Giornale del Popolo Edizione del 04/04/2002
PERSECUZIONI
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La drammatica testimonianza di un vescovo: "I
cristiani vengono crocifissi e poi assassinati"
I silenzi dell'Occidente uccidono il Sudan
Schiavitù,
minacce di morte, uccisioni, milioni di profughi. E il silenzio dei mass media
che tacciono sulla situazione della popolazione del Sudan, "venduta e
tradita dall'Occidente".
L'unica
voce che si alza è quella dei vescovi, che restano però inascoltati.
Thomas
Koetter, giornalista presso l'opera caritativa internazionale "Aiuto alla
Chiesa che soffre" ha incontrato nella sede di Könisgstein, in Germania,
monsignor Macram Max Gassis, vescovo di El Obeid, in Sudan, che ha raccontato
questa drammatica testimonianza.
Monsignor
Gassis, corrispondono a verità le informazioni sulla persecuzione dei cristiani
che ci giungono dal suo Paese?
"Purtroppo
sì. Le persecuzioni in Sudan avvengono sia per motivi religiosi che etnici. E
principalmente sono dirette alla popolazione africana, non solo a quella del
sud, ma a quella di tutto il Paese".
Si
sente anche parlare di schiavismo. "La schiavitù esiste davvero. I nostri
bambini vengono portati via a forza dai soldati islamici che devastano interi
villaggi, mettendo a ferro e a fuoco tutto quanto incontrano sul loro cammino e
si portano via i bambini con il tacito assenso del governo di Khartum. In
questa loro guerra che chiamano "santa" le persone vengono trattate
alle stregua di un bottino di guerra, del quale disporre come meglio si crede.
I
bambini vengono radunati come bestiame e come bestiame vengono marchiati perché
il loro "padroni" possano riconoscerli, nel caso venisse loro in
mente di fuggire. Per le ragazze il destino non è migliore.
Spesso
vengono strappate alle loro famiglie, violentate e messe in cinta dai loro
aguzzini.
Anche
l'infibulazione è un modo fisicamente e psicologicamente crudele attraverso cui
i fondamentalisti segnano le donne: "appartenete all'Islam, per questo
motivo occorre che sottostiate a questa pratica". Perfino il precedente
primo ministro sudanese Sadek al-Mahdi ha confermato queste terribili
realtà".
Nel
1999 fecero molto rumore anche in Occidente le minacce di crocifissione giunte
al sacerdote cattolico Hilary Boma. "Aiuto alla Chiesa che soffre" e
altre organizzazioni internazionali si mobilitarono allora con successo per la
sua liberazione.
Da
allora ha sentito di altre minacce di questo tipo all'indirizzo di sacerdoti
cattolici? "Uno dei miei catechisti fu minacciato dai fondamentalisti
arabi.
Gli
ingiunsero di convertirsi all'Islam e quando egli si rifiutò, dopo averlo
torturato, lo hanno crocifisso.
Sopravvisse
e continuò a lavorare come giudice di pace nel suo villaggio. Due mesi fa lo
hanno assassinato".
Anche lei subisce minacce e persecuzioni?
"Sì.
Il solo fatto che io adesso non possa stare nella mia diocesi, nella mia
Chiesa, in mezzo alla mia gente, mi fa capire quello che significa essere un
rifugiato.
Io
non soffro lo stesso tipo di persecuzione di gran parte del mio popolo, ma ho
chiara, dentro di me, la percezione di quello che esso sta subendo".
Perché
dinnanzi a tanto orrore il mondo tace? Perché nessuno alza la voce in favore di
queste vittime innocenti?
"I
motivi sono diversi. Da un lato il regime di Khartum è molto abile nel tenere
lontani i mass media dalla terribile realtà che il nostro Paese sta vivendo.
Inoltre, occorre anche dire che ai mass media interessa prevalentemente il
fatto sensazionale: a loro interessa il numero dei morti. Il conflitto in Sudan
raramente conosce picchi di sensazionali, si tratta di una violenza continua,
che si protrae nel tempo.
Dall'inizio
della guerra civile contiamo due milioni di morti e cinque milioni di profughi,
e nessuno ne parla.
Quando
il regime fece dipendere la fornitura di aiuti alimentari dal fatto che la
popolazione abdicasse alla propria religione, facendosi arabizzare e
islamizzare, i media hanno taciuto.
E
quando noi, vescovi cattolici, abbiamo lanciato un SOS per via della minaccia
di una carestia, la comunità internazionale non si è mossa. Quando poi decise
di intervenire, la carestia era ormai conclamata e la catastrofe si era già
consumata.
Dov'erano
i mass media in quella circostanza?
Perché
qualcosa si muova, occorre che la situazione in un Paese venga seguita nel
tempo.
La
tenacia con cui viene seguito il conflitto israelo-palestinese o a suo tempo
l'apartheid in Sudafrica, portano e hanno portato molto alle popolazioni
coinvolte. Perché una simile attenzione non è possibile anche per il
Sudan?"