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IL CONCETTO DI “PERSONA” IN TEOLOGIA
La storia del termine: da Tertulliano a
Riccardo di san Vittore
Il primo ad utilizzare
questo concetto, come abbiamo visto, è stato TERTULLIANO, per cui “persona” = “soggetto”; (in particolare, ricordiamo la sensibilità
prettamente “giuridica” dell’autore latino).
In Dio c’è un livello di
pluralità di essere che noi chiamiamo “persone”.
I CAPPADOCI, esponenti della corrente orientale dei primi secoli,
hanno avuto il merito di creare quella formula terminologica fondamentale: mia
jusiV en treiV upostasaiV. I latini, successivamente, traducono ousia (considerandola
sinonimo di jusiV), con substantia, termine che darà luogo anche a molti
fraintendimenti.
AGOSTINO è consapevole che questo linguaggio è
applicato in maniera analoga; ma non si possono applicare allo stesso modo gli
stessi termini agli uomini e a Dio. Egli, tuttavia, assume il termine persona
come criterio di distinzione nell’Unità. In particolare egli sottolineerà che
tutto ciò che in Dio si dice ad se non accetta pluralità di sorta; tutto ciò
che in Dio è relativo (ad aliquid), fonda la pluralità. Il relativo, nel
linguaggio si esprime sempre con un genitivo: il Padre del Figlio, il Figlio del
Padre, il Dono di Colui che dona.
In questo modo, però,
quando applichiamo questo principio alle persone divine, non possiamo dire che
il Padre è persona del Figlio o viceversa! Il problema quindi rimane: la
relazione è ad aliquid, ma l’essere persona è utilizzato in Dio 3 volte senza
necessariamente porlo in relazione (Il Padre è persona. Il Figlio è persona. Lo
Spirito è persona).
Le tre persone sono quindi
relazionate in quanto Padre e Figlio e Spirito Santo, ma non in quanto persone,
perché persona “dicitur ad se et non ad aliquid”! Siamo di fronte ad un’aporia,
una strada senza uscita, davanti alla quale Agostino non procede oltre, ma si
arresta.
BOEZIO tenta una via d’uscita all’aporia
agostiniana proponendo quella che diventerà la definizione classica di persona:
“Sostanza individua di natura razionale”. (Interessante è notare come la
definizione nasca in un ambito cristologico). La sostanza individuale designa
l’irripetibilità; il tentativo è comunque quello di esprimere non “cosa è”, ma
“chi è”.
RICCARDO DI SAN VITTORE parte dalla definizione
di Boezio, ma non la applica a Dio in modo diretto. La definizione di persona
in Dio deve necessariamente essere distinta da quella utilizzata per gli
uomini. Riccardo propone “natura rationalis incommunicabili existentia”. La
novità sta proprio in quell’”ex-sistere”, “stare (esistere) da”, “procedere
da”.
Le tre persone non si
distinguono perciò per il “sistere”, ma per l’“ex”, il punto d’origine: il
Padre “sistet” da nessuno, il Figlio dal Padre, lo Spirito dal Padre e dal
Figlio (sempre secondo l’Amore).
In Dio possiamo distinguere un’Unità iuxta modo essendi, e una distinzione
iuxta modo exsistendi.
Riccardo, poi, riprende il tema delle processioni per l’Amore (e non solo per
vie esclusivamente intellettuali): cfr. ciò che abbiamo già detto a proposito
dell’esatto numero “tre” nella dinamica persona (i tre modi possibili di
amare).
Nella Trinità (e
analogicamente nei rapporti umani?), possiamo affermare che ogni persona ama (o
è amata) secondo l’ex-sistere. “Qualibet persona est amor suus).
Detto in altre parole: le
modalità d’Amore presenti in Dio determinano le persone (ricordando quanto
detto prima sulla definizione di “persona”). L’irripetibilità di ciascuno è il
modo di amare di ciascuno. Il tipo di Amore determina il tipo di persona. Noi
possiamo imitare l’Amore delle tre persone divine assumendole come modello di
perfezione.
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San Tommaso d’Aquino
Anche Tommaso accetta la
definizione di Boezio, pur se con alcune precisazioni non indifferenti, ma nel
complesso non decisamente incisive sul nostro discorso. Egli, in particolare,
porta avanti il problema del rapporto fra relazione - persone - essenza divina.
