poèmes  

 

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Lenta e con grazia s’increspa

per onde pure gravi ma di bianco

e sgualcisce il velo e confonde

il tuo viso soffuso come luce notturna

Carcassa semplice di carne a un gancio

appesa il tuo corpo

che odora di sangue

marcio

sudicio

e

voci fuori campo

di rame

seccata

 

d’un tratto sembrano cantare

 

tutt’intorno al cilindro

 

quasi sembrano apparire

esile la ruggine

e di carne con carne cibarsi

e flettersi a rubare

che carne divora

chi carne divora

 

 

 

 

Genuflesso davanti al tuo corpo nudo

di voci flebili nutrirmi sento

 

          appena

 

                                              un poco

 

il bisogno.

 

 


 

 

 

Mi chinai su fremiti e vagiti

e per pensieri infantili attraversai i tuoi occhi

d’angusto e lunare anfratto

                           la luce

 

Vidi e avvertii il curvarsi

di cilindri e d’un fumo duttile

il plasmarsi orgoglioso

sotto gli occhi, tuoi

ed oltre e ancora

arricciarsi gentile e commovente

le modanature del viso seguire

 

"VELENO! VELENO!"

 

chiamò la sposa e svenne

chinando il capo e dal suo grembo

nacquero cigni ceruli e tulipani

nacque Amore e distrusse i carri

danzando radioso timbrò di luce

filari d’uva e lembi di carne

e fieno e pane di grano figlio

Freccia azzurra, cielo

 

Oh giardino di rose bianche

 

Selvatica è la figlia della sposa

intona poesie e canzoni d’altri tempi

Sento osservare il passo, mio, volgare

ed io l’amerò, per averla tradita

l’amerò come solo

si può amare una rosa.

 

 

 


 

 

Ele ele elè T T rico

manda me m’ascolti?

ACCUSI

merà d’un re vigliose

SOLE

carezze              E         non lasciarmi

SOLO

intendo dico non con me

SOLO

E
SOLE

carezze labbra accidia

 

uccidi

prego

ama

me

come una viola che ha bisogno di luce

 

 

 


 

 

 

 

Legermente

tumiai

all’apice del torbido

confine

s’accavalla e stringe almeno

a se le briglie

chi

    ma chi

           di chi

                  ed a chi

va strisciando

sterrata la foglia, la bava, la bruma

Questa è la nebbia,

Questa è la nebbia!

urlava sì gelida

e le mani inarcava, gravi

metalliche e magre

 

 

Saluti.

 

 


 

 

 

La poesia è povera d’idee

non è altro che d’un cammino

e neanche senza ipocriti e falsi e blasfemi

strali

il passo

inerte, festoso e bugiardo

Ma di questo son fatto

di questo mi consolo e annego,

illudo.

Al largo incedere del verso

il passo

concedo e ammicco

non per altro

se non vanità

Se non di vanità e per vanità

ti amo

s’è per altro o d’altra ragione

lascio vagare, allora

mento.

 

début


 

 

 

 

Vedi,

ancora lontano e non torno

intatto

nell’anima

Vorresti, amore

lasciarmi e nudo tenermi

immobile

          nascosto

                    avvizzito?

Vengono

alle loro estati

nuotando teneri

i nostri amori

velati, asciutti

leniti e nuovi.

Tornerai.

Io non avrò

violentato albe

l’ebbrezza

nutre tempeste

innocenti nuvole antiche volge al languore

e navigo teso.

 

 

 

 

Io non avrò violentato albe

l’esperienzanote timide

in noi ascolta

Verrò a lei.

e non tu il nostro amore

vedrai astratto levigarsi estraneo

né tacere inetto, né annegare,

vivere.

Attendo

lucida e notturna

toccarti intatta

nell’amore

 

 

 

 


 

 

 

 

Vorrei la morte in abiti azzurri

che t’accarezzasse la pelle striata

sul dorso e interna, pareti liquide

e molli, plastiche spargere non più intorno

che d’una spina ricurva la notte.

Vorrei la morte in cintura bianca

strizzare la vita e farne sputare fuliggine

che come stipata sul fondo riposa

tra la cera che fluisce e cola

e i suoi pensieri scarnifica.

