Fumare fa male

Avevo già ventiquattro anni nel 1957; mi ero diplomato, avevo terminato il servizio militare e non avevo ancora trovato uno straccio di lavoro, con grande disappunto di mio padre che, giustamente, sperava di non dover più continuare a mantenermi.

In compenso fumavo.

Avevo cominciato a tredici anni, sottraendo dal posacenere del Cavalier Picciotto, che abitava al secondo piano sopra di noi, un sigaro "Toscano" fumato a metà e ben insalivato; lo avevo acceso e ne avevo voluttuosamente e incoscientemente aspirato l'acre ed ignobile fumo per un paio di minuti, col risultato di vomitare verde per una buona mezz'ora, con tosse convulsa e gli occhi stravolti e pieni di lacrime.

Ma non mi scoraggiai per così poco; continuai poi tenacemente a battermi contro le sensazioni di vomito e i giramenti di testa che i miei successivi tentativi mi procuravano, anche se ero passato ad aspirare il fumo più abbordabile di sigarette come le Camel, Lucky Strike, Nazionali, Alfa, Jubek, Africa, Mentola, Tre Stelle ecc. e quando finalmente, dopo una settimana di encomiabile perseveranza, non vidi più doppio capii di aver vinto la mia battaglia.

Sapevo fumare; ed avevo gettato solide basi per la bronchite cronica e l'enfisema polmonare. Ma ora ciò non conta perché queste due medaglie le guadagnai trentacinque anni dopo; quello che importa è che la mia costanza nel fumare con abnegazione, fedeltà, scrupolo quotidiano per i successivi dieci anni, venne infine premiata con un vigoroso catarro che, ancor oggi, mi tiene compagnia, nei giorni di pioggia e di freddo, unitamente alle due medaglie, cui ho accennato, ed alle quali si aggiunse, a coronamento del tutto, l'alto riconoscimento dell'insufficienza respiratoria.

Avevo, dunque, ventiquattro anni, ero disoccupato, fumavo ed avevo il catarro, ... e non avevo soldi.

Quest'ultimo era il vero grosso problema, perché non era facile procurarmi almeno il pacchetto quotidiano di sigarette, poiché mio padre mi passava cento lire al giorno e, pur volendo, non avrebbe potuto darmi di più; non sempre mi riusciva di "fregargli" quelle tre o quattromila lire che mi garantivano quindici giorni senza preoccupazioni, né potevo scocciare troppo gli amici, sotto pena d'essere evitato come la peste, ed allora inventai la "questua camuffata da falso acquisto".

Aspettavo la chiusura serale dei tabacchini e, con una moneta da dieci lire in mano, avvicinavo un passante fumatore di mezza età (che non avesse, proprio perché di mezza età, i miei stessi problemi di soldi) e dall' aria distinta e, con fare imbarazzato, dicevo:

"Mi scusi, non ho fatto in tempo a comprare le sigarette e i tabacchini sono chiusi; potrebbe, per cortesia, cedermene una?"

"Certamente, prego tenga!", diceva il passante distinto tendendomi il pacchetto delle sue sigarette, dopo averne fatto uscir fuori a metà due o tre.

"Grazie, lei è veramente gentile", dicevo, prelevando con la sinistra una sigaretta mentre con la destra porgevo le dieci lire.

"Ci mancherebbe altro! lasci stare; anzi se vuole ne prenda un' altra ... per dopo."

"Non vorrei approfittare ..."

"Non si dia pensiero, prego, prego!"

Visto che insisteva non avevo il coraggio di dargli un dispiacere rifiutando, ringraziavo e ... prelevavo la seconda sigaretta, conservando in più le dieci lire che mi servivano per la successiva operazione.

Dopo dieci passanti distinti e di mezza età, mi ritrovavo con quasi un pacchetto di sigarette delle più svariate marche, ma all'epoca non ero molto esigente; mi bastava fumare. La specializzazione delle Gauloises, senza filtro prima e con filtro poi, venne in seguito.

Comunque, nel 1957, mi ero stabilizzato e fumavo accanitamente Nazionali Super senza filtro.

Ma questo andazzo, fregare soldi a mio padre, scocciare gli amici, fare la questua sia pure camuffata, non poteva durare in eterno; in una città di 60.000 abitanti i signori distinti e di mezza età, per di più fumatori, si esauriscono presto; certo, mi fossi trovato a Tokio o New York sarebbe stato diverso e oltre tutto mi ero scocciato, per cui mi decisi e mi diedi da fare per cercare un lavoro. Finalmente!

