http://www.shalom.it/5.02/aggiornamemti/440.htm
Il silenzio e la condanna
Sebbene
sollevati per la conclusione del lungo assedio alla Chiesa della Natività di Betlemme,
molti ebrei e cristiani condividono lo stesso senso di indignazione latente per
il fatto che un numero maggiore di autorità ecclesiastiche non abbia condannato
la dissacrazione lampante, da parte musulmana, di uno dei principali santuari
cristiani.
Si
è trattato di un chiaro caso di miliziani islamici che hanno trascinato
deliberatamente la loro battaglia contro Israele all'interno di una Chiesa
molto venerata, prendendo religiosi e giovani come ostaggi. Eppure la maggior
parte della cristianità è apparsa stranamente silenziosa!
E
molte delle chiese che hanno parlato, hanno scelto di criticare ingiustamente
Israele per "il brutale assedio".
E'
di vitale importanza comprendere le ragioni che stanno dietro questo squilibrio
morale tra silenzio nei confronti dell'Islam e aperta condanna nei confronti di
Israele.
A
questo scopo, lo stallo di Betlemme apre una finestra insolitamente ampia
sull'attuale atteggiamento dei cristiani verso Israele e le costanti lamentele
delle minoranze arabe cristiane sotto il dominio musulmano.
In
primo luogo, non tutti i cristiani sono rimasti in silenzio. L'ambasciata
Cristiana, per esempio, ha pubblicato in precedenza una dichiarazione di ferma
condanna di "questa violazione della sacralità della Chiesa della
Natività", definendola "un'offesa premeditata da parte di banditi
militanti musulmani".
E
ciò accadde molto prima che incominciassero ad emergere notizie sull'incontro,
avvenuto in precedenza, tra uno dei maggiori esponenti cristiani di Gerusalemme
e il clan Abayat, che guida i Tanzim di Fatah a Betlemme, durante il quale il
religioso cristiano aveva offerto loro le chiavi del complesso della Natività,
invitandoli a rifugiarsi al suo interno in caso di necessità.
Ma
molti dei media ufficiali si sono rifiutati di riprendere questo semplice modo
di raccontare la verità, in quanto non corrispondeva alle loro esigenze
editoriali, perciò essi sono in parte responsabili della generale percezione di
un silenzio da parte cristiana.
Oppure,
parte dello squilibrio potrebbe essere molto semplicemente imputato al classico
antisemitismo cristiano, palese o latente che sia. Lo stallo della Natività ha
di fatto scatenato una tempesta di dichiarazioni antisemite da parte di
numerosi esponenti religiosi arabi e anche da parecchi pulpiti occidentali, ma
quando "USA Today" ha riferito di un improvviso aumento di sermoni sul
conflitto mediorientale in tutta l'America, molto probabilmente si è trattato
di discorsi equilibrati o favorevoli ad Israele.
Ciò
significa che c'erano altri fattori in gioco, il principale dei quali è
l'autoconservazione.
Questo
concetto è facile da capire. Gli arabi cristiani che vivono a Betlemme e in
tutto il Medio Oriente hanno sviluppato, col tempo, un meccanismo innato di
sopravvivenza: non parlare mai male in pubblico dei tuoi vicini musulmani.
Potrebbe costarti molto caro.
Con l'insorgenza del nazionalismo palestinese, questo desiderio di
autoconservazione ha spinto alcuni cristiani a diventare più anti-israeliani
della maggioranza musulmana. Nella sua eccellente opera "L'Assedio",
l'ex diplomatico (e cattolico) irlandese Conor Cruise O'Brien descrive questo
comportamento come "sventolare la camicia insanguinata" più in alto
dei musulmani per dimostrare la propria lealtà alla causa.
Ma il prezzo di questa dimostrazione di lealtà si sta facendo
sempre più alto.
Durante
la prima intifada, ai cristiani veniva chiesto: "Perchè i vostri figli non
vengono a lanciare pietre insieme ai nostri ragazzi musulmani?"
