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Petroldollari in Moschea
Autore: Giorgio Paolucci {BOXPDF}
Curatore: Nerella Buggio
Fonte: Avvenire
A
colloquio con padre Samir
Petrodollari
in Moschea
L'espansione
dell'Islam in Europa segue un piano preordinato?
Lo
sciita Fadlallah, durante un incontro con i cristiani sosteneva che il sistema
democratico vigente in Europa rappresenta la chance migliore per la diffusione
dell'islam.
I petrodollari?
Più per le moschee che per aiutare i musulmani poveri.
Il confronto con l'islam?
Una
necessità ineludibile, alla quale peraltro l'Europa arriva debole, impreparata
e con una buona dose di ingenuità.
La reciprocità?
E'
come Cenerentola, ma il Principe azzurro ha altro a cui pensare. A pochi giorni
dagli allarmi risuonati al Sinodo per l'Europa in corso a Roma, un'analisi
impietosa e al tempo stesso appassionata dei rapporti islamo-cristiani arriva
da Samil Khalil Samir, gesuita, egiziano, docente alla Saint Joseph University
di Beirut e al Pontificio Istituto Orientale di Roma, uno dei massimi esperti
del mondo musulmano in campo cattolico.
L'islam
si propone sulla scena mondiale con una forte carica espansionistica. E c'è
chi, come l'arcivescovo di Smirne monsignor Bernardini, arriva a parlare di un
"chiaro programma di espansione e di riconquista".
"Forse
non c'è un vero e proprio progetto elaborato a tavolino, ma sicuramente
esistono strategie per il rafforzamento dell'islam nei Paesi in cui è già
maggioritario e per la sua la diffusione in alcune zone nevralgiche come
l'Africa subsahariana, l'Indonesia, la Malesia e ultimamente l'Europa.
E'
un fatto che in questi anni alcuni Paesi-guida, in primo piano l'Arabia Saudita
ma in misura minore anche Iran e Pakistan, hanno stanziato ingenti somme per la
costruzione di moschee, centri culturali, scuole coraniche e hanno formato e
inviato personale religioso all'estero.
L'Arabia Saudita si ritiene erede del califfato
soppresso nel 1924 da Ataturk, e come tale investita della missione di
preservare e diffondere l'islam. Questo scopo, sia ben chiaro, non viene
perseguito con metodi terroristici, ma con la costituzione di centrali di
irradiazione dell'islam che agiscono al tempo stesso sul piano religioso,
sociale e politico.
E
si deve purtroppo constatare che i proventi ricavati dal petrolio, i cosiddetti
petroldollari, vengono usati in minima parte per il sostegno economico dei
musulmani indigenti che si trovano in emigrazione, mentre sono investiti con
dovizia nella costruzione di luoghi-simbolo dell'islam, come è accaduto per la
moschea di Roma e di altre capitali europee".
Che
ne pensa dell'esortazione dell'arcivescovo di Smirne a non concedere ai
musulmani una chiesa cattolica per il loro culto, perché questo ai loro occhi
risulterebbe la prova più certa di apostasia?
"Bisogna
chiarire un equivoco che vedo molto diffuso anche da voi in Italia: la moschea
non è una "chiesa musulmana".
Per
il musulmano è molto di più che un luogo di culto, è un ambito di aggregazione
sociale, di rafforzamento della comune identità, di giudizio sulla società e di
rivisitazione di quanto accade alla luce del Corano, spesso anche di
trasmissione di parole d'ordine di tipo politico.
Studiando la storia dell'islam s'impara che
nella moschea sono state prese importanti decisioni o sono partite alcune
rivolte contro le autorità, e non è un caso che in molti Paesi le moschee
vengano presidiate dalle forze dell'ordine in occasione della preghiera del
venerdì.
Né
va dimenticato che secondo il pensiero islamico un luogo reso sacro non si può
più sconsacrare: in Egitto è accaduto che gruppi di fondamentalisti si siano
recati di buon mattino su alcuni terreni della Chiesa copta, abbiano steso il
tappeto e pregato, rendendo di fatto impossibile l'edificazione di una chiesa
su quell'area che con il loro gesto era stata resa sacra all'islam.
