Le decisioni di Kyoto  -  di  Vincenzo Ferrara   (ENEA, Dipartimento Ambiente)


1. Introduzione

La “Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici”, (la cui sigla internazionale è: UN-FCCC) approvata nella Conferenza Mondiale sull’Ambiente e lo Sviluppo di Rio de Janeiro (giugno 1992) e ratificata dall’Italia il 15 gennaio 1994 contiene una serie di obblighi che per finalità generali, possono così raggrupparsi:

a) obblighi sul breve termine volti alla limitazione delle possibilità di cambiamenti climatici globali, o comunque alla mitigazione di tali cambiamenti, indotti dalle attività umane, mediante azioni o contromisure che agiscono soprattutto sulle cause principali dei cambiamenti climatici, quali ad esempio le emissioni in atmosfera di gas ed inquinanti capaci di aumentare l’effetto serra naturale del nostro pianeta;

b) obblighi sul medio termine volti alla mitigazione degli effetti dei cambiamenti climatici globali con azioni e contromisure che agiscono soprattutto sulla prevenzione dei possibili danni e sulla minimizzazione delle prevedibili conseguenze negative indotte dai cambiamenti climatici sull’ambiente naturale, l’ambiente antropizzato e lo sviluppo socio-economico, quali ad esempio i danni all’agricoltura ed alle risorse idriche (prodotti da processi di aridificazione e desertificazione nella fascia temperata subtropicale), la salinizzazione delle falde freatiche e la distruzione degli ambienti costieri indotti dall’innalzamento del livello del mare, ecc.;

c) obblighi sul lungo termine volti all’adattamento dell’umanità ai cambiamenti climatici e, quindi, ad un nuovo ambiente naturale globale diverso da quello attuale e la cui evoluzione è causata appunto dai cambiamenti climatici globali, mediante azioni o contromisure che agiscono soprattutto sulla programmazione dell’uso del territorio e delle risorse naturali e sulla pianificazione dello sviluppo socio-economico mondiale.

Se consideriamo gli impegni contenuti nella Convenzione sopra citata in termini di obiettivi settoriali da raggiungere, la tipologia degli obblighi può essere così sintetizzata:

1) obblighi di natura politica e socio-economica nazionale nei settori più rilevanti delle attività umane, quali la produzione e l’uso dell’energia, i processi ed i prodotti industriali, l’agricoltura e la produzione agro-alimentare, la gestione dei rifiuti, ecc.

2) obblighi di natura politica e socio-economica internazionale per la cooperazione internazionale, in particolare tra Paesi industrializzati e Paesi in via di sviluppo o con economia in transizione, per il trasferimento di nuove tecnologie, e soprattutto di know-how, capaci di promuovere crescita economica e benessere sociale con impatti ambientali bassi e comunque non pregiudizievoli sugli equilibri del sistema climatico globale;

3) obblighi di natura tecnico-scientifica per la partecipazione ai grandi programmi di ricerca scientifica internazionale su ambiente globale e cambiamenti climatici e ai grandi sistemi internazionali per le osservazioni globali della terra e del clima, e per lo sviluppo dell'innovazione tecnologica nei vari settori, industriale, energetico e produttivo;

4) obblighi di natura culturale e sociale per l'informazione del pubblico e la diffusione delle informazioni sui problemi e le implicazioni dei cambiamenti climatici sui complessi equilibri tra sistema ambientale e sistema climatico globale, nonché la formazione culturale e professionale delle nuove generazione su tali tematiche.

Nella Convenzione UN-FCCC impegni ed obblighi non sono dettagliati in termini di azioni concrete da effettuare, modalità operative di attuazione, tempi da rispettare o altro, ma vengono enunciati in termini generali e suddividendoli per gruppi di Paesi a cui sono indirizzati. I gruppi di Paesi previsti sono tre:

i) tutti i Paesi aderenti alle Nazioni Unite, le Organizzazioni intergovernative e gli altri firmatari della Convenzione, che sono tenuti a rispettare gli obblighi generali di cui al paragrafo 1 dell’art. 4 della Convenzione, oltre quelli di cui all’art. 5 (ricerca ed osservazioni sistematiche) e all’art. 6 (educazione, formazione e informazione del pubblico);

ii) i Paesi sviluppati e quelli ad economia in transizione (sono 36 Paesi elencati nell’Annesso I della Convenzione), che sono tenuti a rispettare anche gli obblighi di cui al paragrafo 2 dell’art. 4 della Convenzione;

iii) i Paesi sviluppati (sono 25 Paesi elencati nell’Annesso II della Convenzione), che sono tenuti a rispettare, oltre quelli precedenti, anche gli obblighi di cui al paragrafo 3 dell’art. 4 della Convenzione.

