Buon ferragosto, signor Serafino!

"Io ho finito e vado via, signor Serafino, ci vediamo giovedì; faccia un buon ferragosto domani", lo salutò la donna delle pulizie.

"Miglior ferragosto a te, Rosa; grazie e a giovedì".

A meno di qualche visita inaspettata sarebbe rimasto solo per 48 ore; era scapolo e la maggior parte dei parenti e amici erano in vacanza o, quelli che non erano in ferie, a fare preparativi per l'annuale ed immancabile scampagnata al mare o in Sila.

Non che abitualmente gli rendessero visita, ma qualche volta, se non avevano di meglio da fare, si facevano vivi.

Molti cittadini, tra quelli che non potevano permettersi ferie prolungate, all'indomani sarebbero partiti rumorosi e festanti, lasciando deserta la città, e qualcuno al ritorno ci avrebbe rimesso la pelle in qualche incidente stradale, per il troppo vino bevuto, trasformando la sua allegra gita in tragedia.

Come ogni anno.

Dopo due lunghe convivenze deludenti e fortunatamente, visto l'epilogo, senza figli, si era ritrovato a vivere da solo.

Fisico appesantito dalla forzata inattività, capelli sale e pepe, costretto a camminare con almeno una stampella, avrebbe avuto sessantanove anni il prossimo novembre.

Da circa quindici anni era diventato invalido, le sue uscite da casa erano diminuite man mano che il suo stato di salute si aggravava o qualche nuova malattia si aggiungeva a quelle già acquisite, fino a non uscire quasi più e la sua vita sociale era ormai inesistente.

In compenso, e per sua fortuna, aveva conservati intatti il suo carattere allegro e la sua ironia di fondo che gli consentivano di non piangersi troppo addosso e, anzi, di essere il primo a scherzare sulle sue disgrazie.

Non era diventato un orso, chiuso e scontroso, e non aveva consentito a se stesso di soffrire per la solitudine; si era convinto che questa avesse i suoi vantaggi perché, se non si può avere vicino una persona amata da cui si può accettare tutto, diventa penoso dover rendere conto delle proprie azioni ad una persona appena tollerabile.

Aveva fatto molte conoscenze virtuali, in Italia e nel mondo, navigando in Internet, ed alcune di queste si erano trasformate in amicizie di gran lunga più selezionate e soddisfacenti di quelle reali; tra siti letterari, mailing list, forum e scambio di e-mails per buona parte il suo tempo lo trascorreva davanti al computer ed il resto lo dedicava alla TV, libri, fumetti e parole incrociate.

S'era messo pure a scrivere racconti che, se certamente non sarebbero mai apparsi in qualche antologia, contribuivano a fargli superare la noia.

Tutto sommato aveva saputo organizzarsi e, malattie a parte, non stava poi tanto male in casa.

Aveva capito da un pezzo che protestare &endash; e con chi poi? &endash; lamentarsi, dispiacersi del suo stato di salute non solo non lo avrebbe fatto guarire ma avrebbe peggiorato la sua situazione, con una qualche spiacevole nevrosi, per cui aveva accettato quasi allegramente la realtà, finendo per considerare le malattie come uno stato normale.

Che altro avrebbe potuto fare?

Si accese una sigaretta, si alzo penosamente e andò in cucina; tolse dal congelatore una grossa bistecca, pelò tre patate e le tagliò a bastoncini, che lavò e mise ad asciugare tra due salviette; poi si rimise seduto, in attesa che la bistecca si scongelasse per cuocerla sulla piastra e per riprendere fiato, prima di cominciare a preparare la pappa di Blake, il suo cane.

Non era stato molto fortunato Blake ad esser capitato con un padrone come Serafino; certo, non gli mancava mai da mangiare e l'acqua fresca, aveva tutto il giardino a sua disposizione e la veranda coperta per dormire, su una pedana in legno.

Gli erano state fatte le vaccinazioni d'uso quando era cucciolo ed un paio di volte Serafino lo aveva curato col Bimixin quando lo vide vomitare per una pericolosa enterocolite o, quando perdeva il pelo a ciuffi, dandogli il cortisone prescritto.

In definitiva stava molto meglio della maggior parte dei cani non di razza.

Per contro non aveva goduto molto della compagnia del padrone che gli permetteva di entrare in casa solo quando faceva troppo freddo; abitualmente lo lasciava fuori perché sporcava in casa e non ce la faceva a ripulire; avrebbe anche avuto bisogno più spesso di un bagno e Serafino riusciva appena a lavare se stesso.

Non aveva mai provato le gioie che avrebbe potuto offrirgli una cagna; dove gliela andava a cercare una cagna, sia pure saltuaria?

Blake non era un cane con tanto di pedigrèe i cui cuccioli potessero far gola a qualche proprietario di cagna della stessa razza, che si sarebbe preoccupato egli stesso di far coprire da un più blasonato Blake; era solo un bastardino nero di taglia media, simpatico e intelligente più di un cane selezionato, ma restava pur sempre un bastardino, fin troppo buono e socievole anche con gli estranei, che accoglieva con salti di gioia.

