Piera
(11 gennaio 1999)

Quella bella mattina di maggio volgeva al termine; camminavo adagio su un marciapiedi di Baltimora alla ricerca di un ristorante accogliente, quando all'incrocio una ragazza che correva mi venne addosso ed i libri che aveva sotto il braccio destro le caddero a terra.

"Mi scusi signore", esclamò esprimendosi in italiano, "sono una distratta, ma ho fretta e debbo prendere l'autobus; le ho fatto male?"

"Ma che male", le risposi nella stessa lingua sorridendole ed aiutandola a raccogliere i libri.

Era rossa in volto, un pò per la corsa ed un pò per l'imbarazzo di avermi urtato e respirava affannosamente.

Le diedi i libri che avevo raccolto e mi ringraziò; poteva avere 16 anni, bruna, pelle luminosa ed occhi ingenui e maliziosi allo stesso tempo, viso molto bello e fresco, bellissime labbra; la gonna, riempita dai suoi fianchi leggermente larghi, modellava le sue forme piene e la camicetta a fiori conteneva a stento il suo seno acerbo ma già florido.

"Grazie e buongiorno, ora debbo andare, mi scusi";

"Di già?"

"Si, se faccio tardi poi mamma mi sgrida";

"Beh, l'autobus lo hai perso ormai e dovrai aspettare l'altro; posso offrirti un gelato?"

"Non so se posso accettare";

"Certo che puoi, mi sei venuta addosso e mi devi indennizzare", dissi sorridendo, "lì, all'angolo c'è una gelateria italiana; ti piacciono i gelati italiani?"

"Io sono di origine italiana"

"Me n'ero accorto; ma guarda un pò! il caso a volte è strano, sono italiano anche io; sono calabrese e tu?"

"Siciliana, di Agrigento"

"E' quasi un miracolo! Due italiani meridionali che si incontrano in un grande paese come l'America; bisogna festeggiare l'incontro, vieni, io preferisco il gelato al limone e tu?"

"Anche io, ma mi piacciono anche quelli al cioccolato";

"Come ti chiami?" le chiesi mentre andavamo verso la gelateria;

"Piera, e lei?"

"Vittorio ma non darmi del lei, io ti do il tu";

"Si, ma lei è un signore ..."

"... e tu una signorina, vuoi dire che sono vecchio? Certo; ho trenta quattro anni ma non sono troppi per darmi il tu";

"Non lo so";

"Sei una studentessa vedo", dissi mentre leccavamo con gusto i gelati, "che classe fai?"

"Il secondo anno del ginnasio superiore";

"Ti piace studiare?"

"Moltissimo";

"Allora andrai all'università?"

"Vorrei ... ma non so se mamma mi manda";

"Ma si, vedrai che ti ci manderà; dove è la tua scuola?"

"Lì, in fondo alla strada";

"Mi piacerebbe rivederti; posso venire domani a prenderti all'uscita?"

"Non lo so";

"Non sai molte cose tu..."

"Lei mi mette in imbarazzo";

"Scusami, non era mia intenzione; facciamo così, io domani vengo a prenderti all'uscita della scuola ... a che ora esci domani?"

"Alla stessa ora di oggi, ma non so è il caso";

"Io vengo, tu mi vedi e deciderai domani cosa fare, d'accordo? hai tutto il tempo di pensarci";

Si strinse nelle spalle e non rispose.

"Ciao, Piera ... a domani"; dissi tendendole la mano e stringendo nella mia la sua manina;

"Buongiorno signore ... cioè Vittorio".

Si allontanò in fretta, quasi correndo, verso la fermata dell'autobus che stava arrivando; la vidi salire e non si voltò a guardarmi, o forse mi guardava da dietro i vetri dei finestrini; ma non me ne accorsi.

Strano! La conoscevo da neanche mezz'ora eppure mi aveva fatto una grossa impressione, se continuavo a pensare a quell'incontro.

