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La descrizione del vero sacerdote fatta da San Gregorio Magno (3/9).

     San Pio X su questo Dottore della Chiesa: "Le sue parole sono fulmini che schiantano il perverso, sono flagelli che scuotono l'indolente, sono fiamme di amore divino che soavemente investono il più fervente"

 

     San Gregorio Magno, Papa, Dottore della Chiesa. Nato: 540 ca. a Roma. Morto: 12 marzo 604 a Roma.

    

Dall'Enciclica "Iucunda sane" (12 marzo 1904) di San Pio X:

Gioconda certo torna la memoria, venerabili fratelli, di quel grande "incomparabile uomo" (Martyrologium Romanum, 3 sept.), il pontefice Gregorio, primo di questo nome, la cui solennità centenaria, al volgere del secolo XIII dalla sua morte, stiamo per celebrare.

 

Da quel Dio, che "mortifica e vivifica, ... che umilia e solleva" (1 Re 2, 6.7), tra le cure quasi innumerabili del ministero Nostro apostolico, tra le tante angosce dell'animo per i molti e gravi doveri che il governo della chiesa universale c'impone, tra le insistenti sollecitudini di soddisfare nel miglior modo possibile voi, venerabili fratelli, chiamati a partecipare del Nostro apostolato, e i fedeli tutti affidati alle Nostre cure, non senza una particolare provvidenza fu disposto, così pensiamo, che il Nostro sguardo negli inizi del Nostro sommo pontificato si rivolga subito su questo santissimo e illustre antecessore Nostro, onore della chiesa e decoro. (...)

Quanto siano in errore coloro che stimano di rendere servizio alla chiesa e di fruttificare alla salute delle anime, allorché per una tale prudenza della carne sono larghi di concessioni alla scienza di falso nome, nella funesta illusione di poter così guadagnare più facilmente gli erranti, ma in verità nel continuo pericolo di andar perduti essi stessi.

 

La verità è una sola e non può essere dimezzata; essa perdura eterna e non va soggetta alle vicende dei tempi:

     "Gesù Cristo ieri e oggi, egli (è) anche nei secoli" (Eb 13, 8).

 

E così pure sbagliano gravemente coloro, che nell'occuparsi del pubblico bene, soprattutto sostenendo la causa delle classi inferiori, promuovono sopra ogni cosa il benessere materiale del corpo e della vita, tacendo affatto del loro bene spirituale e dei doveri gravissimi che ingiunge la professione cristiana.

 

Non si vergognano di coprire talvolta quasi con un velo certe massime fondamentali dell'evangelo, per timore che altrimenti la gente rifugga dall'ascoltarli e seguirli.

 

Non sarà certo alieno dalla prudenza il procedere a poco a poco nella stessa proposizione della verità, quando si ha a che fare con uomini del tutto alieni da noi e del tutto lontani da Dio. "Prima di adoperare il ferro, occorre palpare con mano leggera le ferite", diceva Gregorio.

 

Ma anche questo espediente si ridurrebbe a prudenza della carne, se si proponesse come norma di azione costante e comune; tanto più che in tal modo sembra non tenersi nel debito conto la grazia divina, che sostiene il ministero sacerdotale e che è data, non solo a quelli che lo esercitano, ma anche ai fedeli tutti di Cristo, perché le nostre parole e la nostra azione facciano breccia nei loro cuori.

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Gregorio non conobbe affatto questa prudenza, sia nella predicazione dell'evangelo, sia nelle tante e sì mirabili opere da lui intraprese a sollievo delle miserie altrui. Egli continuò costantemente quel medesimo che avevano fatto gli apostoli, i quali, allorché si lanciarono la prima volta nel mondo a portarvi il nome di Cristo, ripetevano il detto: "Noi predichiamo Cristo crocifisso, scandalo per i giudei, stoltezza per i gentili" (1 Cor 1, 23).

 

Se v'era tempo in cui la prudenza umana pareva unico espediente ad ottener qualche cosa in un mondo del tutto impreparato a ricevere dottrine, sì nuove, sì ripugnanti alle umane passioni, sì opposte alla civiltà, allora ancor floridissima, dei greci e dei romani, certo era quello della prima predicazione della fede.

 

Ma gli apostoli disdegnarono quella prudenza; perché ben conoscevano il precetto di Dio: "Piacque a Dio di salvare i credenti per mezzo della stoltezza della predicazione" (1 Cor 1, 21).

 

E come fu sempre, così oggi ancora questa stoltezza per quelli che sono salvati, cioè per noi, è la virtù di Dio" (1 Cor 1, 18). Lo scandalo del Crocifisso, come per l'innanzi, così sempre in seguito ci fornirà l'arma più potente di tutte; come altra volta, così di poi, in quel segno otterremo vittoria.

 

Tuttavia, venerabili fratelli, quest'arma perderà della sua efficacia o sarà del tutto inutile, se si trovasse in mano di uomini, che non siano assuefatti alla vita interiore con Cristo, non educati nella scuola della vera e soda pietà, non appieno infiammati di zelo per la gloria di Dio e per la propagazione del suo regno.

 

Gregorio sentiva siffattamente questa necessità, che adottava la più grande sollecitudine nel creare vescovi e sacerdoti, animati da gran desiderio dell'onore divino e del vero bene delle anime.