Effetto della solitudine.

Non era consigliabile nemmeno lasciarlo libero di cercarsela da solo una compagna, perché avrebbe dovuto fare i conti con qualche più agguerrito randagio che lo avrebbe ridotto a mal partito.

Ora aveva quindici anni e si era fatto vecchio pure lui; era diventato mezzo sordo, aveva una cateratta all'occhio sinistro e si reggeva a fatica sulle zampe posteriori.

Erano ben accoppiati.

Mangiò senza entusiasmo buona parte della bistecca, le patatine fritte ed una pesca; aggiunse i resti alla pappa di Blake e andò a sedersi al tavolo del computer, portando con se il resto del vino.

Accese una sigaretta e si collegò in Internet; nessuna e-mail nuova, nessuno amico in chat, niente di niente; provò a fare qualche ricerca ma non sapeva nemmeno che cercare.

Si scollegò, apri la cartella dei giochi ed iniziò un solitario ma dopo un pò si annoiò; cercò un film alla TV e finse di interessarsi alla storia. Non si sentiva troppo bene o piuttosto si sentiva peggio del solito. Aveva la bocca amara, gli doleva la gamba sinistra ed aveva il respiro corto, più di quanto lo avesse abitualmente.

Spesso gli si gonfiavano i piedi ma stasera il piede sinistro era più gonfio del solito.

Era stanchissimo.

Spense il computer e la televisione e andò a letto.

Leggeva sempre prima di dormire ma ora i suoi occhi si fermavano su una parola e non andavano avanti; riprovò più volte a cercare di capire quel che vedeva scritto ma il risultato era che fissava sempre un punto e non avanzava nella lettura. Rinunciò.

Spense la luce e cercò di dormire; si chiese cosa avrebbe preparato l'indomani da mangiare, era ferragosto, ma poi si disse che non gliene fregava niente e cadde in un malsano ed agitato sopore.

Si svegliò di soprassalto, cosparso da un freddo e viscido sudore, il respiro cortissimo sibilante, quasi un rantolo, che diventava sempre più corto e penoso, il cuore che pulsava velocissimo e disordinatamente.

Ebbe paura.

Accese a fatica la luce e vide che erano le 3 di notte; pensò di telefonare, ma in città non c'era nessuno che conoscesse; forse ai carabinieri, al 113 e di chiedere un'ambulanza ma poi avrebbe dovuto alzarsi per andare aprire la porta e sapeva che non ce l'avrebbe fatta.

Ricadde sul cuscino e scivolò nell'incoscienza, continuando a rantolare sempre più velocemente

***

Mi svegliai, improvvisamente lucido, e balzai a sedere sul letto.

Che sensazione meravigliosa!

Che scatto e che elastica leggerezza!

Balzare a sedere sul letto, alzarsi senza sforzo e dolore, respirare lungo e profondo; anzi mi accorsi che non avevo bisogno di respirare e non affannavo per mancanza d'ossigeno.

Stavo bene, meravigliosamente bene.

Allungai la mano verso le sigarette sul comodino ma strinsi il vuoto.

Mi girai e vidi sul letto quel vecchio corpo afflosciato, quasi deforme, il ventre flaccido, una smorfia sul volto, occhi spalancati e la bocca semiaperta, la mascella cascante, immobile.

"Allora quello sono io? Ero io? Sono morto! Serafino è morto. E se è morto io non ho più un corpo, non sono più "fisico", sono immateriale; ecco perché mi sento così bene, così leggero e non sono riuscito a prendere le sigarette! E, se non ho preso le sigarette, non potrò più prendere niente di ciò che è fisico.

Pensavo che morire fosse più terribile di questo invece non è poi una tragedia; però che faccio ora senza corpo?

O, più semplicemente, che faccio? Dove vado?

Ci dovrebbe essere qualcuno che accolga i "senza corpo", che li diriga; mi sa che neanche nell'al di qua i servizi funzionino a dovere; tutto il mondo è paese!

Quando ti serve qualcuno non lo trovi mai".

Riflettevo così tra me e me e pensai di andare in cucina per farmi un caffè e mi ritrovai di colpo in cucina, ma non potevo farmi un caffè, non potevo prendere la moka express per farlo.

Mi resi conto che non avevo bisogno di un caffè, in realtà non ne avevo il desiderio come non avevo sete, fame, caldo, freddo o altro, non mi importava se non potevo fumare e stavo bene.

Tutti quei bisogni li aveva il mio ex corpo ma io non avevo bisogno di niente; a me restavano dei riflessi condizionati, i ricordi, le abitudini di quasi settant'anni di coabitazione forzata.

Per settant'anni ero stato prigioniero di quel corpo con tutte le sue necessità; studiare, lavorare, lottare per sopravvivere; avere desideri e la necessità di soddisfarli o rinunciare; volere una donna, trovarla e perderla; amarla, tradirla, esserne amato e tradito.

