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Da www.unionesarda.it   vi abbiamo scelto questo articolo:

«Il Novecento è stato il secolo più sanguinario in assoluto per i Cristiani, senza alcun paragone possibile. I dati che ho preso da statistiche laiche, di studiosi inglesi di sociologia della religione, parlano di 45 milioni di martiri cristiani nel Novecento, e al momento sono 160 mila le persone che ogni anno perdono la vita per la loro appartenenza alla fede cristiana. Mai come oggi quella della Chiesa è la dimensione del martirio.  D’altronde è stato il Papa stesso a sottolinearlo in più documenti, anche ufficiali, nelle celebrazioni per l’Anno santo».
Antonio Socci, giornalista e scrittore, autore di I nuovi perseguitati (Piemme, pag 157, eu 8,90), parla dell’intolleranza anticristiana nel nuovo secolo del martirio, con una nota di sgomento nella voce. L’indagine, che mette in luce massacri ignobili e ferocie tremende, conferisce al saggio la forza di un documento, di una testimonianza diretta degli orrori cui i cristiani sono sottoposti nel terzo Millennio in molte parti della terra.
Socci, ma perché l’ostracismo contro il cristianesimo non accenna mai a diminuire?
«In ogni episodio di persecuzione ci sono delle cause contingenti, delle motivazioni storiche che possono essere studiate e spiegate. Dalla guerra di Spagna alla persecuzione sotto il regime bolscevico, ai martiri dei nazisti, oppure alle situazioni dei paesi islamici, ai macelli del Sudan, di Timor, delle Molucche e del Libano (anche se di queste tragedie recentissime, pochissime sono state le segnalazioni alla “Commissione nuovi martiri”), quello che colpisce è, soprattutto nel Novecento, la diversità delle ideologie dei regimi che si sono trovati uniti nella persecuzione alla Chiesa. Questo fa pensare che, complessivamente, il cristianesimo sia avvertito come un pericolo dai regimi illiberali. I vari despota danno l’impressione di percepire nelle comunità cristiane qualcosa d’incontrollabile, di non manipolabile. Sembra che abbiano paura anche delle piccole comunità inermi e dei pochi missionari, che sono tutto fuorché una minaccia».
Ma il cristianesimo è una minaccia?
«Certamente no. Spesso si attribuisce al cristianesimo e ai cristiani, una forza superiore a quella degli apparati di polizia e degli eserciti. D’altra parte, il Novecento è stato il secolo dell’ideologia strutturalmente nemica dell’uomo che vuol costruirsi con le proprie mani un regno di Dio in terra. Perciò non può che essere nemica anche del fatto cristiano che demitizza ogni mito politico, ogni pretesa linea del potere sin dai tempi dell’impero romano. Se vogliamo andare oltre, basta ricordare che, nel Vangelo, Gesù stesso avverte: hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi. Vi mando come pecore in mezzo ai lupi. Questa è l’immagine che si legge nella vicenda cristiana del Novecento: pecore in mezzo ai lupi».
L’Islam, in che misura ostacola il cristianesimo?
«L’aggressività dell’Islam contro il cristianesimo inizia con la nascita stessa dell’Islam. C’è una lunga storia conflittuale: 1400 anni d’ostilità, di scontro. L’islam assume dal cristianesimo la volontà universalista e proselitista, mettendola insieme con elementi dei culti della penisola arabica, e con un ebraismo semplificato da cui è stato espunto il tema dell’elezione del popolo d’Israele. L’Islam è molto intriso di politica e d’immanenza di codici di comportamento; come si evince dai testi dei passi coranici, è affidato all’azione, al proselitismo anche molto energico e violento».
Su quali basi si è sviluppato il fondamentalismo islamico?
«Sono portato a pensare che la deriva fondamentalista intrapresa negli ultimi venti-trent’anni nei paesi arabi sia il risultato del fallimento politico e sociale dei dirigenti laici, obiettivamente incapaci di instaurare regimi veramente liberali e di diffondere il benessere. Hanno così dato spazio alla crescita del fondamentalismo, segno d’enorme debolezza, da parte del mondo islamico, di fronte a ciò che l’Occidente rappresenta. Non credo che l’Occidente sia il bene, ha mille difetti, ma è portatore di una serie di valori ereditati dalla religione cristiana: la libertà, il progresso, la pace, il lavoro, che possono essere avvertiti, da sistemi chiusi e illiberali, come minacce; anche per il fascino che esercitano sulle persone, perché tutti gli esseri umani, in qualunque latitudine, vogliono vivere liberi e dignitosamente».
Valori questi che il cristianesimo diffonde e protegge...


