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3.
Il concetto di “persona” in teologia
3.1. La storia del termine: da Tertulliano a
Riccardo di san Vittore
Il
primo ad utilizzare questo concetto, come abbiamo visto, è stato Tertulliano,
per cui “persona” = “soggetto”;
(in particolare, ricordiamo la sensibilità prettamente “giuridica” dell’autore
latino).
In Dio c’è un livello di pluralità di essere che noi chiamiamo “persone”.
I
Cappadoci, esponenti della corrente orientale dei primi secoli, hanno avuto il merito
di creare quella formula terminologica fondamentale: mia jusiV en treiV
upostasaiV. I latini, successivamente, traducono ousia (considerandola sinonimo
di jusiV), con substantia, termine che darà luogo anche a molti
fraintendimenti.
Agostino
è consapevole che questo linguaggio è applicato in maniera analoga; ma non si
possono applicare allo stesso modo gli stessi termini agli uomini e a Dio.
Egli, tuttavia, assume il termine persona come criterio di distinzione
nell’Unità. In particolare egli sottolineerà che tutto ciò che in Dio si dice
ad se non accetta pluralità di sorta; tutto ciò che in Dio è relativo (ad
aliquid), fonda la pluralità. Il relativo, nel linguaggio si esprime sempre con
un genitivo: il Padre del Figlio,
il Figlio del Padre, il Dono di Colui che dona.
In questo modo, però, quando applichiamo questo principio alle persone divine,
non possiamo dire che il Padre è persona del Figlio o viceversa! Il problema
quindi rimane: la relazione è ad aliquid, ma l’essere persona è utilizzato in
Dio 3 volte senza necessariamente porlo in relazione (Il Padre è persona. Il
Figlio è persona. Lo Spirito è persona).
Le tre persone sono quindi relazionate in quanto Padre e Figlio e Spirito
Santo, ma non in quanto persone, perché persona “dicitur ad se et non ad
aliquid”! Siamo di fronte ad un’aporia, una strada senza uscita, davanti alla
quale Agostino non procede oltre, ma si arresta.
Boezio
tenta una via d’uscita all’aporia agostiniana proponendo quella che diventerà
la definizione classica di persona: “Sostanza individua di natura razionale”.
(Interessante è notare come la definizione nasca in un ambito cristologico). La
sostanza individuale designa l’irripetibilità; il tentativo è comunque quello
di esprimere non “cosa è”, ma “chi è”.
Lezione
del 3 maggio
Riccardo
di san Vittore parte dalla definizione di Boezio, ma non la applica a Dio in
modo diretto. La definizione di persona in Dio deve necessariamente essere
distinta da quella utilizzata per gli uomini. Riccardo propone “natura rationalis
incommunicabili existentia”. La novità sta proprio in quell’”ex-sistere”,
“stare (esistere) da”, “procedere da”.
Le tre persone non si distinguono perciò per il “sistere”, ma per l’“ex”, il
punto d’origine: il Padre “sistet” da nessuno, il Figlio dal Padre, lo Spirito
dal Padre e dal Figlio (sempre secondo l’Amore).
In Dio possiamo distinguere un’Unità iuxta modo essendi, e una distinzione
iuxta modo exsistendi.
Riccardo, poi, riprende il tema delle processioni per l’Amore (e non solo per
vie esclusivamente intellettuali): cfr. ciò che abbiamo già detto a proposito
dell’esatto numero “tre” nella dinamica persona (i tre modi possibili di
amare). Nella Trinità (e analogicamente nei rapporti umani?), possiamo
affermare che ogni persona ama (o è amata) secondo l’ex-sistere. “Qualibet
persona est amor suus). Detto in altre parole: le modalità d’Amore presenti in
Dio determinano le persone (ricordando quanto detto prima sulla definizione di
“persona”). L’irripetibilità di ciascuno è il modo di amare di ciascuno. Il
tipo di Amore determina il tipo di persona. Noi possiamo imitare l’Amore delle
tre persone divine assumendole come modello di perfezione.
3.2.
San Tommaso d’Aquino
Anche
Tommaso accetta la definizione di Boezio, pur se con alcune precisazioni non
indifferenti, ma nel complesso non decisamente incisive sul nostro discorso.