Osservare le leggi, subire divieti e chiedere permessi, avere perdite e guadagni, rispettare regole e obblighi, più facilità di sbagliare che di far bene.

E soffrire per dolori e malattie.

Suoi e non miei.

Per fortuna era finita, ero libero.

Come c'ero arrivato in cucina così di colpo? Solo pensandoci? Pensai di andare in bagno e in effetti mi ritrovai in bagno; mi guardai allo specchio e vidi un ragazzo con una tuta aderente, tipo calza maglia, grigio-argentea, come quella dei ballerini di danza classica, col volto di Serafino quando era un ragazzo di 17 anni, in piena salute e con in più tutti quei poteri che avevo ora; leggerezza, nessun bisogno fisico, incredibili possibilità di spostamento.

Cose impossibili per un essere corporeo.

Niente poteva farmi male o ferirmi e tanto meno uccidermi.

Potevo passare attraverso i muri come mi divertii a constatare girando per casa, sia camminando che pensando di farlo.

Ma se non ero più Serafino, chi ero? Perché conservavo ancora i suoi ricordi?

Prima o poi qualcuno sarebbe arrivato, mi avrebbe spiegato tutto e mi avrebbe detto cosa fare e dove andare.

Pensavo, quando ero tutt'uno con Serafino, che con la morte tutto sarebbe finito, invece stavo sperimentando questo strano momento; mi sorprendeva quest'altra vita dopo la morte ed ero sorpreso di esserci.

C'ero ancora, ma io chi?

Non certo Serafino ch'era di là, morto e già freddo, e che prima di domani pomeriggio, quando sarebbe arrivata Rosa (le sarebbe venuto un colpo, povera donna!), non sarebbe stato scoperto; faceva caldo, poteva decomporsi rapidamente ed io non potevo far niente per avvisare qualcuno.

Ci sarebbe stato da ridere se non fosse stato tragico; avere tutti quei poteri ma non poter intervenire per influenzare, in alcun modo, i vivi.

Almeno così pensavo.

Io comunque ero al di là del dolore e delle risate, potevo solo aspettare e vedere come sarebbe andata a finire la storia, sia la mia che quella di Serafino.

In fondo, dopo 70 anni di convivenza, mi ci ero affezionato ed avrei voluto che non dovesse subire l'estremo oltraggio della decomposizione, non prima di essere messo in una cassa zincata e ben sigillata o cremato come avrebbe desiderato.

Ma non dipendeva da me.

Non potendo telefonare, accendere il computer né la TV decisi di fare, finalmente dopo tanto tempo, un giro in città.

Deserta! quasi nessuno in giro e nessuna faccia conosciuta tra quei pochi che incontravo.

Molta gente era partita ed altra stava ancora partendo.

Il centro storico era stato restaurato ed appariva ora molto valorizzato nella sua bellezza medioevale, ma la via, dove avevo abitato da bambino, era il solito schifo.

Entrai nella vecchia casa dove ero nato, i nuovi occupanti erano anch'essi in gita, ma quasi non riconobbi i luoghi; dove c'era il mio letto campeggiava ora un computer su d'un tavolo ed al posto del letto di mio fratello un divano, due poltrone e un tavolino basso con dei giornali, tra i quali anche di fumetti, gli stessi che leggeva Serafino.

Avevano buttato giù la vecchia cucina in muratura con i fornelli a carbone ed il forno a legna; al suo posto una moderna cucina a gas smaltata e un tavolo rettangolare come piano d'appoggio.

Ripensai a tutte le buone cose che mia madre faceva con quel forno: le crostate alla marmellata d'arancia o di ciliegie, le crocette con i fichi imbottiti di noci o mandorle, la pasta al forno, il pollo e l'indimenticabile capretto con patate.

Altri tempi.

Un'altra vita.

Ritornai in strada e chiesi ad un passante che ora fosse ma non mi vide e non mi sentì, per cui dovevo essere invisibile.

Il che mi apriva molte altre possibilità, che sarebbero state molto utili se fossi stato ancora Serafino.

Ancora sotto l'influenza dei suoi desideri entrai in casa della bella e sexy vicina del secondo piano del nostro palazzo; era sotto la doccia, era meglio di come la immaginavo e si stava preparando a partire per il mare col marito.

Uomo fortunato!

Provai irresistibile il desiderio di entrare nel suo corpo e mi riuscì; sentii subito il calore dell'acqua calda, avevo riacquistato la sensibilità di un corpo e mi sentivo bene perché la signora era in buona salute, ma non avevo la stessa leggerezza di prima; sentii le mani scivolare sul suo corpo, insaponandolo, e mi sentii donna.

Insistetti a farla insaponare tra le cosce e si eccitò subito molto, facendomi provare le sensazioni sessuali di una donna.

Entrò in quel mentre il marito già nudo; le lasciai l'iniziativa e presero a giocare sotto l'acqua e ad insaponarsi a vicenda, vidi e sentii sul ventre l'eccitazione dell'uomo, sapientemente e voluttuosamente insaponato ed accarezzato dalla mano della donna e che mi trasmetteva la sua, per me sconvolgente, profonda e potente voglia d'amore.

