Intervista esclusiva con monsignor
Belo,
Nobel per la pace 1996
Storia di
un massacro
A colloquio con monsignor Carlos Filipe
Belo, Premio Nobel per la pace 1996, strenuo difensore delle popolazioni di
Timor Est contro le quali si accanisce,
con violenze e massacri, l'Indonesia.
di
Mario Conte (tratto dal Messaggero Nazionale)
Nel 1989, nel corso della sua visita
all'Indonesia, il papa fece tappa nell'isola di Timor.
Al suo arrivo all'aeroporto di Dili,
capitale di Timor Est, non baciò il suolo come fa di solito, ma una croce
appositamente posta su di un tappeto, quasi a significare che quello era un
territorio ancora in contestazione.
Ventuno anni fa, infatti, Timor Est venne
invaso dall'Indonesia con la tacita approvazione degli Stati Uniti,
dell'Australia, della Gran Bretagna e di altri paesi occidentali, che temevano
la presa del potere dei comunisti in quella parte dell'isola da poco diventata
indipendente dal Portogallo, e che certamente costituisce un punto strategico
nell'Oceano Pacifico.
Per molti anni il mondo si è completamente
disinteressato del destino di questo popolo, che nel frattempo viveva una
immane tragedia. In poco più di vent'anni oltre 200 mila persone (un quarto
della popolazione) hanno perso la vita non solo in combattimento, ma anche
vittime di un sistematico sterminio di interi villaggi e attraverso
l'occasionale uccisione soprattutto di donne e bambini da parte dei soldati
indonesiani, ben felici di giocare al tiro a bersaglio.
È ben documentato l'uso di inermi timoresi
come scudo umano contro l'avanzata dei guerriglieri, così pure la loro
uccisione gettandoli dagli aerei in volo; oppure la loro deportazione nei
cosiddetti "villaggi di risistemazione" (eufemismo per "campi di
concentramento") dove parecchie migliaia di persone hanno perso la vita.
Certamente il più grave incidente,
dall'occupazione indonesiana a oggi, è stato il sanguinoso massacro avvenuto il
12 novembre 1991 a Dili, nel cimitero di Santa Cruz.
In quel giorno, alla messa funebre in
memoria di un giovane ucciso dalle forze dell'ordine alcune settimane prima,
fece seguito una processione verso il cimitero dove la vittima era stata
sepolta.
Il corteo di circa duemila persone avanzava
in ordine dimostrando pacificamente contro l'invasore, quando improvvisamente
arrivò un contingente di militari che cominciò a far fuoco contro la folla
uccidendo, secondo le stime di Amnesty International, almeno 270 persone.
All'indomani del massacro i portavoce
dell'esercito dichiararono che erano state uccise solo diciannove persone,
sostenendo che l'esercito aveva dovuto rispondere al fuoco dei dimostranti per
difendersi.
Presentato in molte nazioni occidentali il
documentario televisivo Nel febbraio 1994 venne Death of a Nation girate
durante il massacro.
Per la prima volta, a un mondo incredulo
(Morte di una nazione), con molte immagini e ampiamente disinteressato, veniva
fatto vedere quello che veramente stava accadendo in Timor Est.
Il documentario non solo dimostrava che nel
cimitero di Santa Cruz c'era stato effettivamente un massacro, ma che ne era
seguito un altro nell'ospedale nel quale erano stati ricoverati i feriti.
Da allora la tensione si è un po'
allentata, ma la situazione di Timor Est rimane alquanto grave. Strenuo
difensore del suo popolo continua a essere il giovane e coraggioso monsignor
Carlos Filipe Ximenes Belo, vescovo di Dili. Amministratore apostolico dal 1983
- quando aveva solo trentacinque anni - monsignor Belo è il portavoce dei
diritti del suo popolo.
Lo scorso ottobre gli è stato conferito il
Nobel per la pace. Lo abbiamo intervistato nella sede vescovile di Dili.
L'intervista
Nel dicembre del 1975 le truppe indonesiane
hanno invaso il suo paese, con il pretesto di essere state invitate a
intervenire dalla fazione nazionalista di Timor Est, che temeva il nascere di
un governo comunista. Esisteva davvero questo pericolo?
Si è trattato chiaramente di un pretesto da
parte dell'Indonesia.
La situazione politico-sociale nel Sudest
asiatico in quegli anni era segnata dalla guerra fredda; però non vi era alcun
pericolo di un golpe da parte dei comunisti.
Ma volendo anche ammettere che ci fosse una
qualche lontana possibilità di presa del potere da parte dei comunisti,
l'Indonesia non aveva alcun diritto di invadere Timor Est.
Del
resto, lo stesso Sukarno, l'allora presidente dell'Indonesia, aveva più volte
affermato che il suo paese non aveva alcuna pretesa sulla nostra isola.
Dove si trovava,
eccellenza, al momento dell'invasione?
Dopo
gli anni di filosofia, per ordine dei miei superiori mi trovavo nella enclave
di Macao per la pratica pastorale.
Qual è stata la sua prima reazione alla
notizia dell'intervento armato indonesiano in Timor Est?
Una tristezza profonda; perché non ho avuto
dubbi che con l'invasione indonesiana l'indipendenza di questa parte dell'isola
sarebbe stata irrimediabilmente perduta.
L'organizzazione internazionale Amnesty
International ha denunciato l'esorbitante numero di 200 mila morti in Timor
Est, nel periodo che va dall'intervento armato indonesiano sino ai nostri
giorni, a causa della guerra, della fame e della carestia.
