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FONDAMENTALISMO

 

Cari amici,

basta introdurre in un qualsiasi motore di ricerca:

“martiri, cristiani, islam”,

per affogare nel sangue e in una documentazione imponente di diversi organismi internazioni dai quali si ricava:

 

Martiri cristiani in 2000 anni: 70.000.000

Martiri cristiani del XX secolo: 45.400.000;

Martiri cristiani dal 1950: 13.300.000;

Martiri cristiani degli anni recenti: 171.000 all’anno;

 

Martiri cristiani del 2000 (ultimo anno del secolo, che ha visto già fortemente decimate le popolazioni cristiane): 160.000.

 

La prima domanda che sorge spontanea: “Chi ha avuto interesse a imbavagliare i mezzi di comunicazione sociale?”

La seconda domanda che sorge spontanea: “Chi è stato così miope politicamente, da non capire che la estinzione delle popolazioni cristiane nei paesi islamici e comunisti era il principale delitto contro la dignità umana e la democrazia e che rappresentava la immediata minaccia di tutto quello che noi siamo e del nostro patrimonio di civiltà?”

 

Adesso possiamo abbandonarci pure a considerazione di sdegno verso i nostri intellettuali e le nostre classi politiche, che hanno stretto la mano con sorrisi a 360° a criminali come Hitler, vestiti con falce e martello e vestiti con la mezza luna. Essi stessi complici di criminali e conniventi con sistemi totalitari che hanno insanguinato il XX secolo.

 

I nostri capoccioni, tutto sapevano e tutto hanno fatto, affinché noi non sapessimo! Perché?

 

Perché i loro interessi erano in linea solo con i loro investimenti.

 

Se non vi sarà una inversione di tendenza fra un decennio in Europa, verremo sgozzati a migliaia, almeno finché non accetteremo, anche noi, una particolare interpretazione dell’islam.

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Infatti, la vera violenza è quella dell’islam sciita iraniano finanziato dall’Arabia Saudita, contro l’islam pacifico delle comunità locali che non può prestarsi ad un discorso imperialistico e che noi ormai conosciamo come fondamentalismo.

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Attualmente, e sono felice di annunciarvelo, perché è dal loro eroismo che mi attendo la distinzione tra religione e politica nell’islam, in altre parole la negazione della pretesa criminale di una religione trasformata in ideologia assolutistica.

 

Attualmente, dicevo, abbiamo in Europa più di 14.000.000 di mussulmani, tutte persone che come noi, sono degne di ogni rispetto perché in grado di rispettare l’altrui libertà, libertà che consente loro diritti inammissibili per le minoranze politiche e religiose dei loro paesi di origine.

 

 Purtroppo, una minoranza molto determinata e qualificata di mussulmani, disprezza la nostra democrazia e si rallegra per le opportunità che offre, di potersi diffondere come un cancro in un corpo, già di per se stesso molto malato a causa del relativismo, corpo sociale che non riconoscono e che vogliono uccidere.

 

Ma, attualmente, la maggioranza dei musulmani europei, anche se poco organizzati nel difendere una nobile religione di pace e di amore a Dio, contro i loro “fratelli fondamentalisti” più violenti, organizzati e foraggiati,- dicevo i musulmani europei per di più, sono anche abbandonati da quell’Occidente che vogliono difendere, Occidente che è ormai in rotta di collisione con la sua identità.

 

Occidente che collassa su se stesso per morte naturale, avendo perso le sue radici cristiane.

 

Questi bravi musulmani, si trovano nella situazione con il fianco scoperto: è logico che in questa situazione di vuoto dei poteri forti culturali, filosofici, religiosi e politici i violenti bene organizzati finiscono per avere la meglio e per gettare nella disperazione e nel sangue i buoni.

 

Infatti, il problema del relativismo nel nostro Occidente rende tanto difficoltoso il percorso degli onesti e tanto facile il percorso dei furbi opportunisti.