2. Che cos’è il protocollo di Kyoto

Nella Convenzione UN-FCCC viene istituito un organo definito “La Conferenza delle Parti”, al quale viene demandato il compito fondamentale di dare attuazione dei principi e degli impegni generali contenuti nella convenzione stessa. Questo organo, che è l’organo supremo e decisionale, ha anche il compito di controllare l’effettivo svolgimento delle azioni per il raggiungimento degli obiettivi della UN-FCCC.

Per svolgere questi compiti la “Conferenza delle Parti” si avvale di un “Segretariato” il cui ruolo è prevalentemente organizzativo e di assistenza, di “Organi sussidiari” tra cui uno di consulenza scientifica e tecnica, uno di attuazione operativa ed eventualmente altri che la stessa “Conferenza delle Parti” decidesse di istituire.

Il Protocollo di Kyoto, approvato dalla “Conferenza delle Parti” nella sua terza sessione plenaria tenuta a Kyoto dal 1 al 10 dicembre 1997, è dunque un atto esecutivo contenente le prime decisioni sulla attuazione operativa di alcuni degli impegni della Convenzione UN-FCCC e precisamente degli impegni più urgenti e prioritari (quelli di cui alla lettera a) del paragrafo precedente) e relativamente ad alcuni settori delle economie nazionali (quelli di cui al punto 1) del paragrafo precedente).

Per quanto riguarda gli obblighi le cui finalità sono riportate nei punti b) e c) precedentemente citati e per gli obblighi la cui tipologia è riportata nei punti 2), 3), e 4) sopra detti, nulla di specifico viene detto nel Protocollo di Kyoto, se non ribadire quanto già previsto in termini generali nella Convenzione UN-FCCC. Inoltre, le misure approvate nel Protocollo di Kyoto riguardano esclusivamente i Paesi di cui al punto ii) del paragrafo precedente, vale a dire i Paesi sviluppati e quelli ad economia in transizione dell’est europeo.

In altre parole il Protocollo di Kyoto individua e definisce operativamente solo una parte molto limitata degli impegni da attuare. Anche se molto lavoro resta ancora da fare ai fini attuativi, tuttavia le azioni e le misure decise a Kyoto dalla “Conferenza delle Parti” rappresentano un punto di partenza fondamentale non solo nella direzione delle problematiche dei cambiamenti climatici, ma anche nel quadro più generale dello sviluppo sostenibile.

Infatti, nonostante l’alto rischio di fallimento che da più parti si paventava alla vigilia di questo importante appuntamento per le apparenti intransigenze di molti Paesi in via di sviluppo e di alcuni Paesi sviluppati quali gli Stati Uniti, e nonostante i continui colpi di scena che si sono avuti durante la fase di discussione delle misure da attuare, è stato avviato un processo di collaborazione mondiale su base consensuale, un processo che al di là delle inevitabili mediazioni e delle inevitabili critiche su chi ci ha perso e chi ci ha guadagnato o tra chi ne è uscito sconfitto e chi vincitore, ha posto comunque, ed in qualche modo ha anche sancito, la centralità dei problemi del clima globale nello sviluppo socio-economico mondiale e la centralità dello sviluppo sostenibile per il futuro del nostro pianeta e per la sopravvivenza stessa dell’umanità.

Kyoto, quindi, non rappresenta affatto un punto di arrivo o una grande conquista diplomatica mondiale (le misure decise sono scarse, parziali e limitate solo ad alcuni aspetti), ma è solo un timido punto di partenza per i problemi del clima e dello sviluppo sostenibile, ma soprattutto per la cooperazione mondiale anche in altri settori delle tematiche globali quali la biodiversità, la desertificazione e l’Agenda 21.