Dio è Trino; la Trinità
dipende dalle processioni e dalle relazioni; anche l’autorità di Agostino ci
mostra “tre persone relativamente”. Tommaso, allora, insinua questa domanda: se
la distinzione è data dalle relazioni, e la distinzione in Dio Trino è a
livello delle persone, è questa relazione essa stessa la persona?
Nella “persona” troviamo
un minimo comune per tutti gli esseri (uomini, angeli...) ben individuato da
Boezio. Ma ci sono anche alcuni elementi specifici che sono propri ad esempio
della definizione “persona umana” e non di altri tipi di persona: la persona
umana è tale solo in presenza di un corpo (che gli angeli, pur essendo creature
personali non hanno!).
C’è quindi una distinzione
reale tra “persona”, “persona umana” e “persona divina”, anche nella loro
definizione.
“Persona” è ciò che
distingue, individua. In Dio, le persone sono ciò che “crea” la distinzione, la
pluralità. Le relazioni, in particolare, sono la causa di questa distinzione
intradivina.
Se la persona è ciò che è
distinto per relazione, allora in Dio “persona” coincide con “relazione”!
Cfr. un testo molto importante, S Th 29, a. 4, centro del corpus: “...Dio Padre
è la Paternità divina” (e quindi non è prima Dio e poi Padre), “Dio Figlio è la
Filiazione divina...”.
Senza tema di forzare
troppo l’interpretazione, Tommaso sembra indicarci come la relazione sia
sussistente nella natura divina, come sia l’essenza divina.
p
La riflessione di Tommaso
può apparire come un astratto costrutto intellettuale, ma a ben vedere esso è
molto di più. Questo ragionamento di rivela come in Dio le relazioni che
distinguono (e uniscono allo stesso tempo) sono le persone. Il principio di
Unità e quello di distinzione è sempre lo stesso.
Unità e distinzione in Dio
coincidono. Dio non prima è e poi si comunica, ma l’essere stesso è
comunicazione, è rapporto, è Amore.
Parlando in questi
termini, il problema del rapporto fra Unità e distinzione è un problema “solo
nostro”, che non sussiste in Dio, nel quale l’identità più profonda coincide
con la donazione totale nel distinto da Sé. La Creazione stessa non è un
“bisogno” di Dio, ma essa scaturisce da questa sua essenza comunicativa ad
intra. Il senso stesso dell’autocomunicazione divina ad extra è manifestazione
della propria pienezza sovrabbondante.
Ci muoviamo sempre
all’interno della associazione “paternità - donazione - Dio”, come “essenza “e
non come “appartenenza”.
Sottolineiamo altresì come
in Tommaso la relazione è un proprium della persona divina (e non
necessariamente della persona umana). Il salto della filosofia (e della
teologia) personalista, sarà di molti secoli successivo. [Nessuno è
perfetto...]
Necessità però un
chiarimento: parlando della “relazione divina”, affermiamo chiaramente
l’esistenza del rapporto reciproco di Paternità - Filiazione e di quello di
Spirazione –
Spirazione passiva (Proces-sione); di fronte a 4 relazioni,
dovremo supporre 4 persone? No, poiché la spirazione attiva non è di una
persona (non è una relazione sussistente), appartenendo al Padre e al Figlio.
Dio non è solo, ma è
comunione: ecco alfine la peculiarità del monoteismo cristiano.
E, soprattutto, Dio non è comunione in quanto esistono gli
angeli o i santi, ma poiché ha in Sé qualcuno della stessa natura. Tutta questa
astrazione che trova in Tommaso la grande guida, è confermata (o nasce?) dalla
manifestazione ricevuta da noi uomini nella Trinità economica: Gesù è puro
referente (relativo) al Padre: è questo il messaggio più esplicito del NT.
A corollario di quanto già
detto, aggiungiamo che la distinzione delle persone divine è reale, in quanto è
reale la “contrapposizione” delle relazioni. E’ inevitabile (e giusto) dare
alle persone divine i nomi di Padre e Figlio e Spirito Santo, in quanto
espressioni delle relazioni che sono il loro essere persone.
La teologia moderna e contemporanea: gli sviluppi del concetto
di persona e i modelli di teologia trinitaria
Il termine ha subito una
grandissima evoluzione di significati nel mondo moderno: autocoscienza,
libertà, capacità di decisione, centro di azione, centro di responsabilità...