Se
si pensa che la popolazione di Timor Est non ha mai superato gli 800 mila
abitanti, si può aver un'idea della grande sofferenza che ha colpito il suo
popolo. Come mai i mass media internazionali non hanno dato molto rilievo a
questa grande tragedia?
Dal
1975 al 1985, la maggioranza degli indonesiani non sapeva granché
dell'intervento armato avvenuto in Timor Est semplicemente perché i loro mezzi
di comunicazione non li informava.
La stessa cosa succedeva per i mezzi di
comunicazione che provenivano dall'estero: tutto veniva controllato e casomai
censurato.
Quel poco che sapevano erano il pensiero e
gli orientamenti della politica governativa. Ma molti mass media internazionali
hanno preferito passare sotto silenzio i tragici avvenimenti di Timor.
Perché? Certamente i
governi delle grandi potenze sapevano...
Ma certo che ne erano a conoscenza. Anzi,
ne erano anche conniventi. Prima dell'intervento militare, l'Indonesia aveva senza
dubbio informato l'America e l'Australia delle sue intenzioni, e si suppone che
abbia anche ottenuto la benedizione dal presidente Gerald Ford e dal segretario
di stato Henry Kissinger.
Prova
ne sia che nel 1977, quando gli americani sono entrati a far parte del Catholic
Relief Service, non hanno mai fatto obiezioni sulla questione di Timor Est e si
sono ben guardati dal fare qualsiasi tipo di denuncia.
Crede
che si volesse far di tutto per non creare un "caso" Timor Est?
Certo. Un esempio? Nei mesi di gennaio e
febbraio del 1976 è venuto nell'isola il rappresentate del segretario generale
dell'Onu, era di origine italiana e si chiamava Guicciardi. Nel rapporto
conclusivo del suo sopralluogo ha scritto che la vita nell'isola di Timor era
rientrata nella normalità e non esistevano motivi di preoccupazione.
Si sente parlare con una certa regolarità
di disordini, violenze e vittime in Timor Est. Quali sono le cause?
La ragione principale è certamente quella
politica. Con l'annessione l'Indonesia chiede l'integrazione di Timor Est con
il resto della nazione. La maggioranza dei timoresi vuole, invece, un
referendum per l'indipendenza. Soprattutto i giovani rischiano scontri con la
polizia, prigione e anche la morte per il diritto fondamentale all'autodeterminazione.
Devo
dire, però, che non mancano quelli che opterebbero volentieri per una
annessione all'Indonesia. Le due tendenze, essendo radicali, portano a
dimostrazioni, scontri, retate della polizia, arresti, torture...
A sua conoscenza, esistono ancora molte
persone in carcere? Quanti i prigionieri politici?
È difficile farne un conto esatto. Ci sono
arresti compiuti dalla polizia, dall'esercito, dai servizi segreti... Ognuno di
loro ha i propri sistemi e i propri locali per gli interrogatori e la
detenzione. Ogni tanto sparisce qualcuno...
Ci troviamo, quindi, di fronte al fenomeno
dei desaparecidos anche a Timor Est come nel Sud e nel Centroamerica?
Certamente.
Timor Est è quasi al 90 per cento
cattolica.
È difficile parlare di Dio e di amore del
prossimo oggi, nel suo paese, in una situazione in cui violenza, povertà e
ingiustizia sono all'ordine del giorno?
È
molto difficile.
Noi certo preghiamo per ottenere e offrire
il perdono per le offese date e ricevute. Preghiamo per i nostri nemici... Ma
spesso la gente - soprattutto i giovani - mi chiedono come sia possibile
perdonare coloro che hanno ucciso i genitori, i fratelli... Con sincerità devo
dire che questo è il nostro dramma di oggi...
Ma il vangelo è troppo chiaro su questo
punto, e noi dobbiamo seguirlo per aver pace e far parte di coloro che sono
dichiarati beati nelle persecuzioni.
Monsignore, più volte si è fatto il suo nome
per il Nobel della Pace. Recentemente in Canada le è stato conferito il premio
"John Humphrey" per la libertà e per la promozione dei diritti umani.
Il 16 maggio di quest'anno, inoltre, le è
stato conferito a Roma il premio "Oscar Romero". Su quali punti si è
principalmente impegnato nella difesa del suo popolo?
Noi pastori della comunità cristiana siamo
stati preposti per l'aiuto e la difesa della gente.
Se non ci opponiamo a coloro che per motivi di etnia, di cultura o
di interesse nazionalista usano violenza al nostro popolo, noi manchiamo a un
nostro preciso dovere, perché permettiamo che la chiesa di Cristo in questi
luoghi si impoverisca o muoia.
Se vogliamo la chiesa viva, dobbiamo difendere il popolo, perché
la chiesa è il popolo, il popolo è la chiesa.
C'è, poi, il problema della dignità umana:
ogni essere umano, uomo o donna, è stato creato a immagine e somiglianza di
Dio, pertanto non può essere trattato come una bestia.
Inoltre non possiamo mai abdicare a un altro
diritto fondamentale di un popolo:
l'autodeterminazione, il poter esprimere il
proprio parere su di una scelta di fondo della sua vita e della sua storia.
Secondo lei, l'autodeterminazione
non potrà mai avvenire in Timor Est?
Finché avremo un governo di militari e
dittatori questo non potrà avvenire.
Monsignore, ha mai
dovuto temere per la sua vita?
Certamente. Ma sono convinto che si muore
una sola vota, e possibilmente per rendere la vita degli altri migliore.
Eppoi
sono 250 mila le persone di Timor Est che hanno sacrificato la loro vita.