Allargò le lunghe e superbe gambe per accogliere il suo uomo e abbandonai precipitosamente la bella e sexy vicina.

La mia indiscrezione non era stata del tutto inutile però.

Mi ero reso conto che potevo, entrando in un qualsiasi corpo, farlo agire per me.

La bella vicina non pensava proprio a far l'amore sotto la doccia, l'avevo indotta io ad accarezzarsi.

Era un terribile potere quello che avevo scoperto di possedere e mi ripromisi di non abusarne.

Ritornai in strada, vidi la Banca d'Italia e vi entrai; i carabinieri che facevano la guardia si giocavano a scopa mille lire a partita, i mitra appesi alla spalliera delle sedie; detti una occhiata nel "caveau" e vidi tanti di quei soldi in pacchetti di biglietti di banca di ogni valore, nuovi e vecchi, legati con la fascetta ed ammucchiati in bell'ordine, tanti che sarebbe stato impossibile per un ladro, ammesso che ci fosse arrivato fin lì, rubarli tutti.

Poi feci un rapido giro per le spiagge, affollate di umanità bella e brutta, sudata ma comunque intenzionata a divertirsi; era ferragosto.

Viaggiare non era più un problema per me e pensai al mio amico virtuale di Torino, ora in vacanza in Val d'Aosta, e pensai di andarlo a trovare; mi ritrovai in un bosco di castagni accanto ad un signore attempato ma ancora forte e di bell'aspetto, in pensione dopo una prestigiosa carriera di manager ad alto livello; pur rilassato conservava inconsciamente ancora una certa aria autoritaria.

Era vestito con pantaloni di velluto, camicia e pullover, cappello floscio per proteggere la sua calvizie e scarponcini con la suola in para a carro armato; con un paniere ed un bastone era alla ricerca di funghi porcini ma non ne aveva trovato nemmeno uno.

Avrei voluto indicargli dove poteva trovarli, perché io li vedevo attraverso i ciuffi d'erba che li nascondevano e ce n'erano tanti, ma non potevo dirglielo.

Mi ero ripromesso di non abusare del mio potere e poi era giusto che li trovasse da solo.

Poggiai una mano sulla sua spalla ma passò attraverso.

Me ne andai dopo un silenzioso addio, lasciandolo alla sua passeggiata e varcai l'oceano alla ricerca della mia amica americana.

Era in ufficio e lavorava al computer; per gli americani ferragosto è un giorno come un altro.

Per oltre 4 anni lei e Serafino avevano passato un'ora di tempo a chattare quasi tutte le notti ed erano diventati molto amici.

Stava scrivendo ora una e-mail proprio a Serafino, che non l'avrebbe mai letta, né volli leggerla io.

Le deposi un bacio sulla testa e volai via.

Si sarebbero dispiaciuti i suoi amici virtuali quando avrebbero saputo, perché avrebbero comunque finito per saperlo o intuire ch'era successo qualcosa, non vedendolo più apparire in Internet, poi col tempo avrebbero dimenticato.

Il tempo spesso è galantuomo.

Il tempo per me era fermo e non esisteva ma per i vivi passava come sempre e s'era fatta sera; lunghe code d'auto per il rientro in città e anche io ritornai a casa, dove tutto era rimasto come la mattina.

Strano pensare di ritornare a casa; ora ero a casa dappertutto.

E nessuno in questa nuova dimensione si faceva ancora vedere.

Sulla veranda Blake era disteso sulla sua pedana; aveva mangiato metà della pappa e stava lì col muso tra le zampe; a volte aveva un quasi impercettibile sussulto ed emetteva un flebile lamento.

Ogni tanto si alzava e andava a grattare alla porta, poi ritornava a stendersi e a lamentarsi. Povero Blake!

Ebbi l'impressione che non stesse troppo bene; tra poco sarebbe arrivata Rosa e gli avrebbe fatto... gli avrebbe fatto niente, trovando Serafino morto avrebbe avuto altro per la testa.

Rosa arrivò alle 15.30; entrò aprendo con le sue chiavi e andò direttamente a rassettare la cucina, caricò la moka express sicura che Serafino, dopo la notte al computer andava come al solito a letto al levar del sole e dormiva fino al pomeriggio, sentendo rumore di piatti si sarebbe svegliato ed avrebbe trovato il caffè pronto.

Terminata la cucina, cominciò a riordinare il soggiorno facendo finta di togliere un po' di polvere, o meglio toglieva quella che poteva senza spostare le carte ammucchiate sul tavolo, perché Serafino non voleva che lei gli spostasse le sue cose sul tavolo; azionò addirittura l'aspirapolvere poi, non vedendolo arrivare dopo tutto il rumore che aveva fatto, mise il caffè in una tazzina poggiando questa sul tavolo e cominciò a chiamarlo:

"Signor Serafino, signor Serafino, io ho finito e me ne vado; il caffè è sul tavolo; signor Serafino, mi sente?"