Egli, in particolare, porta avanti il problema del rapporto fra relazione -
persone - essenza divina.
Dio
è Trino; la Trinità dipende dalle processioni e dalle relazioni; anche l’autorità
di Agostino ci mostra “tre persone relativamente”. Tommaso, allora, insinua
questa domanda: se la distinzione è data dalle relazioni, e la distinzione in
Dio Trino è a livello delle persone, è questa relazione essa stessa la persona?
Nella
“persona” troviamo un minimo comune per tutti gli esseri (uomini, angeli...)
ben individuato da Boezio. Ma ci sono anche alcuni elementi specifici che sono
propri ad esempio della definizione “persona umana” e non di altri tipi di
persona: la persona umana è tale solo in presenza di un corpo (che gli angeli,
pur essendo creature personali non hanno!). C’è quindi una distinzione reale
tra “persona”, “persona umana” e “persona divina”, anche nella loro
definizione.
“Persona”
è ciò che distingue, individua. In Dio, le persone sono ciò che “crea” la
distinzione, la pluralità. Le relazioni, in particolare, sono la causa di
questa distinzione intradivina. Se la persona è ciò che è distinto per
relazione, allora in Dio “persona” coincide con “relazione”!
Cfr. un testo molto importante, S Th 29, a. 4, centro del corpus: “...Dio Padre
è la Paternità divina” (e quindi non è prima Dio e poi Padre), “Dio Figlio è la
Filiazione divina...”. Senza tema di forzare troppo l’interpretazione, Tommaso
sembra indicarci come la relazione sia sussistente nella natura divina, come
sia l’essenza divina.
3.3. Il nostro commento
La
riflessione di Tommaso può apparire come un astratto costrutto intellettuale,
ma a ben vedere esso è molto di più. Questo ragionamento di rivela come in Dio
le relazioni che distinguono (e uniscono allo stesso tempo) sono le persone. Il
principio di Unità e quello di distinzione è sempre lo stesso. Unità e
distinzione in Dio coincidono. Dio non prima è e poi si comunica, ma l’essere
stesso è comunicazione, è rapporto, è Amore.
Parlando
in questi termini, il problema del rapporto fra Unità e distinzione è un
problema “solo nostro”, che non sussiste in Dio, nel quale l’identità più
profonda coincide con la donazione totale nel distinto da Sé. La Creazione
stessa non è un “bisogno” di Dio, ma essa scaturisce da questa sua essenza
comunicativa ad intra. Il senso stesso dell’autocomunicazione divina ad extra è
manifestazione della propria pienezza sovrabbondante.
Ci muoviamo sempre all’interno della associazione “paternità - donazione -
Dio”, come “essenza “e non come “appartenenza”.
Sottolineiamo
altresì come in Tommaso la relazione è un proprium della persona divina (e non
necessariamente della persona umana). Il salto della filosofia (e della
teologia) personalista, sarà di molti secoli successivo. [Nessuno è
perfetto...]
Necessità
però un chiarimento: parlando della “relazione divina”, affermiamo chiaramente
l’esistenza del rapporto reciproco di Paternità - Filiazione e di quello di
Spirazione - Spirazione passiva (Proces-sione); di fronte a 4 relazioni,
dovremo supporre 4 persone? No, poiché la spirazione attiva non è di una
persona (non è una relazione sussistente), appartenendo al Padre e al Figlio.
Dio
non è solo, ma è comunione: ecco alfine la peculiarità del monoteismo
cristiano. E, soprattutto, Dio non è comunione in quanto esistono gli angeli o
i santi, ma poiché ha in Sé qualcuno della stessa natura. Tutta questa
astrazione che trova in Tommaso la grande guida, è confermata (o nasce?) dalla
manifestazione ricevuta da noi uomini nella Trinità economica: Gesù è puro
referente (relativo) al Padre: è questo il messaggio più esplicito del NT.
A
corollario di quanto già detto, aggiungiamo che la distinzione delle persone
divine è reale, in quanto è reale la “contrapposizione” delle relazioni. E’
inevitabile (e giusto) dare alle persone divine i nomi di Padre e Figlio e
Spirito Santo, in quanto espressioni delle relazioni che sono il loro essere
persone.
