potenti frammenti che la successiva
attività creatrice di Pascal ci ha lasciati, Le Pensesèes, testimoniano la lotta per venire a capo di questo
compito. Il fine della conoscenza è il nesso della totalità dell’essere, il
quale resta tuttavia ad essa irraggiungibile. Ciononostante la conoscenza non
può rinunciare alla pretesa di conoscere il tutto, l’intero. Questo porterà
Pascal a divenire il più grande dei moralisti francesi. “I principi e i re non siedono sempre sui loro troni, perchè si
annoierebbero. La grandezza ha bisogno di essere abbandonata per poter essere
sentita. La continuità porta la noia in ogni cosa; il freddo piace per il
piacere che reca poi lo scaldarsi... Nulla è tanto insopportabile per l’uomo
quando l’essere in completo riposo, senza passioni, senza occupazioni, senza
distrazione, senz’essere impegnato in qualcosa. Egli avverte allora il suo
nulla il suo abbandono la sua insufficienza, la sua dipendenza la sua
impotenza, il suo vuoto. Subito sorgerà dal fondo della sua anima la noia,
l’umor nero, la tristezza, l’affanno, il corruccio, la disperazione”.
Appena il movimento s’arresta anche la vita s’arresta; il che s’esprime nella noia, la grande
nemica al tempo stesso dell’alta cultura e delle sue realizzazioni. “Quando non
si conosce la verità su una cosa, è bene -almeno- che ci sia un errore comunemente espresso che fissi lo spirito
degli uomini... Poichè la malattia principale dell’uomo è la curiosità inquieta
riguardo alle cose che non può sapere, ed è per lui male minore essere
nell’errore che in questa curiosità inutile”. Come trovare la giusta posizione o
l’angolo dell’esatta visuale, che ci permette di vedere le cose nel loro giusto
ruolo? “Quando si vogliono perseguire
le virtù fino al loro punto estremo...emergono dei vizi che s’insinuano
insensibilmente... Perfino nel desiderio della perfezione si può rimaner
vittime(dell’orgoglio)”. “L’uomo sta tra due abissi: l’abisso dell’infinito e
l’abisso del nulla”(I vili non sostengono questa situazione: si dichiarano
atei, o peggio ancora diventano “praticanti religiosi”). La condizione umana
reale è quindi il desiderio di stabilità, irraggiungibile a causa di un
continuo smottamento... la terra si spalanca sotto di noi. L’uomo è fra i due
abissi dell’infinito e del nulla, egli è un punto di mezzo fra il nulla e il
tutto. Il nulla e l’infinito ci fanno prendere coscienza della nostra posizione
nello spazio. “La grandezza dell’uomo è grande proprio in questo, che egli si
conosce miserabile. Un albero non si conosce miserabile”. “Quanto maggiore è la
potenza intellettuale di un uomo, tanto maggiori sono la grandezza e la miseria
che si trovano contemporaneamente in lui”. L’uomo sta sospeso a mezzo fra terra
e cielo, fra l’angelo e la bestia: “Che sarà dunque dell’uomo? Sarà uguale a
Dio o alle bestie? Che spaventosa distanza! Che sarà dunque di noi?”. Lo spazio
non entra neanche nella nostra fantasia: “Noi non concepiamo che atomi in
confronto alla realtà delle cose. La realtà è una sfera infinita il cui centro
è dappertutto e la circonferenza in nessun luogo”. “Non dallo spazio devo
cercare la mia dignità, ma dall’ordine del mio pensiero. Nessun vantaggio mi
verrebbe dal possedere terre: con lo spazio l’universo mi comprende,
m’inghiotte come un punto; col pensiero (con l’amore) sono io che lo
comprendo”. L’uomo sarebbe dunque per il suo corpo un pezzo di natura, soggetto
e succubo alle sue forze. Lo spirito però avrebbe radici in se stesso e come
tale si sottrae alla natura.
La forza cieca del
male egli l’attinge innanzitutto dall’osservazione della generale situazione
umana. “C’è qualcosa di più curioso del
fatto che un’uomo abbia il diritto di uccidermi, perchè abita al di la del
fiume e perchè il suo principe è in lotta col mio, sebbene io non lo sia con
lui?”. Quando l’uomo si trova di fronte a se stesso, acquista chiara
coscienza di quel male che egli stesso è: “Di quì deriva che agli uomini piace
tanto il rumore e il movimento; di quì deriva che la prigione è un supplizio
così orribile. Il re è circondato da gente che non pensa se non a divertire il
re e a impedirgli di pensare a se. Perchè, per quanto sia re, è infelice se ci
pensa”. La noia, tristezza insopportabile, diventa il termine ultimo per
esprimere la condizione metafisica dell’uomo. “L’uomo dunque non è che
travestimento, menzogna e ipocrisia, così in se stesso come riguardo agli
altri. Non vuole che gli si dica la verità ed evita di dirla agli altri; e
tutte queste disposizioni, così lontane da giustizia e ragione, hanno una
radice naturale nel suo cuore”. Ecco lo sfogo singolarmente violento contro la
superbia dell’intelletto, che vuol conoscere, aver ragione e dominare. “Riconosci,
o superba, quale paradosso sei a te stessa. Umiliati, impotente ragione. Taci,
natura ottusa...”. "Quale chimera è dunque l'uomo! Quale stranezza, quale
mostro, quale caos, quale soggetto di contraddizioni, quale prodigio! Giudice
di tutte le cose, verme ottuso della terra; fiduciario della verità, cloaca
d’incertezza e d'errore; gloria e rifiuto del mondo". Un gusto molto amaro
emerge per Pascal dal fondo dell'esistenza, e il carattere eticamente
problematico dell'io si rivela. "Solo Dio si deve amare... La vera ed
unica virtù è dunque di odiarsi... e di cercare un essere veramente amabile,
per amarlo". In quale modo l'io sia minacciato dal male e come la sua
confusione sia espressione del peccato è cosa che solo dal punto di vista della
fede può farsi chiara. Dal male nasce quel terribile stato di sospensione, più
esattamente quella mancanza di un punto fermo nello spazio: "Che sarà
dunque dell'uomo? Sarà uguale a Dio o alle bestie? Che spaventosa distanza! Che
saremo noi dunque? Chi non vede da tutto questo che l'uomo è smarrito, che è
caduto dal suo posto, e che lo ricerca inquieto e non lo può ritrovare? E chi