«Sono convinto che il cristianesimo, che è una presenza assolutamente inerme nel mondo, abbia una capacità di contagio che mette in crisi tutte le forme religiose precedenti. Così ha sempre fatto. Tutto questo, con un’altra serie di motivazioni storiche contingenti, ha provocato il fenomeno fondamentalista nel sistema giuridico di tanti paesi arabi islamici, e dei violenti che sono veramente una minaccia per chi ama la libertà e la pace. Tutto ciò, ovviamente, non va generalizzato. Il discorso che facciamo complessivamente sul mondo islamico non comporta una demonizzazione degli esseri umani. Credo che la Chiesa abbia ragione nel distinguere e considerare le persone solo come tali, indipendentemente dall’appartenenza etnica e religiosa».
Secondo lei, è in atto un’occulta islamizzazione del mondo?


«L’idea dell’islamizzazione del mondo non è un piano occulto: è una delle carte d’identità esplicite del mondo islamico, e uno dei connotati di quella religione. L’Arabia Saudita finanzia apertamente la costruzione di moschee e scuole coraniche in tutto il mondo. Di per sè, se fosse semplicemente una prospettiva di proselitismo, sarebbe del tutto legittima; ma i metodi e il tipo di valori indotti dal settore civile e sociale che veicola rendono l’Islam, anche secondo alcuni studiosi laici come Giovanni Sartori, inconciliabile con la nostra cultura e mentalità».
Come si può arginare la violenza islamica?


«Il problema è stato centrato in maniera molto evidente dal Papa nella riunione del 24 gennaio scorso ad Assisi, quando ha chiesto a tutte le religioni di delegittimare teologicamente la violenza. Quell’incontro, che da qualcuno è stato letto come un incontro ecumenico sincretista, in realtà, con lo stile della Chiesa (che non è quello della sfida, ma dell’abbraccio fraterno, del dialogo), pone un problema colossale che, se risolto, cambierebbe completamente volto all’Islam. Ad Assisi è stato fatto un piccolo pronunciamento, ma il grande problema che Islam deve risolvere è questo. Importanti intellettuali e teologi pongono seriamente tale necessità. Un’autorità religiosa islamica del Sud della Francia, quando in Algeria erano massacrate centinaia di persone, sgozzate dai fondamentalisti quasi quotidianamente, pose il problema dicendo che non si poteva continuare a condannare quei crimini senza risolvere la questione teologica che c’è al fondo».
Accertato che è ancora tempo di martiri, qual è il Nerone del momento?
«Secondo me, nel Novecento abbiamo visto qualcuno che non aveva nulla da invidiare a Nerone in quanto a ferocia. Il problema vero è che il meccanismo dell’ideologia che si è scatenato nel Novecento è un moltiplicatore spaventoso del delitto. Nel XX secolo abbiamo visto in atto un apparato incredibile, con carnefici che si autoconvincono di agire per il bene dell’umanità massacrando milioni di persone. È una forma d’auto-innocentizzazione, un alibi che assolve. Una cosa mostruosa, diabolica. Da questo punto di vista è un elemento più perverso del perverso Nerone».

 

 

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FRANCESCANI E ISLAM
I PRIMI CINQUE MARTIRI

 

Essi, attratti dalla predicazione di San Francesco, ne raccolsero il sogno di predicare il Vangelo tra i musulmani. Era il 1219, quando partirono per la Via del Marocco, dopo aver ascoltato Francesco d'Assisi presso il "querceto" della Porziuncola.

L'unica loro arma era la parola evangelica, ed essa servirono fino all'effusione del sangue.

Nessun atteggiamento di violenza o di offesa c'era in loro, ma solo fedeltà assoluta fino alla morte al Vangelo.

In quei Protomartiri umbri ritornava forte il senso della missione, dimensione propria e irrinunciabile della Chiesa di tutti i tempi. E si ponevano nella grande scia dei martiri cristiani dei primi secoli.

 



Narra una secentesca Cronaca: "I gloriosissimi primi cinque Martiri dell'Ordine de' Minori, preziosi frutti di questo Giardino: Berardo, Pietro, Ottone Sacerdoti, Accursio et Adiuto fratelli laici, furono nel 1219 dal P. S. Francesco inviati a Regni di Miramolino, Re Moro Maometano, dove gionti, doppo d'aver predicato in Siviglia a detto Re e suoi popoli, furono mandati in Marocco; indi poscia scacciati per causa del loro predicare ed a tal oggetto pur ritornati nel 1220, doppo essere stati crucciati con diversi supplici e martirji, condotti nella publica Piazza furono dallo stesso Re, con un colpo di scimitarra per uno, staccatagli la testa, e benché poi dilacerati i loro corpi e gettati nel fuoco, ad ogni modo raccoltene da cristiani le Reliquie si ritrovano in Coimbra; e da Sisto IV l'anno 1481 furono arrolati al numero de' Santi Martiri".

Utile sottolineare che i cinque missionari, giunti a Coimbra, ospiti dei Canonici agostiniani di Santa Cruz, colpirono con la loro fede e semplicità il cuore del giovane canonico Ferdinando Martinez da Lisbona, che dopo diventerà, proprio per loro merito, il frate Sant'Antonio da Padova. Francesco Mannoni