Sibylle

Pioveva talmente che né l'ombrello né l'impermeabile servivano a proteggermi; il vento mi sbatteva in faccia la pioggia con violenza e, per evitarne la rottura definitiva, chiusi l'ombrello controvento e mi ritrovai del tutto esposto alla furia degli elementi, i piedi nel torrente in cui s'era trasformata la strada in discesa ed i capelli incollati alla fronte.

Un lampo accecante ed un quasi simultaneo e assordante tuono mi privarono per qualche secondo della vista e dell'udito; contemporaneamente si spensero i lampioni e restai anche al buio.

Una vera bufera.

Mi maledissi per essere uscito, in quella sera d'ottobre, a fare i soliti quattro passi e per andare a giocare a biliardo con gli amici, pur sapendo che il tempo non prometteva niente di buono; fossi rimasto in casa a leggere un buon libro avrei evitato questo bagno fuori programma e non mi sarei trovato ora a brancolare fradicio nella notte; comunque ero a quattrocento metri da casa mia ma non potevo continuare sotto quel diluvio; ricordavo che a quel punto c'era un riparo costituito dall'ingresso di un grande magazzino, una specie di androne coperto rientrante di almeno cinque metri, e mi ci rifugiai, in fondo, le spalle appoggiate alle grandi porte di ingresso di vetro corazzato, scrollandomi l'acqua di dosso, aspettando il ritorno della luce e un momento di stasi della pioggia.

Altro lampo e altro tuono ed in quel bagliore mi sembrò di intravedere una sparuta e grondante figuretta di donna che si rifugiava anche lei nello stesso riparo, ma non ne fui certo finché, dopo un altro lampo e tuono più terrificanti dei precedenti, non mi sentii avvinghiare da due braccia tremanti, che mi fecero quasi sussultare per la sorpresa, ed una voce malferma disse:

"Ho paura!"

Le circondai le spalle con il braccio destro e la strinsi un pò per confortarla, dicendo:

"Niente paura! È una piccola bufera che passerà tra qualche minuto; certo non è piacevole ma non c'è da aver paura; aspettiamo un po' qui e passerà."

"Lei dice?"

"Beh, è sempre così che vanno le bufere; più sono violente meno durano, anche se questa sta durando un pò troppo, per i miei gusti; forse non è abbastanza violenta."

"Oh no! Mi basta già la violenza di questa."

"Anche a me."

Ci mettemmo a ridere; si era calmata e non tremava più. Almeno non tremava più di paura ma la sentii rabbrividire per il freddo; la strinsi di più e cercai di riscaldarla massaggiandole le spalle, ma era bagnata fradicia.

"Ci prenderemo una polmonite se non ci asciughiamo subito", le dissi. "Lei dove abita?"

"Lontano".

Non insistetti. Forse non si fidava del tutto e poi per lei ero uno sconosciuto; già ero meravigliato che si lasciasse tenere stretta, ma mi ricordai della sua paura. Nel buio non vedevo il suo volto ma quello che sentivo contro di me e sotto la mia mano mi diceva che doveva essere giovane. Un altro lampo meno violento ed un brontolio di tuono più lontano annunciavano che il centro della bufera si stava allontanando; la centrale elettrica doveva aver riparato il guasto, perché la luce ritornò e notammo che infatti pioveva di meno, ma ancora troppo.

Ci avvicinammo all'uscita dell'androne; il vento era calato e la pioggia battente si era trasformata in una pioggia fine ed insistente, che faceva un alone iridiscente intorno alla luce dei lampioni; sarebbe durata per tutta la notte.

La guardai e quello che vidi confermò la sensazione dàtami dal contatto fisico; vent'anni, ventidue al massimo, alta quasi quanto me.

Starnutì.

"Ascolta", dissi dandole del tu, "tu abiti lontano ed io a quattrocento metri da qui; non puoi restare in queste condizioni a lungo e nemmeno io. Vieni da me, ti asciughi, magari ti fai un bagno caldo e aspettiamo che i tuoi vestiti si asciughino; poi ti accompagnerò dove vuoi; dai vieni!".

"Va bene, andiamo", disse semplicemente e ci avviammo quasi correndo, dopo che ebbi aperto il malandato ombrello.