3. Gli obblighi fondamentali del protocollo di Kyoto

Il Protocollo di Kyoto impegna i Paesi industrializzati e quelli ad economia in transizione (i Paesi dell’est europeo) a ridurre complessivamente del 5% le principali emissioni antropogeniche di gas capaci di alterare l’effetto serra naturale del nostro pianeta entro il 2010, e precisamente nel periodo compreso fra il 2008 ed il 2012. Questi gas, detti gas di serra, sono:

- l’anidride carbonica;

- il metano;

- il protossido di azoto;

- i fluorocarburi idrati;

- i perfluorocarburi;

- l’esafluoruro di zolfo

L’anno di riferimento per la riduzione delle emissioni dei primi tre gas è il 1990, mentre per i rimanenti tre (che sono anche gas lesivi dell’ozono stratosferico e che per altri aspetti rientrano in un altro protocollo: il Protocollo di Montreal) è il 1995.

La riduzione complessiva del 5%, però, non è uguale per tutti. Infatti per il Paesi della Unione Europea, nel loro insieme, la riduzione deve essere di 8%, per gli Stati Uniti la riduzione deve essere del 7% e per il Giappone del 6%. Nessuna riduzione, ma solo stabilizzazione è prevista per La Federazione Russa, la Nuova Zelanda e l’Ucraina. Possono, invece, aumentare le loro emissioni fino al 1% la Norvegia, fino al 8% l’Australia e fino al 10% l’Islanda.

Poiché l’attuale andamento delle emissioni dei gas di serra sopra citati provenienti dai Paesi industrializzati e da quelli ad economia in transizione avrebbe portato ad una tendenziale crescita complessiva delle emissioni di circa il 20%, la misura decisa a Kyoto di una riduzione complessiva del 5% rappresenta un grande risultato, perché significa che tutti questi Paesi dovranno in realtà procedere ad un drastico taglio delle loro emissioni tendenziali di circa il 25%, vale a dire una riduzione effettiva che è di molto superiore a quanto possa superficialmente apparire ad una prima lettura del Protocollo.

Se analizziamo più in dettaglio gli attuali andamenti, che mostrano una tendenza alla crescita delle emissioni nei Paesi sviluppati ed una tendenza alla diminuzione nei Paesi ad economia in transizione, gli obiettivi imposti dal Protocollo di Kyoto risultano particolarmente gravosi per i Paesi industrializzati ma soprattutto per alcuni di essi quali gli Stati Uniti, il Canada, il Giappone e la Nuova Zelanda. Per l’Europa, nel suo insieme, lo sforzo per il raggiungimento di questi obiettivi, quantunque importante, appare comparativamente meno gravoso. Particolarmente favorevole, invece, sembra, in termini di obblighi, il risultato ottenuto dall’Australia rispetto agli altri Paesi industrializzati

Nessun tipo di limitazione alle emissioni di gas ad effetto serra viene previsto per i Paesi in via di sviluppo, perché un tale vincolo, come era stato già discusso a Rio de Janeiro nel 1992, rallenterebbe, o comunque condizionerebbe, il loro cammino verso lo sviluppo socio-economico . Infatti, qualsiasi limitazione alle emissioni di gas di serra che si ripercuote poi nella produzione e nei consumi energetici, in agricoltura, nell’industria e negli altri settori produttivi, comporta oneri finanziari e costi aggiuntivi, non solo economici, che i Paesi in via di sviluppo non sono disposti a pagare perché influirebbero negativamente sul loro processo di evoluzione, a meno che tali costi non vengano interamente accollati dai Paesi sviluppati.

