STEFANO
ZAMPIERI MORTE, ESTREMO RAPPORTO
da: «L'Indice», a. VI, N.5, Maggio 1989
Recentemente l'editore Costa & Nolan ha pubblicato
l'ultimissimo lavoro di Blanchot, Foucault
come io l'immagino (1988), un breve articolo scritto immediatamente dopo la
morte del grande storico e filosofo francese.
Nella narrativa di Blanchot il frammento non è
semplicemente una scelta di stile, ma è la sola forma che sia in grado di
garantire compiutamente quella dissoluzione degli elementi narrativi che ne
costituisce l'obiettivo.
Frammentarietà, in Blanchot, significa riduzione e
sottrazione degli avvenimenti, neutralizzazione della voce narrante (spesso
indistintamente plurale o multipla), ma soprattutto polverizzazione degli
aspetti temporali e spaziali.
Tuttavia, il ricorso al frammento, come dimostra R.
Stillers in un bell'articolo (Il
palinsesto infinito, «Nuova Corrente», a. 85, n. 95, fascicolo interamente
dedicato a Blanchot), sostiene una forma di continuità presente in tutte le
opere narrative e nei frammenti narrativi spesso inseriti all'intorno delle
opere critiche (come ne L'infinito
intrattenimento, o ne Le pas au-delà,
e L'écriture du desastre). Così ogni
singolo frammento rinvia ad un macrotesto di cui è insieme l'affermazione e
l'interruzione.
Attraverso la fitta rete di analogie e di richiami
presente in tutte le opere, è possibile dunque ritrovare le tracce di questo
macrotesto, e ricostruire non una sorta di ragione nascosta, ma il legame che
rinvia ad un centro, ad un punto nevralgico verso cui ogni frammento si rivolge
pur senza mai raggiungerlo.
Blanchot manifesta
spesso nei suoi lavori critici la convinzione che ogni scrittore non faccia
altro che riscrivere lo stesso testo per un infinito numero di volte, e proprio
a partire da una tale premessa egli analizza come esempio l'opera di Kafka.
A maggior ragione ci si deve sentire autorizzati ad
applicare una tale formula interpretativa alle sue stesse opere.
Anche se di tale meta-testo non è possibile indicare se
non le vestigia che ogni singola opera realizza.
In La sentenza di
morte è in gioco appunto il tema
della morte, uno dei temi centrali e ricorrenti nella riflessione di Blanchot.
Qui l'esperienza che se ne fa è una esperienza del
limite: nella prima parte si narra la lenta agonia di una donna fino al punto
estremo della morte su cui il racconto stesso si conclude, ma solo
provvisoriamente: "Bisogna che questo sia chiaro: non ho raccontato nulla
di straordinario e neppure di sorprendente.
Lo straordinario incomincia nel momento in cui mi fermo.
Ma non sono più padrone di parlarne" (La
sentenza di morte p. 35).
Arresto soltanto apparente, provvisorio appunto, perché
di lì ha inizio la seconda parte in cui l’io
narrante vive una serie di situazioni il cui punto di riferimento costante è la
difficoltà, se non addirittura l'impossibilità, dell'incontro tra due esseri
umani, ove il desiderio di contatto e di superamento delle rispettive
individualità si conclude in una forma immobile in cui le due traiettorie si
avvicinano infinitamente senza raggiungersi mai: "a lei dico
eternamente: 'Vieni', ed eternamente è là" (La sentenza di morte p. 75).
La morte e il rapporto con l'altro: intorno a queste due
esperienze si snoda la narrazione portandoci alla fine alla convinzione che in
realtà si tratti della stessa esperienza nel senso che la morte è per essenza
un fatto pubblico: la sola morte che io
posso esperire fin oltre l'ultimo limite è la morte dell'altro, non la mia
morte che per me resta inconoscibile.
Ma se è così, allora non si può fare a meno di pensare
che al mutare storico delle forme della comunità tra gli uomini, delle forme
del rapporto con l'altro, inevitabilmente muta anche la nostra esperienza della
morte.
Nella disintegrazione della vita associata sta la causa
del nostro morire solitario e disumano nel chiuso di un ospedale.
Bisognerebbe
rileggere La comunità inconfessabile,
ove il centralissimo tema della morte è introdotto dalla volontà di
"riprendere una riflessione mai interrotta, ma che solo per intervalli si
è espressa, sull'esigenza comunista" (p. 9).
Varrebbe la pena, forse, di rileggere e ripensare l'opera
di Blanchot nel suo complesso perché ancora attuale e ricca di stimoli per
l'analisi e la riflessione, intorno alle questioni centrali del nostro tempo.
Per contattarmi: stzampie@tin.it