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Lenta e con grazia s’increspa per onde pure gravi ma di bianco e sgualcisce il velo e confonde il tuo viso soffuso come luce notturna Carcassa semplice di carne a un gancio appesa il tuo corpo che odora di sangue
voci fuori campo
d’un tratto sembrano cantare
quasi sembrano apparire
e di carne con carne cibarsi e flettersi a rubare
Genuflesso davanti al tuo corpo nudo di voci flebili nutrirmi sento
appena
un poco
il bisogno.
Mi chinai su fremiti e vagiti e per pensieri infantili attraversai i tuoi occhi d’angusto e lunare anfratto la luce
Vidi e avvertii il curvarsi di cilindri e d’un fumo duttile il plasmarsi orgoglioso sotto gli occhi, tuoi ed oltre e ancora arricciarsi gentile e commovente le modanature del viso seguire
" VELENO! VELENO!"
chiamò la sposa e svenne chinando il capo e dal suo grembo nacquero cigni ceruli e tulipani nacque Amore e distrusse i carri danzando radioso timbrò di luce filari d’uva e lembi di carne e fieno e pane di grano figlio Freccia azzurra, cielo
Oh giardino di rose bianche
Selvatica è la figlia della sposa intona poesie e canzoni d’altri tempi Sento osservare il passo, mio, volgare ed io l’amerò, per averla tradita l’amerò come solo si può amare una rosa.
Ele ele elè T T ricomanda me m’ascolti? ACCUSI merà d’un re vigliose SOLE carezze E non lasciarmiSOLO intendo dico non con me SOLO E carezze labbra accidia
uccidi prego ama me come una viola che ha bisogno di luce
Legermente tumiai all’apice del torbido confine s’accavalla e stringe almeno a se le briglie chi ma chi di chi ed a chi va strisciando sterrata la foglia, la bava, la bruma Questa è la nebbia, Questa è la nebbia! urlava sì gelida e le mani inarcava, gravi metalliche e magre
Saluti.
La poesia è povera d’idee non è altro che d’un cammino e neanche senza ipocriti e falsi e blasfemi strali il passo inerte, festoso e bugiardo Ma di questo son fatto di questo mi consolo e annego, illudo. Al largo incedere del verso il passo concedo e ammicco
Se non di vanità e per vanità ti amo s’è per altro o d’altra ragione lascio vagare, allora mento.
Vedi, ancora lontano e non torno intatto nell’anima Vorresti, amore lasciarmi e nudo tenermi immobile nascosto avvizzito? Vengono alle loro estati nuotando teneri i nostri amori velati, asciutti leniti e nuovi. Tornerai. Io non avrò violentato albe
nuvole antiche volge al languore e navigo teso.
Io non avrò violentato albe
Verrò a lei. e non tu il nostro amore vedrai astratto levigarsi estraneo né tacere inetto, né annegare, vivere. Attendo lucida e notturna toccarti intatta nell’amore
Vorrei la morte in abiti azzurri che t’accarezzasse la pelle striata sul dorso e interna, pareti liquide e molli, plastiche spargere non più intorno che d’una spina ricurva la notte. Vorrei la morte in cintura bianca strizzare la vita e farne sputare fuliggine che come stipata sul fondo riposa tra la cera che fluisce e cola e i suoi pensieri scarnifica. E tu che arrivi silente tra le linee arcuate del nome tuo farò fremere ferri ansimanti screanzati sbuffanti ansiosi feroci e partire e fermare e viaggiare e ancora
Lontano quasi oltre il fieno dormiente della collina oltre, o quasi, l’arancio sparso e le pietre ad una ad una posate a ricamare orizzonti soffusi. Lontano oltre, quasi l’intendere il significante l’attimo ché non adesso puoi andare via dolente, selvaggia, folle non adesso puoi selvatica sui petali d’un fiore scorrere rugiada che scivola sei e lontano ho portato la tua tristezza a sciogliersi che adesso non potresti ruvida e sensuale senz’avidi di notti essere come siamo stati noi. Oltre o quasi il suo vestito terso quasi ed oltre il suo cuoio scuro portami d’amore vasi colmi e d’eleganza tu che vieni e lasci partire tu che vieni e lasci danzare Sfogliami le estati come faresti con le dita d’una mano a contare le rughe del cielo Spogliami da questi vestiti di sole e coprimi di notti coprimi di buio coprimi di stelle coprimi di stupide incertezze in un calco di gesso versami il tuo viso che io lo possa consumare di voci Sfogliami le estati come faresti con veli di luce vestimi di cose fatte di nulla vestimi d’ombra non adesso puoi lasciare che aspetti i suoi occhi voraci i suoi occhi puliti i suoi anelli scuri i suoi coltelli vestimi d’aria e scioglimi di calore di sguardi di labbra mai sottili mai più. sottili.