Le diedi un accappatoio di spugna ed un asciugamano puliti e le indicai il bagno senza una parola; non volevo essere troppo gentile per non darle l'impressione di un eccessivo interesse da parte mia, anche se in realtà ero molto interessato ed intrigato; mi spogliai in camera da letto, lasciando per terra i vestiti zuppi, e mi asciugai alla meno peggio; indossai un altro accappatoio, pantofole e mi diressi in cucina a preparare del ponce al rhum con una scorza di limone.

Lei uscì dal bagno avvolta nell'accappatoio, con l'asciugamano in testa a foggia di turbante, a piedi nudi e con i suoi vestiti bagnati in mano; la guidai nel soggiorno pranzo dove, sul tavolo, avevo messo il bricco col ponce. Gliene riempii un bicchiere. Mi sorrise.

"Hmm! Che buono! Ero morta di freddo."

"Mi fa piacere che ti piaccia; mentre ti riscaldi col ponce io faccio una doccia, poi ti accompagno a casa; intanto metti i tuoi vestiti ad asciugare sul termosifone, insomma fai come a casa tua, torno subito."

"Posso mettermi su quella poltrona?"

"Puoi metterti dove vuoi; te l'ho detto di considerarti a casa tua; ora vado."

"Grazie! Ti aspetto".

Si sistemò comodamente e mi sorrise, guardandomi con i più stupefacenti ed incredibili occhi color verde smeraldo che avessi mai visto; il momentaneo turbante fatto con l'asciugamano e due nerissime sopracciglia li facevano risaltare di più sull'ovale del suo volto esotico; occhi inquietanti e densi di mistero, profondi come sconosciuti orizzonti lontani, che mi stregarono; li vedevo dappertutto.

Da quel momento non fui più lo stesso uomo.

Feci fatica a staccarmene per andare sotto la doccia.

Quando ritornai in soggiorno la ritrovai sulla mia poltrona, addormentata con le gambe stese su un puffo ed un lembo dell'accappatoio, caduto di lato, le scopriva una coscia ed anche di più.

Sedetti al tavolo, mi versai un altro ponce ancora caldo ed incominciai a guardarla.

Per la prima volta potevo guardarla attentamente e con calma.

Accesi una sigaretta; nella bufera mi era sembrata niente di speciale, magra e scarna, quasi patita ma era il risultato della pioggia e, a guardarla ora, mi resi conto di avere davanti agli occhi una donna eccezionale. Una falsa magra; quello che sembrava scarno era pieno e non di cellulite, ma di muscoli levigati e la sua coscia lunga, nervosa e bombata, faceva pensare ad una campionessa di nuoto o di salto in lungo.

Mai vista prima una pelle così compatta, quasi senza pori visibili, dal colore ambrato scuro che hanno le mulatte bianche e priva di peli superflui; oltre che dalle sopracciglia, dai peli necessari constatai che si trattava di una bruna naturale.

Il volto di donna di vent'anni, disteso nel sonno, era di quelli che più li guardi e più si fanno guardare e più scopri nuove linee; un volto che piaceva e basta; le ciglia, lunghe e ricurve; il naso piccolo e sottile, due labbra piene e sensuali, leggermente semiaperte nell'abbandono del sonno; respirava calmamente ed il seno, che si indovinava pieno e sodo sotto l'accappatoio, si sollevava ritmicamente.

Il mio sguardo indugiò a lungo sulla sua coscia nuda, sul suo ginocchio, sul suo piede e sul resto che lei inconsapevolmente mi mostrava; non mi andava di svegliarla, perché mi faceva tenerezza vederla dormire così innocente ed indifesa e perché non volevo essere privato di quello che vedevo.

Non volevo che si svegliasse e rischiare così di perderla; una volta sveglia se ne sarebbe andata e mi sarebbe dispiaciuto. Avrei dovuto accompagnarla a casa sua e non mi andava; perché mi pesava uscire di casa con quel tempo, ma soprattutto perché volevo che restasse.

E fin quando dormiva restava lì.

Con me.

Mi stavo rendendo conto di trovarmi con la donna più bella che avessi mai incontrato.

La donna che avevo sempre desiderato.

La mia donna.

Ma chi era? Da dove veniva? Cosa faceva nella vita? Certo che alla sola domanda che le avevo posto mi aveva risposto con un sibillino "lontano".

