il guardarobe ricchezza e libertà nominare le differenze io, te, noi mi sento più me stessa.. la madre, l'amore, i soldi L'eredità delle donne - home page ...mandaci un email

Elena Gianini Belotti, Dalla parte delle bambine. L'influenza dei condizionamenti sociali nella formazione del ruolo femminile nei primi anni di vita
Milano, Feltrinelli, 1975, 196 p.

Elena Gianini Belotti è nata e vissuta a Roma, dove tuttora risiede. Dal 1960, cioè dalla sua istituzione, dirige il Centro Nascita Montessori di Roma, unico nel suo genere in Italia, dove si preparano psicologicamente e praticamente le gestanti al compito di madri rispettose delle individualità del bambino. Da molti anni insegna alle allieve della stessa Scuola Assistenti Infanzia Montessori, che si è trasformata in Istituto Professionale statale nel 1960. Collabora inoltre a diverse riviste specializzate.

Il libro, pubblicato nel 1973 in prima edizione, si colloca alla fine del periodo rivoluzionario del Sessantotto, ma in pieno clima di lotte femministe. A tale data, il problema delle diversità tra maschi e femmine e delle conseguenti difficoltà di inserimento di entrambi i sessi nella società è materia di dibattito quanto mai attuale.
Nel testo l'autrice affronta la differenza di carattere tradizionalmente attribuita a maschi e femmine, partendo da una diretta ed attenta osservazione della bambina/o fin dalla nascita. Analizza inoltre il comportamento degli adulti nei suoi riguardi, il rapporto che con lei/lui questi stabiliscono man mano che cresce passando da un'età all'altra, il tipo di richieste che le/gli vengono rivolte, come queste vengano poste: le aspettative di cui viene caricato il fatto di appartenere ad un sesso o all'altro.
Ecco la descrizione che Gianini Belotti fa di questi piccolo esseri ingrembiulati e delicati ai quali viene negato il diritto alla diversità, tranne quell'unica - forzata, obbligatoria ed inesorabile - rappresentata, dai ruoli sessuali.


Nessuno può dire quante energie, quante qualità vadano distrutte nel processo di immissione forzata dei bambini di ambo i sessi negli schemi maschile-femminile così come sono concepiti nella nostra cultura, nessuno ci saprà mai dire che cosa sarebbe potuta diventare una bambina se non avesse trovato sul cammino del suo sviluppo tanti insormontabili ostacoli posti lì esclusivamente a causa del suo sesso. (p. 9)

E se per il bambino adeguarsi alle aspettative sociali rappresenta l'accettazione di un disciplinamento della propria emotività e l'adesione ad un modello di aggressività, che pur costandogli fatica alla fine verrà ricompensanto in quanto gli permetterà di accedere al mondo privilegiato dei maschi e di allontanarsi dallo svalutato mondo femminile, la realtà della bambina è diversa.
La bambina fin dalla nascita non è considerata persona: la sua vita è in realtà la lunga marcia che famiglia, scuola, istituzioni compiono per farle accettare fino in fondo il suo ruolo di subordinata.

Sono queste strutture psicologiche che portano la persona di sesso femminile a vivere con senso di colpa ogni suo tentativo di inserirsi nel mondo produttivo, a sentirsi fallita come donna se vi aderisce e a sentirsi fallita come individuo se invece sceglie di realizzarsi come donna. (p. 9)

