Mai più Anche ora
(di
L. Amigoni)
Della "domenica del perdono" (prima
di Quaresima) - storica secondo i più - sono isolabili alcuni fotogrammi, di
forte intensità: l'abbraccio del Papa contrito al crocifisso; le confessioni di
peccato compiute da capi dicastero vaticani: l'attenzione, mai così tesa,
dell'assemblea per le evocazioni della singolare orazione dei fedeli e per il
gesto che seguiva ("alto era il silenzio, grande la Preghiera" ha
chiosato l'Osservatore Romano).
Nell'archivio enorme delle frasi ad effetto
del Papa sono sicuramente entrate quelle dei cinque "mai più" finali
del rito: mai più contraddizioni alla carità nel servizio della verità; mai più
gesti contro l'unità della Chiesa; mai più offese verso qualsiasi popolo; mai
più ricorsi alla logica della violenza; mai più discriminazioni, esclusioni,
oppressioni e disprezzo dei poveri e degli ultimi. Perdonati e disposti al
perdono i cristiani entrano nel terzo millennio come testimoni più credibili
della speranza, ha spiegato ulteriormente il Papa a Messa conclusa; si
"volta pagina", ha riassunto più sbrigativamente un cardinale, a cui,
diversamente che ad altri, non deve essere sembrata "suicida" per la
Chiesa l'iniziativa papale di "confessare il peccato e varcare la
soglia".
Benché
senza precedenti il gesto wojtyliano è di quelli in cui opera la genialità da
tutti riconosciuta a Giovanni Paolo II, che preme sui protagonisti e sulle
generazioni del cambio di millennio, ai quali può risultare inutile e di
cattivo gusto il compiacimento dei cristiani a rimanere fieri delle separazioni
del passato e ai quali pare poco compatibile con le urgenze di oggi
"l'incomprensione che ha opposto tanto e a lungo la Chiesa e la
modernità".
Il bisogno di una "nuova primavera di
vita cristiana" è all'origine delle decisioni, lungamente vagheggiate,
dell'ultimo tratto del servizio di verità del Papa: dal viaggio (21-26 marzo
2000) di enorme valore simbolico nella terra di Gesù, come lui proclamando
decadute le inconciliabilità tra popoli di storie e religioni diverse, alla
indizione del Giubileo da vivere lungo il crinale del "santo Vangelo,
fonte di vita e di speranza", ai momenti rituali e progettuali più inediti
che segnano l'anno santo in corso. Purificazione della memoria: pure un
neologismo si è reso necessario per il singolare atto di riconoscimento delle
pagine oscure della Chiesa che ha visto impegnato anche lo staff del cardinale
Ratzinger in un laborioso e serio studio titolato "Memoria e
riconciliazione".
Approcci,
precisazioni, sottigliezze del testo per ben inquadrare ciò che a taluni sembra
nemmeno accostabile ("la Chiesa e le colpe del passato") dicono la
rincorsa - ma anche l'onestà - della teologia a tenere dietro al dato di fede
richiamato prepotentemente dal Papa "con lo sguardo fisso al futuro":
la Chiesa è consapevole del peccato che la abita finché cammina verso il Regno.
Con esattezza ecclesiale: riconosce gli errori dei suoi figli di ieri e di
oggi, chiama con il nome di peccati le azioni eversive rispetto al Vangelo
anche se compiute nei condizionamenti di tempi e di luoghi, chiede perdono a Dio
e alle persone e si affida alla potenza misericordiosa di Dio perché le colpe
di ieri non siano tentazioni permanenti di oggi.
Almeno tre le condizioni per questo atto,
"espressione di ruvida forza della Chiesa e del suo Papa, non di
debolezza": la fiducia nella sola forza della verità contro ogni sospetto
di chiedere qualcosa in cambio ; il senso della solidarietà che nel corpo
mistico della Chiesa unisce tutti per cui ognuno porta anche il peso degli
errori di chi lo ha preceduto; la garanzia solida della santità che la Chiesa
riceve dal suo Signore.
Alla
consapevolezza di fede della "Chiesa santa" è legata anche la memoria
dei martiri - a più riprese marcata dal papa - nei quali si prova che la storia
della Chiesa è soprattutto una storia di santità.
Al
termine del secondo millennio la Chiesa è diventata nuovamente "Chiesa di
martiri", e l'apposita celebrazione ecumenica della prima domenica di
maggio, dalla risonanza prevedibilmente pari a quella per "l'esame di
coscienza" di inizio Quaresima, dice il bisogno di attestare, esorbitando
anche dalla forme consuete, "la verità del Vangelo".
Le due celebrazioni, sui versanti opposti
della denuncia e del trionfo "a tutto campo", muovono dalla stessa
logica di umiltà e di misericordia che è la vera porta santa del futuro nuovo.
Portando
a consolidamento intuizioni già manifestate in più occasioni, anche nel
capitolo giubilare dei martiri il Papa scrive righe nuove. "I martiri
della giustizia - disse una volta ad Agrigento - sono indirettamente martiri
della fede".
Ed
essi si aggiungono ai martiri dei gulag comunisti, dei lager nazisti, dei
regimi dittatoriali latinoamericani, delle guerre civili e dei conflitti
etnici, delle stragi e delle mafie, che hanno testimoniato - insieme o prima
della fede - il carattere inalienabile della persona umana; si accompagnano ai
martiri della "missione alle genti" e dell'incontro - scontro con
l'islam, ai martiri della carità come, a partire da Massimiliano Kolbe,
definito tale per primo da Paolo VI e così entrato nel calendario ufficiale
liturgico, sono chiamati i testimoni autentici dell'amore cristiano
disinteressato.