3.4. Alcune precisazioni sulla dottrina
classica della vita intratrinitaria
3.4.1. La “mutua inabitazione” (pericorhsiV,
circumsessio, circumincessio o circuminsessio)
“Il
Padre è in me e io sono nel Padre” (Gv 14, 9 ss). Dio non è solo “con” altre
persone, ma è “nelle” altre persone. Padre e Figlio e Spirito non sono solo accanto,
ma uno nell’altro; si tratta del tentativo linguistico di esprimere l’intensità
massima della comunione. Ilario di Poitiers aveva già affermato che non è
nell’uno qualcosa di più dell’altro: tutto è perfetto nel Padre e tutto è
perfetto nel Figlio. Colui in cui abita Dio è una natura che non può essere
diversa da se stesso. La comunione divina è esprimibile in un “essere in”.
Cfr. DS 1331, Concilio di Firenze, nel decreto Pro Iacobitis: “Pater est totus
in Filius et totus in Spirito Sancto...” e noi siamo chiamati a partecipare di
questo essere divino (Balthasar diceva: per il fatto che siano ugualmente Dio
come il Padre). Cfr. Gv 17, 21: la preghiera sacerdotale.
3.4.2. Appropriazione (appropriatio)
Si
tratta di una nozione sviluppata soprattutto nel medio evo, nella quale l’Unità
divina è molto sottolineata. Tommaso fu uno dei primi (e dei più precisi) a
mostrare come alcune qualità vengono attribuite più ad una persona divina che
ad un’altra: Dio Padre è l’Onnipotente, Dio Figlio è la Sapienza... anche se è
ribadito da tutti che l’azione autocomunicativa ad extra è sempre dell’Unico
Dio.
Ricordiamo
ancora una volta il limite del nostro linguaggio che tenta di esprimere in modo
analogico che l’Amore di Dio rispecchia in un certo senso ciò che Dio è (ad
intra). [Non ho capito molto bene cosa intendesse in questo punto...] Anche il
figlio e lo Spirito, infatti, sono onnipotenti, ma la caratteristica
dell’onnipotenza è manifestazione più diretta della paternità divina.
La
teologia moderna (e soprattutto contemporanea) non negherà la necessità delle
appropriazioni, ma ne farà un uso molto più sfumato: i rapporti propri delle
singole persone sono evidentemente molti più di quanto si credesse, poiché Dio
agisce sempre come Trino e sempre rivolto all’irripetibilità di ciascuna
persona umana; ne è un esempio la considerazione della preghiera “Padre
Nostro”: oggi nessuno più la considererebbe un’appropriazione, mentre solo 50
anni fa era l’inverso, quando ogni azione divina ad extra era considerata di
fatto tale. Non solo appopriazioni, ma anche vere caratteristiche (e doni)
personali propri.
3.5. La teologia moderna e contemporanea: gli
sviluppi del concetto di persona e i modelli di teologia trinitaria
Il
termine ha subito una grandissima evoluzione di significati nel mondo moderno:
autocoscienza, libertà, capacità di decisione, centro di azione, centro di
responsabilità... Ai tempi di Agostino e di Tommaso, il termine era molto più
“metafisico” e molto meno “psicologico” (in senso moderno). In particolare, oggi
la nozione di persona si è arricchita della stretta connessione fra relazione
ed essenza umana (unione che Tommaso riservava esplicitamente alla sola persona
divina).
Un
grosso problema della psicologia contemporanea, che interessa direttamente
anche la nostra questione, è stabilire se nasca prima “io” o prima “tu”. Da
questo punto di vista, scopriamo come antropologia e teologia trinitaria siano
in “pericoresi”.
Anche per questo, forse, certi grandi teologi provano un certo riserbo
nell’utilizzo del termine in teologia trinitaria: se persona è applicato a Dio
partendo dal linguaggio quotidiano, il rischio di cadere nel triteismo
sembrerebbe molto alto.
3.5.1. Karl Barth: 3 “modi di essere”
Dio
in un’Unità indistruttibile:
è
lo stesso Dio che (secondo sia l’AT che il NT) si rivela,
è
lo stesso evento della Rivelazione,
è
l’azione di Dio nell’uomo.