E tu che arrivi silente

tra le linee arcuate del nome

tuo farò fremere ferri ansimanti

screanzati

sbuffanti

ansiosi

feroci

e partire e fermare e viaggiare

e ancora

 

 

 

Lontano

quasi oltre il fieno dormiente della collina

oltre, o quasi, l’arancio sparso e le pietre

ad una ad una posate

a ricamare orizzonti soffusi.

Lontano

oltre, quasi l’intendere

il significante

l’attimo

ché non adesso puoi

andare via dolente, selvaggia, folle

non adesso puoi

selvatica sui petali

d’un fiore scorrere

rugiada che scivola sei

e lontano ho portato

la tua tristezza a sciogliersi

che adesso non potresti

ruvida e sensuale

senz’avidi di notti essere

come siamo stati noi.

Oltre o quasi il suo vestito terso

quasi ed oltre il suo cuoio scuro

portami d’amore vasi colmi e d’eleganza

tu che vieni e lasci partire

tu che vieni e lasci danzare

Sfogliami le estati

come faresti con le dita d’una mano

a contare le rughe del cielo

Spogliami da questi

vestiti di sole

e coprimi di notti

coprimi di buio

coprimi di stelle

coprimi di stupide incertezze

in un calco di gesso versami il tuo viso

che io lo possa consumare di voci

Sfogliami le estati

come faresti con veli di luce

vestimi di cose fatte di nulla

vestimi d’ombra

non adesso puoi

lasciare che aspetti i suoi occhi voraci

i suoi occhi puliti

i suoi anelli scuri

i suoi coltelli

vestimi d’aria e scioglimi

di calore

di sguardi

di labbra mai sottili

mai più.

sottili.

 

 

 


 

 

 

Stolta.

la vaga e l’incerta

sicurezza del fiato

m’abbatte sul corpo

ragioni intrise d’alibi e scuse

Deviando lo scorrere ai fiumi

l’aria che ne nacque si sciolse

in bagagli collosi

in fumate boriose

e crebbe soltanto la fame di vento.

Si spense nella storia

d’un minuto e ingrata

storpia quasi alle porte del bosco

la luce

Dal fiume sembrò

evaporare una scala di schiuma

e interminabili gli occhi poeti della terra

fermi a guardare

mentre salivo

divelto dal sonno dall’ansia d’uno strazio

Ed il male nell’anima

attendevo venire

inconsueto nei panni di messo terreno

oscuro, incapace, torbido e sicuro

sporco nella mente sì molle, un dardo

nel petto dell’Africa fitto

in palizzate eterne, gabbie per le lune

le mie vene vomiteranno comete

e scarti, meteore, brandelli

schegge di luna!

schegge di luna!

Annegate nel liquido scuro celeste,

se solo m’incideste i polsi

se solo scalfiste la pelle, mia

da crateri argentati solcata.

E la terra mi vide salire

e piegare i pioli di spuma

lattiginosi sotto i miei piedi

la vita stretta, leccarmi le ferite

silenzioso brunire nel sole che uccidevo.

E la terra mi vide salire

e sfidare a colpi

di leggerezza le forze

gravitazionali. Sbadigli,

sbadigli leziosi rividi un istante,

affogando nel sogno

nostalgie che amai

come tremando.

Poi l’onda ricadde velata,

solida quasi, dietro il fogliame

umido d’odore.

Non io con lei

ché a un bagliore diafano m’ero aggrappato

in un dondolare ebbro di dolore

nel diagramma razionale

né sferico e né, da prismi ardenti curato,

indicibile e né

da matematiche crociere sorretto,

atroce,

né fugace.

Ma limpido e d’infinito tremulo mai

se non in raggi rosei incurvati

nel peso ridicolo d’un inetto.

Amai talvolta parlare di nulla

Amai talvolta parlare d’amore

Amerò ancora

slittare cieco sul ghiaccio rigato

tradire infame le promesse

stillare fragili lune malate confuse al sangue e ancora

nei palmi sentire la pelle bruciare

squamata da linee affilate

che crederò forse la tela

d’un ragno striato da sguardi paralleli

ed io la preda

da divorare e ingenua

ed io la preda

che invoca pietà

bassa, lasciva

ubriaca di vertigini

di debolezza.