Godendo dell'estensione del concetto classico
di martirio, "nuovi martiri", sono detti: più anonimi talora e meno
aureolati di quelli antichi, ma portatori di una fede che ha dimensioni sociali
e che anche per questo viene radicalmente contraddetta.
Insistendo
sulla necessità e urgenza del "nuovo martirologio" il papa - si è
scritto - rivela una "percezione drammatica del rapporto tra la
testimonianza cristiana e il nostro secolo", sentita prescindendo dagli
stessi confini cattolici.
In
pellegrinaggio per entrare nella Porta Santa (di C. Campana)
Uno dei segni più appariscenti dell'anno
giubilare è il pellegrinaggio.
"Esso
riporta alla condizione dell'uomo che ama descrivere la propria esistenza come
un cammino. Dalla nascita alla morte, la condizione di ognuno è quella
peculiare dell'homo viator" (Giovanni Paolo II, Incarnationis mysterium,
7).
Il
Giubileo, cioè, ricorda all'uomo che tutta la sua vita, a livello fisico come a
livello psichico e spirituale, è un continuo superamento delle sintesi già
raggiunte e un perenne, faticoso addentrarsi nella ricerca di nuove sintesi:
guai al bambino che volesse restare tale, al giovane che non volesse
attraversare la soglia dell'età matura, all'adulto che si fermasse spaventato
di fronte alla senilità!
Ma,
oltre al senso antropologico, il pellegrinaggio ha un forte sapore religioso di
ricerca di intimità, di comunione con Dio. "Lascia la tua terra - dice Dio
ad Abramo - e va verso il paese che io ti indicherò".
E Abramo partì non conoscendo la meta del
suo viaggio ma pieno di fiducia in quel Dio che lo aveva chiamato.
La
vita di Mosé, e quella del popolo con lui, è un continuo pellegrinare
illuminato dalla rivelazione divina. Inoltre "la Sacra Scrittura attesta a
più riprese il valore di mettersi in cammino per raggiungere i luoghi sacri;
era tradizione che l'Israelita andasse in pellegrinaggio verso la città dove
era conservata l'arca dell'alleanza, oppure che visitasse il santuario in
Betel, o quello in Silo, che vide esaudita la preghiera di Anna, la madre di
Samuele.
Sottomettendosi volontariamente alla legge, anche
Gesù con Maria e Giuseppe si fece pellegrino alla città santa di
Gerusalemme". A rigore di termini, però, questo incedere per raggiungere
l'intimità divina esige un altro tipo di pellegrinaggio, più difficile perché
meno evidente: dalla periferia al centro del proprio essere dove, nel profondo
del nostro cuore, Dio vuole porre la sua dimora. Non per niente tutto l'insieme
della vita cristiana è definita dagli Atti degli Apostoli come "via".
E allora il pellegrinaggio "evoca il cammino del credente sulle orme del
Redentore: è esercizio di ascesi operosa, di pentimento per le umane debolezze,
di costante vigilanza sulla propria fragilità, di preparazione interiore alla
riforma del cuore".
Il pellegrinaggio giubilare non ha nulla di
turistico anche se, per raggiungere le mete dei grandi appuntamenti non si
viaggia più come san Rocco o san Giuseppe Labre ma usando gli strumenti del
grande turismo.
Qual
è la meta del pellegrinaggio giubilare? "Al pellegrinaggio si accompagna
il segno della porta (...).
Essa
evoca il passaggio che ogni cristiano è chiamato a compiere dal peccato alla
grazia. Gesù ha detto:
"Io
sono la porta", per indicare che nessuno può avere accesso al Padre se non
per mezzo suo. (...).
C'è un solo accesso che spalanca l'ingresso
alla vita di comunione con Dio: questo accesso è Gesù, unica e assoluta via di
salvezza.
Solo a Lui si può applicare con piena verità
la parola del Salmista:
"È questa la porta del Signore, per essa
entrano i giusti"".
Dal
Vangelo, in modo speciale, apprendiamo che chiunque voglia rispondere alla
chiamata del Signore, mettersi alla sua sequela, confessare con la vita la sua
signoria, deve dare un passo in avanti staccandosi dalle vecchie abitudini e
introducendosi in uno stile nuovo di vita corrispondente a quello del Maestro.
San
Girolamo lo sapeva. Per questo pregava: aiutatemi, Signore, e sarò vostro. Ma,
alla grazia di sopra rispondeva con il suo impegno ascetico: moderati digiuni,
attenzione alla lingua nelle conversazioni, preghiere e veglie, servizio ai più
piccoli dei poveri di Cristo.
Il Miani non avrebbe potuto rispondere
convenientemente alle ispirazioni divine se, dalla continua contemplazione di
Cristo Crocifisso non avesse attinto una forte carica di amore di
assimilazione.
Lo
stile di pro-esistenza (tutto del Padre e tutto dei fratelli) partiva dallo
speco e portava al servizio dei piccoli.
Se
il pellegrinaggio giubilare si è identificato con un processo di continua
conversione, esso non può che portare a Cristo.
"Passare per quella porta significa
confessare che Gesù Cristo è il Signore, rinvigorendo la fede in lui per vivere
la vita nuova che Egli ci ha donato. È una decisione che suppone la libertà di
scegliere ed insieme il coraggio di lasciare qualcosa, sapendo che si acquista
la vita divina".
Soltanto
allora si potrà tornare alle proprie case correndo, come i discepoli di Emmaus
per annunciare a tutti: abbiamo visto il Signore!
E
riprendere, nella gioia, il cammino della vita in vista della costruzione di un
mondo nuovo.