In
queste tre asserzioni, possiamo riconoscere parallelamente Padre e Figlio e
Spirito Santo. Barth è un autore che insiste moltissimo sull’Unità; allo stesso
tempo però, predica lo stesso Dio 3 volte diverso: anche la diversità è fondata
nell’Unità.
Dio
è tre “modi di essere”. Il Dio che si rivela nelle sacre Scritture è Uno in tre
modi diversi (e propri) che sussistono nelle loro mutue relazioni. Egli è il
Signore, cioè il Tu che entra in contatto con l’io umano. Il Dio Trino è il Tu
divino. Il battesimo, del resto, si impartisce “nel nome” del Padre e del
Figlio e dello Spirito Santo, e non “nei nomi di...”. Dio è la ripetizione
trina, è tre volte “Io”, e solo in questa ripetizione è il Dio Uno. non tre
personalità, non 3 io, ma 3 volte l’unico Io che diventa Tu per l’io uomo.
Sempre
a livello terminologico, in Dio tutto appartiene all’Egli e mai all’Esso...
Lezione
del 5 maggio
...
Dio, cioè, è sempre un soggetto e mai una cosa; la sua unicità è comunione e
mai isolamento, include e non esclude la distinzione. La differenza è situata
nell’economia delle 3 persone.
A
questo punto, Barth propone l’espressione “modo di essere”; non vuole essere
sostitutiva di “persona”, ma suo giusto complemento o se si vuole, giusta e
necessaria sottolineatura di un significato che il termine “persona” (o
l’evoluzione del suo significato) ha trascurato.
Dio è l’Uno in questi 3 modi di essere ed è Dio personale in tre modi.
“Persona”, al contrario, secondo lo sviluppo psicologico nel senso di
“autopossessione”, porta facilmente all’affermazione di 3 persone = 3 dei. Per
evitare di dire “tre centri di sussistenza”, quindi, Barth propone “tre modi di
essere” dell’Unico Dio.
Riprendendo
i temi fondamentali della teologia occidentale, Barth ribadisce che le persone
divine sono diverse nelle relazioni mutue; esse sono cioè, “relativamente”
diverse; sono diverse nella corrispondenza; in questo si fonda l’Unità. La
differenza non sta, quindi, per più o meno di divinità, ma per i rapporti di
origine. Il modo di essere Dio Figlio viene dal modo di essere Dio Padre e il
modo di essere Dio Spirito viene dal modo di essere Dio Padre e dal modo di
essere Dio Figlio.
Barth,
inoltre, parla di “repetitio aeternitatis in aeternitate” in questi 3 modi di
essere uno nell’altro e uno con l’altro. Anche in questi casi, siamo sempre di
fronte alla libertà di Dio.
Attenzione:
Barth non è un modalista, in quanto parla sempre di distinzioni intrinseche in
Dio e non solo “apparenti”. “Padre e Figlio e Spirito” non è estraneo
all’essenza di Dio, ma Dio è “Padre e Figlio e Spirito Santo”.
“Dio è Padre nella Creazione perché prima è Padre nella sua essenza in quanto
Padre del Figlio”.
*
Le principali critiche rivolte all’impostazione di Barth
I
rilievi fondamentali partono dal fatto che Barth sembra applicare all’Unità di
Dio il concetto di persona così come lo concepisce la filosofia moderna (o solo
una parte di essa, come afferma Moltmann quando rimprovera Barth di non tenere
in sufficiente considerazione il contributo dei filosofi personalisti). Barth
intende sempre per “persona” ciò che la psicologia moderna chiama “io”. Ma
l’Unità dell’essenza divina formulata dalla teologia classica partiva da un
campo diverso di quello prettamente psicologico.
In secondo luogo, “persona” non è mai stato assunto come criterio di Unità, ma
come criterio di distinzione! Un Dio singolarmente personale ha sicuramente
chiare radici veterotestamentarie, ma tutta la riflessione ecclesiale ha
chiamato “persona” ciò che distingue in Dio.
Lo
spostamento operato da Barth è quindi duplice: da “persona” in senso classico
si è passati al senso moderno (in modo incompleto?); da elemento di distinzione
a elemento di Unità.