Ai tempi di Agostino e di Tommaso, il termine era molto più “metafisico” e
molto meno “psicologico” (in senso moderno). In particolare, oggi la nozione di
persona si è arricchita della stretta connessione fra relazione ed essenza
umana (unione che Tommaso riservava esplicitamente alla sola persona divina).
Un grosso problema della
psicologia contemporanea, che interessa direttamente anche la nostra questione,
è stabilire se nasca prima “io” o prima “tu”.
Da questo punto di vista,
scopriamo come antropologia e teologia trinitaria siano in “pericoresi”.
Anche per questo, forse,
certi grandi teologi provano un certo riserbo nell’utilizzo del termine in
teologia trinitaria: se persona è applicato a Dio partendo dal linguaggio
quotidiano, il rischio di cadere nel triteismo sembrerebbe molto alto.
Karl Barth: 3 “modi di essere”
Dio in un’Unità
indistruttibile:
è lo stesso Dio che
(secondo sia l’AT che il NT) si rivela,
è lo stesso evento della
Rivelazione,
è l’azione di Dio
nell’uomo.
In queste tre asserzioni,
possiamo riconoscere parallelamente Padre e Figlio e Spirito Santo. Barth è un
autore che insiste moltissimo sull’Unità; allo stesso tempo però, predica lo
stesso Dio 3 volte diverso: anche la diversità è fondata nell’Unità.
Dio è tre “modi di
essere”. Il Dio che si rivela nelle sacre Scritture è Uno in tre modi diversi
(e propri) che sussistono nelle loro mutue relazioni. Egli è il Signore, cioè
il Tu che entra in contatto con l’io umano. Il Dio Trino è il Tu divino. Il
battesimo, del resto, si impartisce “nel nome” del Padre e del Figlio e dello
Spirito Santo, e non “nei nomi di...”. Dio è la ripetizione trina, è tre volte
“Io”, e solo in questa ripetizione è il Dio Uno. non tre personalità, non 3 io,
ma 3 volte l’unico Io che diventa Tu per l’io uomo.
Sempre a livello
terminologico, in Dio tutto appartiene all’Egli e mai all’Esso...
... Dio, cioè, è sempre un
soggetto e mai una cosa; la sua unicità è comunione e mai isolamento, include e
non esclude la distinzione. La differenza è situata nell’economia delle 3
persone.
A questo punto, Barth
propone l’espressione “modo di essere”; non vuole essere sostitutiva di
“persona”, ma suo giusto complemento o se si vuole, giusta e necessaria
sottolineatura di un significato che il termine “persona” (o l’evoluzione del
suo significato) ha trascurato.
Dio è l’Uno in questi 3 modi di essere ed è Dio personale in tre modi.
“Persona”, al contrario, secondo lo sviluppo psicologico nel senso di
“autopossessione”, porta facilmente all’affermazione di 3 persone = 3 dei. Per
evitare di dire “tre centri di sussistenza”, quindi, Barth propone “tre modi di
essere” dell’Unico Dio.
Riprendendo i temi
fondamentali della teologia occidentale, Barth ribadisce che le persone divine
sono diverse nelle relazioni mutue; esse sono cioè, “relativamente” diverse;
sono diverse nella corrispondenza; in questo si fonda l’Unità.
La differenza non sta,
quindi, per più o meno di divinità, ma per i rapporti di origine. Il modo di
essere Dio Figlio viene dal modo di essere Dio Padre e il modo di essere Dio
Spirito viene dal modo di essere Dio Padre e dal modo di essere Dio Figlio.
Barth, inoltre, parla di
“repetitio aeternitatis in aeternitate” in questi 3 modi di essere uno
nell’altro e uno con l’altro. Anche in questi casi, siamo sempre di fronte alla
libertà di Dio.
Attenzione: Barth non è un
modalista, in quanto parla sempre di distinzioni intrinseche in Dio e non solo
“apparenti”. “Padre e Figlio e Spirito” non è estraneo all’essenza di Dio, ma
Dio è “Padre e Figlio e Spirito Santo”.
“Dio è Padre nella
Creazione perché prima è Padre nella sua essenza in quanto Padre del Figlio”.
* Le principali critiche
rivolte all’impostazione di Barth
I rilievi fondamentali
partono dal fatto che Barth sembra applicare all’Unità di Dio il concetto di
persona così come lo concepisce la filosofia moderna (o solo una parte di essa,
come afferma Moltmann quando rimprovera Barth di non tenere in sufficiente
considerazione il contributo dei filosofi personalisti). Barth intende sempre
per “persona” ciò che la psicologia moderna chiama “io”.
