Gabriele D'Annunzio divenne un personaggio di primo piano nella nostra storia nazionale per la sua azione favorevole all’intervento italiano nella prima guerra mondiale: Il celebre discorso La sagra dei mille, pronunciato sullo scoglio di Quarto il 5 maggio 1915, fu come una scintilla che percorse tutta l’Italia ed infiammò i giovani alla lotta. Quando l’Italia entrò in guerra, D’annunzio aveva 52 anni, ma partecipò alla lotta prima fra i Lancieri di Novara, poi in marina e quindi in aviazione. Compì molte imprese eccezionali, dalla beffa di Buccari al volo su Vienna. Alla fine della guerra non fu soddisfatto della cessione di Fiume alla Jugoslavia e perciò occupò la città dalmata costituendovi un governo. D’Annunzio, il geniale D’Annunzio, D’Annunzio che tutto faceva invece di sognarlo, fu idolatrato dalla borghesia che sognava di imitarlo ma o non era capace o non poteva (gli affari, gli interessi, la famiglia, la mamma, il perbenismo). Fautore di un progetto aristocratico sia per la vita che per l’arte, D’Annunzio disprezzò le masse e coprì di parole di spregio e di derisione la borghesia bottegaia. Nondimeno era adorato. Nell’Italia umbertina e giolittiana del buon senso il dannunzianesimo eccitava morbosamente la fantasia di quanti non avevano la forza morale (o dovrei dire immorale?), l’intelligenza e la vitalità per diventare essi stessi Gabrieli d’annunzio. LA VITA Nasce a Pescara il 12 marzo 1863. Nel 1874 viene
iscritto al collegio Cicognini di Prato, dove resta sino al completamento degli
studi liceali nel 1881; nel 1879 pubblica una raccolta di versi, Primo
vere, che esce in seconda edizione l'anno seguente. 1881-1891: periodo romano Trasferitosi a Roma nel 1881, alla conclusione degli studi liceali, pubblicò dei racconti di cornice verista, Le novelle della Pescara , ambientate in un Abruzzo primitivo e prorompente di umori sensuali, che danno inizio a un periodo detto appunto il periodo romano, denso di interessi mondani e culturali. Tutto proteso alla conquista della notorietà e della gloria, frequentò i salotti più raffinati ed ebbe amori tanto travolgenti quanto effimeri; tentò l’avventura politica, ottenendo l’elezione al Parlamento e scrisse moltissimo sia in prosa che in poesia. Pubblica le raccolte poetiche Canto novo (1882) e Intermezzo (1883). Lo "scandalo" della sua relazione con la duchessina Maria Hardouin di Gallese si conclude con il matrimonio. Nel 1889 pubblica Il piacere, la testimonianza più cospicua dell’estetismo italiano. 1891–94: periodo napoletanoLa relazione con Barbara Leoni, iniziata all'incirca nel 1886, sta già per finire agli inizi degli anni Novanta: non se ne avvantaggia comunque il rapporto coniugale da cui sono nati tre figli. Si trasferisce a Napoli: collabora al "Corriere di Napoli" diretto da E. Scarfoglio e M. Serao; inizia una relazione con Maria Anguissola, principessa Gravina, da cui ha due figli, che finisce nel 1897 quando inizia la frequentazione con Eleonora Duse.
Nell'estate del 1895 compie un viaggio in Grecia e nel 1897 partecipa alle elezioni riuscendo eletto deputato, con un programma «al di là della destra e della sinistra», che sostanzialmente è di chiara impostazione nazionalistica. 1898–1910: periodo de "La Capponcina"Negli ultimi anni del secolo D’Annunzio si
stabilì a Settignano in Toscana, nella villa della Capponcina, dove condusse
una vita talmente dispendiosa che, caricatosi di debiti nonostante i cospicui
guadagni ottenuti con le sue opere, nel 1909 fu costretto a fuggire in Francia,
in "volontario esilio", come egli disse con sconfinata impudenza.
"La Capponcina", che ha lussuosamente arredato, è poco lontana dalla
villa della Duse, la quale nel 1899 è interpreta l'opera teatrale La
Gioconda che ottiene notevole successo.
Vive, lussuosamente, a Parigi, circondato da
ammiratori e da amanti. Dalla Francia seguiva attentamente le vicende italiane.
Allo scoppio della guerra di Libia scrisse le Canzoni
delle gesta d’oltremare che inneggiavano alle mire espansionistiche
italiane. Nel 1915 ritorna in Italia e partecipa attivamente alla propaganda interventista col discorso a Quarto per la Sagra dei Mille. Durante la guerra, alla quale partecipò come volontario, ottenne varie medaglie d’oro e d’argento per le sue imprese spericolate. In seguito a un incidente occorsogli durante un atterraggio di fortuna, perse un occhio. Costretto all’immobilità per un certo periodo, scrisse il Notturno, una serie di prose ritenute tra le cose di D’Annunzio più sincere e più intense. Nel settembre, a capo di volontari e di forze regolari, occupa militarmente Fiume in opposizione al governo italiano: la abbandonerà di fronte all'intervento dell'esercito italiano nel dicembre del 1920. 1921–38: gli ultimi anniSi stabilisce sul Lago di Garda, a Gardone
Riviera, in una magnifica villa prospiciente il lago di Garda. Di qui salutò
con grande favore l’avvento del fascismo ma Mussolini, mentre da una parte lo
ricolmò di favori e di onori, dall’altra lo tenne alla larga dalla politica.
