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SONO RITORNATI I MARTIRI

   Giovanni Paolo II nella Tertio Millennio Adveniente (TMA) ha la parresia di dire che la fioritura del cristianesimo nel primo millennio si verifica non grazie a Costantino, bensì grazie alla seminagione dei martiri.

 

Nei secoli della cristianità i martiri sono ancora presenti agli estremi confini (i fines christianorum, nuove colonne d'Ercole) del mondo cristiano, e comunque rari nella chiesa occidentale, perché la morte in odium fidei è diventata quasi impossibile: chi odia la fede cristiana tra i potenti di un mondo cristiano?

 

   Dopo i martiri delle persecuzioni romane e quelli dell'evangelizzazione dei germani (non a caso ai "confini" della cristianità), dopo che il capetingio Roberto il Pio (+ 1031) avrà condannato per eresia e fatto bruciare vivi dodici canonici della cattedrale di Orléans, iniziando la storia dei roghi nella cristianità del secondo millennio, il martirio tornerà realtà concreta con Thomas Becket (+1170), ma proprio la rarità dell'evento procurerà un'enorme impressione e una perenne memoria nella cristianità.

  

Così la straordinarietà del martirio, la forma sanctitatis, passa al monachesimo, poi ai dottori, quindi a re e principi e infine a fondatori di iniziative filantropiche e assistenziali.

 

   Ma ecco che in questo nostro secolo, con la fine della cristianità, sono ritornati i martiri: abbiamo assistito e assistiamo a una nuova ondata di martiri quale non si era registrata a partire dal 4° secolo, che avviene, occorre confessarlo, in una grande trasparenza, senza ambiguità del segno. Il martirio ha di nuovo oggi la sua epifania tramite testimoni eloquenti, conosciuti, ma anche tramite "militi ignoti della grande causa di Dio".

 

Sì, "al termine del secondo millennio la chiesa è diventata nuovamente chiesa di martiri, e la testimonianza resa a Cristo sino allo spargimento di sangue è diventata patrimonio comune di cattolici, ortodossi, anglicani e protestanti…

 

L'ecumenismo dei santi, dei martiri è forse il più convincente. La communio sanctorum parla con voce più alta dei fattori di divisione" (TMA 37).

   Eccoci dunque a riflettere sul martirio oggi, epiphania crucis, in rapporto al martirio antico, e quindi a riflettere sulla portata ecumenica di questo dono rinnovato da Dio alle sue chiese.

 

MARTIRIO ANTICO E NUOVO: DINAMICA TEOLOGICA

 

   Nella storia della chiesa ci sono stati molti martiri e, di conseguenza, molti paradigmi di martirio, anche se di fatto è stato elaborato un "canone" per il discernimento del martirio e di chi lo ha vissuto.

 

La forma originaria del martirio, quale l'abbiamo conosciuta attraverso gli Acta martyrum, forma ispirata da Stefano nel N.T. e poi da Policarpo di Smirne, Ignazio di Antiochia e i martiri vittime dell'impero romano, ci ha reso epifanico il cristiano che, come miles Christi, soldato di Cristo, muore per il suo Signore, condividendone la passione di fronte al potere politico e alla polis pagana, fornendo una professione di fede pubblica, restando saldo e paziente durante l'esecuzione capitale.

 

Potremmo dire che il martirio antico trova il suo prototipo addirittura nella morte di Gesù come narrata da Luca, morte in croce che è spettacolo (theoria) per le folle che ritornano percuotendosi il petto (Lc 23,48).

  

Tommaso d'Aquino, che forzatamente legge il martirio soprattutto attraverso l'eredità della chiesa dei primi tre secoli, ha potuto così descriverlo fissandone la "forma": "Il martirio è un atto di virtù, comandato dalla carità, accompagnato dalla patientia, a causa, a motivo di Cristo, non solo quando si soffre per la fede in lui, ma anche quando si soffre per amore di Cristo e per un'opera di giustizia". Tommaso allarga e declina la formula di Agostino: "Martyres non facit poena sed causa", mettendo sempre in risalto la causa, connessa non solo alla fede evangelica, ma anche alla prassi evangelica.

   Ma indubbiamente quella forma martirii, che possiamo definire antica, anche se estesa da Tommaso ai secoli successivi, oggi non è più sufficiente per aiutarci nel discernimento. In un confronto tra l'esperienza del martiri del nostro secolo e quella forma antica noi registriamo alcune differenze.

  

1. Innanzitutto non sempre oggi la morte dei cristiani a causa della loro fede (in odium fidei) è stata decretata dai tribunali civili: vere e proprie persecuzioni "legali" contro la fede cristiana non sono state sancite, anche se in realtà sono avvenute, almeno durante le "cattività babilonesi" del nazismo e del bolscevismo.

 Non è stato richiesto di adorare altri dei, non è stata richiesta la proskynesis, il prostrarsi davanti agli idoli in modo chiaro e diretto.

 

   Insomma, il martirio del 20° secolo non ha avuto un carattere direttamente religioso, ma si è collocato sul medesimo piano su cui si colloca la fede cristiana: nella storia, nella prassi evangelica.