In fondo era solo una ragazzina ed io un uomo adulto, un uomo d'affari, in America per concludere dei contratti commerciali di import-export, e non potevo perdere il mio tempo dietro ad una studentessa di sedici anni; se volevo una donna potevo pagarmela e la storia finiva lì; quella ragazzina portava solo complicazioni ... e non ne avevo bisogno; la mia vita sentimentale era già abbastanza complicata.

Convivevo, già da cinque anni, con una donna della mia età, che avevo amato molto, che forse amavo ancora ma la nostra storia stava finendo; avevo una grande confusione in testa e non sapevo esattamente a che punto ero; continuare, lasciare, riprendere, cambiare? non sapevo niente e non sapevo che fare ... ed ora si presentava questa ragazzina a complicare ulteriormente le cose.

Si, continuavo a pensarci e mi chiedevo perché; in fondo non era niente di speciale; una normale ragazza di sedici anni, studentessa come tante in America e nel mondo ... allora perché continuavo a pensarci?

I suoi occhi; certo i suoi occhi e la sua bocca, e quella sua aria un pò impaurita, riservata, pulita; quel suo non sapere se voleva o meno una cosa, che mi faceva pensare ad una famiglia molto rigida e vigile, che certamente non le rendeva la vita tutta rose e fiori; non per niente era una siciliana di Agrigento ... comunque ci pensavo.

Poi andai a pranzo; mi sarebbe piaciuto trovare un ristorante italiano, ma dovetti accontentarmi di un fast food ... hamburger ed insalata, altro che tagliatelle o spaghetti!

Il pomeriggio trascorse in qualche altro contatto d'affari; poi andai a cena in un ristorante italiano e, per rifarmi dell'hamburger del pranzo, ordinai tagliatelle alla bolognese, un favoloso spezzatino di carne, il tutto innaffiato da mezzo fiasco di Chianti e in compagnia di Piera, che nella mia testa era lì seduta davanti a me e mi sorrideva.

Cominciavo a preoccuparmi; ci stavo pensando troppo e la cosa non andava bene.

Me ne andai a letto con Piera.

Stentai ad addormentarmi ed alla fine caddi un sonno agitato.

All'una del giorno dopo ero davanti alla sua scuola ma mi ero piazzato in modo da non essere visto da chi usciva.

La vidi uscire in mezzo a tante studentesse ... ma l'avrei riconosciuta tra mille; camminava piano finché rimase sola e si guardava intorno, penso cercandomi, ma non mi feci vedere; continuò a camminare pianissimo, fino all'incrocio dove mi aveva urtato il giorno prima, si guardò intorno per un pò, poi si diresse correndo alla fermata dell'autobus e partì.

Non mi era mancato il coraggio di avvicinarla ma riflettevo sulla stranezza della situazione ed esitavo; io 34 anni, lei 16; io in America per una settimana lei residente; io in un disordine sentimentale da far paura e lei ancora (quasi certamente) vergine, la testa piena di sogni ed ancora con qualche anno da passare prima di pensare all'amore; forse per pensare ci pensava ma non era per lei un qualcosa di reale, di tangibile, di preciso; solo fantasie.

Ci pensava come ci pensa una sedicenne.

Il giorno dopo feci la stessa cosa, lei si guardava intorno cercandomi, forse delusa dalla mia assenza o forse con un senso di sollievo ... o forse sollevata e delusa insieme.

Seguii l'autobus, con la macchina della Hertz che avevo noleggiato per una settimana, e vidi dove abitava; la vidi parlare con una bella signora dall'aria severa e poco sorridente; nessuna delle due sorrideva; intuii una adolescenza non molto divertente e felice per la piccola Piera e la vidi entrare nello stesso palazzo insieme a quella che era forse sua madre, vedendo la quale non mi pentii della mia prudenza; ma non è con la prudenza che si ottengono le cose.

Ma cosa potevo sperare di ottenere da una ragazzina, sia pure una quasi signorina? Nella mia immaginazione tutto, nella realtà solo complicazioni e dolori.