Per
questo un gesto che, magari in buona fede, è mosso dalla solidarietà o
dall'altruismo, viene vissuto da parte musulmana come resa, tradimento,
implicita ammissione della loro superiorità, ingenerando pericolosi
equivoci".
Ammetterà
che si devono comunque affrontare i nodi connessi ai rapporti con milioni di
musulmani che hanno messo radici in Europa...
E'
una sfida lanciata dalla storia, ma viene vissuta secondo prospettive
differenti.
Un
musulmano molto autorevole di Beirut, lo sciita Fadlallah, durante un incontro
con i cristiani sosteneva che il sistema democratico vigente in Europa
rappresenta la chance migliore per la diffusione dell'islam.
In
Occidente c'è una situazione che permette ai musulmani di ottenere importanti
riconoscimenti sul piano giuridico in nome della libertà e del pluralismo, e un
clima culturale favorevole: da voi è rinato l'interesse per proposte forti, che
trasmettono insieme certezze e novità, e si avverte indifferenza verso un
cristianesimo disponibile a mille compromessi.
Per
dialogare servono certezze, non mercanteggiamenti, altrimenti tutto diventa
ambiguo e finisce per prevalere chi è più consapevole della propria identità
rispetto a chi è disposto a rinunciarvi, magari sventolando le insegne della
cosiddetta società multiculturale".
Occidente e islam non hanno nulla da imparare l'uno dall'altro?
"L'Occidente
porta nel suo Dna valori che possono giovare al mondo islamico, dove ancora non
hanno il posto che meritano: la dignità della persona, l'uguaglianza di fronte
alla legge derivante dal concetto di cittadinanza; la democrazia; la
distinzione (non dico separazione) tra politica, religione e Stato.
D'altra
parte il mondo musulmano è portatore di valori che erano condivisi in Occidente
ma che la secolarizzazione ha fatto dimenticare: per esempio il fatto che la
morale non pur essere soggettiva ma che esistono riferimenti oggettivi,
l'importanza della comunità, la necessità di non dissociare la tecnica
dall'etica e l'affermazione che il progresso tecnologico non significa
necessariamente progresso dell'umanità.
Sono
convinto che bisogna esercitare la fatica del dialogo ma insisto: i frutti si
possono vedere solo quando i due partner hanno una visione chiara di cosa sono
e di ciò che vogliono.
Il dialogo in maschera è inutile".
Le
reiterate richieste di reciprocità per garantire la libertà di espressione
religiosa anche nei Paesi islamici sono destinate a rimanere lettera morta?
"Anzitutto
vorrei sgombrare il campo da una falsità che continua a circolare: non è vero
che in Arabia Saudita non si possano costruire chiese o celebrare funzioni
religiose diverse da quelle musulmane soltanto perché quella sarebbe la
"terra santa dell'islam".
La
tradizione ricorda che quando Maometto entra alla Mecca nel 630 e ordina la
distruzione di tutti gli idoli, vedendo una piccola icona della Madonna con
Gesù chiede di risparmiarla.
La
seconda falsità è che fuori dall'Arabia Saudita non ci siano problemi: ricordo
solo che in Egitto tra le dieci condizioni da rispettare per la costruzione di
una chiesa c'è l'assenza di una moschea nel raggio di mezzo chilometro, cosa
che costringerebbe a edificare nel deserto, vista la concentrazione di moschee
che si registra nelle città...
Vede,
il Papa non si stanca di chiedere la reciprocità quando incontra gli ambasciatori
presso la Santa Sede, ma questo non basta: sono gli Stati che dovrebbero
premere per questo nell'ambito di una più generale azione in favore dei diritti
umani.
Purtroppo
i vostri governanti sono talmente occupati a concludere affari con i Paesi produttori
di petrolio che finiscono per dimenticarsene...".
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