ve lo indirizzerà? Gli uomini più grandi non l'hanno potuto". Nonostante
la propria coscienza della potenza e della dignità dello spirito, sullo spirito
come tale non si può fare affidamento, occorre che si realizzi (che si maturi)
come verità, bontà, misura e ordine(lo spirito può anche maturarsi
nell’artificio). Lo spirito non è semplicemente realtà, ma, come realtà, è
determinato dal valore. Lo spirito è quindi energia da orientare, da convertire
al valore, altrimenti resta sempre ancora qualcosa che opprime, incatena,
disonora. IL PROBLEMA DELL'UOMO Può
VENIRE RISOLTO DAL RAPPORTO CON DIO. Così il fenomeno dello spirito non è
di per se autonomo, come nulla nell'uomo è realmente autonomo, visto che non si
è dato la vita da se, ma un'Altro gliel'ha data. Per questo il Dio vivente non
è lo spirito nel senso moderno della parola, ma lo Spirito Santo. L'uomo è qualcosa
che, non può essere compreso per se stesso. Esso non si esurisce nel limite
della realtà naturale e mondana. Per costituzione è ad Deum creatus; ordinato ad essere toccato dall'incontro di Dio e
immesso nella partecipazione del Dio vivente. L'uomo è costituito per superarsi
infinitamente, per rientrare nell'equilibrio distrutto della grazia. Nel
rapporto d'amore del figlio col Padre. L'uomo deve trascendere lo stato
puramente naturale (buono e bello nel suo ordine, ma l’uomo non si riduce alla
natura perché la ingloba tutta con il suo pensiero. L’uomo è fatto per...), che
abbandonato a se stesso precipiterebbe in basso. La natura umana può essere
soltanto o come sollevata al di sopra di se stessa o come precipitata al di
sotto di sè. Da ciò è facile dedurre che la grazia e la partecipazione divina
appartengono alla natura dell'uomo. Senza la grazia l'animale spirituale non è
autentico uomo. La sapienza divina dice: "Io ho creato l'uomo santo,
innocente, perfetto; l'ho colmato di luce e di intelligenza... Ma egli non ha
potuto sostenere tanta gloria (e tanta gioia) senza cadere nella presunzione:
ha voluto farsi centro di se stesso, ha voluto trovare la propria felicità in
se stesso, si è allontanato da me ed io l'ho abbandonato a sè... l'uomo è divenuto
così simile alle bestie ed è così lontano da me, che gli resta appena una luce
confusa del suo autore: a tal punto sono stante spente e confuse le sue
conoscenze!" (In realtà la più difettosa teoria metafisica e religiosa
dell'uomo è sempre ancora più conforme alla realtà di una qualsiasi concezione
puramente materialista). In se stesso anche lo spirito dell'uomo si è degradato
ed è da questo che deriva il suo smarrimento. UOMO PRENDI COSCIENZA!!!
"Quando vedo la cecità e la miseria dell'uomo, quando vedo tutto
l'universo muto e l'uomo senza luce, abbandonato a se stesso, e come smarrito
in quell'angolo dell'universo, senza sapere chi ve lo ha messo e quel che è
venuto a fare, quel che diverrà morendo, incapace di qualsiasi conoscenza, io
atterrisco come un uomo che fosse stato portato addormentato in un'isola
deserta e paurosa e che si svegliasse senza sapere dov'è e senza mezzi per
uscirne. E tuttavia mi meraviglia come non ci si disperi di fronte a uno stato
così miserevole. Vedo altri uomini accanto a me, della stessa mia natura:
chiedo loro se siano istruiti meglio di me; mi dicono di no; e, con tutto ciò,
questi miserabili smarriti, avendo guardato attorno ed avendo visto qualche
oggetto piacevole, si son dati ad esso e vi si son attacati. Quando a me, io
non ho potuto prendervi attaccamento: e, considerando quando sia più verisimile
che esistano altre cose da quelle che io vedo, ho cercato se per caso questo
Dio non avesse lasciato qualche traccia di sè". "Ma se l'uomo è fatto
per Dio, perchè è così contrario a Dio?". Questo piano non è semplicemente
più alto, ma si apre solo per libera iniziativa di Dio, per opera della sua
grazia. Questo venire di Dio si realizza nella storia, perchè è Lui, è proprio
Lui che cerca l'uomo nell'amore più grande. --- Certamente, mentre i filosofi
si separano in innumerevoli sette, gli amanti di Dio di tutto il mondo, di
tutti i tempi , di tutte le religioni, si ritrovano nella giustizia e nella
verità dell'amore. Di una giustizia e di una verità che non ledono il bene ed il
legittimo diritto di espressione di ogni uomo. Avere la coscienza d'essere in
possesso della verità o del significato più alto (della realtà), più ampio, più
antico, indistruttibile, genuino talvolta perfino insopportabile per quello che
la propone(perchè scomoda) (contemporaneamente umile di fronte a tutti i
possibili criteri di giudizio, per non avere la tentazione di essere
totalizzante o coercitivo, per non minacciare la democrazia e il diritto della
ricerca pacifica nella tollerante rispettosa convivenza con ogni uomo), e
purtuttavia tale da non potersi estinguere. --- Pascal proietta una luce
serena, la serena accettazione della realtà umana con il suo limite intrinseco,
ma sebbene il peccato venga affogato e superato nell'amore di Dio, tuttavia le forze
del disordine interiore, apportatrici di oscurità, confusione e degenerazione
non verranno mai completamente vinte sulla terra. Persino quello che Dio
rivela, minaccia di diventare a sua volta fonte di oscurità(fonte di potere e
orgoglio). Il fatto che Dio attraverso una rivelazione, dai rivestimenti
storicizzati, per ciò stesso traferita in categorie umane, attraverso cui Egli
possa essere visto e percepito, ma al contempo frainteso. La rivelazione male
testimoniata, diviene fonte di dubbio e equivoco perchè minaccia di nasconderLo e addirittura di
negarLo(clericalismo-inquisizione-fanatismo-superstizone,ecc...). Il male che è
nell'uomo ha interesse che Dio non si manifesti: così fa sorgere, proprio dalla
stessa rivelazione, una nuova ambiguità. Appartiene alla grazia e alla libertà
ultima del cuore umano se la genuinità di quella rivelazione viene realizzata e
quest'ultimo dubbio superato.