Non è che dopo il servizio militare non avessi mai fatto niente; per un paio di mesi avevo insegnato cultura generale, dodici ore settimanali, nei corsi dell'ENALC; poi novanta giorni, a termine, in un sindacato dei Coltivatori diretti; ma ciò non risolveva i miei problemi.

Passeggiando per il corso, un giorno incontro Alberto, che non vedevo da un paio d'anni, e dopo i soliti "Ciao come stai, bene grazie e tu raccontami di te", mi raccontò che si era messo a fare il rappresentante per una grossa multinazionale, ancor oggi grossa, anzi di più, e mi suggerì di fare domanda d'assunzione presso la stessa, dandomi alcune dritte su come muovermi.

Feci la domanda, la spedii e me ne dimenticai.

Tre mesi dopo, la multinazionale mi chiede di incontrare al Jolly Hôtel, alle ore 8,29 del giorno y il signor x. Esattamente all'ora indicata incontrai il signor x, sostenni un colloquio, si convinse che ne valevo la pena e mi assunse. Forse proprio perché spaccai il secondo; infatti mi sembrava strano che avessero scritto le 8,29 e non le 8,30 per cui entrai nella hall dell'hotel alle 8,20, mi feci indicare dal portiere il signor x, attesi le 8,28, mi incamminai lentamente verso di lui che stava parlando con altri aspiranti e cinque secondi prima dell'ora convenuta lo interruppi:

"Signor x? ... sono le 8,29 ora! "

Quindici giorni dopo venni convocato a Milano, per un corso di vendita, e fu proprio durante il viaggio in treno Cosenza-Milano che ebbi l'esatta percezione di quanto fumare faccia male.

Ma ciò non m'indusse a smettere.

Ancor oggi fumo i miei due pacchetti.

"Ma non ti fanno male?"

"Si, e allora?"

"Cazzi tuoi!"

"Già, cazzi miei."

**

Con trentamila lire in tasca, tante per quei tempi ma pur sempre poche, e con un biglietto di seconda classe salgo sulla "Freccia del Sud", il treno più importante d'Italia all'epoca, alla volta di Milano.

Era la prima volta che viaggiavo su di un treno così importante, un direttissimo, perché da militare solo treni locali, con sedili di legno ed in terza classe, mi erano state concessi; e partivo dal grigio della Calabria incontro al sole di Milano.

"Aspettami, non tramontare, arrivo!"

Sapri, Salerno, Napoli, a Roma si cambia locomotore, cioè se viaggiavo di spalle ora mi ritrovo con la faccia nel senso di marcia, e cambiano i miei compagni di viaggio, scendono a Roma i precedenti e nello scompartimento entra colei che da trentasei anni mi perseguita ancora col suo ricordo.

Lei e sua madre. Lei è Barbara, sedici anni, fiorentina, castana, bella da morire; almeno così mi apparve.

Si affacciano sulla soglia dello scompartimento diffidenti, poi, dopo un'occhiata, decidono di potersi fidare di quel che vedono, cioè un piccolo provinciale col vestito buono, neanche tanto brutto e con l'aria timida.

Già! timida. Perché, nel vederla, la mia abituale faccia tosta si era liquefatta; io che non abbassavo gli occhi neanche in presenza di una suora, perché anche con quelle ci provavo, vedendola così ... così... bella, radiosa, flessuosa, magra ed al tempo stesso piena dove doveva esserlo, femmina insomma e fresca dei suoi sedici anni, con quegli occhi ridenti, innocenti ed ironici, incrociandone lo sguardo ero arrossito ed avevo abbassato gli occhi sulle sue gambe da concorso, non tanto per guardargliele (ma visto che c'ero) quanto perché ero turbato come mai prima ed anche violentemente eccitato, ma soprattutto turbato e smarrito.

E temevo che si vedesse tanto che per darmi un contegno accesi, con mano tremante, la ventesima "Super senza filtro" della giornata e, rinfrancato, con la sigaretta in bocca, mi prestai con aria falsamente sicura a sistemare i loro bagagli sulle reticelle; ringraziarono e sedettero, lei di fronte a me vicino al finestrino, la madre accanto a lei.

Nel frattempo tossivo, perché lo sforzo di sollevare le valigie m'aveva fatto andare di traverso il fumo della sigaretta e l'occhio destro mi lacrimava , sempre per il fumo, e mi sentivo più infelice di un orfano di fresca data perché lei sorrideva, di scherno e di commiserazione pensavo io. Avrei voluto essere già a Milano o in Sud Africa ma non lì, davanti a lei.

Invece no. Non mi commiserava, strano! le ero simpatico. Io!? io che su dieci racchie ne beccavo appena una ed ora questa meraviglia mi dimostra simpatia! mi dà confidenza! tocca col suo stupendo ginocchio il mio miserabile!