Per amore di giustizia, occorre però anche ricordare che l’espressione “modo di
essere” era cara a Basilio Magno. Nonostante questo, la proposta di Barth non è
riuscita nel suo intento; un autore tra i più critici verso queste idee sarà J.
Moltmann.
3.5.2. Karl Rahner: 3 “modi di sussistenza”
Egli
propone un cambiamento non solo terminologico rispetto a Barth; questi non
parla esplicitamente della relazione io-tu a livello intratrinitario (parlando
abbondantemente della relazione io-tu fra uomo e Dio); Rahner, invece, arriva a
negarne l’esistenza intratrinitaria.
Sull’approccio
di Rahner al mistero trinitario, cfr. Mysterium Salutis e quanto detto nel
secondo capitolo sull’Axiom: Dio esiste da sempre nell’autocomunicazione del
Figlio e nell’autocomunicazione dello Spirito Santo (per Rahner,
autocomunicazione = processione). Analogicamente possiamo anche parlare della
Grazia come autocomunicazione del Padre al mondo.
Dio, esistendo, non “ha bisogno” di fuoriuscire da Sé, ma nel momento in cui
decide di farlo, lo “deve” fare come Egli è: ecco il Figlio, principio
intrinseco di Rivelazione, di comunicazione oggettiva (l’Incarnazione è il
proprio del Figlio); ecco lo Spirito, principio di attualizzazione e
universalizzazione (il fare è il proprio dello Spirito). Il modo di
autocomunicazione di Figlio e Spirito non si potrebbe cambiare.
Ma
se Dio si vuole comunicare all’essere umano, deve farlo come Egli è (nella sua
essenza divina), e deve anche tener conto di come egli (l’essere umano) è.
L’uomo è un essere che è vincolato ad un origine (1), che si trova e riceve il
suo essere in una storia (2) ed è portato verso la libertà / Verità /
conoscenza (3).
Accanto a questa triadica dimensione, se ne trova un’altra: l’uomo è un essere
che sì riceve l’essere, ma anche lo accetta (a); che sì è nella storia, ma che
punta alla trascendenza (b); che sì punta alla libertà, ma che risponde
nell’Amore (c).
Figlio e Spirito Santo rispondono a queste due dimensioni fondamentali: il
Figlio è storico, oggetto “ricevuto”, originario, Verità; lo Spirito dal canto
suo spinge al futuro, alla trascendenza, è la condizione stessa di possibilità
di accettazione (e non solo passiva) dell’offerta d’Amore. [Qui ho perso un
paio di asserzioni...] Possiamo agostinianamente dire, quindi, che le
autocomunicazioni “convengono” all’identità divina.
Gli effetti stessi di questa duplice autocomunicazione sono differenti: nel
Figlio “dà luogo” all’umanità di Cristo, nello Spirito è trasformazione interna
dell’uomo (l’opera della Grazia).
Nel
Dio Uno, quindi, c’è una distinzione interna fra il sussistere dell’Origine,
quello rivelato nel Vangelo e quello ricevuto nell’Amore. Dio comunica se
stesso e perciò comunica anche la Distinzione e l’Unità. L’autocomunicazione
crea [o mostra?] la distinzione. La comunicazione è la stessa differenza tra le
relazioni che si corrispondono mutue.
*
Le principali critiche rivolte all’impostazione di Rahner sono più o meno le
stesse rivolte a Barth.
[Sia
O’Donnell che Kasper, nei loro libri ne aggiungono un’altra di aspetto
tipicamente pastorale: se è difficile pregare una “persona divina”, come
pregare un “modo di sussistenza”?]
3.5.3. La difesa e il recupero del termine
“persona”
Di
fronte a questa linea che tenta la sostituzione del termine persona, la
teologia (soprattutto cattolica) ha recuperato l’analogia “sociale” già molto
sviluppata in Riccardo di san Vittore (il tema del con-dilectus, per esempio) e
che era stata bloccata storicamente dalle critiche di Agostino, per il quale la
pluralità delle persone umane non poteva essere un termine analogico adeguato
per la Trinità. Il punto di partenza corrisponde con quell’io-tu intradivino di
cui già accennavamo prima.
H.
