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1.
La conoscenza “naturale”
Cosa
intendiamo per “conoscenza naturale”? Abbiamo parlato del Dio rivelato da Gesù.
Ma la Chiesa e la Fede cristiana ci dicono che questo Dio che noi conosciamo
nella Rivelazione, è un Dio che, in un certo senso, senza definirne i limiti,
può essere conosciuto dalla ragione umana a partire dalle realtà create. Lo
stesso concetto da un altro punto di vista: “Dio è”, è un’affermazione di fede,
ma non un’affermazione fideistica, non irresponsabile di fronte alla ragione
umana.
Nell’AT,
la conoscenza si fonda sull’azione di Dio che entra a contatto personale con
gli uomini e si fa conoscere. In certi testi, però, si afferma anche che Dio fa
conoscere qualcosa di Sé nel fatto stesso della Creazione del mondo: Sal 19, 2:
“i cieli narrano la gloria di Dio”. La Gloria (nel senso di manifestazione -
presenza, ricordiamolo) di Dio, ha una dimensione cosmica; Dio fa sentire nel
cosmo la sua presenza. E’ un’idea
presente nel libro della Sapienza (libro “greco”, scritto in ambiente
alessandrino), 13, 1 ss: dalle creature, per analogia (ana in greco è la
preposizione che esprime il moto ascendente), si conosce il Creatore.
Nelle
Sacre Scritture (anche nel NT) si parla si questa possibilità di una certa
conoscenza tramite la Creazione, possibilità che spesso non si realizza per il
colpevole atteggiamento degli uomini, per il loro “sguardo non limpido”; cfr.
Rom 1, 19-23: la non scusabilità di coloro che hanno trasformato e ridotto
l’essere di Dio nell’immagine e nella figura degli idoli, esseri corruttibili;
in particolare, ciò che l’uomo può conoscere di Dio è perché Dio stesso lo ha
manifestato (il verbo janew è utilizzato in questo passo e poi ancora nella
stessa lettera al capitolo 3, 2, per indicare la manifestazione in Cristo!).
La
conoscenza di Dio non è quindi qualcosa che l’uomo può raggiungere nella
freddezza e nella “scientificità” pura [modernamente intesa], ma è una
conoscenza nella quale l’aspetto morale (e non solo intellettuale) ha un ruolo
fondamentale. La mente e il cuore ottusi, infatti, confondono l’immagine di Dio
in un modo non scusabile. Frequente, soprattutto nella riflessione paolina, è
la constatazione che, potendo arrivare alla conoscenza giustamente (ma non
piena, ovviamente!) di Dio, spesso gli uomini hanno fallito.
Queste
idee fondate sulle Sacre Scritture, collocano il quadro della teologia delle
prove dell’esistenza di Dio. Ma è importante ribadire che non si tratta di un
semplice processo di conoscenza “fredda” e distaccata, ma dato il particolare
“oggetto”, giocano un ruolo determinante gli elementi soggettivi dell’uomo.
Cfr. DF (DS 3004; 3025), tenendo presente che il contesto del Vaticano I era di
lotta contro il razionalismo e idealismo.
Dio
si lascia conoscere anche tramite la Creazione. Mostrare la possibilità
dell’esistenza di Dio (in un momento storico che non conosceva la separazione
moderna di “filosofia” e “teologia”) a partire dalla Creazione era uno degli
obiettivi dei pensatori medioevali. Il Medio Evo parla di due libri dati dalla
Provvidenza di Dio: la Parola e la Creazione, “libri” aperti alla conoscenza
della Verità.
Nel
XIX secolo, il fiorire del razionalismo nel suo tentativo di ridurre la fede
alla ragione, ha portato ad una reazione esattamente opposta, soprattutto negli
ambienti del tradizionalismo francese, fortemente fideistico: è impossibile
conoscere Dio mediante la Creazione. D’altra parte, però, cfr. DS 2751 ss; 2765
ss; 2811 ss: in alcuni di questi testi si utilizza anche la parola
“demonstratio” parlando della ricerca dell’esistenza di Dio.
Il
Vaticano I, nella costituzione Dei Filius, ha tentato una mediazione fra
razionalismo e fideismo: l’atto di fede non è qualcosa di cieco e
“ir-razionale”, ma non è nemmeno riducibile alla sola ragione; cfr. DS 3004 (e
il corrispondente canone 3026): “Dio, principio e fine di tutte le cose, con la
luce naturale della ragione umana e a partire dalle realtà create, in modo
certo può essere conosciuto”. Il testo di riferimento è il già citato Rom 1,
20.
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Analisi
del testo.
Si
tratta di affermazioni dal tono molto più modesto dei documenti precedenti (e
dotati di minor valore magisteriale): è completamente assente, ad esempio, la
parola “demonstratio”; Deus cognoscitur, non demonstratur. Altri testi
magisteriali (per es. HG di Pio XII nel 1950), saranno anche più precisi, ma
non è il caso del Vaticano I. Dimostrare è indubbiamente diverso dal conoscere:
la realtà divina è conoscibile, ma non è perfettamente comunicabile al modo di
una dimostrazione matematico - sperimentale. D’altra parte, la dimostrazione
non è una possibilità negata, semplicemente il Vaticano I non entra in
argomento; ne è conferma lo stesso canone 3026. In secondo luogo, “conoscere”
esprime un rapporto più personale in senso globale, mentre “dimostrare” esprime
una sfera più prettamente intellettuale.
“Alla
luce naturale della ragione umana”: in questo caso i testi del Vaticano I non
offrono una chiarezza definitiva; si rinuncia infatti a precisare se questa
“natura” sia la “natura pura” ipotetica o meno.
