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MISNA

PAKISTAN, 25 SET 2002 (18:26)

Attacco a Ong a Karachi: vescovo si reca sul posto, comunità cristiana proclama 3 giorni di lutto

Il vescovo di Karachi, monsignor Simeon Anthony Pereira, si è recato nel pomeriggio nei locali dell'organizzazione non governativa cristiana pakistana che questa mattina è stata teatro di una terribile esecuzione di 7 operatori umanitari, per mano di aggressori non ancora identificati.

 

 Lo riferisce alla MISNA padre Pascal Robert, un francescano di Karachi (Pakistan meridionale), accorso anch'egli presso la sede della Commissione per la giustizia e la pace (Idara-e-Amn-o-Insaf), organismo ecumenico che impiegava cattolici, protestanti ed anche musulmani.

 

"Il vescovo, insieme al sindaco della città Naimat Ullah, ha voluto essere presente sul posto - ha raccontato alla MISNA il religioso dell'Ordine Francescano Frati Minori - per essere vicino ai familiari delle vittime ed esprimere le sue condoglianze.

 

In conseguenza di questo folle gesto, la comunità cristiana ha proclamato 3 giorni di lutto".

 

Padre Pascal ha confermato che i deceduti sono 7, mentre un'ottava persona è ferita e versa in gravi condizioni.

 

Il francescano ha invece smentito la notizia, circolata su alcune agenzie internazionali, che tra i deceduti vi fosse un musulmano.

 

"Le vittime sono tutte di religione cristiana - ha affermato - ed io, che le conoscevo, posso affermare che erano persone davvero brave e corrette.

 

 Adesso praticamente la ong non esiste più, perché quasi tutti i suoi addetti sono stati ammazzati".

 

Gli operatori umanitari sono stati uccisi intorno alle 10:30 locali da armati che si sono introdotti nell'edificio, li hanno imbavagliati e legati e poi hanno fatto fuoco. (LM)

Pakistan

 

POPOLAZIONE: 136.183.000

RELIGIONE: islam 95%; cristianesimo 2%; induismo 1.7%

Cattolici: 1.069.262

Diocesi: Karachi - 125.493; Hyderabad - 93.962; Lahore - 502.619; Faisalabad - 126.345; Islamabad-Rawalpindi - 122.343; Multan - 98.500

 

Il Pakistan è una repubblica islamica. I cristiani rappresentano circa l'1,5 per cento della popolazione, per un totale approssimativo di 750mila cattolici e 850mila protestanti.

 

L'articolo 20 della Costituzione del 1973 afferma che ogni cittadino ha libertà di culto, professione e divulgazione; l'articolo 36 dichiara che lo Stato salvaguarda gli interessi ed i diritti delle minoranze.

 

La realtà è diversa: i cristiani sono ghettizzati.

 

Nella stessa Costituzione, l'articolo 41 afferma che il Presidente della Repubblica deve essere musulmano.

 

Esistono episodi d'intolleranza legati soprattutto alla legge sulla bestemmia, emanata dal generale Zia nel 1985: chi diffama il Corano può essere punito con la prigione a vita, chi bestemmia Maometto rischia la condanna a morte.

 

Le unioni matrimoniali miste sono permesse solo se l'uomo è musulmano e la donna cristiana, non viceversa.

 

Le istituzioni scolastiche, create in gran parte dalla cultura cristiana, sono in mani islamiche e l'insegnamento cristiano è marginalizzato, la stessa religione e le persone sono screditate nei libri di scuola.

 

Non è permessa la predicazione.

La legge pakistana prevede che le minoranze religiose abbiano rappresentanti politici separati.

 

Peter Jacob, segretario esecutivo della Commissione nazionale giustizia e pace della conferenza episcopale pakistana, denuncia, nel documento titolato "Osservatorio dei diritti umani, uno studio sulla situazione attuale", le continue violenze e le discriminazioni verso le minoranze religiose.

 

Da poco sono stati istituiti "Tribunali anti-terrorismo" che potranno giudicare anche sui casi di bestemmia.

 

La polizia ha il diritto di irrompere nelle case senza permesso della magistratura e sparare contro sospetti di attività terroristiche.

 

La legge anti-terrorismo obbliga poi i tribunali a emettere il verdetto in una settimana.