Ma sarebbe stato bello poterle parlare ancora una volta.

Mi era diventata insopportabile l'idea di non parlarle più.

Il terzo giorno mi feci trovare all'incrocio e, quando giunse alla mia altezza, finsi di urtarla io stavolta, come se passassi da lì per caso, e l'abbracciai per un istante come a sostenerla dopo l'urto:

"Oh! ... mi scusi! Ma ... sei tu Piera!!! Pensavo di far tardi e di non trovarti più."

Continuavo a tenerla abbracciata; lei arrossì e cercò delicatamente di liberarsi dal mio abbraccio, spingendomi debolmente con le mani sul petto; con rammarico la lasciai e ...:

"Scusami, temevo che potessi cadere; sono io che ti chiedo ora se ti ho fatto male";

"No, certo no!", rispose sorridendo; poi disse:

"Non ti ho visto per due giorni ... ti eri pentito?"

"No, Piera! Sono stato estremamente occupato e sono arrivato sempre in ritardo, e non ti trovavo più; anzi, temevo oggi di vederti arrabbiata con me";

"Perché arrabbiata? Tu non sei niente per me, ma mi avevi detto che venivi ...";

"Allora mi hai pensato? Ci sei rimasta male non vedendomi?"

"Un po' si! Nessuno mi aveva mai detto che mi avrebbe aspettato all'uscita dalla scuola";

"Ed io non ho mai aspettato nessuna all'uscita dalla scuola; tu sei la prima ... e spero l'unica; nella mia posizione è troppo difficile mantenere certi impegni";

"Ti è dispiaciuto venirmi ad aspettare?"

"No! Ma mi sono disperato per non essermi potuto liberare in tempo per farlo; ma ora sono qui e spero ti faccia piacere vedermi";

"Si! Mi fa piacere ... ma dove ci porta tutto questo?"

Molto saggia la ragazzina; molto più saggia e riflessiva di me. Si presumeva che dovessi essere io il vecchio, il più saggio dei due, ma mi stava dando una lezione ed io la stavo apprendendo; le ero simpatico e si vedeva ma istintivamente lei sentiva che la nostra differenza d'età era un ostacolo; forse non subito ma tra qualche tempo i miei anni in più si sarebbero visti e sentiti tutti; io lo sapevo ma fingevo di non accorgermene, mi compiacevo di prendermi in giro da solo e scherzavo col fuoco; la sua vicinanza ed il suo modo di essere mi davano una emozione profonda e, da tempo, dimenticata ma non me la sentivo di fare perdere le illusioni ad una ragazza così, di giocarci.

Risposi:

"Non lo so, Piera; ora sono io a non sapere ma so che vorrei portarti a pranzo con me; vuoi?"

"Tu non immagini quanto piacere mi farebbe potere accettare ma, credimi, non posso; debbo rientrare a casa";

"Proprio non puoi? Perché?"

Domanda cretina la mia! Neanche fossi nato e vissuto in Svezia! Dimenticavo, io calabrese, che era siciliana e che le famiglie siciliane, come quelle calabresi, stanno con gli occhi puntati come lupare, a salvaguardia dell'onore delle figlie femmine!

Sorrise, un po' divertita ed un po' rammaricata:

"Perché tutta la mia libertà si riduce a mezz'ora di tempo per rientrare a casa dopo la scuola; se l'autobus ritarda o lo perdo ho venti minuti in più, ma l'autobus non può ritardare tutti i giorni; se succede troppo spesso rischio di vedere mia madre ad aspettarmi all'uscita e questo voglio evitarlo; tu poi parti, ma io resto";

"Capisco! Mi dispiace ma capisco! Sarebbe stato bello però";

"Certo che sarebbe stato bello! Per me ancor più che per te; per una volta sarei stata una adulta con un adulto che mi interessa ed a cui interesso; avrei potuto scegliere il piatto che preferisco e non mangiare quello che mia madre sceglie per me e, secondo lei, quello che va bene per me...";

"Addirittura!" la interruppi;

"Si! Addirittura ed il peggio è che mi sceglierà anche il fidanzato ed il marito, che dovrà piacere a lei ancor prima che a me, ma spero di avere la forza di ribellarmi a questo";

"E' triste tutto questo, Piera!";

"Si, è triste ma è cosi; ho solo una mezz'ora al massimo, Vittorio, poi dovrò andare";

"Non prendere l'autobus oggi; ho la vettura lì a venti metri, ti accompagno io; ti fidi di me?"

