Il libro, che esce con il titolo di Speculum. L'altra
donna, si rivela un vero successo editoriale e ottiene grande risonanza
di critica.
Il pensiero femminista italiano di
quegli anni, forte della consapevolezza di non voler aderire ad una logica
paritaria avendo posto la differenza tra uomo e donna come positiva ed irriducibile
(cioè non complementare, speculare, simmetrica) è infatti il più consono a
recepire il messaggio di Irigaray. Anche i contatti che si erano creati nei
primi anni Settanta tra le italiane e il gruppo parigino Politique et psychanalyse
contribuiscono a creare una ricezione attenta e matura di un testo come Speculum
che privilegia nella sua architettura narrativa lo strumento psicoanalitico.
L'uscita di Speculum segna per l'autrice una svolta fondamentale nei
suoi rapporti con la lacaniana Ecole Freudienne di cui faceva parte. Una commissione
scelta da Lacan sospende infatti Irigaray dall'insegnamento che teneva nel
dipartimento di psicoanalisi a Vincennes, presso l'Università di Parigi VIII.
Ha continuato comunque a vivere de sa plume e attualmente è direttrice
di ricerca in filosofia al Centre National de la Recherche Scientifique. I
suoi numerosi articoli e lavori spaziano con competenza nel campo psicoanalitico,
filosofico, antropologico, linguistico. Nonostante la frattura con l'Ecole,
resta importante il suo legame con il pensiero di Lacan che, fondendo linguistica
e strutturalismo, aveva dato una nuova interpretazione della psicoanalisi
classica, intensificandone alcune tesi. Ed è a questa versione psicoanalitica
che l'autrice fa riferimento quando affronta in Speculum la rilettura critica
di Freud, distaccandosi tuttavia dalla posizione del maestro.
Nell'area anglosassone anche Juliet Mitchell nel 1974, contemporaneamente
all'uscita di Speculum, propone nel testo Psicoanalisi e femminismo
un ritorno a Freud, sostenendo quanto sia pericoloso per il movimento delle
donne respingerne l'opera. Mitchell si lascia però sedurre dal discorso freudiano
che, a suo avviso, si limiterebbe ad analizzare la società patriarcale, mentre
Irigaray ne mette in questione la presunta neutralità scientifica, mostrando
quanto l'analisi descrittiva sia prescritta.
La duplice formazione di Irigaray come psicoanalista e filosofa (ha compiuto
i suoi studi all'Università di Lovanio e all'Institut de Psychologie di Parigi)
genera una tessitura narrativa non propriamente riconducibile né all'una né
all'altra, producendo a livello testuale continue sovrapposizioni, intrecci,
rimandi che scavalcano audacemente i confini disciplinari. Lo stile di Speculum
si trova in stretta parentela con il metodo di decostruzione di Derrida. La
"diffèrance" radicale evocata dal filosofo francese viene immediatamente
letta da Irigaray come differenza sessuale, originaria ed irriducibile. Del
decostruttivismo Irigaray utilizza così la tattica, le strategie, la capacità
di far giocare a più livelli i sensi delle parole. La sua pagina conserva
la bellezza lucida data dalla spregiudicatezza grafica con cui vengono alzate
maiuscole, usate parentesi, virgolette, puntini e punti interiettivi. Le interposizioni
nel corpo di testo e di parola giocate sui suoni linguistici, prestandosi
in questo il francese con più facilità, producono così omofonie e parafonie
che comportano anche la loro quasi impossibile traduzione in lingue non romanze.
Accademicamente inusuale è anche la scelta di Irigaray di riportare talvolta
senza virgolette le citazioni, che si trovano quindi interrotte da una raffica
di domande e mescolate in una festa di scritture che rompe la mono-tonia del
discorso.
La questione non è quella di proporre un'ennesima teoria sulla "donna", ma
di rendere significativa la differenza femminile in un linguaggio che si è
ordinato secondo un'economia rigorosamente monosessuata.
Come se psicoanalizzasse Freud e i filosofi, la scrittura di Irigaray procede
ritmata da continue fomande per ascoltare non solo il discorso manifesto,
ma anche quanto è taciuto, sprofondato nel silenzio delle rimozioni. Abbandonando
ogni ermeneutica codificata, la parola non è interrogata da un al di là di
essa, né il senso va raddoppiato o rovesciato, piuttosto viene fatto esplodere,
tracimare: "Allora, perché non rinforzare, fino all'esasperazione,
il malinteso? Fino a quando l'orecchio non si sarà abituato ad un'altra musica"
(p. 138).