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E tale intento si propose nel libro della Regola pastorale, dove sono raccolte le norme per la salutare formazione del clero e per il governo dei vescovi, molto utili non solo ai tempi suoi ma anche ai nostri.

 

Egli, come annota il suo biografo, "a guisa di Argo luminosissimo girava intorno gli occhi della sua pastorale sollecitudine per tutta l'ampiezza del mondo", per scoprire e correggere le mancanze e le negligenze del clero.

 

Ché anzi tremava al solo pensiero, che la barbarie o l'immoralità potessero far presa nella vita del clero; e andava profondamente scosso e non si dava più pace, allorché avvertiva qualche infrazione alle leggi disciplinari della chiesa, e subito ammoniva, correggeva, minacciando pene canoniche ai trasgressori, talvolta applicandole immediatamente egli stesso, tal altra senza dilazione alcuna e senza alcun umano riguardo rimuovendo gli indegni dal loro officio.

 

Inoltre inculcava molte massime, che in simile forma di frequente leggiamo nei suoi scritti: "Con quale animo prende l'officio di mediatore del popolo presso Dio, chi non è conscio di essere familiare della sua grazia per il merito della vita?".

 

-             "Se nel suo operare vivono le passioni, con quale presunzione s'affretta a medicare il ferito chi porta la piaga in volto?". Qual frutto si potrà sperare nei fedeli cristiani, se i messaggeri della verità "combattono coi costumi, quel che predicano con le parole?".

-              

-              - "Davvero non può togliere i delitti altrui, chi ne va guastato" (Regula pastoralis, I, 11).

 

Così egli intende e descrive l'immagine del vero sacerdote:

"È colui che, morendo a tutte le passioni della carne, già vive spiritualmente; colui che ha posposto le prosperità del mondo; colui che non teme affatto le avversità; colui che brama soltanto le cose interiori; colui che non si lascia prendere dal desiderio delle cose altrui, ma è generoso nel dare del proprio; colui che, tutto viscere di pietà, è incline al perdono, ma nel perdono non devia mai più di quel che convenga dall'apice della rettitudine; colui che non commette mai cose illecite, ma le cose illecite altrui deplora come sue proprie; colui che con ogni affetto del cuore compatisce l'altrui debolezza, e della prosperità del prossimo si allieta, come del suo proprio profitto; colui che in ogni cosa sua così si rende modello agli altri, da non avere onde arrossire, nemmeno circa le azioni passate; colui che si studia di vivere in modo che possa anche irrigare gli aridi cuori del prossimo con le acque della dottrina; colui che per l'uso dell'orazione e per la propria esperienza conosce già di poter ottenere dal Signore quel che domanda" (Regula pastoralis, I, 10).

 

Quanto dunque, venerabili fratelli, ha da pensare il vescovo seriamente con se stesso e innanzi a Dio, prima di imporre le mani ai novelli leviti! "Né per grazia di alcuno, né per suppliche che si facciano, ardisca mai di promuovere alcuno ai sacri ordini, se il tenore della vita e delle azioni sue non lo dimostri degno".

 

Quanto maturamente deve riflettere prima di affidare le opere dell'apostolato ai sacerdoti novelli!

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Se non siano debitamente provati sotto vigile custodia di sacerdoti più prudenti, se non consti nel modo più aperto della loro onestà di vita, del loro affetto per gli esercizi spirituali, della pronta loro volontà di seguire obbedienti le norme tutte di azione, o suggerite dalla consuetudine ecclesiastica, o comprovate dalla diuturna esperienza, o imposte da coloro che "lo Spirito santo pose vescovi a reggere la chiesa di Dio" (At 20, 28) eserciteranno il ministero sacerdotale, non già in salute, ma in rovina del popolo cristiano.

 

Infatti, susciteranno discordie, provocheranno più o meno tacite ribellioni, offrendo al mondo il triste spettacolo di una quasi divisione d'animi tra noi, mentre in verità questi fatti deplorabili non sono altro che orgoglio e indisciplinatezza di alcuni pochi.

 

Oh, siano del tutto rimossi da ogni officio gli eccitatori della discordia. Di tali apostoli la chiesa non ha bisogno; non sono apostoli di Gesù Cristo crocifisso, ma di se stessi.

 

Ci par di vedere tuttora presente al Nostro sguardo l'immagine di Gregorio nel Concistoro del Laterano, circondato da gran numero di vescovi d'ogni parte e da tutto il clero di Roma. Oh come sgorga dal suo labbro feconda l'esortazione sui doveri del clero!

 

Come si consuma di zelo il suo cuore! Le sue parole sono fulmini che schiantano il perverso, sono flagelli che scuotono l'indolente, sono fiamme di amore divino che soavemente investono il più fervente.

 

Leggete, venerabili fratelli, e fate leggere e meditare al vostro clero, specialmente nell'annuale ritiro degli esercizi spirituali, quella stupenda omelia di Gregorio.

Con indicibile amarezza egli esclama tra l'altro: "Ecco, il mondo è pieno di sacerdoti, ma è assai difficile trovare chi si impegna nella messe di Dio, perché abbiamo sì ricevuto l'ordinazione sacerdotale ma non ne adempiamo gli obblighi".

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(Per consultare l'integra del documento http://digilander.libero.it/magistero