 

A Faisalabad molte famiglie cristiane sono state costrette ad abbandonare le proprie case dopo l'accusa rivolta dalla polizia a un giovane di 30 anni per violazione della legge sulla bestemmia.

 

Il caso si è verificato nel villaggio di Sahiwal, 500 km a sud di Islamabad nel quale circa 14 delle 140 famiglie sono cristiane.

 

I sostenitori di Ayub Masih, il giovane incriminato, dicono che l'accusa rivoltagli, per cui è prevista l'immediata sentenza di morte, è la risposta del governo alla richiesta delle famiglie cristiane per la costruzione di nuove case.

 

I testimoni dichiarano all'agenzia di stampa "U.C.A. News" (7-8 novembre 1996), che un diverbio di Ayub con un giovane musulmano è stato usato come pretesto per l'accusa che ha portato al suo arresto il giorno 14 ottobre.

 

La madre di Ayub narra che quel giorno una folla di 50-60 persone si reca presso la loro casa e che Ayub, il fratello Samson e la sorella sono brutalmente picchiati.

Dopodiché Ayub e il fratello vengono arrestati. "Hanno portato via i miei figli e io sono scappata" - ha dichiarato la madre di Ayub - "noi siamo povera gente non possiamo difendere i nostri figli e nemmeno noi stessi".

 

Secondo la testimonianza della madre, pubblicata da "U.C.A. News" del 13-15 novembre 1996, Gloria Bibi, di soli 14 anni è stata rapita il 20 agosto da un giovane musulmano che l'ha obbligata a convertirsi all'islam per sposarla.

 

Il fatto è avvenuto in un villaggio nel distretto di Sahiwal e nessuno degli abitanti ha più visto la ragazza dal giorno della sua scomparsa.

 

La madre della ragazza denuncia le inadempienze della polizia che dopo aver arrestato i membri della famiglia del giovane li ha rilasciati in cambio di una somma di denaro. Anche la famiglia della ragazza è stata costretta a pagare, ma le promesse di poter rivedere la giovane non sono state mantenute.

 

I cristiani formano 12 delle 250 famiglie del villaggio e molti sono dipendenti di latifondisti musulmani.

 

Anche i cristiani locali, quindi, sono riluttanti ad aiutare la famiglia di Gloria per paura delle conseguenze presso i loro datori di lavoro musulmani.

Nel febbraio 1997, a Shantinagar, sono state distrutte circa 800 case, 13 chiese e anche i villaggi e i quartieri poveri dei dintorni. Sono stati feriti 35 cristiani e negli episodi di violenza sarebbe coinvolta, a quanto afferma il Rapporto di Amnesty International del 1998, anche la polizia. Secondo le notizie pervenute dalle organizzazioni cristiane un numero imprecisato di cristiani, ma calcolabile tra 50 e 70, è stato rapito.

 

Qualcuno violentato e costretto con la forza ad abbracciare la religione islamica. Numerose sono anche le conversioni forzate su minori, come quella attuata su un ragazzo di 13 anni dal padrone dell'allevamento in cui lavorava, che gli ha messo il corano sulla testa dicendo: "Ora sei diventato musulmano.

 

Se continui a dirti cristiano ti ucciderò. Ho scritto il tuo nome su questa pallottola" Quarantamila persone sono senza tetto. All'inizio dell'anno i musulmani avevano fatto razzie anche in altri villaggi, incendiando chiese e case dei cristiani. Circa mille famiglie vivono ancora sotto le tende, molti di loro sono stati accusati di insulti all'islam.

A Toba Tek Singh, il 15 settembre 1997 si è tenuto un incontro tra un gruppo di giovani lavoratori cristiani e Rita Tan coordinatrice dell'Y.C.W. internazionale.

 

I lavoratori provenienti da diversi settori di impiego hanno denunciato le grandi difficoltà che incontrano per l'appartenenza ad una minoranza religiosa. Dalle testimonianze riportate risulta che il settore del commercio è fortemente penalizzato dal fatto che solo i cristiani comprano merci da altri cristiani a causa di un diffuso sentimento d'intolleranza.

 

Il lavoro dipendente, d'altra parte, è contraddistinto da una serie di ingiustizie e discriminazioni: i lavoratori musulmani si rifiutano di mangiare con i cristiani e li emarginano; le paghe sono più basse e alcuni mesi vengono trattenute senza motivo; i compiti riservati ai cristiani sono i più umili e faticosi.