(Nota:
a partire dal Rinascimento fino alla metà del XX secolo, nella teologia
cattolica si è sviluppata una dottrina ipotetica; dando per acquisito che
l’uomo che esiste, che noi siamo e conosciamo, è chiamato ad una finalità
ultima, Dio, alla cosiddetta “visione beatifica”, va ribadito che questo
appello è un dono, non è “naturale”; presupposto questo, viene ipotizzato che
questa finalità ultima va al di là della capacità dell’uomo, è
“soprannaturale”; Dio, quindi, avrebbe potuto creare l’uomo senza avergli dato
questa finalità sovrannaturale, dotandolo ad un livello “più basso” di una
“natura pura”. Va detto anche, però, che spesso nella teologia, “natura” è ciò
che si contrappone alla Rivelazione in Gesù Cristo).
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Di quale natura parla il Vaticano I?
Natura pura o natura elevata (e poi caduta in quanto peccatrice)? Può arrivare
alla conoscenza di Dio quell’ipotetico uomo o l’uomo nella condizione attuale
nella quale si trova a prescindere dall’evento Gesù Cristo? Il Vaticano I non
si esprime, non andando oltre l’affermazione dalla quale siamo partiti.
Il Concilio non entra neppure sui fatti
concreti: quanti uomini (nessuno? Pochi? Tutti?) hanno conosciuto Dio
“naturalmente”? Il Vaticano non va al di là dell’affermazione della possibilità
reale. Anche se il tono del DS 3025, non appare molto ottimista: di per sé,
dice il concilio, molte cose non sarebbero impossibili alla ragione umana, ma
nelle condizioni presenti, con l’aiuto della Rivelazione, queste Verità che di
per sé la ragione umana potrebbe raggiungere da sola, la Rivelazione le fa
conoscere a tutti in modo più chiaro. DS 3015: con ancora maggior chiarezza si
delineano due ambiti di conoscenza: una via naturale e una soprannaturale.
Alcune
riflessioni.
Il
Vaticano I non spiega cos’è “conoscenza naturale”? Vediamo alcuni approcci al
problema.
Spesso
si è considerato questa conoscenza naturale come “dal basso all’alto”, come un
qualcosa che non ha a che fare con la Rivelazione; qualcuno sostiene che si
tratta dell’antica ubriV dell’uomo che vuole arrivare a Dio. Sia perciò ben
chiaro un concetto molto semplice: la conoscenza naturale si fonda pur sempre
sul fatto che è Dio stesso che si rivela! Si tratta di un carattere lampante
nei testi paolini: la Creazione è una manifestazione, anche come è ovvio non
allo steso livello dell’Incarnazione.
Il
Vaticano II conferma questo principio. Cfr. DV 6, dove si riprende il Vaticano
I, ma anche DV 3: “Dio, il quale crea e conserva tutte le cose per mezzo del
Verbo (cfr. Gv 1, 3), offre agli uomini nelle cose create una perenne
testimonianza di Sé”. Del resto, quando si parla di “conoscenza a partire dalle
cose create”, non si dovrebbe dimenticare chi è il Creatore. Chi è il Dio che
si fa conoscere? E’ il Dio Uno, Unità di principio? Sì, e di questo ne parla il
Vaticano I, che però non accenna in nulla alla pluralità di persone nel Dio
Creatore. I concili lateranensi si comportavano in maniera differente
specificando che si tratta di Padre Figlio Spirito come principio unico e
ultimo della Creazione. Costantinopoli II, andando ancora più indietro nella
storia, aveva parlato di “un solo Padre dal quale tutto proviene, un solo
Figlio mediante il quale tutto fu fatto, un solo Spirito nel quale tutto
esiste” (Atanasio e i Cappadoci).
Il
punto è molto semplice: Padre Figlio Spirito è l’unico principio della
Creazione, ma si può dire qualcosa di Più dei concili lateranensi e del
Vaticano I: questo principio differenziato in se stesso, agisce anche come
differenziato, secondo ciò che è proprio ad ogni persona (Costantinopoli II).
Ricordiamoci sempre che la Creazione ha avuto luogo mediante Cristo e punta
all’autocomunicazione piena e totale di Dio. In altre parole, questa
manifestazione nella Creazione è indirizzata alla manifestazione piena e
definitiva in Gesù di Nazareth. Anche per questo, non è una conoscenza di
fronte alla quale l’uomo può restare in posizione neutrale, distaccata, ma è
una conoscenza che sempre provoca, che tende ad introdurre l’uomo nell’amicizia
e nella comunione con Dio.
La
conoscenza di Dio mediante la Creazione è sempre conoscenza di quell’Unico Dio
che procede già nella Creazione verso il proprio donarsi pieno d’Amore. Possiamo
dire, quindi, che la conoscenza di Dio non è della “natura pura”, ma è di quel
Dio che già nella Creazione inizia a darsi completamente.
La
dimensione razionale (non razionalistica) della fede nel Dio di Gesù Cristo.
Dio
può essere conosciuto, ha un senso anche previo all’atteggiamento di fede, che
comunque ne approfondisce o rivoluziona (a seconda di come intendiamo) il senso
stesso. La fede infatti è intrinsecamente libera e non è quindi possibile senza
l’intelligenza, senza una qualche conoscenza. Cfr. Balthasar nel suo libro
sulla teologia di Barth.
Il
tema meriterebbe un approfondimento maggiore di quanto, purtroppo, è nelle
nostre possibilità di tempo. Una sola precisazione è sicuramente utile: il
fatto di considerare un livello morale fondamentale nella conoscenza di Dio,
nessuno si può permettere in nessun modo di giudicare l’altro uomo moralmente
in base alla sua conoscenza di Dio: l’intimo coinvolto in questa conoscenza è
estremamente personale e profondo, accessibile solo e unicamente da Dio.