Molte
famiglie hanno fatto le valige e se ne sono andate. Nell’attuale intifada,
assai più cruenta, la domanda che viene loro rivolta è: "Perchè voi non
date i vostri figli come Shahid, come martiri?" Il silenzio si è fatto
assordante.
Molti
responsabili di chiese all'estero comprendono i pericoli che corrono questi
cristiani locali e quindi aderiscono allo stesso codice di silenzio per proteggere
queste greggi preziose. Ciò è apparso in modo molto evidente durante il recente
stallo e fino a un certo punto può essere considerato come un comportamento
responsabile, purchè nel contempo non si attribuisca agli israeliani la colpa
di tutti i mali.
Inoltre,
mantenendo il silenzio circa le loro sofferenze sotto l'Islam, i religiosi
cristiani locali limitano la propria possibilità di richiedere quel sostegno
esterno che sarebbe vitale per venire incontro alle reali esigenze delle loro
comunità.
Alcuni
reagiscono strombazzando presunte sofferenze "sotto l'occupazione
israeliana", ben sapendo che Israele non applica ritorsioni.
Così, quando l'esercito israeliano entrò per
la prima volta a Beit Jala nell'agosto scorso, per far cessare il fuoco dei tanzim
su Gilo, si gridò allo scandalo perchè gli israeliani stavano trattenendo 45
"orfani" in un complesso luterano come "scudi umani".
Un'assoluta
falsità, naturalmente, e certamente non un atto così eclatante come l'invasione
della Chiesa della Natività.
Ma
questo genere di racconti, è noto, ha influenzato i potenziali donatori.
Lo
stesso si può dire di elementi di spicco del cosiddetto movimento per i diritti
umani, che subdolamente si contendono i finanziamenti facendo a gara chi grida
più forte contro Israele. Può far bene agli affari.
Su
un piano diverso, molte chiese che operano nel vasto mondo arabo/islamico fanno
l'errore di credere di dover "bastonare" Israele per ingraziarsi le
popolazioni locali. Ciò si è manifestato anche in ambienti evangelici che, in
altre circostanze, sarebbero stati più inclini a favorire Israele.
Eppure
noi possiamo testimoniare che è possibile raccogliere fondi e sostenere i
coraggiosi cristiani di Betlemme senza scendere a compromessi sul mandato
biblico di "benedire" il popolo ebraico.
Comunque
sia, da Betlemme provengono alcuni segnali positivi, che sono di buon auspicio
per il futuro sviluppo dei rapporti tra Israele e il mondo cristiano.
Una
fonte protestante vicina ai delegati armeni, greco-ortodossi e vaticani che
hanno partecipato ai negoziati sulla Chiesa della Natività afferma che essi
erano "estremamente grati a Israele per essersi trattenuto", mentre
provavano "un disgusto indicibile" per i musulmani armati e i
funzionari palestinesi con cui hanno dovuto trattare.
I
funzionari cristiani e israeliani hanno sviluppato un "rapporto
fiduciario" durante le lunghe trattative, anche se rimane difficile
rendere pubblico questo fatto.
L'indignazione
per le azioni musulmane c'è, ma è ancora soffocata dalla paura di ritorsioni.
Il
problema è se non sia giunto il momento, per le autorità ecclesiastiche
responsabili, di interrompere la sceneggiata, visto che si è rivelata ben poco
efficace per portare sollievo ai cristiani che vivono a Betlemme e altrove
sotto l'autorità Palestinese.
Nonostante la fine dell'impasse, essi vivono
ancora con un fucile musulmano puntato alla testa. E Dio non voglia che il
prossimo impasse oscuri la porta del Santo Sepolcro.
David Parsons
capo
redattore del Dipartimento Notizie e Pubblicazioni
dell'Ambasciata
Cristiana Internazionale di Gerusalemme
dal
Jerusalem Post