Ma l’Unità dell’essenza divina formulata dalla teologia
classica partiva da un campo diverso di quello prettamente psicologico.
In secondo luogo,
“persona” non è mai stato assunto come criterio di Unità, ma come criterio di
distinzione! Un Dio singolarmente personale ha sicuramente chiare radici
veterotestamentarie, ma tutta la riflessione ecclesiale ha chiamato “persona”
ciò che distingue in Dio.
Lo spostamento operato da
Barth è quindi duplice: da “persona” in senso classico si è passati al senso
moderno (in modo incompleto?); da elemento di distinzione a elemento di Unità.
Per amore di giustizia, occorre però anche ricordare che l’espressione “modo di
essere” era cara a Basilio Magno. Nonostante questo, la proposta di Barth non è
riuscita nel suo intento; un autore tra i più critici verso queste idee sarà J.
Moltmann.
Karl Rahner: 3 “modi di sussistenza”
Egli propone un
cambiamento non solo terminologico rispetto a Barth; questi non parla
esplicitamente della relazione io-tu a livello intratrinitario (parlando
abbondantemente della relazione io-tu fra uomo e Dio); Rahner, invece, arriva a
negarne l’esistenza intratrinitaria.
Sull’approccio di Rahner
al mistero trinitario, cfr. Mysterium Salutis e quanto detto nel secondo
capitolo sull’Axiom: Dio esiste da sempre nell’autocomunicazione del Figlio e
nell’autocomunicazione dello Spirito Santo (per Rahner, autocomunicazione =
processione). Analogicamente possiamo anche parlare della Grazia come
autocomunicazione del Padre al mondo.
Dio, esistendo, non “ha bisogno” di fuoriuscire da Sé, ma nel momento in cui
decide di farlo, lo “deve” fare come Egli è: ecco il Figlio, principio
intrinseco di Rivelazione, di comunicazione oggettiva (l’Incarnazione è il
proprio del Figlio); ecco lo Spirito, principio di attualizzazione e
universalizzazione (il fare è il proprio dello Spirito). Il modo di
autocomunicazione di Figlio e Spirito non si potrebbe cambiare.
Ma se Dio si vuole
comunicare all’essere umano, deve farlo come Egli è (nella sua essenza divina),
e deve anche tener conto di come egli (l’essere umano) è.
L’uomo è un essere che è
vincolato ad un origine (1), che si trova e riceve il suo essere in una storia
(2) ed è portato verso la libertà / Verità / conoscenza (3).
Accanto a questa triadica
dimensione, se ne trova un’altra: l’uomo è un essere che sì riceve l’essere, ma
anche lo accetta (a); che sì è nella storia, ma che punta alla trascendenza
(b); che sì punta alla libertà,
ma che risponde nell’Amore
(c).
Figlio e Spirito Santo
rispondono a queste due dimensioni fondamentali: il Figlio è storico, oggetto
“ricevuto”, originario, Verità; lo Spirito dal canto suo spinge al futuro, alla
trascendenza, è la condizione stessa di possibilità di accettazione (e non solo
passiva) dell’offerta d’Amore. Possiamo agostinianamente dire, quindi, che le
autocomunicazioni “convengono” all’identità divina.
Gli effetti stessi di
questa duplice autocomunicazione sono differenti: nel Figlio “dà luogo”
all’umanità di Cristo, nello Spirito è trasformazione interna dell’uomo
(l’opera della Grazia).
Nel Dio Uno, quindi, c’è una
distinzione interna fra il sussistere dell’Origine, quello rivelato nel Vangelo
e quello ricevuto nell’Amore. Dio comunica se stesso e perciò comunica anche la
Distinzione e l’Unità. L’autocomunicazione crea la distinzione. La
comunicazione è la stessa differenza tra le relazioni che si corrispondono
mutue.
* Le principali critiche
rivolte all’impostazione di Rahner sono più o meno le stesse rivolte a Barth.
[Sia O’Donnell che Kasper,
nei loro libri ne aggiungono un’altra di aspetto tipicamente pastorale: se è
difficile pregare una “persona divina”, come pregare un “modo di sussistenza”?]
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La difesa e il recupero del termine “persona”
Di fronte a questa linea
che tenta la sostituzione del termine persona, la teologia (soprattutto cattolica)
ha recuperato l’analogia “sociale” già molto sviluppata in Riccardo di san
Vittore (il tema del con-dilectus, per esempio) e che era stata bloccata
storicamente dalle critiche di Agostino, per il quale la pluralità delle
persone umane non poteva essere un termine analogico adeguato per la Trinità.