Tossisco. Mi sorride, le sorrido e tossisco.

"Mi dai una sigaretta?"

"C... certo signorina," balbetto estraendo il pacchetto.

"Non essere maleducata, Barbara," dice sua madre, "non lo conosci nemmeno il signore!"

"Mi chiamo Barbara," mi fà lei disinvolta, "e tu?"

"I... io Vittorio."

"Visto mamma? ora lo conosco; beh mi dai questa sigaretta?"

Gliela diedi e gliela accesi, con mano tremante.

"Grazie!"

"Figurati."

"Di dove sei?"

"Di Cosenza, in Calabria."

"Che bella la Calabria! ci sono stata in vacanza l'anno scorso; vero mamma che è bella la Calabria?"

"Certo che è bella", rispose sua madre, alzando gli occhi dalla rivista che stava leggendo.

"Dove esattamente sei stata in vacanza?" chiesi io.

"Diamante."

"Si, molto bello! e tu di dove sei?"

"Di Firenze."

"Quindi fra tre ore ti perdo," feci io di colpo audace.

"Ma no, ti darò il mio indirizzo."

Rise e ridendo mi guardava ed il suo sguardo mi fece sentire come dovette sentirsi Adamo nell'Eden, quando Eva lo guardò per la prima volta.

E premette il suo ginocchio adorabile contro il mio.

Guardai timoroso verso sua madre, la vidi immersa nella lettura e, subito tranquillizzato, risposi alla pressione, mi rieccitai ed un colpo di tosse mi distolse dall'analisi con la quale la stavo dettagliando. Un fastidioso grumo di catarro mi opprimeva la gola; né su né giù; mi rischiarai la voce inghiottendo a vuoto.

"Quanti anni hai?"

"Sedici e mezzo; e tu?"

"Ventiquattro; sono vecchio, eh?"

"Ma no! Scherzi?"

"Ma si che scherza", intervenne sua madre, che a ben guardarla della figlia aveva in meno solo la freschezza, "che dovrei dire io allora?"

"Perché lei quanti anni ha? oh Dio! mi scusi, sono un maleducato!"

"Ma và! ne ho trentasei."

"Sembrate sorelle!"

Tra gli scossoni del treno e l'intenzione, le ginocchia di Barbara continuavano a dar del tu alle mie; io seguitavo ad eccitarmi come un cervo e me la mangiavo con gli occhi; lei ne era cosciente e mi sorrideva con malizia e simpatia sempre crescente; io la dettagliavo mentre, sempre più fastidioso, il grumo in gola non voleva andare né su né giù; tossivo ma non si muoveva, sempre a metà strada.

Accesi la ventiquattresima sigaretta e continuai a guardarmela. Si! a guardarmela; perché già l'amavo.

Abbronzatissima; i capelli, castano chiari quasi dorati, legati a coda di cavallo scoprivano il suo collo e le orecchie piccole e rosee - perché rosee? forse anche lei era eccitata - occhi grigio-azzurri, nasino piccolo leggermente aquilino; labbra piene, sensuali, coralline e senza ombra di trucco; la camicetta senza maniche - era Settembre - le lasciava scoperte le braccia abbronzate, lisce, vellutate con agli avambracci la sottile peluria dello stesso colore dei capelli, forse un pò più dorato, una pelle di seta e la carne s'indovinava soda; vita stretta, fianchi nervosi e al tempo rotondi, cosce lunghe e piene, non grosse ma forti, bombate anteriormente, che mi torturavano - l'avevo di fronte - perché le accavallava continuamente lasciandomi intravedere il colore dei suoi slip bianchi; io sudavo, mi eccitavo e continuavo a tossire per la venticinquesima "Super" e per il maledetto grumo che mi raschiava la gola; le ginocchia piccole da puledra seguite da gambe da ballerina...un sogno proibito...

Ehi provinciale, calmati! non è roba per te!

E invece si.

"Fa caldo qui dentro! andiamo in corridoio?", mi fa.

Guardo con apprensione la madre che, certo rassicurata più dalla mia aria d'imbranato che non da quella decisa della figlia, ci esorta:

"Ma si ... andate a respirare un po'."

Usciamo sul corridoio, lei avanti io dietro, guardandole il culo.

E tanto per darmi tono accendo la ventiseiesima "Super"; gliene offro una e mentre gliela accendo lei mi tiene la mano con la quale le porgo il cerino, guardandomi sorridente negli occhi; mi sorride e fumiamo, le sorrido e fumiamo e sorridiamo ... e tossisco.