 

È stata inoltre sottolineata l'impossibilità per i cristiani di accedere a impieghi pubblici e statali. "Leggere la Bibbia ci aiuta ad andare avanti, a compiere il nostro lavoro e lottare per i nostri diritti", ha detto un lavoratore a Rita Tan, come riporta "U.C.A. News" del 20-22 ottobre 1997.

A Multan, attivisti per i diritti umani e gruppi cristiani hanno protestato contro la Costituzione di nuovi tribunali anti-terrorismo abilitati a giudicare i casi di bestemmia.

 

"Se i casi di bestemmia verranno giudicati dai tribunali anti-terrorismo, le assoluzioni diverranno impossibili" ha dichiarato Johnson Shahid, attivista cattolico per i diritti umani.

 

In particolare si temono gli speciali poteri acquisiti dalla polizia in seguito alle nuove misure anti-terrorismo previste dal governo, come entrare nelle case senza mandato e persino uccidere i sospetti terroristi.

 

Le minoranze cristiane denunciano la vulnerabilità in cui la nuova legge li pone di fronte alle accuse di bestemmia, perlopiù pretestuose, di cui sono vittime.

 

La protesta, ricorda "U.C.A. News" del 29 settembre-1° ottobre 1997, è rivolta principalmente contro la sezione 295-C del codice in cui il reato di bestemmia viene definito con termini molto vaghi che lasciano spazio ad accuse false e strumentali.

 

Sopravvissuto al carcere e ripudiato dalla sua famiglia un musulmano convertito ora aiuta gli altri sulla via della conversione. "U.C.A. News" del 20-22 aprile 1998 racconta la sua vicenda: nato a Multan, Ijaz Zaidi inizia a interessarsi a diverse religioni quando è ancora studente. Colpito dal cristianesimo egli dichiara pubblicamente nel 1964 di aver abbracciato la nuova fede.

 

In seguito a tale gesto è imprigionato per due anni e, una volta rilasciato, è ripudiato dalla famiglia, dopo aver subito percosse così gravi da richiedere cure ospedaliere per fratture multiple degli arti.

 

 I suoi guai tuttavia non sono finiti, poiché tutte le Chiese cristiane contattate, inclusa la cattolica, si rifiutano di riceverlo temendo le possibili conseguenze.

 

Solo grazie alla sua pazienza e tenacia, Ijaz riesce alla fine a ottenere il Battesimo e a farsi accettare nella Chiesa anglicana.

 

Ora Ijaz si dedica nell'aiutare e guidare i musulmani interessati alla conversione e circa 1700 sono le persone che si sono rivolte a lui. Ijaz nel frattempo continua a lavorare ed è scapolo, dal momento che la famiglia della sua fidanzata di un tempo ha rifiutato la proposta che la ragazza si convertisse per sposarlo.

 

Il vescovo cattolico pakistano John Joseph di Faisalabad, autorevole critico delle severe leggi pakistane contro la bestemmia, si è suicidato il 6 maggio 1998. La polizia ha dichiarato che il vescovo si è sparato uccidendosi davanti al tribunale di Sahiwal, 270 miglia a sud di Islamabad, dopo aver fatto visita alla famiglia di Ayub Masih, un cristiano condannato a morte a causa della legge sulla bestemmia.

 

Le leggi pakistane sono state vivacemente criticate come discriminatorie contro i non musulmani e come un varco aperto per abusi da parte dei musulmani nei confronti dei loro vicini non musulmani.

 

Il Vescovo Joseph aveva denunciato durante un seminario interreligioso, tenutosi la scorsa estate, la profonda ingiustizia della legge e si era dichiarato pronto a dare la propria vita per cambiarla.

 

La mattina del 6 maggio il vescovo aveva organizzato un incontro per pregare per le vittime della legge sulla bestemmia e aveva ribadito la necessità di compiere qualcosa di significativo contro l'applicazione di tali leggi. Il vescovo Joseph era stato Presidente della Commissione per la Pace e la Giustizia e aveva tradotto il Messale Romano in lingua urdu.

 

 

Mons. John Joseph aveva sempre denunciato la situazione come impossibile, rilasciando interviste e lanciando appelli, come quello per Anwar Mash, reo di bestemmia, in attesa di sentenza, che trascorre la sua vita in cella di isolamento, senza vedere mai la luce.