Mühlen propone un interessante riflessione a partire dai semplici pronomi
personali attribuiti alle persone divine. “Noi” è comunemente riconosciuto come
il plurale della prima persona; in realtà “noi” è la comunione non di io + io,
ma di io + tu. Io non può essere plurale da solo, e noi è conseguentemente il
plurale della comunione fra la prima e la seconda persona. Analogicamente, il
Padre è Io, il Figlio è Tu, lo Spirito Santo è Noi in quanto comunione di Io e
Tu. La critica successiva ha giustamente evidenziato come in realtà io e tu
siano intercambiabili: tutte e tre le persone divine sono io. E’ comunque
interessante l’identificazione dell’Unione come proprio dello Spirito.
Ratzinger,
partendo dal concetto di Parola (LogoV), mostra come fin da prima dei secoli,
Dio è l’Essere dia - logico, è il Vivente nella Parola e quindi il Vivente nel
rapporto Io - Tu che fonda la Parola. L’Amore, inoltre, è proprio dell’unione
dialogica. Ratzinger, quindi, partendo dall’approccio psicologico (Parola),
tenta una teologia trinitaria che tiene in buona considerazione anche l’aspetto
sociale (dialogo).
3.5.4. H. U. von Balthasar: la fecondità
matrimoniale
Balthasar
introduce, accanto al tema del dialogo (lo Spirito come il “noi”, l’eterno
dialogo d’Amore tra Padre e Figlio), un’analogia che Mühlen ha solo accennato:
la fecondità matrimoniale (che egli dice aver mutuato dagli scritti di
Scheeben). L’imago trinitatis diventa in questo modo “superiore” all’analogia
dell’io, che rimane in un certo senso “chiusa”; in secondo luogo, si arricchisce
il tema del dilectus/condilectus perché mentre il co-amato è un idea per così
dire “dal di fuori” (è un’affermazione vera ma che affonda le sue radici in una
almeno apparente astrazione che la perfezione dell’amore sia l’amare insieme),
la fecondità è invece un elemento interno all’Amore, connaturale ad esso: nella
fecondità matrimoniale (così come la conosciamo analogicamente nel linguaggio
umano), l’Amore è il frutto stesso dell’Amore.
3.5.5. J. Moltmann: la Trinità in fieri
Moltmann
evidenzia le difficoltà delle linee sostenute da Barth e Rahner (vedi le due
critiche fondamentali già menzionate). In particolare: come è possibile 3 io,
senza un tu?
Moltmann
analizza come l’idea della sostanza non sia biblica e come , filosoficamente
parlando, dia adito o a un soggetto assoluto o a un elemento perfettamente
neutro. Bisogna cercare una nozione ulteriore per esprimere l’Unità: Moltmann
fa un uso molto forte di “pericoresi”, la mutua inabitazione di cui abbiamo già
precisato. Moltmann parla di mutua correlazione nel “processo” non di “unità”,
ma di “unificazione”. La prospettiva è chiaramente dinamica.
L’Unità concepita da Moltmann è aperta, “unificata”: Dio possiede distinzioni
personali (che sono e devono essere personali e non “modi di essere”!). Non si
presuppone un’essenza, ma l’unificazione della Tri-Unità di Padre / Figlio /
Spirito è data senza essere fondata “nella sostanza”. Le persone sono in un
rapporto che presuppone le persone, e le persone unite (unificate) per
relazione; la relazione, a sua volta presuppone la persona e non c’è persona
senza relazione: si tratta di un collegamento persona-relazione di tipo
genetico. (Il problema che si può sollevare immediatamente è il seguente: la
Trinità può davvero essere considerata come il risultato di un processo? Ne
riparleremo più avanti) Moltmann prosegue sostenendo che dall’idea della
pericoresi, si possono conseguire una svariata serie di conseguenze etiche,
sociali e politiche: la Trinità è immagine e obiettivo sociale.
Il
problema è quello già accennato: questa “Trinità che si fa” è a livello
economico o immanente? Moltmann elimina questa distinzione, in quanto la
Trinità è il processo di autocomunicazione dell’essere divino. Secondo la
dottrina dell’axiom rahneriano, la Trinità immanente sarebbe “necessaria”,
mentre la trinità economica sarebbe “libera, gratuita”; la Trinità economica
“serve” a manifestare la gratuita dell’azione di Dio ad extra. Moltmann
contesta questa distinzione in quanto libertà e necessità in Dio coincidono:
libertà e necessità in Dio sono Uno nell’Amore e non c’è quindi distinzione fra
economia e immanenza.