Non ottenendo risposta pensò che dovesse essere molto stanco e che si sarebbe svegliato prima o poi; il caffè lo avrebbe riscaldato o ne avrebbe fatto un altro.

Non osava entrare nella stanza per scuoterlo e decise di andarsene.

"Ancora 24 ore? No! non è possibile che resti così", mi dissi ed entrai rapidamente in lei prima che uscisse, guidandola nella stanza da letto; lo vide nella semioscurità, si chinò per scuoterlo e sentì il corpo rigido e freddo.

Venni fuori da lei; non era piacevole come con la vicina sexy e sentivo il suo smarrimento.

Lo chiamò un paio di volte, poi finalmente capì e cominciò ad urlare per la paura; corse via, sempre gridando, dalla stanza da letto, cominciò a singhiozzare e si guardò intorno non sapendo cosa fare.

Comunque ora qualcuno sapeva e qualcosa si sarebbe fatto.

Telefonò a casa sua e disse alla figlia che il signor Serafino era morto e di raggiungerla, che lei aveva paura a restare sola in casa con un morto e che l'avrebbe aspettata fuori davanti al cancello.

Uscendo vide che il proprietario dell'immobile, che abitava nell'appartamento di sopra, era affacciato al balcone e, con sollievo, lo informò che il signor Serafino era morto e lei non sapeva che fare, chi avvisare.

Il proprietario telefonò ai carabinieri; questi rintracciarono il fratello, che arrivò dal mare dopo due ore con la moglie e le figlie.

Da quel momento le cose andarono velocemente.

Chiese al carabiniere presente cosa dovesse fare e questi suggerì di chiamare una impresa di pompe funebri:

"Se non ha delle preferenze ne chiamo io stesso una; si occuperanno loro di tutto, dei documenti in Municipio, dei manifesti, dei permessi di inumazione, di chiamare il medico legale per stilare il referto, insomma di tutto, anche del servizio religioso";

"Mio fratello non era credente, non è il caso di portarlo in chiesa; poi diceva sempre che voleva essere cremato, di non vestirlo con giacca e cravatta e di voler essere avvolto in un lenzuolo";

"Sul servizio religioso non discuto", disse il carabiniere, "e neanche su come lo vestirete ma per la cremazione è un'altra storia; qui non c'è la possibilità di farla, non esiste la struttura adatta, la più vicina è a Napoli; dovete chiedere ed ottenere i permessi dei Municipi per portare la salma da un Comune all'altro, un furgone idoneo al trasporto della stessa, avvisare la struttura di Napoli ché preparino tutto; ci vuole tempo e anche denaro, tutto ciò costa e non poco".

Ero lì a sentire questi discorsi e mi resi conto delle esitazioni di mio fratello; non sapeva come regolarsi, combattuto tra il voler ottemperare ai desideri del defunto fratello e le difficoltà che gli si presentavano numerose ed impreviste.

Dei due era il fratello minore, di circa tre anni, di carattere molto più introverso rispetto a Serafino e di mentalità più rigida, tanto che sembrava lui il più vecchio.

Veniva giudicato un uomo serio tanto quanto era considerato un allegrone Serafino.

Era stato un alto funzionario in un ente assistenziale ed ora era in pensione da due anni.

Si volevano indubbiamente bene anche se, data la differenza di carattere, non c'era molta intesa tra loro.

Il fratello rimproverava, più o meno tacitamente, a Serafino la sua troppa leggerezza nei confronti della vita e questi non si privava del piacere di dirgli che non era mai stato giovane, di esser nato già vecchio.

"Possibile", rispondeva il fratello, "in compenso tu non sei mai maturato".

Entrai in lui e sentii che era veramente addolorato per la mia morte (non si condivide la stessa stanza per oltre vent'anni senza che ciò lasci una profonda traccia), non piangeva ma aveva la gola stretta per la commozione; voleva fare come Serafino aveva chiesto ma era anche stanco, aveva caldo e non vedeva l'ora che tutto fosse finito.

Non stava tanto bene neanche lui.

Gli instillai la profonda convinzione che, da dove era ora, Serafino vedeva e sapeva del suo reale dispiacere e che non gliene fregava più niente di essere sepolto o cremato, vestito o avvolto in un lenzuolo, purché le cose andassero veloci e che lui stesso andasse a riposarsi; tanto per Serafino non sarebbe cambiato niente.

Mi assicurai di averlo convinto ed uscii da lui.

Aveva ora una espressione di serenità e di sollievo, come chi sa cosa deve fare, sicuro della giustezza delle sue decisioni.

"D'accordo allora, lo seppelliremo; telefoni lei ad una impresa di pompe funebri, io non saprei a chi rivolgermi".

Il carabiniere telefonò, poi disse:

"Avete una tomba di famiglia o suo fratello avrà pensato a comprare il loculo al cimitero?" chiese il carabiniere;

"No, niente tomba di famiglia e non credo che ci abbia pensato";

"Allora ve ne assegnerà uno il comune, la fattura vi arriverà dopo";

"Nessun problema, ha lasciato dei soldi".