Il punto di partenza corrisponde con quell’io-tu intradivino di cui già
accennavamo prima.
H. MÜHLEN propone un interessante riflessione a partire
dai semplici pronomi personali attribuiti alle persone divine. “Noi” è
comunemente riconosciuto come il plurale della prima persona; in realtà “noi” è
la comunione non di io + io, ma di io + tu. Io non può essere plurale da solo,
e noi è conseguentemente il plurale della comunione fra la prima e la seconda
persona.
Analogicamente, il Padre è
Io, il Figlio è Tu, lo Spirito Santo è Noi in quanto comunione di Io e Tu. La
critica successiva ha giustamente evidenziato come in realtà io e tu siano
intercambiabili: tutte e tre le persone divine sono io. E’ comunque interessante
l’identificazione dell’Unione come proprio dello Spirito.
RATZINGER, partendo dal concetto di Parola (LogoV),
mostra come fin da prima dei secoli, Dio è l’Essere dia - logico, è il Vivente
nella Parola e quindi il Vivente nel rapporto Io –
Tu che fonda la Parola.
L’Amore, inoltre, è proprio dell’unione dialogica. Ratzinger, quindi, partendo
dall’approccio psicologico (Parola), tenta una teologia trinitaria che tiene in
buona considerazione anche l’aspetto sociale (dialogo).
H. U. von Balthasar: la fecondità
matrimoniale
Balthasar introduce,
accanto al tema del dialogo (lo Spirito come il “noi”, l’eterno dialogo d’Amore
tra Padre e Figlio), un’analogia che Mühlen ha solo accennato: la fecondità
matrimoniale (che egli dice aver mutuato dagli scritti di Scheeben). L’imago
trinitatis diventa in questo modo “superiore” all’analogia dell’io, che rimane
in un certo senso “chiusa”; in secondo luogo, si arricchisce il tema del
dilectus/condilectus perché mentre il co-amato è un idea per così dire “dal di
fuori” (è un’affermazione vera ma che affonda le sue radici in una almeno
apparente astrazione che la perfezione dell’amore sia l’amare insieme), la
fecondità è invece un elemento interno all’Amore, connaturale ad esso: nella
fecondità matrimoniale (così come la conosciamo analogicamente nel linguaggio
umano), l’Amore è il frutto stesso dell’Amore.
J. Moltmann: la Trinità in fieri
Moltmann evidenzia le
difficoltà delle linee sostenute da Barth e Rahner (vedi le due critiche
fondamentali già menzionate). In particolare: come è possibile 3 io, senza un
tu?
Moltmann analizza come
l’idea della sostanza non sia biblica e come , filosoficamente parlando, dia
adito o a un soggetto assoluto o a un elemento perfettamente neutro. Bisogna
cercare una nozione ulteriore per esprimere l’Unità: Moltmann fa un uso molto
forte di “pericoresi”, la mutua inabitazione di cui abbiamo già precisato.
Moltmann parla di mutua correlazione nel “processo” non di “unità”, ma di
“unificazione”. La prospettiva è chiaramente dinamica.
L’Unità concepita da Moltmann è aperta, “unificata”: Dio possiede distinzioni
personali (che sono e devono essere personali e non “modi di essere”!). Non si
presuppone un’essenza, ma l’unificazione della Tri-Unità di Padre / Figlio /
Spirito è data senza essere fondata “nella sostanza”.
Le persone sono in un
rapporto che presuppone le persone, e le persone unite (unificate) per
relazione; la relazione, a sua volta presuppone la persona e non c’è persona
senza relazione: si tratta di un collegamento persona-relazione di tipo
genetico. (Il problema che si può sollevare immediatamente è il seguente: la
Trinità può davvero essere considerata come il risultato di un processo?
Ne riparleremo più avanti)
Moltmann prosegue sostenendo che dall’idea della pericoresi, si possono
conseguire una svariata serie di conseguenze etiche, sociali e politiche: la
Trinità è immagine e obiettivo sociale.
Il problema è quello già
accennato: questa “Trinità che si fa” è a livello economico o immanente?