Per certi aspetti i martiri dei nostri giorni si avvicinano maggiormente ai testimoni che a partire dall'11° secolo la chiesa russa ha chiamato strastoterpcy ("coloro che hanno subito la passione" a causa di Cristo e del suo Evangelo): vittime di una morte violenta per non aver voluto rinunciare alla prassi dettata loro dall'Evangelo.

   

2. Inoltre, oggi il martirio è diventato sovente anonimo, evento che tocca non solo personaggi cristiani, testimoni eloquenti, ma sovente poveri cristiani quotidiani, "oscuri testimoni della speranza", come fr. Christian, il priore dei sette monaci trappisti uccisi in Algeria, aveva definito quanti li avevano preceduti nel dare la vita fino alla morte per quel popolo.

A costoro è negato il "tribunale" della pubblicitas, l'epifania della loro testimonianza coram populo et urbi; per loro solo raramente c'è la possibilità di redigere degli Acta martyrum.    

Eppure, a volte, la "notorietà" anche postuma di una vittima è occasione per fare memoria di tutti questi "martiri anonimi": "Vorrei che la mia chiesa… sapesse associare questa mia morte a tante altre ugualmente violente, lasciate nell'indifferenza dell'anonimato" (dal Testamento di fr. Christian).

 

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TESTIMONE DI CRISTO IN MEZZO AI SUOI FRATELLI

  

3. Quanto poi alla causa che fa il martire, il concetto di Tommaso ha trovato inveramenti impensabili per il teologo medievale. Un tempo infatti era la condotta religiosa in recto che poteva avere effetti politici giudicati nocivi dall'impero e dal potere tirannico, mentre oggi è la prassi in recto, politica - originata però dalla fede e dall'Evangelo - che è causa della condanna e della persecuzione.

   Non è d'altronde proprio questa novità che permette al martirio cristiano di avvenire nella compagnia degli uomini, in piena solidarietà con loro? Ad Auschwitz, a Buchenwald, nei gulag sovietici, nelle prigioni cinesi, il martirio cristiano è solo raramente passibile di narrazione dettagliata singola, ma noi oggi forse non siamo capaci di misurare cosa questo significhi a livello di solidarietà: i cristiani oggi sono nuovamente perseguitati e lo sono assieme ad altri uomini che fino a pochi secoli fa erano perseguitati proprio dai cristiani!

 

   Non è questo il luogo per ricordare la ricomprensione del martirio nella teologia occidentale, rilettura operata soprattutto da Karl Rahner alla fine degli anni '50, da Hans Urs von Balthasar alla fine degli anni '60 (quando nel suo ormai celebre "Cordula, ovvero il caso serio", definiva appunto il martirio come Ernstfall, "il caso serio" della fede cristiana), da Jürgen Moltmann e da Leonardo Boff alla fine degli anni '70: appare così il martire come uomo per gli altri, come semplice testimone di Cristo in mezzo ai suoi fratelli (come sta scritto sulla lapide della tomba di Dietrich Bonhoeffer).

 

   Mi preme comunque menzionare almeno Paul Ricoeur che ricorda come il martirio rappresenti la realizzazione più perfetta della testimonianza e inviti dunque a tener presente la causa nello spazio della caritas, della fides e della spes, delle virtù teologali, e quindi a collegare martirio a testimonianza di Dio e di Cristo!

 

   Il martirio è dunque, ieri come oggi, eloquentia fidei, ma anche eloquentia caritatis, eloquentia spei, capace di interpellare l'uomo di oggi: forse appare meno come "perfezione individuale" e più come espressione di una martyria ecclesiale, ma questo ne protenzia la qualità.

 

 4. Infine mi sembra di poter cogliere nel martirio di oggi non solo l'aspetto cristologico ed eucaristico, ma anche un aspetto escatologico ed apocalittico, perché il martire partecipa con tutto il suo essere ai dolori della fine del tempi predetti da Gesù: il martire anticipa questa fine per il suo tempo ed è capace con il suo sacrificio di essere giudizio non solo per il mondo ma anche per i cristiani e la chiesa pellegrinante. Sì, il martirio di ieri era per la chiesa dono, oggi più che mai è anche giudizio: proprio per questo non a caso la chiesa a volte fatica ad accogliere il dono.

 

Chi può negare che Bonhoeffer sia stato un giudizio per la chiesa luterana tedesca? E Romero per la chiesa cattolica in El Salvador?

 

Giudizio che Cristo ha indicato anche per la sua comunità di fede, quando ha denunciato la celebrazione postuma dei martiri e del loro sangue con sepolcri e tombe, un "onore" che cancella il carattere giudiziale della loro testimonianza per questo mondo.

 

LA PORTATA ECUMENICA DEL MARTIRIO OGGI

 

   È stato il Vaticano II, per i cattolici, ad aprire una strada per un'interpretazione del martire anche extra ecclesia romana, facendo emergere il valore universale della testimonianza di quei cristiani, anche non cattolici, che hanno effuso il sangue per Cristo: riconoscere il loro dono alla chiesa "è cosa giusta e salutare" (cf. LG 15; UR 4).