Stolta. la vaga e l’incerta sicurezza del fiato m’abbatte sul corpo ragioni intrise d’alibi e scuse Deviando lo scorrere ai fiumi l’aria che ne nacque si sciolse in bagagli collosi in fumate boriose e crebbe soltanto la fame di vento. Si spense nella storia d’un minuto e ingrata storpia quasi alle porte del bosco l a luceDal fiume sembrò evaporare una scala di schiuma e interminabili gli occhi poeti della terra fermi a guardare mentre salivo divelto dal sonno dall’ansia d’uno strazio Ed il male nell’anima attendevo venire inconsueto nei panni di messo terreno oscuro, incapace, torbido e sicuro sporco nella mente sì molle, un dardo nel petto dell’Africa fitto in palizzate eterne, gabbie per le lune le mie vene vomiteranno comete e scarti, meteore, brandelli schegge di luna! schegge di luna! Annegate nel liquido scuro celeste, se solo m’incideste i polsi se solo scalfiste la pelle, mia da crateri argentati solcata. E la terra mi vide salire e piegare i pioli di spuma lattiginosi sotto i miei piedi la vita stretta, leccarmi le ferite silenzioso brunire nel sole che uccidevo. E la terra mi vide salire e sfidare a colpi di leggerezza le forze gravitazionali. Sbadigli, sbadigli leziosi rividi un istante, affogando nel sogno nostalgie che amai come tremando. Poi l’onda ricadde velata, solida quasi, dietro il fogliame umido d’odore. Non io con lei ché a un bagliore diafano m’ero aggrappato in un dondolare ebbro di dolore nel diagramma razionale né sferico e né, da prismi ardenti curato, indicibile e né da matematiche crociere sorretto, atroce, né fugace. Ma limpido e d’infinito tremulo mai se non in raggi rosei incurvati nel peso ridicolo d’un inetto. Amai talvolta parlare di nulla Amai talvolta parlare d’amore Amerò ancora slittare cieco sul ghiaccio rigato tradire infame le promesse stillare fragili lune malate confuse al sangue e ancora nei palmi sentire la pelle bruciare squamata da linee affilate che crederò forse la tela d’un ragno striato da sguardi paralleli ed io la preda da divorare e ingenua ed io la preda che invoca pietà bassa, lasciva ubriaca di vertigini di debolezza.
Sai che dovresti essere sempre bagnata di mare e ubriaca di sale o di vino parlare solo di semplicità ridere sciocca per niente e tenermi negli occhi tenermi negli occhi Al mattino poi non ti ascolterò ma ti seduta ancora sulla barca di legno a sporca di sale e bagnata divino di mare di mare Rotonda come le luci dietro ad altri profili che non sei tu.
Avrai soffitti di aghi di carne verde Avrai colonne d’una pelle antica e liscia un nastro d’asfalto per le tue stanze e melodie larghe dal respiro calmo
Abiterò le tue sopracciglia come il nome d’una via che scende per lastre di pietra e scalze
le donne salutano i ritagli d’azzurro con mani grevi e asciutte
ma non tu
le donne ai santi si sposano con mani luminose di peccato
ma non tu
tu le voci della strada che salgono segui le stoffe ombrate gonfie di vento segui la polvere che in mille raggi s’apre di stelle segui lascia che io in timidi rossori avvolga il tuo sguardo nell’ultima foglia venata conservi il riso soffocato e stanco tuo che t’asciughi alla notte nell’estate fluida tra le dita
Camuffate da emozioni si spandono nella notte braci ardenti di peccato ed io
l’aspiro.
