il guardarobe ricchezza e libertà nominare le differenze io, te, noi mi sento più me stessa.. la madre, l'amore, i soldi L'eredità delle donne - home page ...mandaci un email
Luce Irigaray, Speculum. L'altra donna
Milano, Feltrinelli, 1975, traduzione di Luisa Muraro, 348 p.
Titolo originale: Speculum. De l'autore femme, Paris, Les Editions de Minuit, 1974

Nel 1974 viene pubblicato in Francia Speculum. De l'autre femme di Luce Irigaray (nata nel 1930 a Blaton, Belgio), opera divenuta pietra militare per il pensiero della differenza sessuale. Il testo appare in Italia già l'anno successivo, edito dalla Feltrinelli per iniziativa di Maria Gregorio e Luisa Muraro (alla quale si deve anche la splendida traduzione), che ne avevano immediatamente intuito il valore.

Il libro, che esce con il titolo di Speculum. L'altra donna, si rivela un vero successo editoriale e ottiene grande risonanza di critica.
Il pensiero femminista italiano di quegli anni, forte della consapevolezza di non voler aderire ad una logica paritaria avendo posto la differenza tra uomo e donna come positiva ed irriducibile (cioè non complementare, speculare, simmetrica) è infatti il più consono a recepire il messaggio di Irigaray. Anche i contatti che si erano creati nei primi anni Settanta tra le italiane e il gruppo parigino Politique et psychanalyse contribuiscono a creare una ricezione attenta e matura di un testo come Speculum che privilegia nella sua architettura narrativa lo strumento psicoanalitico.
L'uscita di Speculum segna per l'autrice una svolta fondamentale nei suoi rapporti con la lacaniana Ecole Freudienne di cui faceva parte. Una commissione scelta da Lacan sospende infatti Irigaray dall'insegnamento che teneva nel dipartimento di psicoanalisi a Vincennes, presso l'Università di Parigi VIII. Ha continuato comunque a vivere de sa plume e attualmente è direttrice di ricerca in filosofia al Centre National de la Recherche Scientifique. I suoi numerosi articoli e lavori spaziano con competenza nel campo psicoanalitico, filosofico, antropologico, linguistico. Nonostante la frattura con l'Ecole, resta importante il suo legame con il pensiero di Lacan che, fondendo linguistica e strutturalismo, aveva dato una nuova interpretazione della psicoanalisi classica, intensificandone alcune tesi. Ed è a questa versione psicoanalitica che l'autrice fa riferimento quando affronta in Speculum la rilettura critica di Freud, distaccandosi tuttavia dalla posizione del maestro.
Nell'area anglosassone anche Juliet Mitchell nel 1974, contemporaneamente all'uscita di Speculum, propone nel testo Psicoanalisi e femminismo un ritorno a Freud, sostenendo quanto sia pericoloso per il movimento delle donne respingerne l'opera. Mitchell si lascia però sedurre dal discorso freudiano che, a suo avviso, si limiterebbe ad analizzare la società patriarcale, mentre Irigaray ne mette in questione la presunta neutralità scientifica, mostrando quanto l'analisi descrittiva sia prescritta.
La duplice formazione di Irigaray come psicoanalista e filosofa (ha compiuto i suoi studi all'Università di Lovanio e all'Institut de Psychologie di Parigi) genera una tessitura narrativa non propriamente riconducibile né all'una né all'altra, producendo a livello testuale continue sovrapposizioni, intrecci, rimandi che scavalcano audacemente i confini disciplinari. Lo stile di Speculum si trova in stretta parentela con il metodo di decostruzione di Derrida. La "diffèrance" radicale evocata dal filosofo francese viene immediatamente letta da Irigaray come differenza sessuale, originaria ed irriducibile. Del decostruttivismo Irigaray utilizza così la tattica, le strategie, la capacità di far giocare a più livelli i sensi delle parole. La sua pagina conserva la bellezza lucida data dalla spregiudicatezza grafica con cui vengono alzate maiuscole, usate parentesi, virgolette, puntini e punti interiettivi. Le interposizioni nel corpo di testo e di parola giocate sui suoni linguistici, prestandosi in questo il francese con più facilità, producono così omofonie e parafonie che comportano anche la loro quasi impossibile traduzione in lingue non romanze. Accademicamente inusuale è anche la scelta di Irigaray di riportare talvolta senza virgolette le citazioni, che si trovano quindi interrotte da una raffica di domande e mescolate in una festa di scritture che rompe la mono-tonia del discorso.
La questione non è quella di proporre un'ennesima teoria sulla "donna", ma di rendere significativa la differenza femminile in un linguaggio che si è ordinato secondo un'economia rigorosamente monosessuata.