 

 

 


 

 

 

Sai che dovresti

essere sempre bagnata di mare

e ubriaca di sale o di vino

parlare solo di semplicità

ridere sciocca per niente

e tenermi negli occhi

tenermi negli occhi

Al mattino poi non ti ascolterò

svegliare ma ti

penseròseduta ancora sulla barca di legno a

cantare sporca di sale e bagnata divino

ubriaca di mare

ubriaca di mare

Rotonda

come le luci dietro ad altri profili

altre linee chiuse che non sei tu.

 

 

Avrai soffitti di aghi di carne verde

Avrai colonne d’una pelle antica e liscia

un nastro d’asfalto per le tue stanze

e melodie larghe dal respiro calmo

 

 

Abiterò le tue sopracciglia

come il nome d’una via che scende

per lastre

di pietra

e scalze

 

 

le donne salutano i ritagli d’azzurro

con mani grevi e asciutte

 

ma non tu

 

le donne ai santi si sposano

con mani luminose di peccato

 

ma non tu

 

 

 

 

 

 

 

tu le voci della strada che salgono

segui

le stoffe ombrate gonfie di vento

segui

la polvere che in mille raggi s’apre

di stelle

segui

lascia che io

in timidi rossori

avvolga il tuo sguardo

nell’ultima foglia venata

conservi

il riso soffocato e stanco

tuo che t’asciughi alla notte

nell’estate

fluida tra le dita

 

 

 


 

 

 

 

Camuffate

da emozioni

si spandono

nella notte braci ardenti di peccato

ed io

 

 

 

 

 

l’aspiro.

 

 

 

 

début


 

 

 

Sei nel vento caldo della terza decade

a palmi aperti dischiudi il passo

in cerchi sghembi e seccati dal sole

sterile che non produce ma nutre e perfeziona

E con la cattiveria d’un amante

calpesto e sotterro gli usignoli

perché hanno ali più fresche delle mie

ma non il colore della fiamma che consuma

E garofani

d’India e di rose

ghirlande damaschine

e di fiori

altri su altri ed altri

ancora

gelsomini di Spagna

cesti di prugne e di pere

noci e mandorle mature

le nostre corone appassiranno presto

e di molti mali sarò la ragione

Molesto

 

 

sarò, come un dono del mare

ma tu, la mia sabbia, lo sai

ci sono dolori più che pietre minute

e allora di pietre, per te

costruirò Architetture ritmate di neve

mai fredde di sole

mai calde d’amore

solamente Scolpite Plasmate Forgiate per te

Alessandra è una voce

che chiede d’amarti

e con la dolcezza d’un amante

dissotterro e curo usignoli malati

perché abbiano ancora

ali più fresche di me

ma non candide

 

come le tue.

 

 

 


 

 

 

 

La mia vocale era uno scivolo

d’argento arcuato ed ora

è il profumo del Lido

dell’Aquila

del Margine Rosso

che d’avorio mi veste la mano destra

il mio scudo

di paglia

aveva una placca

di ceramica

bianca

Ora è un ciondolo

nella valigia

che preparo

prima

d’andare

Lasciami dunque, Lasciami ora, prima che pianga

prima che

non riesca a parlare

se non per consonanti

L S S N D R

 

Ti chiamerò ancora t’urlerò lontano l’ansia

regalerò la fantasia

l’irruenza

mentre è in viaggio già che mi fa ombra

il bastone maturo con cui mi ucciderai

Mi lascerò

morire

Mi lascerò

passare

T’ascolterò solo recitare, sbrogliare il gomitolo

delle preghiere

la litania più grumosa

Ascolterò

il tuo colpire sordo

il tuo colpire cieco

il mio guardarti

guardare

Lasciami dunque, Lasciami ora, prima che pianga

prima che riesca

solo a parlare

Ancora avvezzo all’attitudine antica

ad amarti,

AlessAndrA

 


 

 

Nulla è più vero

e nulla più falso di te

La spirale che disegni

intorno al punto più rischioso

non è altro che un cigno biondo

che saluta.

Passo la mano.