 

Il vero pericolo è la cultura di morte del nulla, che il relativismo ha inoculato nelle nostre società condannandole a un futuro infame.

 

Ed è proprio il nostro relativismo a spingere e a costringere i mussulmani europei nelle braccia del fondamentalismo, perché la nostra società non fa nulla per proteggerli dall’ideologia fondamentalista, crimine intellettuale che precede sempre il crimine reale.

 

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ALGERIA - l'Islam ideologico

 

Riflessione di Mons. Pierre Clavarie (tratto da Rocca 1 ottobre 1996) vescovo di Orano assassinato il 1° Agosto in Algeria.

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Mons. Pierre Clavarie è uno dei “160.000 agnelli innocenti” che versano il sangue nel dono supremo del martirio, segno di un amore e di una civiltà superiore: la civiltà cristiana!

 

Ma nella nostra totale indifferenza, e nel disprezzo dei fondamentalisti questo sangue grida vendetta al cospetto di Dio, visto che rimane inascoltato al cospetto degli uomini.

 

 Mons. Pierre Clavarie, non ha versato solo il suo sangue per i cristiani, ma anche per i musulmani che ha saputo amare, cioè capire e onorare.

 

Ma una diabolica barbarie lo ha portato via ai buoni, che credono nel dialogo e nella concordia.

 

Queste mani criminali devono essere disarmate!

 

Vescovo di Orano, assassinato il 1° agosto 1996 in Algeria, terra che ha amato più della sua vita, e a cui ha donato tutto di se nella speranza di vedere dal cielo un futuro di pace e concordia.

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Mons. Pierre Clavarie dice: “La mia riflessione nasce da una esperienza. Non sono un politico.

 

Nato in Algeria, ho seguito le evoluzioni di questo paese, condividendo l'esistenza di milioni di algerini che oggi si trovano immersi nella ben nota crisi.

 

Ho l'impressione di rivivere dolorosamente ciò che ho vissuto in altri tempi.

 

Ho passato la mia infanzia nella «bolla coloniale»: non che non ci siano state relazioni tra i due mondi, anzi; ma nel mio ambiente sociale ho vissuto in un mondo chiuso (come in una bolla), ignorando l'altro, non incontrandolo se non come parte del paesaggio che avevamo costruito nella nostra esistenza collettiva.

 

Forse perché ignoravo l'altro o negavo la sua esistenza, un giorno mi è balzato incontro.

 

Ha fatto esplodere il mio universo chiuso, che si è decomposto nella violenza — ma poteva accadere altrimenti? — e ha affermato la sua esistenza.

 

L'emergere dell'altro, il riconoscimento dell'altro, l'adattamento all'altro, sono divenuti per me delle ossessioni.

 

Questo è verosimilmente all'origine della mia vocazione religiosa.

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Mi sono domandato perché, durante tutta la mia infanzia, essendo cristiano — non più d'altri — frequentando le chiese, come altri, sentendo dei discorsi sull'amore del prossimo, non ho mai sentito dire che l'arabo fosse il mio prossimo.

 

Forse lo si diceva, qualche volta, ma io non l'avevo sentito.

Mi sono detto: d'ora innanzi mai più muri, mai più frontiere, mai più fratture.

 

Bisogna che l'altro esista, se no ci esponiamo alla violenza, all'esclusione, al rigetto.

 

Perciò ho chiesto, dopo l'indipendenza, di ritornare in Algeria, per riscoprire questo mondo dove ero nato ma che avevo ignorato.

 

È a questo punto che è cominciata la mia vera avventura personale — una nuova nascita —.

 

Scoprire l'altro, vivere con l'altro, sentire l'altro, lasciarsi anche modellare dall'altro, tutto questo non vuol dire perdere la propria identità, abbandonare i propri valori, ma vuol dire concepire una umanità «plurale» non esclusiva.

 

Le evoluzioni dell'Algeria dopo l'indipendenza andavano tutte all'inverso di ciò che avevo sognato.