A meno d'inventare, non ricordo più in dettaglio quel che ci siamo detto. Forse non dicemmo una parola ma i nostri occhi dissero tutto; tutto quello che ancora non avevo mai fatto con una ragazza così e tutto quel che lei non aveva mai fatto con nessuno, mai, e che volentieri, me lo dicevano i suoi occhi, avrebbe voluto fare con me. I suoi occhi me l' hanno detto; ci ho creduto allora e ci credo ancora oggi.

Di sicuro ricordo che tossivo, che raschiavo la gola nel tentativo di eliminare il fastidio che non accennava a diminuire, anzi ... per non pensarci più accesi la ventisettesima "Super".

Nel frattempo lei mi si era fatta più vicina e, sono sicuro, fu la sua mano che per prima cercò la mia. Anche se avevo otto anni più di lei la sua bellezza rendeva insicuro me, mentre dava sicurezza a lei la mia timidezza.

Ma avendo lei preso la mia mano strinsi la sua e, avvicinandomela alle labbra, gliela baciai premendole, consumato casanova, sul palmo. Lei, liberandosi, mi accarezzò la guancia; eravamo appoggiati di fianco al finestrino e, testa a testa, con la fronte appoggiata al vetro vedevamo correre veloci le nostre due ombre vicine, proiettate sulla campagna.

Con le braccia mi cinse il collo; con la sinistra dietro le spalle e la destra sul fianco l'avvicinai a me e ci baciammo.

"Dio! non sei più grande di me!"

Si! ci baciammo sulla bocca.

Mai bacio fu tanto sentito. E lei? lei, senza bisogno che la stringessi, aderiva con i suoi piccoli seni duri e col basso ventre contro di me, come un manifesto al muro; mi si stringeva tremante al collo e la sua dolcissima lingua parlava con la mia; avevo, dolcemente ma fermamente, forzato con la mia coscia destra le sue, che subito me la strinsero, e cercavo di farle meglio sentire la mia eccitazione, quando ... un colpo di tosse, l'ennesimo, mi costrinse a separarmi precipitosamente da lei ed il grumo, quel maledetto grumo che da tre ore era lì, che non andava né su né giù, scelse quel meraviglioso momento per ... riempirmi la bocca.

È chiaro che quaranta "Super" senza filtro al giorno lasciano il segno, specie se cominci a fumare a tredici anni.

Altre volte mi era capitato, per non dover sputare in pubblico, d'inghiottire il mio stesso catarro; ma erano piccoli grumi; quello invece era il campione mondiale dei massimi dei grumi e scelse quel momento.

Mi riempiva la bocca e mi faceva schifo inghiottirlo.

Quindi stavo lì, con la bocca piena, gli occhi fuori dalle orbite per la rabbia, la vergogna e quasi piangevo pensando a quello che poteva pensare lei, sul cui volto cominciava a dipingersi la delusione e, immagino, lo schifo. Sfido! avevo io stesso schifo di me.

Con la mano le feci cenno come a dire: "Aspetta un momento."

Mi girai e andai alla toilette dove finalmente con odio, soddisfazione e sollievo sputai il maledetto; e timoroso, giustamente, tornai nel corridoio.

Lei non c'era più.

Era rientrata nello scompartimento ed era seduta non più allo stesso posto di fronte a me, ma dall'altro lato della madre. Allora compresi che la mia bella storia era finita e che mai più "siffatta creatura" sarebbe ritornata a concedermi la sua simpatia ed il suo amore.

Si! il suo amore, perché senza questa disavventura, non dico per certo ma al novantanove per cento, avremmo potuto scriverci - infatti non fu più questione di scambio d'indirizzi - incontrarci ancora, volutamente e non per caso com'era successo, amarci perdutamente, vivere insieme ... Invece la "Freccia del Sud" giunse a Firenze.

Avevo cercato, durante gli ultimi venti minuti del nostro viaggio, di parlarle, di ricreare la magia di prima ma... di colpo il rumore del treno era diventato troppo assordante, per poterci capire. Prima capiva benissimo!

Le aiutai a prendere le loro valigie dalla reticella; Barbara mi ringraziò freddamente e solo per educazione mi disse:

"Addio!"

"Addio, Barbara; buongiorno signora."

"Buongiorno Vittorio. Auguri per il suo lavoro."

"Grazie. Ciao Barbara."

Non rispose. Scesero dal treno; le guardai allontanarsi sul marciapiedi e lei non si girò una volta.

Continuai a guardare finché non le persi di vista e ...

Stupido catarro e ancor più stupido io.

Dalle Super senza filtro sono passato alle Gauloises senza filtro prima, con filtro ora.

Per punirmi.

***