Sarò asciutto

e leggero, profondo

o riflessivo -se preferisci-

Colpirò solo al centro

Asciutto Asciutto Asciutto

Tre scivoli per te

come i giorni che non t’ho amata,

ma solo voluta.

 

 


 

 

 

 

non credo tu sia o saresti stata

ma so che avrei potuto

riempire le rughe del suo viso d’erba merlettata

e del torpore le bolle piccole del vino diluire molle

gli occhi suoi di tartaruga fluidi e scivolosi

per le vertigini e milioni di cose che sciamano ronzando

lunghe e noiose sul nastro cartaceo e ruvido

le mie cosce gonfie di rugiada e gli uccelli sul tappeto

hanno mogli vanitose con occhi di scacchiera

la mossa è d’incrociarti

contromossa:

fuggo l’arroganza infantile del tuo sguardo

d’incrociarti i nervi uno per uno

così fresca è stata l’estate

dietro la balaustra in ferro

bianco e battuto e infuocato

muori nel saluto che non fai, nell’incontro distratto

delle guance e incrocio solo la notte nei tuoi occhi

che non trovo e mi travesto

da elefante e incalzo e chiedo e non mi scuso

peso.

macero il profumo bianco del tuo collo esile

nell’argilla che non ha forma

sono l’alchimista del tuo consumare, di te che trasformi,

tu che t’inarchi e risvegli il fragile

l’architetto della tua figura.

macero il sapore delle tue ciglia che socchiudi

nel frantoio che spreme boschi d’ulivi interi di natura

nauseante, sì contorta e viola

le sue le tue e le nostre macchie pulisco

sono il servo delle mie ragioni

il contadino che non coltiva, ma ti raccoglie.

macero la tua carne e sfrangio tra le lenzuola i silenzi

nel mosto che non matura se l’autunno appassisce ramato

e la botte non scoppia e non trasuda

semmai marcisce e cruda scolora e assorbe il legno

evapora il vino in umidità salate di fieno

la cantina ammutolisce

ché silenziosa la carne conficca bagliori in foglie dorate

lungo pareti ed oltre le porte e la notte.

riposa adesso, amore

amore stupito, amore ignaro

quasi mi pento per il sonno che baratto col tuo nome

e queste voci, voci solo e fastidiose

nella notte che sorvolo

 

 

 


 

 

 

 

ho sognato solo amori splendidi ed oscuri

è vero: anche morti atroci e lacrime

                                  per noi.

ma non è stato forse così naturale

e semplice

            perverso

                         delicato

bruno nei pensieri

                     dolci

 

 

INFINITO?

 

 

scusa.

 

 

doveva essere una poesia d’amore

fatta d’immagini che ti sbranassero il cuore e ficcassero

chiodi nell’iride azzurra che liquida scolora

T’in

    cam

        min

            itin

               cam

                    min

                         imai

 

dentro di noi.

 

Goccia a Goccia

bucati gli occhi t’annegherei

                             di te

t’affogherei

                             in te.

 

scusa.

 

 

doveva essere una poesia d’amore

ed io penso a chi prega

a chi piscia addosso a chi

si dichiara colpevole

a chi ho perso

a chi ho avuto

a chi non avrò

a chi non avrei

comunque avuto e tu.................................................

                                          chi sei?

Voglio dire, soffoco la melodia

ma non tendo ancora l’orecchio?

mi salvo con l’indifferenza

ma mi salvo?

Mi sto salvando?

Voglio dire

 

 

chi sei?

 

 

per l’olio steso a spessore sulla tela

per le tempere fatte d’uovo

per il balcone deserto e le ombre lunghe

della sera che muore, su Roma

per la tua saliva

che su tutto scorre e avvolge

 

forse per le sigarette che si consumano

forse per ogni sguardo che incroci

ogni frase che mastichi nell’ansia

ogni bocca che catturi e che ti ama?

 

Forse per te?

 

Ma per te cosa?

 

Per te distruggo?

 

 

sacrifico getto al macero trascuro

mortifico rubo fingo suppongo

giudico indico conservo

non reagisco

 

trasfiguro il silenzio

nel suo surrogato incolume e segreto

nell’intimo sgretolo le tue certezze

che ho predetto innocenti innocue certezze

 

Nascondo il silenzio

nel suo grembo più dolce e sicuro

si chiama timore e riposa

nella curva calda e venata

della mia musica

 

Non ti parlo.