 

O quello di Samina Inayat, rapita dalla sua famiglia, l'unica cristiana di un piccolo villaggio, e diventata a soli quindici anni oggetto di compravendita.

 

John Joseph ha fatto di tutto per liberarla, contatti con i leader islamici, con la polizia, ed è riuscito nel suo intento. Ora la giovane è in un luogo sicuro dove tenta di dimenticare per ricominciare una nuova vita. Salamat Masih, di soli 12 anni è stata condannata a morte e poi assolta e fuggita all'estero, l'insegnante Catherine Shaheen, invece, è stata accusata di blasfemia e privata dello stipendio. Ora vive nascosta perché gli islamisti hanno minacciato di ucciderla.

 

Mons. Joseph aveva elencato 9 casi di violenza perpetrata dalla polizia e dai terroristi ai danni di cristiani religiosi e laici, torturati, insultati e uccisi. La domenicana suor Susanne, assassinata da un terrorista l'11 agosto 1988, il francescano Cyprian Dias, stessa sorte l'11 settembre 1988, Nazir Masih, torturato e ucciso in una stazione di polizia; un'intera famiglia cristiana, con donne e bambini, crudelmente malmenata nel 1997.

La sentenza di morte emessa per Ayub Masih è stata revocata fino all'appello di giugno 1999.

 

Il giovane era stato accusato di aver espresso pareri favorevoli verso il libro "Versetti satanici" dell'autore inglese Salman Rushdie, mentre la difesa ha dimostrato che Ayub non nutre alcuna ostilità verso l'islam. Il caso ha ottenuto una certa attenzione dopo che il vescovo Joseph si è suicidato per protestare contro la sentenza di morte. Ayub è il quarto cristiano pakistano condannato a morte con l'accusa di aver bestemmiato contro il Corano.

 

Gli altri tre sono stati in seguito prosciolti dall'Alta Corte di Lahore, ma sono costretti a vivere all'estero a causa delle continue minacce.

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Cinque cristiani accusati di bestemmia sono stati uccisi mentre i processi erano ancora in corso; tre di loro si trovavano sotto custodia quando sono stati assassinati. Il giudice Arif Iqbal Bhatti, che ha contribuito a prosciogliere due dei cristiani è stato ucciso lo scorso ottobre. (Catholic News Service - 13 maggio 1998.)

A un mese dalla morte del vescovo John Joseph la comunità cristiana si è riunita nella parrocchia di San Pietro e Paolo a Faisalabad nella regione del Punjab. Il giornalista Ettore Botti, del "Corriere della Sera", ha raccolto le impressionanti testimonianze di alcuni dei fedeli presenti.

 

Molti tra questi provengono dall'induismo, fuoricasta e intoccabili, disprezzati e poveri tra i più poveri; a Lahore li chiamano bangi, puliscicessi, poiché sono gli unici a fare questo lavoro.

 

Faruk Zahid racconta di aver lavorato per qualche tempo in un forno che produceva mattoni, ma poi di essere stato licenziato perché al suo posto fosse assunto un musulmano. Spesso i cristiani del Paese formano piccole colonie che hanno l'aspetto di ghetti, dai quali è proibito uscire.

 

Un progetto di emendamento costituzionale mirante all'adozione della legge islamica come legge di Stato è stato depositato presso l'Assemblea Nazionale pakistana il 28 agosto 1998; alcuni rappresentanti delle minoranze religiose e dei partiti di opposizione hanno inviato proteste ufficiali e organizzato manifestazioni contro tale prospettiva. La Costituzione del Pakistan stabilisce l'islam come religione di Stato, ma cosa diversa è l'attuale proposta di adozione della legge islamica nel sistema giuridico. L'emendamento in questione è caldeggiato dall'attuale primo ministro Nawaz Sharif.

Il 5 settembre il quotidiano "Avvenire" pubblica un articolo di Marco Moriconi nel quale si sottolinea il fatto che diversi deputati del partito di Sharif, appartenenti alla minoranza cristiana e hindu, si sono dissociati dall'iniziativa del primo ministro.

 

Motivi di preoccupazione sono stati avanzati anche da mons. Alexander John Malik, vescovo di Lahore, in relazione al fatto che le minoranze rimarrebbero in balìa delle circa 72 sette di religione islamica presenti nel Paese, ognuna con una propria interpretazione della legge coranica.