DISTACCO
FRA NATURA ED ARTIFICIO
L'uomo non è come
l'animale un cerchio che si chiude su se stesso, esaurendo la sua logica nella
funzionalità della sua specie. Il cerchio dell'uomo si chiude solo
nell'abbraccio con Dio, solo attraverso uno spirito potenziato e reso infinito,
dall'incontro con l'Infinito. La natura dell'uomo è il tendere all'infinito, il
tendere a Dio, il suo arco lo chiude con lo Spirito di Dio, solo così può
attualizzare la sua natura. Purtroppo però, l'uomo può al posto di Dio, porre
una cosa, con la quale crea l'artificio, l'artefatto, così si snatura facendo
violenza a se stesso, fino ad accartocciare e svilire il suo essere.
L'esistenza per l'uomo è una cosa necessaria per giungere al suo compimento.
L’uomo ha diritto di fare personale esperienza della presenza di Dio e Dio
attende con ansia i tempi propizi a questa relazione. L'uomo è così chiamato ad
incarnare i sentimenti di Dio, ad esprimere il suo pensiero ed il suo amore. L'uomo
è Dio per partecipazione. Ma se l'uomo chiude il suo cerchio in una cosa o in
una cratura (idolo), il male diviene la natura dell'uomo, perchè avviene un disorientamento
che è perversione di natura. La naturalezza per l'uomo è l'essere fatto per
Dio. Il male nell'uomo distorce tutta la natura. Che cosa è il male? Il male è
l'artificio. Una volta che l'uomo ha distrutto la sua natura e attraverso
l'artificio crea strutture e sistemi di convivenza alternativi, uccide in se il
senso di Dio e tutta la società si trasforma in un verminaio umano, in una
catastrofe (Vedi: Nazismo, Marxismo, comunismo o Turbo Capitalismo). L'essere
dell'uomo è costituito sulla base del rapporto con Dio; con la distruzione di
questo rapporto esso pure si distrugge. Ma Dio vuole associare l'uomo all'amore
che è in Lui, il contrario è il nulla, il vuoto, la mancanza di senso. Questa
esistenza martoriata dalle cose e dagli idoli è chiamata a risorgere. "La
concupiscenza è divenuta naturale in noi, ed ha costituito la nostra seconda
natura. Ci sono così due nature in noi: l'una buona, l'altra cattiva".
Dall'altro lato c'è anche qualcosa di buono in noi: la responsabilità del nostro
essere, rimasto in qualche modo simile a Dio, nonostante tutta la devastazione.
Tuttavia, nonostante i limiti dell'uomo e le sue parziali realizzazioni, la sua
grandezza consiste nella "nostalgia". Di chi? Del Volto di Dio,
ovviamente o di quello che esso rappresenta degli ideali politici di Giustizia
e Verità che possono essere concretizzati nella contingenza storica. (liberamente
tratto da Romano Guardini, PASCAL; ed Morcelliana, Brescia 1972)
"LE COEUR"
è SOTTO UN CERTO ASPETTO LA REALTà CENTRALE NELLA VISIONE PASCALIANA DELL'UOMO.
Il cuore è importantissimo, è tutto, è spirito, è valore ed essere, è
conoscenza e volontà. Il cuore stesso è spirito; una delle manifestazioni dello
spirito. Il cuore elimina ogni scissione è unità dellessere, tutto tranne che
sentimentalismo. Il cuore è la sintesi dell'uomo, il valore e l'essere come
creazione continua. Amore che diventa gioia e produce purezza nella passione.
Perciò uno spirito grande e puro ama con ardore e vede chiaramente ciò che ama.
E ancora: "Quando più spirito uno ha, tanto più grandi sono le sue
passioni, perchè non essendo le passioni altro che dei sentimenti e dei
pensieri che appartengono puramente allo spirito, sebbene esse siano
occasionate dal corpo". Le passioni quando sono dominate dallo spirito non
portano mai alla confusione. Il cuore risponde al valore, esso è lo strumento
più idoneo per riconoscere e relazionarsi con Dio. Non sbaglieremo certo nel
sospettare quì un'esperienza personale di Pascal. E' chiaro che egli tratteggia
se stesso. Ancora più straordinariamente più scandalizzante per ogni
sentimentalista è la funzione che viene attribuita al cuore... e quì notiamo
che non è un qualsiasi visionario del sentimento che parla, ma l'autore delle
dissertazioni sulle sezioni coniche, uno dei fondatori del calcolo delle
probabilità e il costruttore della macchina calcolatrice! Pascal afferma dunque
che i primi assiomi del pensiero vengono intuiti dal cuore, che è il cuore a
porre le premesse di ogni possibile conoscenza del reale. Ora amore non
significa soltanto reazione nei confronti del valore, ma farsi attivo di fronte
ad esso, è iniziativa, è libertà. Peccato significa che l'uomo vuol restare in
se stesso. Esso tende a rendere autonomi i valori, a impostarli in un ordine
gerarchico arbitrario e manipolandoli, a farne strumenti di ribellione contro
Dio, superbo, egoista, impuro nello spirito. Il mistero della Grazia e della
libertà dell'uomo si trasformano in Carità, l'unica dimensione umanizzante.
R. Guardini, Pascal, Brescia
1972, pp.21-56.
Il memoriale, La decisione
religiosa nella vita di Pascal
-SINTESI LIBERAMENTE RIELABORATA-
è un'opera autobiografica, nella
quale Pascal, segue l'itinerario scientifico e religioso della sua fede in Dio.