D’Annunzio trascorse gli ultimi anni in un isolamento tanto splendido quanto
intimamente vuoto. Nel 1937 viene nominato presidente dell'Accademia d'Italia;
muore il 1° marzo 1938 per emorragia celebrale. OPERE PIÙ SIGNIFICATIVE
IL CICLO DEI ROMANZI Sull'esempio dei romanzi ciclici dell'ottocento di Honorè de Balzac (La commedia umana), di Zola (i Rougon-Macquart), di Verga (I vinti), D'Annunzio si propose di scrivere un ciclo di romanzi, suddiviso in tre trilogie, ciascuna denominata da un fiore (la rosa, il giglio, il melograno), simbolo delle tappe evolutive del suo spirito dalla schiavitù delle passioni alla vittoria su di esse, giacchè i protagonisti dei romanzi non sono che la proiezione sul piano narrativo dello stesso D'Annunzio. I romanzi della rosa, fiore simbolo della voluttà, della passione invincibile:
I romanzi del giglio, fiore simbolo del superuomo, della passione che si purifica. La seconda trilogia doveva ispirarsi al superuomo di Nietzsche. Il superuomo non è più schiavo delle passioni ma si serve di esse per realizzare pienamente la propria volontà di potenza. In verità Nietzsche non auspicava l'avvento di un uomo superiore agli altri, al quale, in grazia delle qualità eccezionali, fosse tutto permesso, ma l'avvento di un'umanità rinnovata la quale, per poter sviluppare tutte le sue potenzialità, doveva liberarsi da ogni soggezione alla trascendenza e alla morale tradizionale, fatta di ipocrisie e finzioni. D'Annunzio ignorò o finse di ignorare il significato profondo del niccianesino e lo adottò al suo temperamento sensuale, facendo del superuomo l'individuo d'eccezione, destinato a dominare sugli altri. Nel superuomo nicciano, così come lo immaginò D'Annunzio, s'intravede piuttosto il profilo dei grandi dittatori sanguinari e deliranti del nostro secolo, col loro macabro seguito di tragedie e di guerre. Della seconda trilogia, D'Annunzio scrisse solo il primo, Le vergini delle rocce (1896). Claudio Cantelmo, aristocratico e imperialista, seguace delle dottrine del superuomo, concepisce il disegno di unirsi in matrimonio con una delle principesse (Massimilla, Anatolia, Violante) di un'antica famiglia borbonica del regno delle due Sicilie, i Capece-Montaga, ridottasi a vivere nell'ultimo dei suoi feudi, Trigento, "paese di rocce". Scopo del matrimonio è procreare il futuro sovrano, al quale un giorno il popolo, disgustato della demagogia e dalla corruzione della vita politica, offrirà la corona regale. I romanzi del melograno, pomo dai molti granelli, simbolo dei frutti che possono derivare dal dominio delle passioni. Dei tre romanzi previsti, D'Annunzio scrisse solo il primo, Il fuoco (1900). Il fuoco (così intitolato perché inteso come simbolo della creatività dell'artefice), narra, sullo sfondo di Venezia, la storia dell'amore di Stelio Éffrena per la Foscarina. E' un romanzo scopertamente autobiografico, perché vi è adombrata la storia dell'amore del poeta per l'attrice Eleonora Duse. Stelio è un poeta che sogna una nuova forma di arte drammatica, che risulti dall'intima fusione della parola, del colore, del suono, dell'azione. E' la stessa poetica di Wagner, che del romanzo è un personaggio. La Foscarina dovrebbe essere l'interprete di questo nuovo dramma; ma Stelio s'innamora della giovinetta Donatella Arvale. La Foscarina se ne accorge e ne è gelosa, ma dopo, rassegnata, cede il posto alla rivale e si accomiata da Stelio. IL MITO DI D'ANNUNZIO D'Annunzio rappresentò nella vita italiana, con i suoi atteggiamenti, innanzitutto un fatto di costume, incarnò i desideri di evasione dalla monotonia quotidiana di ceti intellettuali e borghesi insoddisfatti della realtà della vita nazionale nei decenni post-risorgimentali. Per questo gran parte della sua vastissima opera, creata per esaltare e sostenere il mito che di sé aveva costruito, appare oggi superata e priva di attualità. Ebbe tuttavia almeno due meriti: sul piano culturale, si avvicinò di volta in volta ad autori ed atteggiamenti del decadentismo europeo contribuendo a diffonderne la conoscenza in Italia ed a sprovincializzare la nostra cultura. Sul piano più intimamente poetico, accanto all'esteriorità di molti atteggiamenti esibizionistici seppe almeno cogliere ed esprimere la comunione dei sensi e dell'anima con la molteplicità della vita naturale, creando quella dimensione "panica", di immedesimazione quasi fisica e sensuale basata sulle immediate sensazioni, che in particolare nella raccolta Alcyone segna il nascere di un atteggiamento nuovo per la nostra poesia. Per esprimere questo atteggiamento raffinato e sensuale D'Annunzio si servì di un linguaggio ostentatamente insolito ed artistico, basato sul recupero di preziose voci arcaiche e sull'invenzione di neologismi capaci di stupire e meravigliare; creò così un "culto della parola" ricercata soprattutto per clamorose risonanze musicali (anch'egli si affidò molto alle onomatopee) che spesso è solo espediente retorico, ma che sa anche diventare talora esperienza linguistica originale e contribuisce, anche se in misura minore del Pascoli, ad avviare il nuovo linguaggio poetico del '900 verso le svolte successive.
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