Ti canto.

 

 

début


 

 

 

Dei

sulla collina

Impasto di salive

graziose e gravide

sulfuree

Sudicio il sudore e sublime

il tuo odore che non amo

ché nulla amo ma il tuo sapore

Nulla amo ma il tuo sapore

succhio e disperdo

nell’aria in polveri ambrate

gli spasmi

macilenti dell’intimità

crude le tue labbra e le dita che incrocio e sfioro

tra questi pesi fragili non di carta o di spugna

ma brace nitida che urta la notte

per lo squarcio argentino la riva

piccola e consumo densità amare che fuggi

ma non le mie mani che temi.

 

 


 

 

 

 

 

le notti insonni

d’aprile e di maggio

between your arms I feel so cruel

apart my distance from the sky

my stormy fashion sky

di vetro nella stanza di cartone

allineo albe tra le bolle d’olio

apart my distance from the light

trapassa in raggi tiepidi le mie caviglie

e i loro buchi di piedi gonfi

nel nome che porto sdrucito

e stinto che galleggia

impunito nel piatto d’orzo e miele

un carro d’antracite sul crinale

delle nuvole rade

Il sultano che chiamo principe saluta

nella cecità del nostro amore

il mio vizio acido e tossico

Non respiro.

lontano dalla mia

distanza dalle stelle

e nei tuoi litri d’imprudenza

la sua morte apparve magra e lieve

 

innominata

innocente

innocua

Pregna d’oblio stantia e drogata

trapasso sferico le ore di sapone

in vesti lanose e gaie

scagliato sorridente contro il laterizio acquoso

agiato sulla pietra

sotto lo sguardo assente che regalo

Comprami

e

Svendimi

il mercato è sotto casa

 

 

 


 

 

 

 

Mi vivi come una stanza di cera

come

un melo roso dai vermi come

un’arancia

sola

e nutriente

Vivimi come una lacrima che ti carezza il viso

 

 

 


 

 

 

 

 

Copro d’aggettivi e avverbi

cose inutili nel mulinello calvo

tra la sporcizia d’una mollezza intatta

tra l’eleganza e la tenerezza

del tuo grembiule secco di fango

m’accorgo tardi

din - dos - sa REANCHE bricio

leunvantoantico, di bellezza mite

 

 

dicevo,

briciole d’un amore sommesso

e nascosto, eppure d’un istinto fatto

di fragole rosse

accanito

per la carne che addosso sento pesare

nella fugacità che stringo

m’allacci e nel cuoio mi stiro, gelido mascherone.

T’annacquo, come col vino scegliesti

rosata e non rossa t’aspetto

berti nella cena estiva

intatta non potrei

generosa e non frugale

mangiarti

Il corpo sul corpo ed il fiato sul respiro

accarezzo

sul viso d’essere avvolto

indugio

per le sagome non lisce che attraverso

forme che sfiorite disegnano chiarori

sulla schiena che gonfia annuso

sul fradiciume che copro e attingo

dalla tua bocca

parole che non pronunci

cibi che mastichi

baci che non schiudi

Rubo con i soldi in tasca

ma lei lascio che mi strappi

palpebre e passati

per l’eleganza, la tenerezza

per il motivo stesso

per cui l’amo

 

 

 


 

 

 

 

 

 

Quando

dico che evaporo,

espiro

nudo sul ciglio del cielo

Nacht und Nebel

soffio tendendo gli occhi alle luci

che emana l’orizzonte crine di voli

alieni e lontananze siderali

meccaniche acute e strabiche

stride il mio sorriso col fuoco

la mia pelle di cristallo a frantumarsi

ad involversi e gonfiare

cumuli d’ordine nero

Prossimo al non volere

mi scaglio feroce ed egoista

sui resti d’un ansietà efficace

m’infatuo del me stesso che muore

dell’io che scolora

e migra avanti alle rondini

per traiettorie fisiche e non

d’anime pregne.