Intanto s'era fatta l'una del mattino, lei dormiva ancora ed io continuai a fumare ed a bearmi di quello che la fortuna e lei mi concedevano; era finito il ponce e passai al whisky.

Ma non era finita la notte.

Mi accorsi che aveva aperto gli occhi, quei meravigliosi occhi verdi, e mi guardava.

Arrossii al pensiero che forse s'era accorta che la dettagliavo; le sorrisi e rispose al mio sorriso.

"Dormito bene?"

"Si, ma non abbastanza."

"Vuoi che ti accompagni a casa?"

"Oh no! Sto troppo bene qui per desiderare di affrontare ancora la pioggia."

Come la capivo!

"Ma non ho un altro letto per te, e la poltrona è scomoda."

"Posso dormire con te, se vuoi."

(Se voglio? Che domanda!) "Vieni!"

Le porsi la mano e l'aiutai ad alzarsi; ci dirigemmo nella stanza da letto, lasciammo cadere gli accappatoi e ci infilammo sotto le coperte.

Stranamente non ebbi esitazioni, l'attirai verso di me e lei si rifugiò tra le mie braccia, nuda contro il mio petto nudo, con la stessa voglia di protezione che sotto la pioggia; ma non pioveva, mi dissi, eravamo asciutti, al caldo e con la voglia di essere vicini.

Benedetta bufera! Ce ne sarebbe voluta almeno una alla settimana, se produceva questi risultati.

I suoi capezzoli si indurirono immediatamente e li percepii chiaramente contro il mio petto; glieli accarezzai sfiorandoli molto dolcemente, la strinsi con tenerezza e le baciai gli occhi, la fronte, le tempie, il collo, la bocca.

Mai avevo avuto una sensazione così piacevole al contatto con un corpo femminile; ovunque mettessi le mani la risposta erotica era la stessa e della stessa intensità; toccarle una mano o un piede era come toccarle un seno o ... la pancia; non c'era niente di lei che mi dispiacesse o che non avrei toccato o baciato con la stessa voglia di toccare e di baciare, di scoprire, di conoscere; e sembrava, almeno così mi pareva, che anche lei provasse le stesse sensazioni, ed era proprio così. Ricambiava con impeto.

La sua pelle, che a vederla mi appariva compatta, era sotto le mie mani liscia e setosa e il suo corpo, ovunque consistente e fermo, odorava di buono, di donna; la feci mettere pancia in giù e le accarezzai lungamente la schiena, scendendo man mano verso le due semisfere piene e sode, le cosce nervose, mentre la baciavo sul collo e sulla schiena, quasi seguendo il percorso della mia mano che intanto, all'interno delle cosce, risaliva piano ma decisa verso quella parte che avevo contemplato prima, quando dormiva sulla poltrona, ed il mio dito la trovò piena degli umori di donna in amore; lei gemette e si irrigidì in uno spasimo di piacere; continuai ad accarezzarla a lungo, ripagato dalle sue reazioni convulse che mi esaltavano aumentando il mio desiderio.

Mi portai il dito alla bocca per gustare i suoi umori e mi venne immediatamente voglia di berli direttamente dalla fonte; li gustai a lungo e lei mi restituì sensazioni sconosciute fino a quel momento. Non un centimetro della sua meravigliosa pelle restò inesplorato dalle mie labbra e dalla mia lingua.

Fare l'amore con lei era una continua scoperta.

Ci amammo fino all'alba; e l'alba in ottobre nasce tardi.

Poi ci addormentammo, abbracciati; lei con le spalle contro il mio petto, tutto il resto di lei rannicchiato e premuto contro di me, le mie mani a tenerla stretta , la sinistra passante sotto il suo collo sui seni e la destra sul suo sesso.

Il volto tra i suoi capelli.

Ero felice.

**

Un profumo di caffè mi svegliò verso mezzogiorno; mi stirai voluttuosamente e lei apparve, splendidamente nuda, con una tazzina in mano; me la porse dicendomi:

"Buongiorno, amore!"

"Buongiorno a te, splendida creatura! Sei vera o sto sognando?"

Bevvi il caffè e misi la tazza sul comodino.

"Questo non te lo dico; non sei felice così?"

"Certo che lo sono e non potrei esserlo di più, ma non so niente di te."

"Cosa vorresti sapere?"