 

Tuttavia, dopo un rapido cenno di Paolo VI nell'omelia per la canonizzazione dei martiri ugandesi nel 1964, è stato Giovanni Paolo II a indicare "nell'ecumenismo dei santi e dei martiri l'ecumenismo più convincente… perché la communio sanctorum parla con voce più alta dei fattori di divisione" (TMA 37). Ed è in questa direzione che Giovanni Paolo II - in modo chiaro nella nota ai cardinali, in modo più attenuato nella TMA - ha chiesto di pensare a un martirologio ecumenico.

 

   Sì, come dimenticare i martiri cattolici del Giappone, quelli anglicani del Madagascar, quelli cattolici e anglicani dell'Uganda, l'arcivescovo ortodosso Vladimir e la monaca ortodossa mat' Marija, i protestanti Dietrich Bonhoeffer e Paul Schneider, la carmelitana Edith Stein, il vescovo cattolico Romero, quello anglicano Janani Luwum, i sette monaci trappisti in Algeria e le migliaia di martiri ortodossi e uniati dei regimi comunisti?

 

   Ecco allora un giudizio che il martirio opera sull'attuale prassi ecumenica tra chiese cristiane.

 

La sofferenza, la passione, la morte di testimoni ortodossi, cattolici ed evangelici sono un'epiclesi di unità affinché il mondo creda.

   Oggi i non credenti sono alla ricerca di una ragione di vita, cercano il senso del senso e attendono una risposta dai cristiani. È finita ormai, e non dobbiamo certo rammaricarcene, la stagione delle ragioni di morte dovuti agli idoli falsi della patria (bonum est pro patria mori), alle ideologie nazionaliste o totalitarie.

 

Ma se l'uomo non ha una ragione per cui vale la pena di morire, non ha neppure una ragione per cui vale la pena vivere. Ecco una risposta che i cristiani possono dare al mondo come vera evangelizzazione: il card. Etchegaray ha potuto dire che i sette trappisti e il vescovo Claverie di Orano con la loro morte "in pochi giorni hanno evangelizzato la Francia intera".

 

L'AUTENTICA EVANGELIZZAZIONE

 

   In quest'ora in cui viene enfatizzata una evangelizzazione o addirittura una "nuova" evangelizzazione, è giunto il momento di contemplare la theoria della croce, il martirio. Ecco l'autentica ed efficace evangelizzazione, fatta da uomini e donne di tutte le chiese, che mostrano che vale la pena di vivere e di morire per Cristo, il Signore e Salvatore, risorto e vincitore della morte per sempre.

   Un teologo ortodosso, Basilio Pseftongas indica il martirio come "teofania trinitaria".

 

Sì, se vogliamo narrare al mondo Dio, se vogliamo un'esegesi del Padre per i non cristiani, occorre il martirio, cioè la passione del Testimone fedele, avvenuta nella forza dello Spirito Santo, e quindi la passione dei testimoni somigliantissimi all'Amen eterno, il Testimone fedele e verace.

 

   Da molte testimonianze di martiri nelle carceri in Unione Sovietica e in Cina sappiamo che nella passione e nella morte il confessionalismo cede il passo alla confessione di fede: Gesù è Signore in una comunione profonda e a caro prezzo, quello del sangue.

 

Oscuri testimoni di una speranza che innalza a te le loro mani legate, i prigionieri della sofferenza nell'ombra hanno fame di libertà.

Da più lontano della genesi,i nostri corpi se ne vanno verso la tomba; ma al crogiuolo della promessa, la morte si trasforma in fuoco nuovo.

Lo Spirito d'amore riempie la terra in uno slancio misterioso; grida in noi: "Vieni al Padre! oltrepassa la morte, vedrai Dio".

ENZO BIANCHI

©MISSIONE OGGI

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NEL REGIME DI CRISTIANITÀ SCOMPARVE IL MARTIRIO

 

   Quando con Costantino il cristianesimo diventò cristianità e si ritrovò a essere cultura cristiana, civiltà cristiana, il martirio scomparve come quotidiana, contemporanea, reale memoria crucis nella storia cristiana.

 

   Ilario di Poitiers (+ 367), che vede ormai la chiesa non più contraddetta né osteggiata, ma omaggiata e apparentemente ascoltata, ritiene di dover così mettere in guardia i cristiani:

 

"Ora combattiamo contro un nemico insidioso, un nemico che lusinga… non ci flagella la schiena, ma ci accarezza il ventre; non ci confisca i beni (dandoci così la vita), ma ci arricchisce (dandoci così la morte); non ci spinge verso la libertà mettendoci in carcere, ma verso la schiavitù invitandoci e onorandoci nel palazzo; non ci percuote ai fianchi, ma prende possesso del cuore; non ci taglia la testa con la spada, ma ci uccide l'anima con il denaro, l'onore, il potere".

 

   Da allora, siamo nel 4° secolo, è stata la chiesa a usare la violenza e il potere, anziché subirli, contro i giudeocristiani prima, gli ebrei dopo e più tardi contro gli eretici e gli scismatici.