"Certo che mi fido; sono sicura che tu non mi faresti mai del male", mi disse sorridendo;

"No, non te ne farei!"

Montammo in macchina; mettendo in moto riflettevo sulla maturità di questa ragazzina e sulla sua capacità di discernimento e di intuizione; mi avviai piano chiedendole la direzione da prendere; mi raccontò ancora di lei, le dissi di me e della mia partenza per l'Italia, il giorno dopo.

Le presi la mano stringendogliela e me la lascio; me l'avvicinai alle labbra, gliela baciai ed arrossì.

Non mi bastava.

Restavano ancora quindici minuti, poi non l'avrei più rivista.

"E' ancora lontana casa tua?"

"Tre o quattrocento metri, perché?"

"Restano 15 minuti e vorrei fermarmi in un posto tranquillo, guardarti negli occhi e portare con me il tuo ricordo";

Mi indico una stradina alberata poco battuta dal traffico; parcheggiai e mi girai verso di lei; allungai la mano destra e le scostai i lunghi capelli dal volto e con le dita le accarezzai la guancia, l'orecchio ed il collo.

Avvampò.

"Ti prego!" mi supplicò quasi;

"Ho voglia di baciarti, Piera! Posso?"

Rimase un lungo attimo in silenzio, gli occhi bassi, poi li alzò a guardarmi, molto intensamente, e in un sussurro...:

"Si!"

La feci girare sul sedile, con le spalle verso di me, le ginocchia contro la portiera; l'attirai e fu tra le mie braccia, il volto alzato verso di me; scesi piano verso la sua bocca e le mie labbra furono sulle sue. Premetti e le sue labbra si dischiusero, la mia lingua la forzò ad aprire la bocca ed incontrò la sua; fu un lungo, dolcissimo, tenero bacio; la mia mano destra era scivolata sotto la sua maglietta e si era posata sul suo seno sinistro, stringendo piano e sentendo l'indurirsi del capezzolo; fui tentato di metterle una mano sotto le gonne, ma me ne astenni e continuai ad accarezzarle i seni, poi emise un gemito roco e le sue braccia mi circondarono il collo stringendomi e stringendosi a me.

Ci separammo; affannava e le sue guance, rigate di lacrime scottavano; baciai le sue lacrime:

"Perché piangi? Ti è dispiaciuto?" le chiesi;

"Oh no! Piango perché sono felice, perché è la prima volta che vengo baciata e mi è piaciuto e perché domani parti; e a questo non c'è rimedio";

"No, non c'è rimedio", risposi disperato;

"Sei stato uno dei pochi eventi felici nella mia vita";

Le sorrisi, grato.

Si sollevò e si rimise seduta; mi guardò a lungo, con molta tenerezza:

"Non mi piace dire addio e non posso dirti arrivederci; ti dico solo ... ciao".

Si protese verso di me e mi baciò sulla guancia:

"Grazie! ... Ciao".

Io non fui capace di dire niente.

Aprì la portiera, scese, richiuse e si mise a correre verso casa.

La seguii con lo sguardo fino a quando svoltò.

Fu l'ultima visione che ebbi di lei.

Ritornai in Italia portando con me il ricordo struggente di Piera; un ricordo che ancora conservo dopo trent'anni, ma non solo quello; Piera, senza volerlo, mi aveva insegnato che non vale la pena continuare a vivere con una donna che non ti suscita più alcuna emozione.

Lasciai la mia donna.

***