Sei nel vento caldo della terza decade a palmi aperti dischiudi il passo in cerchi sghembi e seccati dal sole sterile che non produce ma nutre e perfeziona E con la cattiveria d’un amante calpesto e sotterro gli usignoli perché hanno ali più fresche delle mie ma non il colore della fiamma che consuma E garofani d’India e di rose ghirlande damaschine e di fiori altri su altri ed altri ancora gelsomini di Spagna cesti di prugne e di pere noci e mandorle mature le nostre corone appassiranno presto e di molti mali sarò la ragione Molesto
sarò, come un dono del mare ma tu, la mia sabbia, lo sai ci sono dolori più che pietre minute e allora di pietre, per te costruirò Architetture ritmate di neve di sole d’amore solamente Scolpite Plasmate Forgiate per te Alessandra è una voce che chiede d’amarti e con la dolcezza d’un amante dissotterro e curo usignoli malati perché abbiano ancora ali più fresche di me ma non candide
come le tue.
La mia vocale era uno scivolo d’argento arcuato ed ora è il profumo del Lido dell’Aquila del Margine Rosso che d’avorio mi veste la mano destra il mio scudo di paglia aveva una placca di ceramica bianca Ora è un ciondolo nella valigia che preparo prima d’andare Lasciami dunque, Lasciami ora, prima che pianga prima che non riesca a parlare se non per consonanti L S S N D R
Ti chiamerò ancora t’urlerò lontano l’ansia regalerò la fantasia l’irruenza mentre è in viaggio già che mi fa ombra il bastone maturo con cui mi ucciderai Mi lascerò morire Mi lascerò passare T’ascolterò solo recitare, sbrogliare il gomitolo delle preghiere la litania più grumosa Ascolterò il tuo colpire sordo il tuo colpire cieco il mio guardarti guardare Lasciami dunque, Lasciami ora, prima che pianga prima che riesca solo a parlare Ancora avvezzo all’attitudine antica ad amarti, AlessAndrA
Nulla è più vero e nulla più falso di te La spirale che disegni intorno al punto più rischioso non è altro che un cigno biondo che saluta. Passo la mano. Sarò asciutto e leggero, profondo o riflessivo -se preferisci- Colpirò solo al centro Asciutto Asciutto Asciutto Tre scivoli per te come i giorni che non t’ho amata, ma solo voluta.
non credo tu sia o saresti stata ma so che avrei potuto riempire le rughe del suo viso d’erba merlettata e del torpore le bolle piccole del vino diluire molle gli occhi suoi di tartaruga fluidi e scivolosi per le vertigini e milioni di cose che sciamano ronzando lunghe e noiose sul nastro cartaceo e ruvido le mie cosce gonfie di rugiada e gli uccelli sul tappeto hanno mogli vanitose con occhi di scacchiera la mossa è d’incrociarti contromossa: fuggo l’arroganza infantile del tuo sguardo d’incrociarti i nervi uno per uno così fresca è stata l’estate dietro la balaustra in ferro bianco e battuto e infuocato muori nel saluto che non fai, nell’incontro distratto delle guance e incrocio solo la notte nei tuoi occhi che non trovo e mi travesto da elefante e incalzo e chiedo e non mi scuso peso. macero il profumo bianco del tuo collo esile nell’argilla che non ha forma sono l’alchimista del tuo consumare, di te che trasformi, tu che t’inarchi e risvegli il fragile l’architetto della tua figura. macero il sapore delle tue ciglia che socchiudi nel frantoio che spreme boschi d’ulivi interi di natura nauseante, sì contorta e viola le sue le tue e le nostre macchie pulisco sono il servo delle mie ragioni il contadino che non coltiva, ma ti raccoglie. macero la tua carne e sfrangio tra le lenzuola i silenzi nel mosto che non matura se l’autunno appassisce ramato e la botte non scoppia e non trasuda semmai marcisce e cruda scolora e assorbe il legno evapora il vino in umidità salate di fieno la cantina ammutolisce ché silenziosa la carne conficca bagliori in foglie dorate lungo pareti ed oltre le porte e la notte. riposa adesso, amore amore stupito, amore ignaro quasi mi pento per il sonno che baratto col tuo nome e queste voci, voci solo e fastidiose nella notte che sorvolo
ho sognato solo amori splendidi ed oscuri è vero: anche morti atroci e lacrime per noi. ma non è stato forse così naturale e semplice perverso delicato bruno nei pensieri dolci
INFINITO?
scusa.
doveva essere una poesia d’amore f atta d’immagini che ti sbranassero il cuore e ficcasserochiodi nell’iride azzurra che liquida scolora T’in cam min itin cam min imai
dentro di noi.