Come se psicoanalizzasse Freud e i filosofi, la scrittura di Irigaray procede ritmata da continue fomande per ascoltare non solo il discorso manifesto, ma anche quanto è taciuto, sprofondato nel silenzio delle rimozioni. Abbandonando ogni ermeneutica codificata, la parola non è interrogata da un al di là di essa, né il senso va raddoppiato o rovesciato, piuttosto viene fatto esplodere, tracimare: "Allora, perché non rinforzare, fino all'esasperazione, il malinteso? Fino a quando l'orecchio non si sarà abituato ad un'altra musica" (p. 138).
La lettura di Speculum richiede una dedizione particolare; non sempre è facile seguirne le erudite peripezie sintattiche e semantiche. Ma quello che può sembrare un ostacolo è invece il fascino di una scrittura sperimentale che non esige tanto di essere compresa, afferrata, quanto di aprire nuovi immaginari, affinchè la differenza sessuale abbia luogo nel linguaggio: "forse al di là della superficie speculare che sostiene il discorso, si annuncia non il vuoto del nulla, ma l'intenso bagliore d'una speleologia dalle mille sfaccettature" (p. 139).
Speculum si articola secondo una triplice divisione. La prima parte è dedicata all'analisi dell'ultima produzione freudiana sulla femminilità, come luogo privilegiato del discorso che, proprio nel suo rivolgersi all'enigma del femminile, rende palese una "sistematica il cui senso si regola su paradigmi ed unità di valore determinati da soggetti maschili" (p. 17). La teoria freudiana si muove inconsapevolmente -come recita il titolo della prima sezione di Speculum- all'interno di un antico, quanto ininterpretato, sogno si simmetria. La morfologia del piacere femminile viene definita da una metretica maschile che proiettivamente decide quali zone debbano essere definite erogene per la bambina-ometto. La scoperta da parte della piccola della propria "castrazione" e di quella di tutto il genere femminile, la rinuncia al piacere clitorideo, il desiderio dia vere un bambino-pene dal padre, il complesso edipico irrisolto e tutte le altre varie tappe del "diventar donna", descritto da Freud dipendono per Irigaray dall'ostinata incapacità maschile ad ammettere una sessualità diversa: "Come tutto ciò che riguarda il desiderio femminile, clitoride e maternità hanno ricevuto un significato sulla base di autorappresentazioni della sessualità (detta) "maschile" (p. 215). La sessualità femminile rappresenta così il rovescio speculare, il negativo di quella maschile: "In Freud la differenza sessuale si risolve in un più o meno d'un sesso: il pene" (p.46).
I termini psicoanalitici impiegati per descrivere la sessualità della donna -come "invidia", "mancanza", "difetto", "gelosia" - sono conseguenza di un ordine fallocentrico che necessita del sostegno femmnile per ribadire il proprio narcisismo. L'invidia del pene riflette così per Irigaray, nell'inversione data dallo specchio, l'immagine avvalorata dell'uomo rassicurandone le angosce di castrazione.
Lontana dal voler dare una definizione nominale della donna, Irigaray esplora le figure con cui la psicoanalisi l'ha mascherata, per far emergere quanto del suo desiderio ne sia rimasto impigliato. E, acome Alice, si addentra negli specchi.
L'indicazione più preziosa proviene ad Irigaray dalla descrizione freudiana del rapporto tra madre e figlia. Nel momento in cui Freud, non senza stupore ed inquietudine, riconosce la particolare tonalità affettiva che lega la bambina alla madre, per Irigaray la teoria si è già predisposta in moto tale da annullare questa scoperta. Maschile è infatti definita la fase preedipica della piccola, che d'altronde ama la madre in quanto ritenuta fallica. L'insistenza "normativa" sull'ostilità che la bambina deve provare contro la madre per diventare donna indica ad Irigaray che lì qualcosa di profondamente significativo per l'identità femmnile si è interrotto. L'odio è l'altro volto dell'amore abbandonato, negato, la bambina "si esilia, insomma, o viene messa al bando, da una primaria elaborazione metaforica del suo desiderio di donna, per iscriversi in quella fallica del maschio" (p. 79). L'unica economia genealogica a cui lei può accedere diviene quella di prendere il posto di sua madre, escludendo in una sola mossa la madre che la precedeva e la figlia che lei continua ad essere.
Speculum denuncia in questo modo la mancata simbolizzazione di questa relazione, il cui stato di abbandono è funzionale all'ordine patriarcale. Il rapporto con-fusivo tra madre e figlia è definito dall'autrice come isterico, dove l'isteria non è tanto una condizione patologica individuale ma la conseguenza di un simbolo inabitabile per le donne. Nel mimo isterico si custodisce ancora una possibilità di godimento come "lavoro della bambina e della donna per salvare la propria sessualità da una completa repressione e dalla scomparsa" (p. 67).