 

 

L'Assemblea nazionale pakistana ha approvato il provvedimento il 9 ottobre 1998 con una maggioranza di 151 voti contro 16 e si attende l'esame del Senato, dove la Lega musulmana pakistana non ha la maggioranza dei due terzi richiesta per essere considerato legge dello Stato. Il primo ministro ha salutato il voto sostenendo che si tratta dell'inizio di un nuovo ordine islamico per il Pakistan" e, nel suo discorso al Parlamento, ha promesso alle minoranze religiose di "tutelare i loro diritti", ma nessuno sembra credere ai suoi proclami.

 

Cristiani, musulmani e indù continuano a protestare. Il 15 ottobre a Lahore oltre 2000 persone sono scese in piazza per una manifestazione organizzata dal Comitato cristiano-musulmano per i diritti del popolo. Fra i leader della protesta il senatore musulmano Ajmal Khattak, Cecil Chaudry, e l'attivista Joseph Francis.

 

Lo stesso giorno la Commissione per il Dialogo interreligioso della Conferenza episcopale pakistana ha organizzato un seminario in cui tutti i leader religiosi hanno condannato il documento. Sharif potrebbe aggirare l'ostacolo ricorrendo ad una sessione straordinaria con voto congiunto delle due camere.

 

 

Gli effetti della legge potrebbero estendersi fino all'obbligo per tutti i pakistani - musulmani e non - di pregare cinque volte al giorno, di contribuire annualmente con la decima parte del reddito a mantenere la comunità musulmana, oltre che far dipendere dai princìpi islamici la Costituzione, le leggi e le sentenze in qualsiasi tribunale.

 

 

I cristiani del Pakistan temono il genocidio ma non lasceranno il Paese. Lo ha dichiarato a "Fides", il 6 novembre 1998, Cecil Chaudry, 58 anni, preside della Scuola superiore Saint Anthony a Lahore e leader del Fronte di liberazione cristiano, organizzazione di cattolici e protestanti impegnata a livello sociale e politico.

 

Chaudry sostiene che ci si deve attendere "un vero e proprio genocidio da parte della destra religiosa estremista, come è accaduto agli ebrei ai tempi del nazismo. Per questo ci stiamo opponendo con tutte le forze al documento. Per grazia di Dio, abbiamo costituito una forte piattaforma d'opposizione in Senato e speriamo che il documento non passi.

 

Il Fronte Nazionale di Azione Cristiana, con il suo presidente Clement Shahbaz Bhatti, ha costruito una vera e propria lobby che ostacolerà l'approvazione".

Anche gruppi musulmani si oppongono al provvedimento, perché ritengono che esso farà sprofondare il Paese in uno stato di anarchia.

 

Gli estremisti, invece, ne sono felici e lo sostengono.

 

Hanno pure cominciato a minacciare apertamente persone che si stanno opponendo al documento, come Bhatti e Chaudry. Quest'ultimo aggiunge: "Il documento rafforzerà il potere del primo Ministro, ma a quale prezzo?

 

Il prezzo potrebbe essere anche la distruzione del Paese!

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In uno Stato come il Pakistan l'intolleranza religiosa è già molto forte: si commettono assassini in nome dell'Islam, la città cristiana di Shantinagar è stata interamente rasa al suolo in poche ore; 50 templi indù sono stati distrutti in un solo giorno; si bruciano ancora le chiese; ci si spara e si gettano bombe nelle moschee di gruppi islamici rivali; si usa la legge sulla blasfemia per opprimere i cristiani.

 

Con l'approvazione di questo documento al Senato, le minoranze religiose saranno cancellate del tutto in pochi anni e le donne saranno perseguitate. Mons. John Joseph ha sacrificato la sua vita per svegliare il mondo cristiano e il popolo pakistano.

 

Credo, però, che l'Occidente stia ancora dormendo! Speriamo di avere massima risonanza internazionale: per noi è questione di vita o di morte".

 

Una nuova recrudescenza di uccisioni nei confronti di cristiani si è verificata il 18 novembre 1998, quando la polizia ha scoperto, dopo aver visto sangue uscire dalla porta, i corpi di una famiglia di nove persone massacrata a Nowshera, a 40 km da Peshawar, città di frontiera tra Pakistan e Afghanistan che ospita un milione e mezzo di profughi afghani.