La lettura di Speculum richiede una dedizione particolare; non sempre
è facile seguirne le erudite peripezie sintattiche e semantiche. Ma quello
che può sembrare un ostacolo è invece il fascino di una scrittura sperimentale
che non esige tanto di essere compresa, afferrata, quanto di aprire nuovi
immaginari, affinchè la differenza sessuale abbia luogo nel linguaggio: "forse
al di là della superficie speculare che sostiene il discorso, si annuncia
non il vuoto del nulla, ma l'intenso bagliore d'una speleologia dalle mille
sfaccettature" (p. 139).
Speculum si articola secondo una triplice divisione. La prima parte
è dedicata all'analisi dell'ultima produzione freudiana sulla femminilità,
come luogo privilegiato del discorso che, proprio nel suo rivolgersi all'enigma
del femminile, rende palese una "sistematica il cui
senso si regola su paradigmi ed unità di valore determinati da soggetti maschili"
(p. 17). La teoria freudiana si muove inconsapevolmente -come recita il titolo
della prima sezione di Speculum- all'interno di un antico, quanto ininterpretato,
sogno si simmetria. La morfologia del piacere femminile viene definita da
una metretica maschile che proiettivamente decide quali zone debbano essere
definite erogene per la bambina-ometto. La scoperta da parte della piccola
della propria "castrazione" e di quella di tutto il genere femminile, la rinuncia
al piacere clitorideo, il desiderio dia vere un bambino-pene dal padre, il
complesso edipico irrisolto e tutte le altre varie tappe del "diventar donna",
descritto da Freud dipendono per Irigaray dall'ostinata incapacità maschile
ad ammettere una sessualità diversa: "Come tutto
ciò che riguarda il desiderio femminile, clitoride e maternità hanno ricevuto
un significato sulla base di autorappresentazioni della sessualità (detta)
"maschile" (p. 215). La sessualità femminile rappresenta così il
rovescio speculare, il negativo di quella maschile: "In
Freud la differenza sessuale si risolve in un più o meno d'un sesso: il pene"
(p.46).
I termini psicoanalitici impiegati per descrivere la sessualità della donna
-come "invidia", "mancanza", "difetto", "gelosia" - sono conseguenza di un
ordine fallocentrico che necessita del sostegno femmnile per ribadire il proprio
narcisismo. L'invidia del pene riflette così per Irigaray, nell'inversione
data dallo specchio, l'immagine avvalorata dell'uomo rassicurandone le angosce
di castrazione.
Lontana dal voler dare una definizione nominale della donna, Irigaray esplora
le figure con cui la psicoanalisi l'ha mascherata, per far emergere quanto
del suo desiderio ne sia rimasto impigliato. E, acome Alice, si addentra negli
specchi.
L'indicazione più preziosa proviene ad Irigaray dalla descrizione freudiana
del rapporto tra madre e figlia. Nel momento in cui Freud, non senza stupore
ed inquietudine, riconosce la particolare tonalità affettiva che lega la bambina
alla madre, per Irigaray la teoria si è già predisposta in moto tale da annullare
questa scoperta. Maschile è infatti definita la fase preedipica della piccola,
che d'altronde ama la madre in quanto ritenuta fallica. L'insistenza "normativa"
sull'ostilità che la bambina deve provare contro la madre per diventare donna
indica ad Irigaray che lì qualcosa di profondamente significativo per l'identità
femmnile si è interrotto. L'odio è l'altro volto dell'amore abbandonato, negato,
la bambina "si esilia, insomma, o viene messa al
bando, da una primaria elaborazione metaforica del suo desiderio di donna,
per iscriversi in quella fallica del maschio" (p. 79). L'unica
economia genealogica a cui lei può accedere diviene quella di prendere il
posto di sua madre, escludendo in una sola mossa la madre che la precedeva
e la figlia che lei continua ad essere.
Speculum denuncia in questo modo la mancata simbolizzazione di questa
relazione, il cui stato di abbandono è funzionale all'ordine patriarcale.
Il rapporto con-fusivo tra madre e figlia è definito dall'autrice come isterico,
dove l'isteria non è tanto una condizione patologica individuale ma la conseguenza
di un simbolo inabitabile per le donne. Nel mimo isterico si custodisce ancora
una possibilità di godimento come "lavoro della bambina
e della donna per salvare la propria sessualità da una completa repressione
e dalla scomparsa" (p. 67).