Vale la pena osservare, tuttavia, che la crescita delle emissioni di anidride carbonica e degli altri gas di serra sta attualmente avvenendo con ritmo che è circa triplo (+25% nel periodo 1990-95) di quello che sta avvenendo nei Paesi sviluppati (+8% nel periodo 1990-95). Ciò vuol dire che attorno al 2010 non solo questo impegno dei Paesi industrializzati verrà vanificato, ma anche che, a tale data, le emissioni mondiali di tali gas di serra saranno cresciute complessivamente di circa il 30% in più rispetto ai livelli del 1990. Dunque, il Protocollo di Kyoto, pur essendo un ottimo punto di partenza, potrebbe risultare del tutto inutile, se non si trovano nelle prossime sessioni negoziali della “Conferenza delle Parti” soluzioni adeguate e onorevoli che garantiscano ai Paesi in via di sviluppo di procedere speditamente e senza impedimenti nel loro cammino verso lo sviluppo, ma che garantiscano altresì che gli obiettivi intermedi e finali della Convenzione UN-FCCC vengano effettivamente raggiunti a livello mondiale.

Per la riduzione delle emissioni, il Protocollo individua come prioritari alcuni settori:

- l’energia, intesa sia come combustione di combustibili fossili nella produzione ed utilizzazione dell’energia (impianti energetici, industria, trasporti, ecc.), sia come emissioni non controllate di fonti energetiche di origine fossile (carbone, metano, petrolio e suoi derivati, ecc.);

- i processi industriali, intesi come quelli esistenti nella industria chimica, nell’industria metallurgica, nei produzione di prodotti minerali, di idrocarburi alogenati, esafluoruro di zolfo, nella produzione ed uso di solventi, ecc.;

- agricoltura, intesa come zootecnia e fermentazione enterica, uso dei terreni agricoli, coltivazione di riso, combustione di residui agricoli, ecc.;

- rifiuti, intesi come discariche sul territorio, gestione di rifiuti liquidi, impianti di trattamento ed incenerimento, ecc.

Ai fini della riduzione delle emissioni di gas di serra non va tenuto conto solo dei rilasci in atmosfera dei gas di serra provenienti dalle attività umane, ma anche degli assorbimenti che vengono effettuati dall’atmosfera attraverso idonei assorbitori che eliminano tali gas e li immagazzinati opportunamente in modo da non aumentare l’effetto serra naturale. Uno dei principali assorbitori di gas di serra, ed in particolare dell’anidride carbonica, è costituito da piante, alberi e, in generale, dall’accumulo di biomassa attraverso la crescita della copertura vegetale. Pertanto, opere di forestazione iniziate dopo l’anno di riferimento: il 1990, vanno tenute in debito conto ai fini del bilancio fra quanto rilasciato in atmosfera e quanto assorbito da boschi e foreste.

Le azioni di forestazione possono essere di due tipi: riforestazione, cioè incrementare la crescita delle foreste su aree che erano già forestali e che incendi boschivi o l’azione umana hanno distrutto o depauperato, oppure afforestazione, cioè impiantare nuovi boschi e nuove foreste su territori potenzialmente idonei o da rendere idonei, ma che in passato non erano sede di boschi e foreste.

La riduzione delle emissioni di gas di serra in atmosfera deve in definitiva essere intesa come riduzione delle “emissioni nette”, vale a dire in termini di bilancio tra quanto complessivamente aggiunto all’atmosfera (rilasciato verso l’atmosfera) e quanto complessivamente sottratto dall’atmosfera (assorbito dall’atmosfera ed immagazzinato).

4. Gli altri obblighi del Protocollo di Kyoto

Ai fini della attuazione degli specifici impegni sopraddetti sulla limitazione delle emissioni nette di gas di serra, il Protocollo di Kyoto prescrive che i Paesi sviluppati e quelli ad economia in transizione, anche nell’ottica dello sviluppo sostenibile, devono mettere a punto, elaborare ed attuare politiche ed azioni operative dei seguenti tipi:

- a carattere generale per incrementare l’efficienza energetica nei più rilevanti settori dell’economia nazionale e per incrementare le capacità di assorbimento dei gas di serra rilasciati in atmosfera, come per esempio azioni di forestazione (riforestazione e afforestazione);

- a carattere politico economico per eliminare quei fattori di distorsione dei mercati (quali: incentivi fiscali, tassazione, sussidi, ecc.) che favoriscono, invece, le emissioni di gas di serra e per incoraggiare riforme politico economiche finalizzate, viceversa, alla riduzione delle emissioni di gas di serra;

- a carattere settoriale nel campo dell’agricoltura e delle fonti rinnovabili di energia per promuovere sia forme di gestione sostenibile di produzione agricola sia la ricerca, lo sviluppo e l’uso di nuove fonti di energie rinnovabili;

- a carattere particolare con specifica attenzione alle emissioni di gas di serra nel settore trasporti, alle emissioni di metano provenienti dalle discariche di rifiuti e dalle perdite dei metanodotti e alle emissioni di quei gas di serra lesivi anche dell’ozono stratosferico dalle riserve di combustibili per il trasporto marittimo e per l’aviazione.