"Per cominciare il tuo nome; poi di dove sei, dove sei nata, che cosa fai nella vita, dove abiti, insomma chi sei oltre ad essere splendida?"

"Mi chiamo Sibylle."

"E poi?"

"E poi cosa?"

"Tutto il resto."

Intanto si era seduta sulla sponda del letto e mi passava la mano tra i peli del petto, mentre io riprovavo la meravigliosa sensazione della mia mano tra le sue cosce.

"Ti piaccio?"

"Di più, ti amo."

"Non devi! Limitati al piacere."

"Tu non mi ami?"

"Io si, ma tu non puoi, non devi amarmi."

"Non ti capisco!"

"Non otterresti di più se tu mi capissi! Anzi, sarei costretta ad andarmene."

"Mi fai quasi paura; che vuoi dire?"

"Non devi avere paura di me, io ti amo; ma non cercare di voler capire di più, accontentati di quello che ti do e godine."

"Tu mi ami ed io non debbo amarti? Che mistero è questo?"

"Un mistero necessario per continuare ad essere insieme; se tu insisti potrei dirti tutto, ma vorrei che tu non insistessi perché, se ti dicessi tutto, dovrei andarmene e non potrebbe essere diversamente. E' questo che vuoi?"

Mi guardava con una espressione quasi di dolore e di paura per quello che potevo rispondere, con quei suoi stupendi occhi ora tristi, e mi affrettai a rassicurarla:

"No, non è questo che voglio; ma è una situazione strana."

"Si, sono d'accordo ma, credimi, non è possibile fare diversamente."

"Ti credo, anche se non capisco; e poi mi ami e non conosci niente di me; neanche il mio nome."

"So tutto di te e non chiedermi come", disse sorridendo, "anche questo fa parte di quello che tu chiami mistero."

" Beh! Se non è un mistero questo! Comunque ..."

Comunque mi risolsi a convivere col mistero e furono giorni di felicità pura; cercai di non pensare alla stranezza della situazione; anzi forse questa aumentava la voglia di averla vicino e la insicurezza del poi esasperava le mie sensazioni.

Approfittai al massimo di tutto quello che mi concedeva.

Era una donna fantastica; non né avevo mai incontrato prima una che le stesse non alla pari, ma che le si avvicinasse almeno un pò per il suo modo di fare l'amore; intuiva e quasi preveniva le mie intenzioni e nessuna di queste le dispiaceva, l'accettava con gioia; i miei desideri erano i suoi.

Sembrava che condividessimo la stessa anima.

Ma era dopo l'amore che diventava veramente unica; sembrava non avesse bisogno di quelle coccole che tutte le donne vogliono e, impazienti, pretendono subito dopo l'orgasmo e che, se non gliele fai, guastano tutto facendo il broncio e dicendoti: "Ecco, come sei! una volta che sei soddisfatto te ne freghi di me!"; ogni uomo credo, almeno per me è così, ha bisogno di qualche attimo di tempo per riprendersi dall'orgasmo avuto ed aspettare che il contatto ritorni ad essere piacevole e non eccessivo, quasi fastidioso; Sibylle lasciava che mi calmassi, che dall'apice del piacere che mi aveva travolto ritornassi pian piano in condizioni di poter apprezzare di nuovo il contatto; mi stava vicino ma non mi sfiorava, neanche con una mano tra i capelli; poi dopo cinque minuti, una volta ritornato normale, ricettivo, allungavo verso di lei una mano e volava tra le mie braccia; le apprezzava eccome le coccole ma aspettava, rispettava il mio momento di non ricettività.

Facemmo di tutto ed andammo dappertutto; al mare e sui monti, al ristorante a pranzo e a cena, o si restava in casa a cucinare, io o lei. Facemmo moltissime fotografie e la ripresi a lungo con la telecamera, sia fuori al mare o sui monti che nell'intimità, nuda sul letto e spesso, molto spesso, insieme, con l'autoscatto.

Un periodo irripetibile della mia vita che ebbe fine quindici giorni dopo.

**

"Me ne debbo andare, amore. Se restassi renderei inutile la tua vita e tu devi viverla al meglio della realtà. Conservami nei tuoi ricordi ma ama una donna che non abbia i miei limiti. Ti lascio perché ti amo. Addio. Sibylle."