La scienza psicoanalitica, relegandosi in una presunta antemporalità, non ha indagato sufficientemente, per Irigaray, le proprie componenti storiche e non ha analizzato la sua compromissione con il pensiero metafisico. Non a caso l'autrice aveva definito su Freud sfocia di conseguenza nella seconda parte di Speculum, in cui l'autrice affronta i grandi testi filosofici della tradizione occidentale: Platone, Aristotele, Plotino, Cartesio, la mistica femminile, Kant, Hegel. Da queste analisi emerge costantemente il gesto metafisico originario che conduce il soggetto ad innalzarsi vero "una prospettiva che dovrebbe dominare il tutto, il punto di vista più potente, separandosi dalla sua base materiale e dal suo rapporto empirico con la matrice" (p. 129). Il materno-femminile rimosso diviene così l'inconscio del pensiero occidentale. Tra sé e l'altro il soggetto maschile, nelle sue cangianti vesti filosofiche, ha posto uno specchio, una speculazione con cui ha moltiplicato la propria immagine e potenziato il proprio autoerotismo. Il discorso filosofico stabilendo l'altro a partire da sé, lo ha reso "altro del medesimo", dimenticandosi della materia opaca di cui è costituito ogni specchio. Questa logica immaginaria maschile sottesa alla filosofia si concretizza poi per le donne in determinate strutture del sociale.
Nel capitolo forse più rilevante di questa seconda parte. Irigaray si sofferma sull'interpretazione hegeliana della Antigone di Sofocle, una delle figure mitologiche più rivisitate dal pensiero delle donne. Il discorso dell'autrice è complesso ed oscilla tra il considerarla già sottomessa, oppure in rivolta contro l'ordine patriarcale che si sta imponendo. Nelle opere successive a Speculum Irigaray tornerà frequentemente sulla vicenda di Antigone, tenuta sempre in relazione allo sfondo hegeliano, offrendone interpretazioni diverse che corrispondono alle varie fasi elaborative del suo concetto di genealogia femminile.
Dopo aver compiuto l'iter filosofico dall'antichità a Hegel, Irigaray rilegge -nella terza ed ultima sezione di Speculum - il mito della caverna narrato sa Socrate, come fucina di ogni costruzione metafisica successiva. L'uscita del prigioniero dalla caverna diviene sradicamento del soggetto dalla propria incarnazione per entrare nei giochi di approssimazione ad una verità iperuranica, l'Idea, che produce nelle sue riflessioni molteplici "copie" ad essa più o meno adeguate. La chora, il ricettacolo sensibile, la madre, non ha specchio né forma affinchè -in questa grandiosa messa in scena platonica- sia lei a funzionare come specchio, speculum. Sprofondando nelle viscere della terra come riserva a cui attingere la caverna, l'utero, viene trasformata dagli artifici di Socrate -che d'altronde si dichiara ostetrico - in modo tale da svalorizzare, annullare la generazione materna, così che "la madre-materia non partorisce che immagini, il Padre-Bene non genera che realtà. Sempre che egli possa, agli occhi dei mortali, fare a meno delle realizzazioni sensibili per farsi riconoscere" (p. 281). Nella descrizione platonica l'antro oscuro comunica con l'esterno mediante un lungo corridoio, ma nel trasferimento discorsivo dal piano mitico a quello ontologico questo passaggio, questo tra non appare più. "Vagina dimenticata" -lo definisce l'autrice- che "sottenderà l'irrigidimento di tutte le dicotomie, di tutte le differenze categoriche, di tutte le distinzioni nette" (p. 228).
Nel suo disfare la storia alla rovescia partendo da Freud ed arrivando a Platone, Irigaray mostra come, a partire dalla cancellazione della differenza sessuale, ogni differenza e pluralità sia stata irretita dal gioco dicotomico tra trascendenza ed immanenza, intelligibile e sensibile, forma e materia, spirito e natura, divino ed umano…. L'oblio del tra , del passaggio della caverna come ripiegamento del femmnile sul materno ha mantenuto nel discorso maschile la madre e la donna in condizione di con-fusione.
Dal dolore di questa presa di coscienza prende avvio per la donna la necessità di ritrovare se stessa, il suo piacere, la sua autoaffezione e autorappresentazione che non possono eludere il rapporto con la madre.
Questo processo inizia già nel linguaggio stesso di Speculum, ma sarà soprattutto a partire dagli anni Ottanta che Irigaray (in opere come Sessi e genealogie e Etica della differenza sessuale) forgerà filosoficamente le condizioni di possibilità per un ordine simbolico femminile.
La necessità di un pensiero della differenza sessuale e l'opera di ricostruzione simbolica delle genealogie femminili proposte da Irigaray sono tra i più autorevoli punti di riferimento per la nascita, negli anni Ottanta, della Comunità filosofica di donne "Diotima", la cui sede è a Verona e che vede come ispiratrici per la sua formazione Luisa Muraro e Adriana Cavarero.
(Francesca Doria)