 

Politicamente e religiosamente, si sono sviluppati nei 30 anni dopo l'indipendenza dei riflessi di fronte, ossia di esclusione; politicamente, o si sta all'interno del Fronte o non si esiste.

 

Ma, anche religiosamente, si sviluppava un altro discorso parallelo sostenuto dal potere politico:

     o si sta all'interno e si esiste o si sta fuori e allora si esiste come ospite tollerato, non come parte vera e propria della società.

 

Il discorso che si sente oggi in Algeria, sostenuto dalla violenza delle armi, non è nuovo.

 

C'è una cultura di violenza (che tocca tutti i popoli) ma che è più o meno regolata nelle civiltà.

 

E’ paradossale dirlo, perché in pochi casi come nei paesi del Maghreb, lo straniero sente così forte il calore dell'accoglienza.

 

Ciò che colpisce tutti quelli che hanno percorso i paesi del Maghreb e che vi hanno passato qualche anno della loro vita è l'accoglienza che si riceve.

 

È una società umana, con questa dimensione della presenza della persona, che talvolta si rimpiange quando si arriva in Europa.

Ciò è vero a condizione che si sia di passaggio.

 

Crocifisso: simbolo dell'Osservatorio permanente

 

 

SGOZZARE PER DECRETO DI DIO

 

Quando si vive nel mondo maghrebino, le cose sono molto più complesse.

 

C'è in esso una società che ha una religione tradizionale, basata sulle «confraternite» (zauie), un islam radicato, legato alla terra, nel quale sopravvivono pratiche, idee e concezioni preislamiche.

 

La società che vive in questo islam resta di fatto una società accogliente e pacifica; in maggioranza il popolo algerino vive ancora un islam di questo genere.

 

Parallelamente, l'islam ortodosso (il riformismo) ha contribuito a sradicare l'islam tradizionale popolare e a ideologizzarlo.

 

Lo ha fatto anche per mobilitare il popolo musulmano contro le aggressioni e le intrusioni straniere, che erano ben reali.

 

Ma questo islam si è trasformato progressivamente in uno strumento politico manipolato dai poteri, in lotta contro l'islam tradizionale, basato sulle «confraternite».

 

Non è sorprendente allora che, a poco a poco questo islam sradicato dai suoi valori profondi, insieme umani e spirituali, e diventato un fattore politico, si trasformi oggi in strumento di violenza; quest'ultima si sviluppa per motivi che non sono religiosi, ma usa giustificazioni di ordine religioso.

 

Tra le immagini estremamente penose diffuse dalla televisione, una soprattutto ha segnato l'Algeria.

 

I bambini stessi ne parlano e la imitano nei loro giochi: si tratta di un «imam» sequestrato dai gruppi armati e costretto a giustificare le operazioni di questi gruppi emanando delle disposizioni giuridiche (fatwas).

 

Completamente destabilizzato da ciò che avviene nella macchia, non potendo più niente giustificare in coscienza, aveva deciso di uniformarsi.

 

Questo «imam» un po' fuori di sé davanti allo schermo televisivo si esprime con gesti convulsi dicendo: «guardate a che punto siamo arrivati, ora noi sgozziamo, è il decreto di Dio, è la legge di Dio».

 

È esagerato dire che è il decreto di Dio, la legge di Dio.

 

Ma questo discorso religioso è lo sbocco di una ideologizzazione della religione.

 

Gli avvenimenti attuali son il risultato di una evoluzione che non è iniziata ieri e che ha contribuito a poco a poco a modellare una cultura di esclusione e di violenza.

 

Una frattura divide quelli che si sono lasciati rinchiudere in questa cultura di esclusione da altri che, nutriti «per altre vie», o avendo seguito altre evoluzioni, si sforzano di resistere contro la chiusura.

 

All'interno del mondo algerino musulmano si pongono come mai prima delle questioni profonde.

 

Paradossalmente questa crisi nata da una chiusura è anche il primo passo di un'apertura nella storia contemporanea dell'Algeria.