La scienza psicoanalitica, relegandosi in una presunta antemporalità, non
ha indagato sufficientemente, per Irigaray, le proprie componenti storiche
e non ha analizzato la sua compromissione con il pensiero metafisico. Non
a caso l'autrice aveva definito su Freud sfocia di conseguenza nella seconda
parte di Speculum, in cui l'autrice affronta i grandi testi filosofici
della tradizione occidentale: Platone, Aristotele, Plotino, Cartesio, la mistica
femminile, Kant, Hegel. Da queste analisi emerge costantemente il gesto metafisico
originario che conduce il soggetto ad innalzarsi vero "una
prospettiva che dovrebbe dominare il tutto, il punto di vista più potente,
separandosi dalla sua base materiale e dal suo rapporto empirico con la matrice"
(p. 129). Il materno-femminile rimosso diviene così l'inconscio del pensiero
occidentale. Tra sé e l'altro il soggetto maschile, nelle sue cangianti vesti
filosofiche, ha posto uno specchio, una speculazione con cui ha moltiplicato
la propria immagine e potenziato il proprio autoerotismo. Il discorso filosofico
stabilendo l'altro a partire da sé, lo ha reso "altro del medesimo", dimenticandosi
della materia opaca di cui è costituito ogni specchio. Questa logica immaginaria
maschile sottesa alla filosofia si concretizza poi per le donne in determinate
strutture del sociale.
Nel capitolo forse più rilevante di questa seconda parte. Irigaray si sofferma
sull'interpretazione hegeliana della Antigone di Sofocle, una delle figure
mitologiche più rivisitate dal pensiero delle donne. Il discorso dell'autrice
è complesso ed oscilla tra il considerarla già sottomessa, oppure in rivolta
contro l'ordine patriarcale che si sta imponendo. Nelle opere successive a
Speculum Irigaray tornerà frequentemente sulla vicenda di Antigone,
tenuta sempre in relazione allo sfondo hegeliano, offrendone interpretazioni
diverse che corrispondono alle varie fasi elaborative del suo concetto di
genealogia femminile.
Dopo aver compiuto l'iter filosofico dall'antichità a Hegel, Irigaray rilegge
-nella terza ed ultima sezione di Speculum - il mito della caverna
narrato sa Socrate, come fucina di ogni costruzione metafisica successiva.
L'uscita del prigioniero dalla caverna diviene sradicamento del soggetto dalla
propria incarnazione per entrare nei giochi di approssimazione ad una verità
iperuranica, l'Idea, che produce nelle sue riflessioni molteplici "copie"
ad essa più o meno adeguate. La chora, il ricettacolo sensibile, la madre,
non ha specchio né forma affinchè -in questa grandiosa messa in scena platonica-
sia lei a funzionare come specchio, speculum. Sprofondando nelle viscere della
terra come riserva a cui attingere la caverna, l'utero, viene trasformata
dagli artifici di Socrate -che d'altronde si dichiara ostetrico - in modo
tale da svalorizzare, annullare la generazione materna, così che "la
madre-materia non partorisce che immagini, il Padre-Bene non genera che realtà.
Sempre che egli possa, agli occhi dei mortali, fare a meno delle realizzazioni
sensibili per farsi riconoscere" (p. 281). Nella descrizione platonica
l'antro oscuro comunica con l'esterno mediante un lungo corridoio, ma nel
trasferimento discorsivo dal piano mitico a quello ontologico questo passaggio,
questo tra non appare più. "Vagina dimenticata" -lo definisce l'autrice-
che "sottenderà l'irrigidimento di tutte le dicotomie,
di tutte le differenze categoriche, di tutte le distinzioni nette"
(p. 228).
Nel suo disfare la storia alla rovescia partendo da Freud ed arrivando a Platone,
Irigaray mostra come, a partire dalla cancellazione della differenza sessuale,
ogni differenza e pluralità sia stata irretita dal gioco dicotomico tra trascendenza
ed immanenza, intelligibile e sensibile, forma e materia, spirito e natura,
divino ed umano…. L'oblio del tra , del passaggio della caverna come ripiegamento
del femmnile sul materno ha mantenuto nel discorso maschile la madre e la
donna in condizione di con-fusione.
Dal dolore di questa presa di coscienza prende avvio per la donna la necessità
di ritrovare se stessa, il suo piacere, la sua autoaffezione e autorappresentazione
che non possono eludere il rapporto con la madre.
Questo processo inizia già nel linguaggio stesso di Speculum, ma sarà
soprattutto a partire dagli anni Ottanta che Irigaray (in opere come Sessi
e genealogie e Etica della differenza sessuale) forgerà filosoficamente
le condizioni di possibilità per un ordine simbolico femminile.
La necessità di un pensiero della differenza sessuale e l'opera di ricostruzione
simbolica delle genealogie femminili proposte da Irigaray sono tra i più autorevoli
punti di riferimento per la nascita, negli anni Ottanta, della Comunità filosofica
di donne "Diotima", la cui sede è a Verona e che vede come ispiratrici per
la sua formazione Luisa Muraro e Adriana Cavarero.
(Francesca Doria)