Nato in una famiglia agiata e al centro di stimoli culturali si forma il suo
grande genio. Il "Memoriale" è stato trovato dopo la sua morte nella
fodera della giacca. Rappresenta quindi il segreto e la sintesi della sua
ardente esistenza. Nel "Memoriale", Pascal riporta le sue esperienze
mistiche. La scoperta di Dio per Pascal, fu come un fulmine a ciel sereno,
infatti, il Memoriale riporta particolarmente la sua scoperta sull'essenza
divina, sia frutto di una illuminazione mistica sia come il frutto della sua
ricerca filosofica. Infatti, considerò la sua vita come il centro di attenzione
e polo vitale del suo lavoro illuminato, il suo laboratorio sperimentale. La
scoperta fulminante squarcia ulteriormente nel delirio dell'amante la grande
sete di ricerca e il grande bisogno di possesso del Dio-amore. Il memoriale
parla del come egli giunse alla sua conoscenza e del "salto definitivo col
quale quel piano venne raggiunto". La formazione culturale di Pascal era
curata con metodo ed attenzione dal padre, il quale aveva intuito la genialità
del figlio, attratta fortemente dalle scienze matematiche. Il giovane Pascal
applicava praticamente le sue informazioni scientifiche, con rigorosa coerenza
politica e questo rigore intransigente gli costò anche la galera. Le fatiche
intellettuali scossero la sua salute già all'età di 24 anni, tanto che gli fu
impossibile un regolare lavoro intellettuale. Pascal capisce subito che le
leggi fisiche non possono applicarsi all'uomo, perché la sua natura è diversa.
Pascal: animo ardente, profondo, vasto e ardito, diventa inquieto, di una
inquietudine mai sperimentata prima dal suo animo ardente, perché ormai il suo
genio è alla ricerca del mistero religioso-esistenziale. Percepisce il divino e
si sente attratto, affascinato, sedotto da esso. La crisi si risolve raggiungendo
il suo apice la sera del 23 nov. 1654, sera in cui scrive - di getto - come per
una fulminante intuizione il Memoriale. Tutto ora è chiaro, diventando Dio
somma realtà, realtà delle realtà. E' chiara la distinzione e la comunione tra
il Dio vivo, l'uomo e la natura. Il mondo diventa il mondo del Dio vivo e
l'incontro dell'uomo col Dio di Abramo e di Gesù caratterizza l'unico valore
che da senso alla vita. L'esperienza del Memoriale non distolse Pascal dal suo
essere matematico, fisico, ingegnere, psicologo e filosofo. Tutte le scienze
sono quelle che sono, ma c'è una realtà superiore che le abbraccia, quella di
un Dio vivo. Un Dio amore vicino agli uomini più di quanto essi pensino, un Dio
che parla con gli uomini, che li chiama e li attira a se con la forza del suo
amore.
L'UOMO
E LA SUA POSIZIONE NELLA REALTA'
Pascal, secondo Di Montagne e
Merè, è il più grande moralista francese. Per lui lo spirito non è geometria e
si può afferrare solo con l'intuizione, cogliendolo come un tutto, mentre la
comprensione della nostra natura sta nel movimento e nella ricerca. L'uomo è
quindi posto necessariamente in una condizione di evoluzione continua. Di
conseguenza la noia rappresenta il suo morire. Ma è proprio la continuità o
ripetitività a portare la noia in ogni cosa. Per questo abbiamo bisogno della
passione, che da nuovo stimolo alla voglia di vivere. Uno solo è il punto di
equilibrio o il giusto rapporto che ci
permette di vedere le cose nel giusto ruolo.
La grandezza consiste nel
mantenersi nel punto giusto dal quale si toccano i due estremi riempiendo lo
spazio interposto. La nostra vera condizione è il desiderio di stabilità in un
continuo smottamento. L'uomo è il punto di mezzo fra il nulla e il tutto. Il
pensiero è tutta la sua grandezza, quando prende coscienza della sua
limitatezza e della sua miserabilità. L'uomo ha il destino di scegliere se
essere Dio o se essere bestia, infatti è posto in mezzo e deve spingersi in una
direzione. Sia l'infinitamente grande che l'infinitamente piccolo si equivalgono,
entrambi non li possiamo abbracciare neanche nella nostra fantasia. Il nulla e
l'infinito ci fanno prendere coscienza della nostra posizione nello spazio.
Perché, se da una parte ci avviliscono nell'orgoglio dall'altra risollevano la
nostra abiezione. Ma l'uomo è fatto per l'infinito spirituale. Gli spazzi
materiali non sanno di me. Infatti la cosa più terribile è la fredda
indifferenza della realtà materiale nei miei confronti, quindi non dallo spazio
e dal tempo, non da realtà materiali devo trarre la mia dignità, ma dall'ordine
del mio pensiero. Infatti il dominio maggiore è spirituale è un dominio
superiore al dominio politico. Lo spirito ha radici in se stesso, con esse può
sottrarsi alla natura che per Pascal rappresenta il male. Il male non solo è una
forza cieca, ma purtroppo una disposizione dell'animo umano. Così, la forza
cieca del male si trova indissolubilmente legata al diritto e alla morale.
Chi non vive una realtà
spirituale è costretto a fuggire di fronte a se stesso ed è costretto ad affidarsi
al caso , questa situazione diventa penosa perché risulterà impossibile
sfuggire alla noia. Considerando l'uomo un gusto molto amaro sorge per Pascal
dal fondo dell'esistenza. Le qualità civiche sono caduche e fragili e l'io è
ingiusto in se ed incomodo agli altri. L'unica vera virtù è dunque di odiarsi,
solo Dio si deve amare. Il male non è
necessario esso è solo intrinseco alla nostra natura umana decaduta, qui è il
mistero dell'uomo.
L'uomo è costituito da tre ordini
rappresentati da:
(SPIRITO+SPIRITO SANTO).
L'uomo può trovare spiegazione in
Dio con la grazia. Questo significa che l'uomo è fatto per passare
infinitamente se stesso e aprirsi al divino o scomparire nel nulla.