Vennero quelli delle pompe funebri con una bara lucida e scura che portarono in camera da letto.

Il cadavere venne spogliato e avvolto in un lenzuolo, così come voleva il defunto, e messo nella bara.

Questa su due cavalletti ed il coperchio appoggiato sopra, senza essere sigillato.

"Scusi signore", si rivolse uno delle pompe funebri a mio fratello, "cosa dobbiamo scrivere sui manifesti che faremo affiggere domattina? Dopo lunga e penosa malattia..."

"No!" lo interruppe mio fratello, "faccia scrivere:

Ieri è mancato Serafino.
Il fratello ed i parenti, addolorati, lo ricordano

a quanti lo conobbero.

Niente fiori, basta un pensiero.

Si dispensa dalle visite.

ecco, solo questo";

"Non le sembra un po' troppo secco?"

"E' quanto avrebbe voluto."

Si, mio fratello sapeva ora cosa fare ed ero contento di essere intervenuto.

Venne anche il medico legale che stilò il certificato di morte naturale.

Blake intanto era entrato in casa; in quella confusione nessuno aveva badato a lui.

Rosa, che s'era tranquillizzata perché altri avevano preso la direzione delle operazioni, cercava di rendersi utile facendo spesso il caffè per tutti ed aveva anche preparato la nuova pappa che Blake non aveva degnato di uno sguardo.

Era ora nella camera da letto, grattava con la zampa contro la bara chiusa e si lamentava piano.

Cercarono quegli uomini di metterlo fuori dalla stanza, per rispetto al morto dicevano, e per la prima volta sentii Blake ringhiare sordamente, mostrando le zanne e con un'aria cattiva che non gli avevo mai visto.

"Lasciatelo stare!" ordinò loro mio fratello, "mi pare giusto che voglia stare vicino al suo padrone";

"Ma è un cane...", disse uno di quelli;

"E' più di un cane, è un amico a cui è morto un amico; lasciatelo stare lì".

Poi, come parlando a se stesso:

"Piuttosto, dopo dovrò trovare una sistemazione anche per lui e non sarà una cosa semplice, con mia moglie che non vuole animali in casa".

Ma Blake risolse il problema per lui morendo il giorno dopo davanti al cancello del cimitero, dopo una lunga e ansimante corsa di tre chilometri dietro al carro funebre; lo sforzo e soprattutto il dispiacere gli erano stati fatali.

Se ne andarono tutti, tranne mio fratello che, mandate a casa moglie e figlie, si arrangiò sul divano per non lasciare solo Serafino.

Blake era accucciato sotto la bara con il muso tra le zampe.

Il giorno dopo, espletate le ultime formalità, la cassa fu sigillata e portata al cimitero.

In vettura avevano seguito il carro funebre mio fratello, la moglie e le tre figlie; con la sua vettura Rosa e la figlia.

La sorella di Serafino, che viveva vicino Roma, era stata avvisata ma non sarebbe arrivata in tempo per assistere ai rapidi funerali, con un così breve preavviso, ma si ripromise di portare un mazzo di crisantemi in occasione della commemorazione dei defunti il prossimo 2 novembre.

Comunque sette persone e un cane era più di quanto Serafino potesse aspettarsi in un venerdì 17 d'agosto.

Avrebbe dovuto scegliere un'altra data per salutare il mondo, se voleva che ci fosse stata più gente al suo funerale.

A me fu risparmiata la noia di vedere chi tra gli amici fosse veramente dispiaciuto.

E comunque la cosa non avrebbe più avuto la minima importanza.

Fu tumulato e se ne andarono tutti.

Davanti al cancello del cimitero era rimasta la carcassa di Blake, che prima o poi qualcuno del Comune avrebbe rimosso.

Vicino alla carcassa un ragazzo di 15 anni, aria simpatica, scuro di capelli, con una tuta nera da ballerino; mi guardò e mi sorrise.

"Ciao Serafino", mi salutò confidenzialmente;

"Ciao, ma tu mi vedi?" dissi sorpreso;

"Si, forse quelli che sono in tuta da ballerino si vedono tra di loro", rise;

"Già, ti sento e pure tu mi senti; sei Blake, per caso"?

"Si";

"Perché hai l'aspetto di un ragazzo e non di un cane"?

"E che ne so! Sono sorpreso anche io. Che facciamo ora"?

"Ne so quanto te, sono due giorni che me lo chiedo".

Lo guardai con curiosità; per essere stato un cane parlava come il ragazzo che appariva; mi lesse nel pensiero:

"Neanche io so perché ora parlo e ti capisco ma da cane non riuscivo a capirti bene; capivo solo quando ti arrabbiavi con me o eri contento";

"Ma capivi che mi arrabbiavo quando facevi pipì dappertutto, si?

me ne hai fatto fare di urlacci!"

