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Il silenzio e la condanna

 

Sebbene sollevati per la conclusione del lungo assedio alla Chiesa della Natività di Betlemme, molti ebrei e cristiani condividono lo stesso senso di indignazione latente per il fatto che un numero maggiore di autorità ecclesiastiche non abbia condannato la dissacrazione lampante, da parte musulmana, di uno dei principali santuari cristiani.

 

Si è trattato di un chiaro caso di miliziani islamici che hanno trascinato deliberatamente la loro battaglia contro Israele all'interno di una Chiesa molto venerata, prendendo religiosi e giovani come ostaggi. Eppure la maggior parte della cristianità è apparsa stranamente silenziosa!

 

E molte delle chiese che hanno parlato, hanno scelto di criticare ingiustamente Israele per "il brutale assedio".

 

E' di vitale importanza comprendere le ragioni che stanno dietro questo squilibrio morale tra silenzio nei confronti dell'Islam e aperta condanna nei confronti di Israele.

 

A questo scopo, lo stallo di Betlemme apre una finestra insolitamente ampia sull'attuale atteggiamento dei cristiani verso Israele e le costanti lamentele delle minoranze arabe cristiane sotto il dominio musulmano.

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In primo luogo, non tutti i cristiani sono rimasti in silenzio. L'ambasciata Cristiana, per esempio, ha pubblicato in precedenza una dichiarazione di ferma condanna di "questa violazione della sacralità della Chiesa della Natività", definendola "un'offesa premeditata da parte di banditi militanti musulmani".

 

E ciò accadde molto prima che incominciassero ad emergere notizie sull'incontro, avvenuto in precedenza, tra uno dei maggiori esponenti cristiani di Gerusalemme e il clan Abayat, che guida i Tanzim di Fatah a Betlemme, durante il quale il religioso cristiano aveva offerto loro le chiavi del complesso della Natività, invitandoli a rifugiarsi al suo interno in caso di necessità.

 

Ma molti dei media ufficiali si sono rifiutati di riprendere questo semplice modo di raccontare la verità, in quanto non corrispondeva alle loro esigenze editoriali, perciò essi sono in parte responsabili della generale percezione di un silenzio da parte cristiana.

 

Oppure, parte dello squilibrio potrebbe essere molto semplicemente imputato al classico antisemitismo cristiano, palese o latente che sia. Lo stallo della Natività ha di fatto scatenato una tempesta di dichiarazioni antisemite da parte di numerosi esponenti religiosi arabi e anche da parecchi pulpiti occidentali, ma quando "USA Today" ha riferito di un improvviso aumento di sermoni sul conflitto mediorientale in tutta l'America, molto probabilmente si è trattato di discorsi equilibrati o favorevoli ad Israele.

 

Ciò significa che c'erano altri fattori in gioco, il principale dei quali è l'autoconservazione.

 

Questo concetto è facile da capire. Gli arabi cristiani che vivono a Betlemme e in tutto il Medio Oriente hanno sviluppato, col tempo, un meccanismo innato di sopravvivenza: non parlare mai male in pubblico dei tuoi vicini musulmani.

 

Potrebbe costarti molto caro.

 

Con l'insorgenza del nazionalismo palestinese, questo desiderio di autoconservazione ha spinto alcuni cristiani a diventare più anti-israeliani della maggioranza musulmana. Nella sua eccellente opera "L'Assedio", l'ex diplomatico (e cattolico) irlandese Conor Cruise O'Brien descrive questo comportamento come "sventolare la camicia insanguinata" più in alto dei musulmani per dimostrare la propria lealtà alla causa.

 

Ma il prezzo di questa dimostrazione di lealtà si sta facendo sempre più alto.

 

Durante la prima intifada, ai cristiani veniva chiesto: "Perchè i vostri figli non vengono a lanciare pietre insieme ai nostri ragazzi musulmani?"

 

Molte famiglie hanno fatto le valige e se ne sono andate. Nell’attuale intifada, assai più cruenta, la domanda che viene loro rivolta è: "Perchè voi non date i vostri figli come Shahid, come martiri?" Il silenzio si è fatto assordante.

 

Molti responsabili di chiese all'estero comprendono i pericoli che corrono questi cristiani locali e quindi aderiscono allo stesso codice di silenzio per proteggere queste greggi preziose. Ciò è apparso in modo molto evidente durante il recente stallo e fino a un certo punto può essere considerato come un comportamento responsabile, purchè nel contempo non si attribuisca agli israeliani la colpa di tutti i mali.

 

Inoltre, mantenendo il silenzio circa le loro sofferenze sotto l'Islam, i religiosi cristiani locali limitano la propria possibilità di richiedere quel sostegno esterno che sarebbe vitale per venire incontro alle reali esigenze delle loro comunità.

 

Alcuni reagiscono strombazzando presunte sofferenze "sotto l'occupazione israeliana", ben sapendo che Israele non applica ritorsioni.

 

 Così, quando l'esercito israeliano entrò per la prima volta a Beit Jala nell'agosto scorso, per far cessare il fuoco dei tanzim su Gilo, si gridò allo scandalo perchè gli israeliani stavano trattenendo 45 "orfani" in un complesso luterano come "scudi umani".

 

Un'assoluta falsità, naturalmente, e certamente non un atto così eclatante come l'invasione della Chiesa della Natività.

 

Ma questo genere di racconti, è noto, ha influenzato i potenziali donatori.

 

Lo stesso si può dire di elementi di spicco del cosiddetto movimento per i diritti umani, che subdolamente si contendono i finanziamenti facendo a gara chi grida più forte contro Israele. Può far bene agli affari.

 

Su un piano diverso, molte chiese che operano nel vasto mondo arabo/islamico fanno l'errore di credere di dover "bastonare" Israele per ingraziarsi le popolazioni locali. Ciò si è manifestato anche in ambienti evangelici che, in altre circostanze, sarebbero stati più inclini a favorire Israele.

 

Eppure noi possiamo testimoniare che è possibile raccogliere fondi e sostenere i coraggiosi cristiani di Betlemme senza scendere a compromessi sul mandato biblico di "benedire" il popolo ebraico.

 

Comunque sia, da Betlemme provengono alcuni segnali positivi, che sono di buon auspicio per il futuro sviluppo dei rapporti tra Israele e il mondo cristiano.

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Una fonte protestante vicina ai delegati armeni, greco-ortodossi e vaticani che hanno partecipato ai negoziati sulla Chiesa della Natività afferma che essi erano "estremamente grati a Israele per essersi trattenuto", mentre provavano "un disgusto indicibile" per i musulmani armati e i funzionari palestinesi con cui hanno dovuto trattare.

 

I funzionari cristiani e israeliani hanno sviluppato un "rapporto fiduciario" durante le lunghe trattative, anche se rimane difficile rendere pubblico questo fatto.

 

L'indignazione per le azioni musulmane c'è, ma è ancora soffocata dalla paura di ritorsioni.

 

Il problema è se non sia giunto il momento, per le autorità ecclesiastiche responsabili, di interrompere la sceneggiata, visto che si è rivelata ben poco efficace per portare sollievo ai cristiani che vivono a Betlemme e altrove sotto l'autorità Palestinese.

 

 Nonostante la fine dell'impasse, essi vivono ancora con un fucile musulmano puntato alla testa. E Dio non voglia che il prossimo impasse oscuri la porta del Santo Sepolcro.

 

David Parsons

capo redattore del Dipartimento Notizie e Pubblicazioni

dell'Ambasciata Cristiana Internazionale di Gerusalemme

dal Jerusalem Post