**

Leggevo questo biglietto che avevo trovato sul tavolo del soggiorno pranzo; svegliandomi non l'avevo trovata vicino a me, come tutte le mattine; l'avevo chiamata e non mi rispondeva, ero andato a cercarla ed avevo trovato questa agghiacciante notizia.

Una violenta nausea mi prese alla sensazione di vuoto che improvvisamente si verificava nella mia vita; mi sentivo tramortito ed inutile, il pensiero dei giorni a venire senza di lei mi riusciva insopportabile.

Vomitai e stetti male tre giorni.

Non ci credevo e non volevo crederci. Che cazzo vuol dire: "Ti lascio perché ti amo"? E se mi avesse odiato mi avrebbe sparato? fatto a pezzi? passato al tritacarne? E che significa che debbo vivere la mia vita al meglio della realtà? Io voglio viverla con te la mia vita, Sibylle, non con una donna che non abbia i tuoi limiti; chi se ne frega di questa sconosciuta! Io voglio te e i tuoi limiti che non conosco ma che mi fanno impazzire di gioia. E credi che andandotene rendi la mia vita più utile? Utile a chi e a cosa? Intanto la stai rendendo certamente più vuota. Più amara.

La cercai come un pazzo ovunque pensassi potesse essere; chiesi là dove eravamo stati insieme se l'avessero vista; nessuno seppe dirmi niente e non la trovai più.

Mi rassegnai, costretto dall'inutilità delle mie ricerche e non mi restò che la speranza di vederla ritornare.

Dopotutto aveva detto che mi amava.

Poi la cercai in ogni donna che incontrai in seguito, ma nessuna mi dava, per quanto bella, le stesse sensazioni esaltanti che mi dava Sibylle; ognuna aveva sempre un qualcosa in meno, di non completamente appagante e nessuna mi lasciava con la stessa voglia di ricominciare, come mi succedeva col mio amore.

Vissi la mia vita al meglio della realtà, così come mi aveva detto, e con donne senza i suoi limiti, a saperli poi questi limiti, e per quanto mi sforzassi di evitarlo veniva sempre fuori il paragone con Sibylle, che comprometteva ogni riuscita di buon rapporto.

Non fui mai veramente infelice ma nemmeno pienamente felice come con lei.

Mi restava la consolazione, l'illusione, di rivivere la mia meravigliosa avventura guardando le nostre foto ed i filmati che avevo fatto di noi; rimpiangere quello che era stato e rileggere il biglietto d'addio.

E maledire la mia malasorte ... e Sibylle.

Poi, sedici anni dopo e sempre d'ottobre, ma non pioveva stavolta, la vidi di spalle; era inconfondibile.

La chiamai:

"Sibylle!"

Si voltò ed era proprio la mia Sibylle, bella come sempre; io avevo più di qualche filo argenteo tra i capelli sulle tempie, lei sembrava, era, giovane come il giorno che disparve dalla mia vita, la stessa freschezza, lo stesso profumo di donna quando la strinsi a me col cuore in tumulto; tremavo come tremava lei la sera della bufera.

"Ciao amore!", disse lei, stringendomi con la stessa passione.

"Ciao amore un cazzo! Ma ti rendi conto di quello che hai fatto della mia vita"?

Ero felice e furioso al tempo stesso.

"E' stato necessario! Calmati ora. Sarebbe stato peggio se fossi rimasta, credimi".

C'era tanta dolcezza nella sua voce e nei suoi occhi.

"Io ti credo, ma non so perché te ne sei andata, visto che avevo rinunciato a voler sapere di più sedici anni fa, né perché sarebbe stato peggio se tu fossi rimasta. Di certo sono stati sedici anni di tortura e di rimpianto. Ora voglio sapere almeno il perché di tutto questo."

"Vuoi veramente sapere?"

"Si, Sibylle, voglio sapere."

"Come vuoi! E' giusto che tu sappia; portami in un bar".

Ci accomodammo ad un tavolo d'angolo appartato, lontano da altri avventori.

"Caffè?"

"No amore, champagne! Il momento lo merita, è un momento importante".

Il cameriere portò il secchiello col ghiaccio e lo champagne; ci riempì le coppe di cristallo e ci lasciò soli.

"Cin cin, Sibylle!"

"Cin cin, amore!"

Bevemmo.

"Allora? Perché è così importante questo momento?"