Goccia a Goccia bucati gli occhi t’annegherei di te t’affogherei in te.
scusa.
doveva essere una poesia d’amore ed io penso a chi prega a chi piscia addosso a chi si dichiara colpevole a chi ho perso a chi ho avuto a chi non avrò a chi non avrei comunque avuto e tu................................................. chi sei? Voglio dire, soffoco la melodia
mi salvo con l’indifferenza
Mi sto salvando? Voglio dire
chi sei?
per l’olio steso a spessore sulla tela per le tempere fatte d’uovo per il balcone deserto e le ombre lunghe della sera che muore, su Roma per la tua saliva che su tutto scorre e avvolge
forse per le sigarette che si consumano forse per ogni sguardo che incroci ogni frase che mastichi nell’ansia ogni bocca che catturi e che ti ama?
Forse per te?
Ma per te cosa?
Per te distruggo?
sacrifico getto al macero trascuro mortifico rubo fingo suppongo giudico indico conservo
trasfiguro il silenzio nel suo surrogato incolume e segreto nell’intimo sgretolo le tue certezze che ho predetto innocenti innocue certezze
Nascondo il silenzio nel suo grembo più dolce e sicuro si chiama timore e riposa nella curva calda e venata della mia musica
Non ti parlo. Ti canto.
Dei sulla collina Impasto di salive graziose e gravide sulfuree Sudicio il sudore e sublime il tuo odore che non amo ché nulla amo ma il tuo sapore Nulla amo ma il tuo sapore succhio e disperdo nell’aria in polveri ambrate gli spasmi macilenti dell’intimità crude le tue labbra e le dita che incrocio e sfioro tra questi pesi fragili non di carta o di spugna ma brace nitida che urta la notte per lo squarcio argentino la riva piccola e consumo densità amare che fuggi ma non le mie mani che temi.
le notti insonni d’aprile e di maggio between your arms I feel so cruel apart my distance from the sky my stormy fashion sky di vetro nella stanza di cartone allineo albe tra le bolle d’olio apart my distance from the light trapassa in raggi tiepidi le mie caviglie e i loro buchi di piedi gonfi nel nome che porto sdrucito e stinto che galleggia impunito nel piatto d’orzo e miele un carro d’antracite sul crinale delle nuvole rade Il sultano che chiamo principe saluta nella cecità del nostro amore il mio vizio acido e tossico Non respiro. lontano dalla mia distanza dalle stelle e nei tuoi litri d’imprudenza la sua morte apparve magra e lieve
innominata innocente innocua Pregna d’oblio stantia e drogata trapasso sferico le ore di sapone in vesti lanose e gaie scagliato sorridente contro il laterizio acquoso agiato sulla pietra sotto lo sguardo assente che regalo Comprami e Svendimi il mercato è sotto casa
Mi vivi come una stanza di cera come un melo roso dai vermi come un’arancia sola e nutriente Vivimi come una lacrima che ti carezza il viso
Copro d’aggettivi e avverbi cose inutili nel mulinello calvo tra la sporcizia d’una mollezza intatta tra l’eleganza e la tenerezza del tuo grembiule secco di fango m’accorgo tardi din - dos - sa REANCHE bricio leunvantoantico, di bellezza mite
dicevo, briciole d’un amore sommesso e nascosto, eppure d’un istinto fatto di fragole rosse accanito per la carne che addosso sento pesare nella fugacità che stringo m’allacci e nel cuoio mi stiro, gelido mascherone. T’annacquo, come col vino scegliesti rosata e non rossa t’aspetto berti nella cena estiva intatta non potrei generosa e non frugale mangiarti Il corpo sul corpo ed il fiato sul respiro accarezzo sul viso d’essere avvolto indugio per le sagome non lisce che attraverso forme che sfiorite disegnano chiarori sulla schiena che gonfia annuso sul fradiciume che copro e attingo dalla tua bocca parole che non pronunci cibi che mastichi baci che non schiudi Rubo con i soldi in tasca ma lei lascio che mi strappi palpebre e passati per l’eleganza, la tenerezza per il motivo stesso per cui l’amo