M’intrattengo col sogno

disilluso alterno al riposo il torpore

M’interrogo severo e non nutro risposte

non produco questioni o cagioni

ma pulso nel bollore

e nel mattino volgo lo sguardo

chino sulla notte che perfora altri mari

altre valli altre sfere

imperturbabile

eternamente

al fosforo impiastrato

come un tumore idraulico e balsamico

d’ala gelida e gracile

 

 

 

 


 

 

 

 

 

 

 

Lo squilibrio e la disobbedienza

sono stabili quanto fremiti

giovani e clienti

giovani Donne che sollevano

Donne che deridono

e donne che nascono

tra le florescienze minime

del campo o le mute

tinte del crogiolo fatuo

colmo di bestie

che masse d’involucri cavi

riempie d’ulcere buone.

Abbiamo imparato a sfuggirci cinici

e nel sarcasmo d’una fuga

paradossalmente riposo.

Ti seguo.

Faremo l’amore in lontananze

cicliche o su zattere

che non

galleggiano, né affondano,

 

esistono.

La disperazione filtra i miei amori,

il bisogno i miei slanci.

Nel vuoto, prego

                                 - Io -

strangolo d’abbracci

                                 - Io -

la mia lingua che creola

e compita t’annega

                                 - Io -

in sofferenze

asciutte,

soffocate nell’arco angelico

del tuo viso.

 

 

 

 


 

 

Quando ti amo

ti sto mangiando

poco a poco

finirai

NON DI RESPIRARE

E NON

DI

ESSERE

ESISTERE

DIVENIRE

ma semplicemente

CONSUMATA

 


 

 

 

 

I USED TO BE MYSELF I USED TO BE MYSELF I USED TO BE MYSELF I USED TO BE

Nell’entropia

e nell’abbandono

MISUROILDISORDINEEDELLEVENE

TUELAPORTATA

NON SONO UN POETA

tantomeno

il

tuo

MA

MOLECOLE

fresche e dondolanti e azzurre

come il tuo vestito

                    Molecole.                                                       Null’altro

mi ritma

 

I USED TO BE MYSELF I USED TO BE MYSELF I USED TO BE MYSELF I USED TO BE

 

 


 

 

Mi colse tra i rifiuti

e sull’inesplicato si fermò.

Si volse e m’accolse

non affranta

ma rispose:

Tristano chiese ai figli

i fiori

del gelso acerbi

sulla punta d’un pugnale

che sfibra morbido le tue corazze

e dell’allodole di cui conosci

il canto, riconobbe l’ombra

Si volse, m’accolse

non astuta

ma trascinò

- mistero -

scostante recise il frutto

intorno al taglio ferite, nuvole, bruciori.

Gelida ancora?

 

lascio

tra i rifiuti

a morire

i pensieri

Agonizzo,

ma sento respirare diatono l’odio

e stupisco.

Solo per il bisogno d’essere schiacciato

solo

d’atomi scuri e vaghi

materie e d’odori fatto

al bisturi Macchiadigelso

dono

il petto

e la mia trazione organica,

questa macchina che sputa

ed aspira

linfa per vene sature:

IL CUORE

con te s’arresta se l’argine temi

il limite del dire,

col sonno che attraversa

anche questi stracci

che chiamo palpebre

ancora e sempre

con presunzione.

 

 

début


 

 

 

 

superfluo

superfluo

superfluo sento

dessere ed essere

tutto

superfluo

 

 

 

Sono una primavera.

Entasi ridicole,

fianchi larghi,

 

 

udite:

OBBEDISCO

 

Sincronie uccise, penosamente eluse

robotiche fra laghi ultimi

oppure scuri, un principio (e ritmico)

fugace limpido uniforme

 

OPPRESSO

 

 

Saline e notti tenere

orfane

Danziamo ?

 

esili

siamo soli e ricchi

estenuanti

e dobbiamo

evaporare, sparse

stelle

essere ridicoli e 

tragici

 

 

Unico, tra tutti, ostacolo

 

Sono una primavera.

e rifletto fantasie levanti.

udite:

ONDEGGIO

 

 


 

Nuoti l’oceano

e sine vox

 

nel bagnare vitreo il tuo rossore

il mare non ti sfiora,

tu lo voli.

début       

 


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