"Intanto festeggiamo questo incontro e poi perché, visto che vuoi sapere, scomparirò definitivamente dalla tua vita; non credi che ci voglia lo champagne per un addio?"

"La vita con te merita lo champagne in ogni momento, ma non scomparirai dalla mia vita ... io ti incatenerò stavolta. "

Sorrise dolorosamente.

"Ti resterebbero solo le catene in mano."

"Dimmi! non farmi impazzire più di tanto."

Stette un po' in silenzio, poi sospirò e cominciò a parlare:

"Vedi amore, io non esisto; non sono mai esistita se non per te e per tuo volere; io non sono mai nata e non sono da nessuna parte se non nel tuo desiderio di volermi; io non sono stata di nessun altro se non tua e solo tua ... ma non esisto, solo nella tua fantasia ... nel tuo desiderio di una donna ideale."

"Tu mi prendi in giro." dissi incredulo.

"Purtroppo no, amore, e vorrei che fosse cosi; tu sei un amante meraviglioso e vorrei restare sempre con te ... ma non è possibile."

"Tu sei un'amante meravigliosa come non ne ho mai incontrate in vita mia ... e poi ... perché non puoi? E perché sei sparita?"

"Sono meravigliosa perché sono come tu mi hai voluta ... ma sono una tua idea, un tuo desiderio; sono sparita perché non dovevi continuare a vivere di una illusione ma nella realtà; ora che lo sai non posso continuare ad esistere come donna; l'ho potuto prima quando tu non sapevi e la forza del tuo desiderio, del tuo amore, mi ha fatta esistere e mi ha permesso di materializzarmi; ma, ora che sai che sono una idea, tu stesso non puoi più farmi esistere, se non come idea."

"E' pazzesco!"

"E' insolito, ma succede a chi idealizza troppo. Ora guardami per l'ultima volta, amore mio, sto scomparendo."

"Non farlo!" gridai."

"Non vorrei farlo! Io ti amo, lo sai!"

Il suo contorno si fece meno nitido ed il suo corpo diventava sempre meno reale, meno consistente, più trasparente, diafano e mi sorrideva triste; attraverso lei intravedevo la spalliera della sedia fin quanto scomparve del tutto, come una dissolvenza cinematografica.

Solo i suoi occhi rimasero ancora per un istante a guardarmi; poi più niente ... niente.

Restai gelato dalla sorpresa, dall'incredulità e dal dolore; era lì davanti a me ed ora non c'era più.

Non se ne era andata; era sparita, come aveva detto.

Mi aveva lasciato e non l'avrei più rivista.

Il cameriere si avvicinò e mi riempì di nuovo il bicchiere.

"La sua bella amica non ha bevuto! Se ne è andata?"

Il suo bicchiere era pieno, eppure l'avevo vista bere.

"No! E' andata a rifarsi il trucco; mi porti il conto per cortesia."

"Subito, signore!"

Pagai, lasciai una buona mancia ed uscii, seguito dallo sguardo perplesso del cameriere.

Averla amata per quindici giorni, averla perduta per sedici anni, averla baciata e stretta ancora una volta e poi perduta definitivamente. Non riuscivo a convincermi di una realtà tanto irreale. Eppure era così.

Tolsi di tasca il portafogli ed estrassi il suo biglietto d'addio, che conservavo da sedici anni, per rileggerlo, per rivedere la sua calligrafia, per riattaccarmi a lei. Lo aprii.

Bianco. Non c'era scritto nulla.

Corsi a casa e presi le foto che ci ritraevano.

Vi ero ritratto solo io in pose grottesche, come se stessi abbracciando o baciando qualcuno, ma questo qualcuno non c'era.

E dove era ritratta solo lei si vedeva solo lo sfondo.

Guardai i video fatti con la telecamera e non un fotogramma rivelava la sua presenza. C'ero solo io, col sesso oscenamente turgido nell'atto di metterlo nel ... niente.

Quella notte fu la peggiore della mia vita e la passai a scolarmi una intera bottiglia di whisky ed a riflettere sul niente. Brindavo alle mie illusioni perdute e mi dispiaceva.

Mi addormentai abbrutito dall'alcool e dal senso di inutilità. Al mattino raccolsi le foto, i video, il foglietto e li bruciai nel lavandino.

Feci scorrere l'acqua.

Poi, dopo un caffè, uscii nella realtà.

***