Per ricostruire l'equilibrio e
l'armonia della natura umana è indispensabile prima la legge umana e divina poi
la grazia e la fede per entrare nella vita divina che possa assumere e
trasfigurare la natura umana neutralizzando i suoi aspetti negativi. Che sono:
vanità, orgoglio e ignavia.
Purtroppo, con il peccato
originale anche lo spirito dell'uomo si è degradato, è da questo che deriva il
suo totale smarrimento. Uomo, prendi coscienza della tua realt! Uomo, poniti
alla ricerca della tua identità, cioè alla ricerca di Dio!
Il Dio veniente dalla rivelazione
e non quello veniente dalla speculazione filosofica, perché anche il pensiero è
decaduto perché solidale con il destino di corruzione della materia.
Non esiste un bene assoluto e
valido per se stesso. Bene è fare la volontà di Dio, in questo consiste la
grandezza e la Santità di Cristo nell'amore. L'uomo non può arrivare da solo
alla salvezza se Dio mediante Cristo non lo libera. La conoscenza dell'uomo o
si apre alla miseria o si apre a Dio. Solo Cristo può aprire gli occhi del
male, perché lo spirito lasciato a se stesso cade nel male. Cristo è realtà e
concretezza umana. Il dinamismo di Cristo agisce e crea la vita divina in colui
che crede e che accoglie la sua presenza di risorto.
Il male è l'artificio, ovvero la
perdita dell'armonia originaria.
La natura a livello oggettivo è
indipendente dall'uomo perché è qualcosa di dato di stabilito, tutto il
contrario dell'uomo la cui fatica di vivere, il suo impegno esistenziale è trovare
il suo significato. Il dover vivere "per" amore. Dono di se e
consumazione di se per la felicità di altri, ovvero andare contro l'istinto
della sua natura biologica che orgogliosamente si afferma e vuole la propria
conservazione attraverso il potentissimo istinto di sopravvivenza. La nostalgia
rimane quindi la vera grandezza dell'uomo, nostalgia del suo equilibrio
perduto, quell'equilibrio perduto per il peccato originale ma riconquistato non
senza lacrime e sangue da Cristo sulla Croce.
Per Cristo, con Cristo e in Cristo allora si compie la unificazione
dell'essere e la sua armonia uscendo dall'artificio.
L'intervista del mese
-Messaggero di Sant’Antonio- Giugno 1994- “Mio padre De Gasperi “ di Piero
Lazzarin. A colloquio con Maria Romana, figlia del grande statista trentino che
fu tra i fondatori della DC: le sue qualità di politico e di uomo; la sua fede
e i suoi ideali.
Le note vicende che
hanno portato la Democrazia cristiana a perdere prima la faccia e poi anche il
nome, hanno fatto spesso affiorare nella memoria e nei discorsi il nome di
Alcide De Gasperi che del partito dei cattolici era uno dei fondatori, il primo
segretario e la guida ideale per tanti anni. In sostanza per dire: Se la DC
avesse tenuto fede allo spirito e agli Ideali che De Gasperi e amici le avevano
dato, non sarebbe finita alla gogna, scansata come un'appestata e ridotta al
lumicino. Ormai quello che è stato è stato, non porta a nulla piangere sul
latte versato. Giova di più guardare avanti e, riflettendo sulla vita di
personaggi che hanno illuminato il nostro pur meritevole passato, recuperare
Ideali e Valori per farli diventare fermento e stimolo al nostro Impegno di
cattolici in politica. Chi ha una certa età e un briciolo di memoria storica sa
quanto De Gasperi sia stato determinante per l’Italia del dopoguerra. Uno
storico neutrale come l'inglese Denis Mack Smith non ha dubbi nel definirlo “il
più abile capo parlamentare comparso sulla scena politica italiana dopo Cavour,
e insieme uno dei più eminenti per altezza di principi”. Insomma, uno statista
con i fiocchi per di più ancorato a principi di assoluto valore di democrazia,
di libertà, di rispetto, di rigore morale, di onestà... qualità ai nostri
giorni tutt'altro che inflazionate... Era il 19 agosto del 1954 quando lo
statista morì. Da un anno De Gasperi non era più capo del governo. S'era
ritirato nella casa di Selva, dopo che il suo ministero era caduto per
l'abbandono dei vecchi alleati della DC, in un clima arroventato dalle
polemiche. Poco più di un mese prima di morire, al congresso della DC a Napoli
egli aveva dettato quasi un testamento spirituale riaffermando l'impegno
democratico e popolare del partito e il più scrupoloso rispetto di tutte le
libertà, le quali ritrovano in se stesse energie e strumenti per mantenersi e
svilupparsi, se alimentate dal più grande rigore morale. Con De Gasperi,
dunque, l'Italia perdeva uno statista intelligente e tenace che nessuno ha
sinora saputo eguagliare, un abile <tessitore>
che ha mediato con successo tra ideologie e interessi contrapposti nel paese
che usciva con le ossa rotte dall'esperienza fascista e dalla guerra, ponendo
le basi di una rinascita sfociata nel tanto celebrato <miracolo economico
italiano>. Europeista convinto, con il francese Robert Schuman e il tedesco
Konrad Adenauer, scavò le fondamenta di quella Comunità economica e politica di
cui stiamo attendendo il compimento. Uomo di grande fede («un democristiano che
credeva in Dio», lo definisce Montanelli) senza essere clericale, dalla vita
integra; praticante senza ostentazioni e senza essere bigotto, in assoluta
fedeltà alle esigenze del vangelo, tanto da indurre oggi qualcuno a richiederne
la beatificazione. De Gasperi, che era nato a Pieve Tesino da famiglia modesta
quando il Trentino era ancora sotto l'impero, per quarant’anni visse come
suddito austriaco, studiando all'università di Innsbruck e facendo il tirocinio
parlamentare a Vienna: ciò fece di lui un personaggio inconsueto, anomalo, e fu
anche questa -come annota Indro Montanelli- la ragione prima della sua
sostanziale solitudine nel partito, nella classe politica e nel paese. Non
accettò il fascismo, contro di esso condusse un'opposizione intellettuale e
morale, avendo trovato asilo dentro le mura del Vaticano. Aveva ormai
sessantadue anni, quest'uomo tutto d'un pezzo, cattolico sui generis, dal
profilo culturale e politico inconsueto, quando il paese si affidò a lui per
riprendere a vivere e a sperare. E De Gasperi non lo deluse. Abbiamo voluto
approfondire il personaggio chiedendo l'aiuto a una delle sue figlie, Maria
Romana, che seguì più da vicino la sua esperienza politica. Le abbiamo chiesto:
- Che impressione le
ha fatto costatare che il partito creato da De Gasperi è praticamente
cancellato, e non solo per via del nome che non c'è più? - Un sentimento di
profonda amarezza soprattutto ricordando con quale entusiasmo era nato questo
partito. Esso aveva avuto compiti non solo di difesa della libertà, come gli si
vuole attribuire oggi in senso limitativo, ma anche di ricostruzione della
dignità di un popolo che da sconfitto veniva portato a condividere con i
vincitori i frutti di una pace comune.