Secondo
Moltmann, poiché occorre pensare Dio temporalmente e storicamente in questo
processo di Tri-Unificazione, la distinzione possibile per noi sarebbe tra
Trinità “all’origine” e Trinità “nella vita economica”. Dio, del resto, è
aperto al Creato, al Tempo, alla Storia. La Trinità diventa allora un problema
escatologico: la piena comunione fra le tre persone si realizzerà alla fine
quando anche il contributo dell’uomo “completerà” la perfetta comunione d’Amore
di e in Dio già anticipata e manifestata in Cristo.
Moltmann
propone una provocante concezione “aperta” dell’Unità di Dio. Ma pur
apprezzando il desiderio di legare profondamente Dio e il mondo, non possiamo
altresì esimerci dal dubitare della mancata salvaguardia della libertà e
trascendenza divine. Da dove viene la Trinità, se è un processo escatologico?
Tutte e tre le persone sono originali? Allora le persone prima esistono e poi
sono in relazione? E’ pienamente corretto parlare di Tre che “vanno verso
l’Uno” (1 Cor 15, 28)? Cfr. anche le critiche a Moltmann esposte a proposito
della sua teologia della croce.
3.5.6. Unità e Distinzione, la Tri-Unità:
questo è il problema
Lonergan
e Kasper, nelle loro opere, hanno il merito comune di aver molto insistito sul
fatto che dire “3 persone” non significa necessariamente affermare tre centri
d’azione indipendenti. Essi insistono sull’uso di “persona”, arricchito sia dai
significati della psicologia moderna (come Barth e Rahner), ma anche dalla
filosofia personalistica e dallo stesso cammino della teologia trinitaria (come
Moltmann). “Persona” è individuato non solo nella distinzione, ma anche nel
rapporto: persona è la responsabile dell’esistenza non solo di fronte ma anche
nel rapporto con l’altro. “Io” e “in relazione” non sono termini aggiunti o
giustapposti, ma identici.
“Nella
Trinità abbiamo tre soggetti mutuamente consapevoli in forza dell’unica e
stessa coscienza. [Siamo di fronte a] 3 soggetti che possiedono in modo diverso
la stessa autocoscienza. 3 soggetti che si capiscono in profonda comunione”
(Kasper). “Subiecta conscientia per unam coscientiam” (Lonergan).
Ne
consegue che il “noi” umano risulta estremamente povero di fronte al “noi”
divino, nel quale non abbiamo lo scioglimento del rapporto io-tu, ma
l’unificazione della distinzione senza per questo farla venire meno. Diciamo di
tre io o di 3 reciproci io-tu che formano un noi profondissimo nella stessa
autocoscienza. 3 Persone non individuate in modo assoluto, ma che si trovano
nella condizione di “tutto ciò che è mio è tuo”. Tutto; anche la distinzione
io-tu.
In un certo senso, potremmo dire che l’unica distinzione che viene cancellata è
quella di “mio-tuo”.
La
pluralità nella Trinità non è quindi un fattore di limitazione, perché la
natura stessa è l’autocomunicazione personale. Ognuno è personalmente libero
nella totale autocomunicazione della stessa coscienza infinita. Non 3
coscienze, allora, ma 1 perfetta Unità d’Amore; parliamo di coscienza di
persona e non di sostanza.
L’“io” divino è l’“io” proprio di questa comunione unitaria e allo stesso tempo
di ogni distinta persona. Parliamo della stessa coscienza esercitata da
ciascuno nella comunione con gli altri due.
Allo
stesso tempo, la Uni-Trinità non è un punto di arrivo, ma una realtà che crea
lo spazio per aprirsi e abbracciare il mondo (e l’uomo in particolare). Dio,
manifestandosi ad extra, resta coerente con il suo profondo modo di essere. Il
fatto stesso della sua intrinseca libertà è garanzia di questa coerenza. Ancora
una volta siamo di fronte al mistero della Trinità economica che ci porta
realmente, veramente e totalmente alla Trinità immanente