 

 Il capofamiglia, John Bhatti, aveva lavorato in passato per l'esercito, ma prima dell'omicidio, di cui non sono stati ancora individuati i responsabili, serviva come cameriere, anche se viveva in un'abitazione di militari con la moglie, la figlia e diversi nipoti tra cui un bambino di otto mesi. Sui muri dell'abitazione, dopo l'attacco, sono state trovate scritte come "Basta con la magia nera".

 

A provocare i fatti sanguinosi potrebbe essere il clima creato dalle dichiarazioni di Nawaz Sharif, che afferma di ispirarsi al "modello dei Taleban afghani" e, parlando durante un comizio nel nord del Paese, ha annunciato che farà tutti i passi necessari per instaurare un sistema di leggi che prevede fra l'altro l'impiccagione nella stessa giornata dell'arresto per gli stupratori, l'amputazione di arti per i ladri, la lapidazione per gli adulteri e la fustigazione per una serie di reati minori, sostenendo che oggi in Afghanistan "il crimine non esiste".

 

Secondo Amin Saikal, direttore del Centro studi mediorientali e asiatici all'Università nazionale australiana "Sharif vuole instaurare un regime dominato dalla sua etnia Punjabi, simile alla teocrazia dei Pashtun Talebani".

 

"Fides" il 4 dicembre 1998 riferisce che una settimana prima del massacro il primo ministro Sharif aveva visitato la provincia, accompagnato dal senatore Sami-un Haq, rappresentante del partito Maulana, fazione estremista islamica molto forte nella zona.

 

Il Maulana ha lanciato una fatwa contro coloro che si oppongono al 15° emendamento alla Costituzione: in un incontro pubblico il senatore ha incitato le folle contro i cristiani, al grido di "a morte gli infedeli!". I cristiani continuano a chiedere a gran voce il ritiro del documento che pone la legge islamica alla base dello Stato.

 

In un'intervista rilasciata al mensile locale "Newsline", mons. Bonaventure Paul, vescovo emerito di Hyderabad in Pakistan e presidente della Commissione Giustizia e Pace della Conferenza Episcopale, si chiede se il documento è proprio necessario per il Paese: "Nella Costituzione già si afferma che non ci sarà altra legge all'infuori del Corano e della Sunnah'.

 

Lo Stato ha già una natura religiosa, esiste una Corte Federale della Shari'a che ha il potere di imporre un veto sulle leggi contrarie allo spirito dell'Islam".

 

Secondo il vescovo l'emendamento non fa altro che "aprire la porta all'intolleranza" e "acuire la distanza tra maggioranza e minoranza". "Siamo tutti cittadini del Pakistan" insiste, "ma in questo modo diverremo cittadini 'di serie B'".

 

Il Fronte di Liberazione Cristiana (FLC), dopo il massacro del 18 novembre, ha inviato una lettera aperta al primo ministro in cui si definisce l'emendamento alla Costituzione "una minaccia per i 20 milioni di non-musulmani che vivono in Pakistan".

 

L'organizzazione chiede al governo l'immediato ritiro del documento per salvaguardare la vita dei cittadini non musulmani.

 

 Se il documento sarà approvato "la Costituzione cesserà di esistere" dice la lettera, e "i diritti fondamentali dei cittadini saranno calpestati".

 

Nonostante gli appelli, il presidente Sharif ha dichiarato che "il Senato non ha il diritto di impedire l'approvazione del progetto" e che "il popolo deve punire i senatori che voteranno a sfavore", aggiungendo che "bisogna obbligarli ad approvarlo poiché è il desiderio unanime di 130 milioni di pakistani".

 

Bhatti si dice certo che il Primo ministro non otterrà la maggioranza dei due terzi dei senatori e che ciò "lo contraria profondamente". La popolazione, inoltre, non sarebbe così entusiasta del provvedimento, avversato anche da molti musulmani.

 

L'ex premier Benazir Bhutto, in una dichiarazione a "UCA-News" del 30 novembre 1997, accusa il governo di "provocare la follia religiosa" e di voler introdurre nel Paese "la versione taliban" dell'islam, denunciando le crescenti minacce di morte nei confronti di parlamentari non musulmani e di altri cittadini.