Moltmann elimina questa distinzione, in quanto la Trinità è il processo di
autocomunicazione dell’essere divino. Secondo la dottrina dell’axiom
rahneriano, la Trinità immanente sarebbe “necessaria”, mentre la trinità
economica sarebbe “libera, gratuita”; la Trinità economica “serve” a manifestare
la gratuita dell’azione di Dio ad extra. Moltmann contesta questa distinzione
in quanto libertà e necessità in Dio coincidono: libertà e necessità in Dio
sono Uno nell’Amore e non c’è quindi distinzione fra economia e immanenza.
Secondo Moltmann, poiché
occorre pensare Dio temporalmente e storicamente in questo processo di
Tri-Unificazione, la distinzione possibile per noi sarebbe tra Trinità
“all’origine” e Trinità “nella vita economica”. Dio, del resto, è aperto al
Creato, al Tempo, alla Storia. La Trinità diventa allora un problema
escatologico: la piena comunione fra le tre persone si realizzerà alla fine
quando anche il contributo dell’uomo “completerà” la perfetta comunione d’Amore
di e in Dio già anticipata e manifestata in Cristo.
Moltmann propone una
provocante concezione “aperta” dell’Unità di Dio.
Ma pur apprezzando il
desiderio di legare profondamente Dio e il mondo, non possiamo altresì esimerci
dal dubitare della mancata salvaguardia della libertà e trascendenza divine.
Da dove viene la Trinità,
se è un processo escatologico? Tutte e tre le persone sono originali? Allora le
persone prima esistono e poi sono in relazione? E’ pienamente corretto parlare
di Tre che “vanno verso l’Uno” (1 Cor 15, 28)? Cfr. anche le critiche a
Moltmann esposte a proposito della sua teologia della croce.
Unità e Distinzione, la Tri-Unità: questo è
il problema
Lonergan e Kasper, nelle
loro opere, hanno il merito comune di aver molto insistito sul fatto che dire
“3 persone” non significa necessariamente affermare tre centri d’azione
indipendenti. Essi insistono sull’uso di “persona”, arricchito sia dai
significati della psicologia moderna (come Barth e Rahner), ma anche dalla
filosofia personalistica e dallo stesso cammino della teologia trinitaria (come
Moltmann). “Persona” è individuato non solo nella distinzione, ma anche nel
rapporto: persona è la responsabile dell’esistenza non solo di fronte ma anche
nel rapporto con l’altro. “Io” e “in relazione” non sono termini aggiunti o
giustapposti, ma identici.
“Nella Trinità abbiamo tre
soggetti mutuamente consapevoli in forza dell’unica e stessa coscienza. [Siamo
di fronte a] 3 soggetti che possiedono in modo diverso la stessa autocoscienza.
3 soggetti che si capiscono in profonda comunione” (Kasper). “Subiecta conscientia
per unam coscientiam” (Lonergan).
Ne consegue che il “noi”
umano risulta estremamente povero di fronte al “noi” divino, nel quale non
abbiamo lo scioglimento del rapporto io-tu, ma l’unificazione della distinzione
senza per questo farla venire meno. Diciamo di tre io o di 3 reciproci io-tu
che formano un noi profondissimo nella stessa autocoscienza. 3 Persone non
individuate in modo assoluto, ma che si trovano nella condizione di “tutto ciò
che è mio è tuo”. Tutto; anche la distinzione io-tu.
In un certo senso, potremmo dire che l’unica distinzione che viene cancellata è
quella di “mio-tuo”.
La pluralità nella Trinità
non è quindi un fattore di limitazione, perché la natura stessa è
l’autocomunicazione personale. Ognuno è personalmente libero nella totale
autocomunicazione della stessa coscienza infinita. Non 3 coscienze, allora, ma
1 perfetta Unità d’Amore; parliamo di coscienza di persona e non di sostanza.
L’“io” divino è l’“io”
proprio di questa comunione unitaria e allo stesso tempo di ogni distinta
persona. Parliamo della stessa coscienza esercitata da ciascuno nella comunione
con gli altri due.
Allo stesso tempo, la
Uni-Trinità non è un punto di arrivo, ma una realtà che crea lo spazio per
aprirsi e abbracciare il mondo (e l’uomo in particolare). Dio, manifestandosi
ad extra, resta coerente con il suo profondo modo di essere. Il fatto stesso
della sua intrinseca libertà è garanzia di questa coerenza. Ancora una volta
siamo di fronte al mistero della Trinità economica che ci porta realmente, veramente
e totalmente alla Trinità immanente