- Quando, secondo
lei, la DC ha imboccato la strada che l'ha condotta ad una fine così
ingloriosa? - Quando ci si è dati all'attivismo senza dare più spazio e tempo
alla ricerca culturale, alla meditazione sui principi e sulle ragioni che
avrebbero dovuto sostenere e illuminare l’azione politica.
- Se potesse fare dei
rimproveri a chi li rivolgerebbe? - A tutti coloro che hanno infangato il nome
di "democratico cristiano" e anche a chi ha permesso che le cose
arrivassero a un punto tale che il cittadino comune fosse portato a credere che
la disonestà fosse una prassi ormai accettabile perché diffusa.
- Rileggendo la vita
di suo padre c'è un punto in cui egli in qualche modo presagisce che qualcosa
andrà storto; ricordo la sua preoccupazione per i giovani (“gli uomini della
mia età se ne vanno, quelli di mezzo sono vissuti sotto il fascismo, ai giovani
chi ci pensa?”); ma i giovani di allora sono proprio quelli che hanno prodotto
lo sbiscio che conosciamo. - Mio padre si preoccupava molto dell'educazione
politica e civile delle nuove generazioni. Proprio questo è stato dimenticato o
trascurato troppo a lungo.
- Quali sono gli
insegnamenti di suo padre che più hanno influito nella sua vita? - La carità nel senso più profondo e più largo
della parola.
- Lei ha scritto un
bel libro su suo padre: De Gasperi, uomo solo; perché «solo»? - Questo titolo
l’ho messo all'ultimo momento anche se immaginavo che avrebbe creato qualche
perplessità. La solitudine non è sempre quella dell'uomo del deserto: c'è una
solitudine interiore che utilizza la propria coscienza. Avevo pensato, nello
scrivere, agli anni di studi così affaticati e lontani dalla famiglia e dagli
amici, poi ai vent'anni quando il fascismo lo aveva prima condannato e poi
messo da parte, mentre amici e conoscenti che potevano avere le sue stesse
responsabilità politiche, lo sfuggivano. Infine chi non ricorda, della vecchia
generazione, la sua figura così sola sul grande palco del Lussemburgo quando di
fronte a ventuno paesi si alzò a difendere l’Italia sconfitta? La storia si sta
accorgendo appena adesso quale era la sua statura morale e politica.
- Lei è stata a lungo
a fianco di suo padre, gli ha anche fatto da segretaria: che vita conducevate
allora? - La nostra vita era molto normale. Nessuno di noi ha cambiato le
proprie abitudini di studio, di lavoro in casa o fuori. Tuttavia, essendo una
famiglia abituata molto semplicemente, il primo contatto con il mondo dei
giornalisti e dei fotografi ci sembrò ridicolo e molto curioso. Non per nostro
padre naturalmente che aveva già una lunga esperienza politica.
- Ricorda dei
privilegi per il fatto di essere una De Gasperi?
- Privilegi? A quei
tempi non mi pare ce ne fossero; ricordo invece i doveri, le cose alle quali
noi ragazze dovevamo rinunciare perché nella vita politica di nostro padre non
ci fossero ombre. Ma lo abbiamo sempre fatto con amore.
- È difficile pensare
un uomo impegnato come De Gasperi, anche come padre: che tipo di padre era? Era
severo? - Era un padre attento ma discreto, molto dolce, ma fermo nell’aiutarci
a distinguere il bene e il male. Ha sempre cercato di “sminuzzare per noi il
pane della sua cultura così amata e così profonda", come ricorda nei suoi
appunti la figlia suora.
- Uno dei vizi che
hanno inguaiato la DC sono state le tangenti, i ragali più o meno consistenti
che richidevano favori. Suo padre come si comportava al riguardo? - In casa
nostra non è mai entrato un regalo che avesse l'aspetto di qualcosa di
importante o di valore. Solo i regali dei poveri, dei semplici, venivano
accettati, perché altrimenti sarebbe
stata un'offesa.
- Che cosa lo addolorava
di più? - L’incomprensione, la perdita di un’amicizia per ragioni politiche, la
menzogna. Si sentiva offeso quando non si credeva alla sua buona coscienza,
vedi il caso Guareschi.
- De Gasperi era
anche uomo di fede: come la viveva e come cercava di trasmetterla a voi figli? -
Ai principi cristiani scelti nella sua giovinezza tenne fede tutta la vita.
Affrontò momenti difficili e avversità con coraggio offrendo e chiedendo aiuto
a Dio. Cercò di trasmettere questa fede a chi stava vicino con grande semplicità,
con poche parole e molto esempio.