Inoltre Paesi sviluppati e Paesi ad economia in transizione vengono sollecitati a cooperare fra di loro in modo coerente e coordinato per rendere efficaci ed effettivi gli sforzi compiuti nell’esecuzione delle misure e delle azioni previste dal Protocollo. In particolare, la cooperazione dovrà riguardare prioritariamente lo scambio delle rispettive esperienze realizzate e lo scambio delle informazioni e delle conoscenze acquisite nell’attuazione delle rispettive politiche e misure operative.

Come precedentemente accennato, rimangono indefiniti, dal punto di vista attuativo ed esecutivo tutti gli altri impegni contenuti negli artt. 4, 5 e 6 della Convenzione UN-FCCC. Tuttavia, essi vengono, nelle loro linee generali, richiamati e riconfermati, anche se obiettivi specifici da raggiungere, misure da attuare, modalità e tempi di esecuzione e le altre azioni necessarie per rendere operativi tali obblighi, sono rimandati alle prossime sessioni della Conferenza delle Parti.

5. La formalizzazione di nuovi strumenti di attuazione

Per favorire non solo l’attuazione degli obblighi, ma anche la cooperazione internazionale, il Protocollo di Kyoto introduce formalmente alcune novità rispetto alla Convenzione UN-FCCC: oltre alla “joint implementation” vale a dire l’attuazione congiunta di obblighi individuali (di cui si discuteva già da molto tempo), vengono stabiliti due nuovi strumenti attuativi: la “emission trading”, vale a dire la commercializzazione dei diritti di emissione e il “clean development mechanism”. Ma, esaminiamo più in dettaglio di che cosa si tratta.

La “joint implementation”, ovvero l’attuazione congiunta degli obblighi definiti dal Protocollo è prevista come strumento di cooperazione all’interno del gruppo di Paesi a cui è destinato il Protocollo stesso, cioè fra i Paesi industrializzati e quelli ad economia in transizione. Tuttavia, devono essere rispettate alcune condizioni di base.

Innanzitutto, i Paesi che in gruppo decidono di attuare congiuntamente i loro impegni possono al loro interno accordarsi su una distribuzione diversa degli obblighi rispetto alla distribuzione prevista dal Protocollo, purché venga rispettato l’obbligo complessivo risultante dall’unione di tutti gli obblighi individuali spettanti ai singoli Paesi coinvolti.

Inoltre, l’accordo per l’attuazione congiunta degli obblighi deve essere ufficializzato notificandolo al Segretariato della Convenzione UN-FCCC il quale informerà tutte le Parti firmatarie della stessa Convenzione dell’accordo intervenuto e dei termini dell’accordo. I Paesi che decidono di agire congiuntamente, rimangono, comunque, responsabili del rispetto dei propri obblighi individuali stabiliti dal Protocollo nel caso in cui fallisse l’azione congiunta.

L’Unione Europea, per esempio, si avvale già di questo strumento attuativo e lo ha notificato nella stessa sede di approvazione del Protocollo. Infatti, l’Unione Europea dovrà complessivamente rispettare l’obbligo di riduzione del 8% delle emissioni di gas di serra, ma all’interno dell’Unione Europea ci saranno Paesi che ridurranno più del 8% e Paesi che ridurranno meno, in relazione a criteri che verranno consensualmente definiti a livello comunitario.