Quando dico che evaporo, espiro nudo sul ciglio del cielo Nacht und Nebel soffio tendendo gli occhi alle luci che emana l’orizzonte crine di voli alieni e lontananze siderali meccaniche acute e strabiche stride il mio sorriso col fuoco la mia pelle di cristallo a frantumarsi ad involversi e gonfiare cumuli d’ordine nero Prossimo al non volere mi scaglio feroce ed egoista sui resti d’un ansietà efficace m’infatuo del me stesso che muore dell’io che scolora e migra avanti alle rondini per traiettorie fisiche e non d’anime pregne. M’intrattengo col sogno disilluso alterno al riposo il torpore M’interrogo severo e non nutro risposte non produco questioni o cagioni ma pulso nel bollore e nel mattino volgo lo sguardo chino sulla notte che perfora altri mari altre valli altre sfere imperturbabile eternamente al fosforo impiastrato come un tumore idraulico e balsamico d’ala gelida e gracile
Lo squilibrio e la disobbedienza sono stabili quanto fremiti e clienti Donne che sollevano Donne che deridono e donne che nascono tra le florescienze minime del campo o le mute tinte del crogiolo fatuo colmo di bestie che masse d’involucri cavi riempie d’ulcere buone. Abbiamo imparato a sfuggirci cinici e nel sarcasmo d’una fuga paradossalmente riposo. Ti seguo. Faremo l’amore in lontananze cicliche o su zattere che non galleggiano, né affondano,
esistono. La disperazione filtra i miei amori, il bisogno i miei slanci. Nel vuoto, prego - Io - strangolo d’abbracci - Io - la mia lingua che creola e compita t’annega - Io - in sofferenze asciutte, soffocate nell’arco angelico del tuo viso.
Quando ti amo ti sto mangiando poco a poco finirai NON DI RESPIRARE E NON DI ESSERE ESISTERE DIVENIRE ma semplicemente CONSUMATA
I USED TO BE MYSELF I USED TO BE MYSELF I USED TO BE MYSELF I USED TO BE Nell’entropia e nell’abbandono MISUROILDISORDINEEDELLEVENE TUELAPORTATA NON SONO UN POETA tantomeno il tuo MA MO LECOLEfresche e dondolanti e azzurre come il tuo vestito Molecole. Null’altro mi ritma
I USED TO BE MYSELF I USED TO BE MYSELF I USED TO BE MYSELF I USED TO BE
Mi colse tra i rifiuti e sull’inesplicato si fermò. Si volse e m’accolse non affranta ma rispose: Tristano chiese ai figli i fiori del gelso acerbi sulla punta d’un pugnale che sfibra morbido le tue corazze e dell’allodole di cui conosci il canto, riconobbe l’ombra Si volse, m’accolse non astuta ma trascinò - mistero - scostante recise il frutto intorno al taglio ferite, nuvole, bruciori. Gelida ancora?
lascio tra i rifiuti a morire i pensieri Agonizzo, ma sento respirare diatono l’odio e stupisco. Solo per il bisogno d’essere schiacciato solo d’atomi scuri e vaghi materie e d’odori fatto al bisturi Macchiadigelso dono il petto e la mia trazione organica, questa macchina che sputa ed aspira linfa per vene sature: IL CUORE con te s’arresta se l’argine temi il limite del dire, col sonno che attraversa anche questi stracci che chiamo palpebre ancora e sempre con presunzione.
superfluo superfluo superfluo sento d ’essere ed esseretutto superfluo
S ono una primavera.Entasi ridicole, fianchi larghi,
udite: OBBEDISCO
Sincronie uccise, penosamente eluse robotiche fra laghi ultimi oppure scuri, un principio (e ritmico) fugace limpido uniforme
OPPRESSO
Saline e notti tenere orfane Danziamo ?
esili siamo soli e ricchi estenuanti e dobbiamo evaporare, sparse stelle essere ridicoli e tragici
Unico, tra tutti, ostacolo
S ono una primavera.e rifletto fantasie levanti. udite: ONDEGGIO
N uoti l’oceanoe sine vox
nel bagnare vitreo il tuo rossore il mare non ti sfiora, tu lo voli.
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