- Tuttavia De Gasperi
non fu clericale, vedeva la Dc come partito laico, non confessionale. Per
questo non tenne in conto le indicazioni della gerarchia nell'affare Sturzo, e
Pio XII lo castigò negandogli l’udienza in occasione del 39° anniversario del
suo matrimonio: come visse quel rifiuto? - Ho scritto molte pagine su questo
argomento pubblicate sia nel primo che negli altri libri. Non si può riassumere
in poche righe, ma posso dire con certezza che pur in mezzo alla sofferenza
personale, seppe mantenere quel difficile equilibrio tra il cristiano e l'uomo
di governo che doveva rappresentare altre forze ed altre fedi.
- Come reagì quando
la Camera votò contro il suo governo? - Da politico qual era se lo aspettava.
Aveva accettato di formare questo ultimo governo per spirito di servizio e per
dare un esempio di come non ci si deve esimere nemmeno dalle possibili
sconfitte quando c'è di mezzo la difesa della democrazia”.
- Mantenne rancore
per chi lo tradì o era uno che sapeva perdonare? - In tutta la vita non lo
abbiamo mai sentito biasimare chi lo aveva offeso. Più di una volta ha aiutato
chi lo aveva in qualche modo tradito. Ha sempre saputo perdonare e dimenticare.
- Che cosa vive del pensiero
politico di De Gasperi oggi? Pensa che la sua concezione di politica come
servizio onesto, pulito e serio possa riattivare aggregazioni significative in
campo cattolico e fuori di esso? Il buon seme gettato ha sempre dato frutti.
Basta saper aspettare. “De Gasperi fu un uomo solo: nel partito, nella classe
politica e nel paese.” (da L'intervista del mese -Messaggero di Sant’Antonio-
Giugno 1994)
Alcide De Gasperi
Ancora
clamorosomante attuale è il discorso pronunciato a Trento
il 25 aprile 1951 (da
"Il Popolo", n. 99, 26 aprile 1951) "In confronto con i
neoguelfi di un tempo e la loro illuminata buona fede, abbiamo fatto in forza
della esperienza, un altro passo avanti verso la chiarezza: oggi in noi c'è più
chiara la distinzione tra la sfera di azione dello Stato e l'azione della
Chiesa, fra politica e religione, e non confondiamo una missione con l'altra. E
benchè le sappiamo associate nel progresso umano tuttavia distinguiamo
responsabilità e funzione. Questa visione delle cose garantisce la possibilità
di un rinnovamento di tutte le forme, di tutte le strutture: noi non siamo
legati nè alla forma individualista nè a quella socializzatrice. Possiamo, di
caso in caso, deciderci per una forma o per l'altra, purchè la sostanza, cioè
l'interesse del popolo, sia quello che ci guida. Direi però a coloro i quali
non la pensano come noi (si riferisce ai comunisti che avrebbero voluto portare
l'Italia nella dittatura sovietica) ma che possono ancora muoversi entro la
democrazia, secondo la confluenza generica della nostra tradizione civile: se
volete lavorare col popolo non sradicatevi dalla nostra terra che è la vostra
patria; non bestemmiate contro i vostri padri, rimanete nell'alveo della nostra
storia... E dico agli amici miei: siate tolleranti. Nelle questioni della
coscienza siate tolleranti. Quando più siete forti delle vostre convinzioni
tanto meno avete disogno di atti scomposti o di biasimare chi pensi
diversamente. Tale è la nostra idea politica. Togliatti in sintonia con la direzione
dell'URSS così si esprime: "il Governo comunista conquistando il potere,
abolisce il capitalismo. Ora che il capitalismo è abolito, esso diventa un
crimine, quindi non vi possono essere partiti capitalisti. Vi possono essere
ancora, dice Togliatti, degli speculatori, degli agenti dello straniero, dei
traditori. (così si giustificavano, da parte dei comunisti italiani, le torture
e le condanne a morte che nei paesi comunisti si sono perpetuate a milioni). E
allora contro di essi viene condotta la lotta che deve "essere
condotta" (Era proprio la giustificazione dei metodi stalinisti, come la
scoperta e la confisca di un grande numero di armi detenute dalle cellule
operaie a rendere oltremodo pericolosa la vita politica italiana, ed oltremodo
difficile il dialogo tra i valori della fede e la collettivizzazione atea,
degno di nota fu l'incidente fortuito che costò la vita a diversi operai della
FIAT quando saltò in aria un loro deposito di esplosivi). Con questo
ragionamento ogni libertà è un delitto, ogni difesa dei propri principi, o dei
propri doveri diventa un tradimento, e contro questi traditori, viene condotta
la lotta che deve "essere condotta". (Con la gigantesca figura di
Alcide de Gasperi, fondatore della Democrazia Cristiana, il cui pensiero politico
rimane ancora attuale, condanniamo storicamente il comunismo in tutte le
nazioni che l'hanno dovuto subire, come una tra le più criminali e sanguinarie
dittature sui corpi, sulle anime e sugli spiriti che la storia dell'umanità
abbia conosciuto.) "Bisogna vincere per consolidare in Italia la
democrazia; bisogna, questa è la nostra vita, riconquistare giorno per giorno,
la vita propria e quella del proprio paese. Amici miei, mi rivolgo ai giovani,
specialmente a coloro che non hanno paura, a coloro che sentono l'ardore
dell'ideale, a coloro che non si perdono in piccole ambizioni locali,...e che
lasciano da parte le discussioni e la discordia. Occorre ormai guardare gli
interessi del Paese ed io vi dico: ridestate nella propaganda il senso di
responsabilità nelle coscienze. Ridestate questo senso di responsabilita! E
lasciate indietro, o giovani, gli egoismi, gli sfruttatori, coloro che portano
al sicuro la moneta e gli averi al di là della frontiera. Lasciateli andare;
verrà il castigo anche per loro. Lasciate indietro i pavidi, gli incerti,
quelli che si perdono per via in piccole beghe, in questioni personali, in
questioni locali e tirate innanzi. Amici miei, vi dico una parola sola: avanti
per l'Italia e per il suo secondo Risorgimento. (Alcide De Gasperi in discorso
pronunciato a Trento il 25 aprile 1951 da “Il Popolo”, n. 99, 26 aprile 1951)
Un uomo che ha fatto
della rettitudine il culto di tutta la
vita è Alcide De Gasperi, personalità che è ancora da approfondire. Alcide
sente che si avvicina la morte, manda subito a chiamare il prete. Si fa aprire
dalla figlia il libro delle preghiere,
testimone e alleato di tante battaglie vittoriose. La figlia è in
ginocchio davanti al suo letto, padre e figlia sono insieme in preghiera,
quando Alcide saluta per due volte: “Gesù, Gesù!”, ormai si allontana con Lui.