"Si, ti capivo ma io seguivo il mio istinto di cane, marcavo il mio territorio";

"Il "tuo" territorio! E il giardino? Quello era il tuo territorio; sono venuto io qualche volta a fare pipì nel tuo territorio? O avrei dovuto mettermi a fare pipì ad ogni piede di tavolo, di ogni sedia ed in ogni angolo per farti capire che il territorio era già occupato da me?"

"Non so che dirti; tu però potevi pure farmi un po' più di compagnia ed io ne avrei fatta a te, se mi avessi lasciato entrare in casa; non sarebbe stato meglio?

"Sicuramente, ed era questa la mia idea ma tu me l' hai fatta cambiare, sporcavi dappertutto come un dannato ed io non avevo la forza di ripulire; poi quando ti facevo dormire dentro casa, quando faceva freddo, non è che ti accontentassi di stare dove ti mettevi vicino a me, no mica eri scemo tu, appena me ne andavo a letto e restavi solo, ti allungavi beato sul divano bianco di velluto che diventava nero dei tuoi peli";

"Beh É per terra faceva freddo, non puoi darmi torto", disse;

"No, ma il divano dopo un po' avrei dovuto buttarlo; e poi, non ancora contento, quando ti ho lasciato dormire persino in camera mia sullo scendiletto, tu che fai? Sali addirittura a dormire sul letto! Prima o poi ti avrei ritrovato stretto a me sotto le coperte. Non ti sembrava di esagerare, eh"?

"Il mio era solo affetto , amore per te";

"Lo capisco ma, per me esageravi: e poi lo sai che se hai vissuto 15 anni lo devi a me"'? gli dissi;

"Come sarebbe che lo devo a te; ti riferisci alle cure che mi hai dato"?

"Le cure, eh! Anche per quelle mi hai fatto prendere delle belle arrabbiature; scappavi sempre per non prendere le medicine e non potevo venirti dietro.

No, mi riferisco al fatto che tu sei nato in compagnia di altri otto cuccioli e se il mio amico Rocco, per salvarti dal fratello contadino che stava per seppellirti vivo con tutta la cucciolata, non ti avesse portato da me chiedendomi di tenerti ed io, vedendo quanto eri carino, non ti avessi accettato saresti vissuto solo una settimana; poi sei cresciuto e sei diventato un marcatore di territori".

"Non lo sapevo".

"Non potevi saperlo ma, anche con tutto quello che non ho fatto per te e non potevo fare di più, ti ho voluto bene lo stesso".

"Lo so, ed anche io te ne ho voluto".

Sospirò, poi disse;

"E' andata come è andata! Che facciamo ora?"

"Non lo so, proprio non lo so".

"Allora ragazzi, pronti ad andare?"

Vicino a noi era apparso un altro ballerino con una tuta dorata, di circa quarant'anni, ed aveva l'aria di sapere che cosa fare.

"E tu chi sei"? chiesi;

"Un Ener 10, faccio il Raccoglitore e l'Accompagnatore; raccolgo e accompagno gli Ener liberi";

"Ah! Finalmente qualcuno che sa che dobbiamo fare! E dove ci accompagni? all'Inferno, in Purgatorio o in Paradiso? anche Blake che è un cane"?

"Blake non è un cane, è un Ener come te.

Qui non ci sono uomini o bestie, qui ci sono solo Ener e voi siete, come miliardi altri, gli Ener liberi e senza numero, i più in basso nella scala gerarchica, quelli che vengono immessi nei vari corpi.

Gli Ener, in quanto Ener, non hanno sesso, sensazioni, desideri o altro, ma assumono il sesso, l'aspetto e le sensazioni del corpo che occuperanno.

Io sono un Ener 10, immediatamente sopra di voi, poi più su di me gli Ener 9, 8, 7 ecc. che valuteranno attentamente le vostre colpe ed i meriti accumulati nella vostra vita corporea e infine il Gran Capo, Ener 1, che vi assegnerà la vostra nuova destinazione".

"Spero che mi assegni al Purgatorio almeno", mi augurai;

"Paradiso, Purgatorio, Inferno sono invenzioni dei corporei e non esistono nell'al di qua, bensì sono sulla Terra e non come li immaginano loro.

Qui c'è solo il mondo degli Ener, un mondo "non mondo".

Per farvi capire vi faccio l'esempio di Blake; nella sua vita precedente a quest'ultima è stato molto cattivo; allora è stato punito assegnandogli un corpo di cane, quindi nell'inferno di una vita da cane, che avrebbe potuto essere anche una bella vita se fosse stato un cagnolino di razza e da salotto e affidato ad una signora che lo coccolava, o comunque di razza, ma era un cane bastardo e ha incontrato te, che gli hai fatto pure patire la solitudine. Ha molto sofferto ma ha sopportato tutto pazientemente e ti ha voluto bene lo stesso; ha riscattato la sua precedente vita e nella prossima sarà premiato con una assegnazione di tutto rispetto ed avrà una vita lunga e felice. Magari sarà un ricco play boy con un sacco di bellissime donne, per compensarlo dello straccio di cagna che non gli hai procurato".