Per quanto riguarda la “emission trading”, il Protocollo di Kyoto stabilisce che è possibile, nella esecuzione dei propri obblighi, trasferire i propri diritti di emissione o acquistare i diritti di emissione di un altro Paese. In altre parole, se un Paese riesce a ridurre le proprie emissioni più della quota assegnata può vendere la rimanente parte delle sue emissioni consentite ad un altro Paese che non sia in grado o potrebbe non essere in grado, di raggiungere l’obiettivo che gli spetta. Viceversa un Paese che, per ridurre una certa quota delle proprie emissioni, spenderebbe di più di quanto gli costerebbe acquistare la stessa quota da un altro Paese che è disposto a trasferirla, può acquistare tale diritto supplementare.

Tuttavia, la commercializzazione dei diritti di emissione non è libera, ma sottoposta alle seguenti condizioni:

,

- tra Paese che cede e Paese che acquista un diritto di emissione deve esistere una cooperazione su un progetto finalizzato alla riduzione delle emissioni di gas di serra, da realizzarsi congiuntamente in qualsiasi settore dell’economia,

- l’azione di cessione da parte di un Paese e di acquisto da parte di un altro Paese dei diritti di emissione non può essere sostitutiva dell’adempimento degli obblighi spettanti a ciascuno di essi, ma supplementare all’attuazione delle rispettive azioni esecutive;

- il progetto congiunto deve essere ufficializzato e approvato dai Paesi coinvolti:

La possibilità di avvalersi di “emission trading”, che aveva generato qualche timore di un possibile disimpegno dei Paesi più ricchi e più fortemente emettitori di gas di serra, è in realtà una possibilità prevista dalla stessa Convenzione UN-FCCC dove si prescrive che le politiche e le misure da attuare ai fini del raggiungimento degli obiettivi della Convenzione devono essere ottimizzati dal punto di vista costi/benefici. L’introduzione di strumenti economici quali la “carbon tax”, la tassa sulle emissioni di anidride carbonica, e la “emission trading”, la commercializzazione dei permessi di emissione, concorrono alla ottimizzare del rapporto costi/benefici, come risulta dalle valutazioni compiute da IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change: un organo consultivo delle Nazioni Unite per i cambiamenti climatici)

Tuttavia, il meccanismo di attuazione degli obblighi attraverso “emission trading” non è ancora operativo. Nelle prossime sessioni della “Conferenza delle Parti” dovranno essere elaborate le linee guida e la regolamentazione necessaria, nonché le modalità di controllo e di verifica. Pertanto, per ora, si tratta solo di una introduzione formale di questo nuovo strumento attuativo e dei principi su cui esso si dovrà basare.

Infine, il “clean development mechanism” è un ulteriore strumento attuativo, che a differenza dei precedenti, è fondamentalmente orientato a favorire la collaborazione internazionale e la cooperazione tra Paesi industrializzati e Paesi in via di sviluppo su programmi e progetti congiunti in modo che, attraverso la attuazione degli impegni contenuti nella Convenzione UN-FCCC, venga dato impulso anche ai processi di sviluppo socio-economico ed industriale nel quadro di riferimento più generale dello sviluppo sostenibile.

Tale meccanismo, che dovrà promuovere anche il trasferimento di tecnologie e di “know how” tra Paesi ricchi e Paesi poveri (e quindi adempiere ad altri impegni contenuti nella Convenzione UN-FCCC), ha la necessità, per raggiungere la massima efficacia, di dotarsi di un opportuno fondo finanziario. Questo fondo deve essere ancora istituito, a meno che non si decida di apportano le opportune modifiche al GEF (Global Environment Facility), il Fondo della World Bank destinato alla cooperazione tra Paesi sviluppati e Paesi in via di Sviluppo sulle tematiche dell’ambiente globale ed in particolare dei cambiamenti climatici, dell’ozono stratosferica, della biodiversità e degli oceani.

Anche il “clean development mechanism” non è operativo e la “Conferenza delle Parti” nelle prossime sessioni negoziali dovrà definire linee, guida, regolamenti, modalità di accesso e di utilizzazione, ecc.

