Fine della fine

 

 

La caratteristica di un'architettura "non classica" è la sua libertà da scopi e fini a priori. La fine del classico significa anche la fine del mito della fine come un effetto carico di valore del progresso o della direzione della storia.

Con la fine della fine, quello che era il processo di composizione o trasformazione cessa di essere una strategia casuale, un processo di aggiunte o eliminazioni. Il processo diventa di "modificazione", non dialettico, non direzionale, non orientato verso un scopo.

Il problema è di distinguere i testi dalle rappresentazioni, di rendere l'idea che ciò che si vede, l'oggetto materiale, è un testo piuttosto che una serie di immagini. Ciò suggerisce l'idea di un architettura come scrittura in opposizione ad un'architettura come immagine. Ciò che viene scritto non è l'oggetto stesso, la sua massa, il suo volume, ma l'atto di ammassare. Quest' idea dà un corpo metaforico all'atto dell'architettura.

Un architettura non classica coinvolge l'idea di un lettore conscio della propria identità, piuttosto che di un utente osservatore. Tale lettore non ha idee preconcette di come l'architettura dovrebbe essere; nè l'architettura non classica aspira a rendere se stessa comprensibile attraverso questi preconcetti. La competenza del lettore (di architettura) si può definire come la capacità di distinguere un senso di conoscenza da un senso di credenza. Questa nuova competenza viene dalla capacità di leggere per sè, di saper leggere e, più importante, di saper come leggere (ma non necessariamente decodificare) l'architettura come testo.

In questa situazione, il linguaggio non è più un codice per assegnare dei significati. L'attività di lettuta è innanzi tutto e soprattutto il riconoscimento di qualche cosa come linguaggio. Pertanto la fine degli inizi e delle fini di valore propone un altro spazio di invenzione eterno: eterno nel presente senza una relazione determinata rispetto a un futuro ideale o a un passato idealizzato.