Già il primo rapporto con la madre, l'allattamento (momento fondamentale non solo come sostentamento e piacere orale ma anche come momento di accettazione) può essere per la bambina drammatico e frustante: "Le bambine vengono svezzate in genere molto prima dei maschi poiché la madre sembra trarre scarso piacere dall'allattarle e sembra non ritenerlo indispensabile per il buon esito della loro crescita" (p. 30).
In questo modo la bambina sperimenta per la prima volta la non accettazione di sé da parte degli altri e di conseguenza anche da parte di se stessa.
L'autrice analizza con grande puntualità anche tutta una serie di pregiudizi - alcuni tuttora frequenti - che accompagnano la gestazione e la nascita di una femmina: questa macchia il viso della madre, il travaglio del parto si suppone più doloroso a causa della sua debolezza nelle spinte, è più lamentosa e capricciosa del maschio e, di conseguenza si preferisce imporle un ritmo più sostenuto al seno. Badando bene, però, nel frattempo che vi si accosti con "grazia femmnile", senza avidità, pena l'ostracismo della madre. Persino il momento della pulizia soggiace a condizionamenti non scritti, ma imperiosi: da subito comincia a fare capolino quel senso del pudore che deve essere coltivato nella femmina e che pare, invece, del tutto insignificante in un maschietto.

Spinta da ogni parte, rifiutata, osteggiata, punita se non aderisce al modello ideale, combattuta tra la spinta all'identificazione con la madre e le sue esuberanti energie che comunque non sono affatto spente, ma che urgono in lei e reclamano uno sbocco, la bambina ingaggia una dura battaglia con se stessa e con gli altri, battaglia confusa e contraddittoria, nella quale energie preziosissime andranno sterilmente perdute. (p.55)

E questo perché la bambina deve adeguarsi al modello delle madri che, portatrice della legge del padre, non può che trasmettere modelli pedagogici culturali che lei stessa a sua volta ha ricevuto e dei quali è stata, ed è ancora, vittima.
Ma la discriminazione della bambina non finisce nell'ambito della famiglia: essa continua ed aumenta nella scuola, dove l'insegnante (donna, di solito, ma esecutrice dei programmi ministeriali redatti secondo una precisa ottica maschile) la pone presto al servizio dei maschi attraverso la proposta dei consueti modelli di maschio attivo, aggressivo e dominatore e di femmina passiva, remissiva e subordinata. Nella famiglia prima e nella scuola poi "le donne hanno distrutto la propria creatività, hanno nascosto e mutilato la propria intelligenza, si sono immeserite nella ripetizione quotidiana di meschine faccende, autodistruggendosi per il "piacere" di porsi al servizio del maschio" (p. 178). Poco a poco, sulla falsariga di questa educazione repressiva, bambine ipertoniche, curiose, intraprendenti, intelligenti, finiscono con lo spegnersi: i loro giocattoli sono meno creativi, l'ordine maniacale che si pretende da loro (costante e servile esempio per i maschietti turbolenti) sembra fatto apposta per limitarne l'autonomo sviluppo e condurle in una dipendenza culturale che connoterà il loro ingresso nella vita adulta.
Secondo l'autrice, per uscire da questo vicolo cieco occorre intraprendere un processo di sviluppo della creatività, intesa come sensibilità e indipendenza individuale, ossia come capacità di porsi in modo autonomo ed articolato sia a livello critico che progettuale nel contesto socio-culturale in cui si è inseriti. Solo su questa base può nascere la "donna nuova", capace di costruire un'identità sostanzialmente più umana e articolata, di svilupparsi nel modo che gli è più congeniale, indipendentemente dal sesso cui appartiene.
Best-seller negli anni Settanta, questo libro è da considerarsi come testimonianza di un momento di lotte e di crescita del movimento femminista.
Oggi può risultare in parte superata per le conquiste che le donne in generale hanno ottenuto nel corso di quest'ultimo ventennio, prendendo coscienza di trovarsi nel grande ingranaggio del patriarcato. Senza questa presa di coscienza non è possibile ribaltare il tipo di educazione che l'autrice condanna, perché operazione da compiere, che riguarda tutti, ma soprattutto le donne, poiché ad esse è affidata l'educazione dei bambini sia nella famiglia che nella scuola, "non è quella di tentare di formare le bambine ad immagine e somiglianza dei maschi, ma di restituire ad ogni individuo che nasce la possibilità di svilupparsi nel modo che gli è più congeniale, indipendentemente dal sesso cui appartiene". (p. 179)
(Sandra Scarlatti e Dora Tropea)