Mi fece sentire mortificato e in colpa.

"Allora sarò io ora a finire nel corpo di un cane?" chiesi;

"Non credo; per aver vissuto il Purgatorio una vita carica di acciacchi e di dolori anche tu hai riscattato una precedente cattiva vita; non tanto cattiva come quella precedente di Blake ma nemmeno tanto buona.

Penso che la tua prossima sarà una assegnazione migliore di quest'ultima, anche se non sei stato il miglior padrone per Blake - ma questo faceva parte della sua espiazione - e stavi per compromettere tutto con la tua intromissione nella tua bella vicina sexy; per tua fortuna ti sei riscattato uscendone in tempo, prendendo la decisione di non abusare del tuo potere e tranquillizzando tuo fratello.

Qui anche l'onestà delle intenzioni ha la sua importanza".

Si, pensai, per mia fortuna! cinque minuti piacevoli avrebbero potuto costarmi un'altra vita come quella che avevo appena finito se non peggio.

"Ma non è detto che nella tua prossima vita occuperai il corpo di un uomo o di una donna", continuò Ener 10, "potresti forse occupare il corpo di un cavallo, magari di un purosangue vincente negli ippodromi; sarai trattato benissimo, come tutti i vincenti, e ti ritirerai coperto di gloria a fecondare bellissime puledre o fattrici; il che sarà già meglio della tua ultima vita.

Oppure potresti entrare nel corpo di un futuro campione dello sport ed essere osannato dalle folle, o avere una vita piena di successi sociali e diventare un potente uomo politico, per quanto in questo caso rischieresti di finire peggio di Blake nella tua vita successiva.

Non so, non sono io che decido".

"Abbiamo vissuto molte vite, Blake ed io"?

"Migliaia di vite, non solo tu e Blake ma tutti gli Ener. Un Ener entra in sospensione se non ha un corpo ed un corpo non può vivere senza un Ener; dalla non casuale unione tra un corpo ed un Ener si otterrà la possibilità per vivere una buona o cattiva vita.

Se ti verrà assegnato un buon corpo forte, con un buon cervello tu, che rappresenterai la volontà, il carattere, l'intelligenza avrai del buon materiale e potrai operare al meglio per ottenerne il massimo, come potresti scegliere di far male; non c'è niente di prestabilito nel tipo di vita che un Ener condurrà, sarà solo una sua scelta.

Le tue precedenti azioni ti daranno diritto ad un buon corpo per un tentativo di vita buona e felice o ad un corpo pessimo per un possibile riscatto".

"Beh! Almeno nella mia prossima vita potrò far tesoro dell'esperienza fatta in questa";

"Sarebbe troppo facile; per prima cosa andremo al CED, Centro Elaborazione Dati, dove faranno una indagine approfondita a vari livelli ed una contabilità esatta dei meriti e colpe accumulate; poi andremo al CCR, Centro Cancellazione Ricordi dove ripuliranno la vostra memoria da quest'ultime esperienze, poi resterete in sospensione come in un limbo, in attesa di un corpo idoneo e adatto ai vostri meriti o colpe, prima di darvi una nuova assegnazione.

Forse lasceranno qualche brandello di ricordi sparsi, come un luogo che ti sembrerà di aver già visto anche se non ci sei mai stato, di un odore, un suono, un volto di donna che ti sembrerà di conoscere da sempre..."

"Siiii", lo interruppi, "ricordo che una volta a Bologna vidi una ragazza che mi fece questa impressione; che meraviglia! Vederla e amarla è stata una sola cosa. Avrei voluto seguirla ma la persi tra la folla; peccato! sapessi quanto me ne addolorai".

"Peccato si, forse era stata il tuo grande amore di una tua precedente vita e quella appena finita avrebbe potuto essere diversa se non l'avessi persa di vista.

Ma ora è inutile parlarne".

"Già, è inutile", ripetei con lui, poi chiesi:

"Ma un Ener non va mai in vacanza? Non ha un periodo di riposo"?

"Per riposarsi da che? Non hai peso, non hai caldo, freddo, fame, sete o altri bisogni o desideri, non ti puoi stancare neppure se volessi; e poi che ci faresti in sospensione"? a che serviresti? Saresti come una ottima cioccolata fondente amara con le nocciole, esposta in vetrina e che nessuno mangia, e se nessuno la mangia non serve, come se non ci fosse",

Ci guardò intensamente, poi continuò:

"Un Ener trova la sua giustificazione d'essere unendosi ad un corpo; allora ritrova tutta la necessaria sensibilità, i desideri, i bisogni, le gioie, i dolori, le ansie, le paure, la speranza, l'amore.

Insomma tutto ciò che si chiama vita".

Tacque un istante poi ci sorrise;

"Nuove vite vi attendono, vogliamo andare ora"?

Dicemmo di si con la testa, Blake ed io, e tutti e tre volammo via.

 

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