 

In essa la religione è profondamente legata all'identità; essere algerino ed insieme musulmano è naturale e non pone alcun problema.

 

Si può accettare che degli stranieri europei o altri diventino algerini. Essi lo saranno ma in una maniera un po' particolare, non si è mai completamente algerini se non si è veramente musulmani. L'identità è legata alla religione.

 

CHE COSA È DUNQUE L'ISLAM?

 

Mentre un tempo si era serenamente musulmani, ciò faceva parte della cultura, della personalità, delle sue evoluzioni storiche, oggi qualcuno arriva e vi dice che voi siete dei cattivi musulmani, che non siete stati mai dei veri musulmani.

 

Nel nome di questo islam ideologico le persone e i gruppi sono rimessi in questione:

«che cos'è dunque l'islam? Ci sono diversi islam?».

 

Si prende allora coscienza che ci sono diverse interpretazioni possibili, tollerabili o intollerabili, ortodosse o no, ma che in ogni caso esse esistono e a volte si impongono; questo interrogativo non è solo intellettuale, sollevato nei convegni, ma tocca l'identità profonda:

«chi sono io ora? In quale gruppo ritroverò la mia identità?».

 

Si tratta ora in effetti di questo; si tratta di recuperare la propria storia, sia per tutti quelli che come islamici si sono dati alla macchia in seno ai gruppi armati, che per coloro che resistono a questa forma di islam.

 

Si tratta adesso di recuperare la propria identità.

 

Questa profonda messa in questione rimanda gli algerini non più al loro gruppo (ci sono infatti parecchi gruppi) ma al loro personale giudizio.

 

Bisogna fare una scelta: certuni scelgono la macchia; altri sostengono il potere; altri ancora sono dei democratici.

 

La scelta personale è ormai necessaria ed è per me l'avvento, nella società algerina, di ciò che il professor Talbi chiama «la modernità», l'emergere dell'individuo.

 

Non ci si può più accontentare di appartenere a un gruppo e di assimilare la propria identità personale a quella del gruppo perché il gruppo si è disintegrato.

 

Bisogna scegliere e dunque c'è l'emergere di un fenomeno nuovo e forse di un'altra maniera di vivere insieme.

 

Nessuno possiede la verità

 

In questa esperienza, fatta da prima della chiusura, poi della crisi e dell'emergere dell'individuo, io acquisto la convinzione personale che non c'è umanità se non «plurale» e che, appena noi pretendiamo — nella chiesa cattolica ne abbiamo fatto la triste esperienza nel corso della nostra storia — di possedere la verità o di parlare in nome dell'umanità, cadiamo nel totalitarismo e nell'esclusione.

 

Nessuno possiede la verità, ognuno la ricerca, ci sono certamente delle verità oggettive che oltrepassano tutti noi e alle quali non si può accedere che attraverso un lungo cammino e ricomponendo a poco a poco quella verità, spigolando, nelle altre culture, negli altri tipi di umanità, quello che anche gli altri hanno acquisito o hanno cercato nel loro itinerario verso la verità.

 

Sono credente, credo che ci sia un Dio, ma non ho la pretesa di possedere questo Dio, ne attraverso il Cristo, che me lo rivela, ne attraverso i dogmi della mia fede.

 

Dio non si possiede.

 

Non si possiede la verità ed io ho bisogno della verità degli altri.

 

È questa l'esperienza che faccio oggi con migliaia di algerini nella condivisione di una stessa esistenza e delle questioni che tutti ci poniamo.

 

Se nella crisi algerina, dopo questi passaggi attraverso la violenza e le fratture profonde della società, ma anche della religione e dell'identità, si arrivasse a pensare che l'altro ha il diritto di esistere, che è il portatore di una verità e che è degno di rispetto, allora i pericoli ai quali siamo esposti attualmente non sarebbero stati corsi invano.

 

Pierre Clavarie, testo pubblicato nel gennaio 1996 in «Nouveaux cahiers du Sud»

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