6. Considerazioni conclusive

Il Protocollo di Kyoto entrerà in vigore dopo 90 giorni dalla data della ratifica di almeno 55 dei Paesi firmatari della Convenzione UN-FCCC purché tra tali Paesi siano compresi i Paesi industrializzati e ad economia in transizione, destinatari del Protocollo di Kyoto, in numero tale da rappresentare almeno il 55% delle emissioni complessive di anidride carbonica (riferite al 1990) di cui essi sono responsabili.

I documenti di ratifica, devono essere depositati a New York presso il Quartier Generale delle Nazioni Unite nel periodo compreso fra il 16 marzo 1998 ed il 15 marzo 1999. Ciò significa che il Protocollo di Kyoto non può andare in vigore prima della metà di giugno 1998 e probabilmente diventerà pienamente esecutivo solo dopo i primi mesi del prossimo anno.

Il rischio che non si raggiungano i “quorum” richiesti è molto basso: i Paesi in via di sviluppo non hanno difficoltà a ratificarlo, così come alcuni Paesi industrializzati, come ad esempio i Paesi dell’Unione Europea che a Kyoto hanno richiesto misure più rigorose di quelle che poi sono state approvate. Così, mentre il “quorum” di 55 Paesi tra quelli firmatari della Convenzione UN-FCCC sarà facilmente raggiungibile, il “quorum” di un numero di Paesi industrializzati e ad economia in transizione pari al 55% delle loro emissioni complessive di gas di serra, sarà più difficile.

Sul totale delle emissioni di anidride carbonica provenienti dai Paesi industrializzati e da quelli ad economia in transizione, nel 1990 l’Unione Europea era responsabile del 22% circa di queste emissioni, i Paesi dell’est europeo erano responsabili di circa il 30%, mentre i gli altri Paesi industrializzati (esclusi quelli dell’Unione Europea) del 48% circa, e ben oltre la metà di questo 48% era la sola quota parte degli Stati Uniti. Quindi se i maggiori Paesi industrializzati non ratificano il Protocollo entro la metà di marzo del prossimo anno, difficilmente esso potrà entrare in vigore. Ma questo rischio, anche se esiste, non appare per ora molto elevato, anche nel caso peggiore in cui gli Stati Uniti, il maggiore emettitore mondiale di gas di serra, decidesse di non ratificare.

Con l’entrata in vigore del Protocollo diventano legalmente vincolanti le disposizioni in esse contenute. Tuttavia, al momento attuale le reali capacità vincolanti e di obbligatorietà appaiono piuttosto deboli, non solo perché non sono ancora stati messi a punto gli opportuni strumenti di verifica e di controllo delle azioni attuative e né tanto meno idonee sanzioni, ma anche perché alcune disposizioni non sono molto chiare ed alcune del tutto generiche, come quella che concerne il calcolo o la valutazione degli assoorbitori di gas di serra ai fini del computo delle emissioni nette.

Non va, in questo contesto, dimenticato che le attuali disposizioni attuative e gli obblighi del Protocollo di Kyoto potrebbero cambiare o modificarsi nel tempo sia in relazione alle nuove conoscenze scientifiche e tecnologiche che verranno via via acquisite, sia in relazione ai problemi politici ed economici nelle relazioni internazionali, sia in relazione all’influenza sugli attuali equilibri internazionali che Paesi in via di sviluppo emergenti potrebbero avere nel futuro assetto mondiale.

In ogni caso, un importante processo di cooperazione internazionale ai fini dello sviluppo sostenibile è stato innescato ed è un processo importante perché fa da traino anche per altre Convenzioni delle Nazioni Unite come qualla sulla biodiversità e quella sulla desertificazione, per non parlare di Agenda 21, che giacciono ancora operativamente inattuate

Il processo di cooperazione deve ora diventare sempre più effettivo, oltre che efficace, fra tutti i Paesi mondiali affinché le attività umane non solo non creino pericolose interferenze sull’equilibrio climatico ed ambientale globale, ma anche non provochino cambiamenti climatici ed ambientali troppo rapidi o, comunque, in tempi non sufficienti da permettere sia agli ecosistemi di adattarsi naturalmente a tali cambiamenti, sia all’umanità di procedere verso uno sviluppo socioeconomico sostenibile dalle capacità ricettive dell’ambiente.


Vai alla sezione "Ambiente"

 - HOME: formiche.too.it -