Alcide attraverso la preghiera ha scandito tutta la sua vita, ha vinto tutte le
bataglie, ha vinto anche l’ultima battaglia, quella con la morte. La figlia
rimane sola con tutto il patrimonio di rettitudine che il padre le ha lasciato
in eredità. Chi non lascia questo patrimonio in eredità ai suoi figli è il loro
boia. La cattiva ricchezza rimarrà come maledizione per i suoi figli.
Dice il Signore: “Chi si adopera
in qualche modo per la mia gloria, chi scioglierà la sua lingua in mia onoranza, avrà il mio gradimento, il mio
appoggio, il mio sostegno, e sarò io stesso a parlare per la sua bocca.”
Io desidero, voglio che il
Signore penetri nell’anima nostra, in modo da diventare una sola cosa con noi,
desidero ci forgi con la sua arte divina, con la sua potenza che non ha limiti,
col suo amore che tutto trasforma e santifica.
Vedete, fratelli, quanti esempi
tristi si hanno da parte di anime che si allontanano da Dio?
Quanto è deplorevole il contegno
di chi si stacca dalla fonte viva, dalla sorgente di vita eterna, da cui emana
ogni bene!!
Lungi da Dio l’uomo perde il
senso dell’equilibrio, il lume della ragione, si disorienta, ama le cose
frivole, è capace di tutto, spesso cade nel baratto dei più nefandi e mostruosi
delitti.
L’anima priva del lume divino,
del sorriso di Dio, non è capace di amare e si chiude nel più nero egoismo che
lo spinge all’odio, alla vendetta, alla disonestà ed a tutto ciò che è riprovevole
ed inammissibile.
Perché Gesù è risorto? Per farci
intendere che noi dobbiamo risorgere alla Grazia e che il nostro spirito non è
destinato a marcire in un sepolcro, ma è chiamato a fini superiori, a balzare
fulgido e glorioso (dopo la disfatta del corpo) dalle miserie di questa vita
grama agli splendori di una vita beata che non conosce tramonto.
Cristo è risorto per noi per
riconfermarci nella fede, rimasta scossa dopo i giorni tristi della sua
passione morte.
Avanti, miei cari fratelli, le
avversioni, i dolori, le ingiustizie, le incomprensioni umane, non turbino il
nostro cuore, ne sminuiscano la nostra fede, ma anzi ci siano di incitamento a
maggiormente perseverare nel bene e motivo di conforto perciò attraverso le
prove, le anime si purificano e diventano maggiormente care a Dio.
Siamo forti: quanto più ci
terremo uniti al Signore, tanto più avremo la forza di vincere le tentazioni
che vorrebbero in tutti i modi sbarrarci la strada, per impedire il
raggiungimento dei santi ideali.
Siamo tutti fragili, tutti
difettosi è vero, perché siamo di creta. Il solo perfetto è Dio, ma non
dobbiamo cadere nella sfiducia, nello scoraggiamento, perché Dio non vuole la
morte del peccatore, ma che si converta e viva. Gesù ha vinto per noi ed è
questo motivo di grande speranza. Egli conosce la nostra grande fragilità, le
nostre miserie e perdona sempre chiunque si accosta fiducioso e pentito.
Coraggio dunque, miei cari fratelli, opponiamo viva resistenza a tutte le
seduzioni diaboliche, teniamo dieto al Cristo che dolente ci precede nel duro
cammino della vita.
Dio apprezza il bene e lo
remunera abbondantemente, ma punisce anche il male col meritato castigo e col
rigore della sua infallibile giustizia. Non sempre però fa gravare la sua mano
pesante sui colpevoli, ma anzi li abbraccia, dimenticando l’oltraggio patito,
quando pentiti invocano la sua clemenza. Siate forti, non vogliate seguire
l’esempio dei tristi che non perseverano nel bene e tentano a contaminare anche
glia altri.
Che cosa è il mondo? Cosa esso
può prometterci? Prima o poi tutto scompare sotto una zolla di terra! Non
dobbiamo farci illusioni nella vita!
L’uomo non deve porre in cima ai
propri ideali le realtà materiali, perché tutto ciò che è della terra, rimarrà
alla terra. Non intendo condannare il progresso scientifico, che anche questo
viene da Dio; ma non bisogna farci illusioni nella vita.
Miei fratelli, siamo buoni,
avveduti, oculati nelle nostre scelte: non vogliamo acquistare quei beni che un
giorno ci dovranno essere tolti. Questi beni materiali non viviamoli
egoisticamente, ma a gloria di Dio e a beneficio dei bisognosi. Assicuriamoci
il possesso dei beni spirituali che non finiscono col corpo e che accompagnano
le anime eternamente. S. Francesco, il poverello di Assisi, era ricco, bello, forte
e molto apprezzato per le sue doti personali, amava il divertimento, ballava,
sperperava, amava la gloria, ma quando la voce di Dio gli fece intendere che lo
voleva tutto per se, Francesco volse le spalle al mondo, gettò con disprezzo le
ricchezze, si vestì di un ruvido saio e corse gridando per le vie di Assisi: -
Dio mio è mio tutto, Dio mio e mio tutto.
Ecco quale d’evessere la nostra
trasformazione! Chi siamo noi? Povere, piccole e fragili creature!
Dio è tutto, il suo potere è
infinito, se noi ci affidiamo a Lui, Egli saprà compiere il miracolo della
nostra santificazione, sempre s’intende col concorso della nostra volontà che
dev’essere ligia al suo volere.
Discorso tenuto dal Sig. Evaristo
Madeddu ai suoi confratelli per la circostanza della Pasqua (5-4-1953) nella
sede di Serramanna (Sardegna)